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Spirito

Il ricordo di mons. De Castro Mayer in una lettera di mons. Williamson

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Renovatio 21 traduce e pubblica un’altra lettera scritta da Sua Eccellenza monsignor Richard Williamson (1940-2025), datata 9 maggio 1991, e tratta dal bollettino Angelus, a quel tempo curato proprio dal prelato inglese il suo periodo nel seminario di Winona, nel Minnesota.

 

In questa lettera agli amici e benefattori, il compianto vescovo londinese parlò della morte del vescovo brasiliano Antonio de Castro Mayer (1904-1991), l’unico vescovo rimasto al fianco del fondatore della FSSPX, Mons. Marcel Lefebvre.

 

In questo breve ma appassionato scritto, Williamson raccoglie brevemente ma intensamente l’eredità del vescovo brasiliano, rimasto fedele fino alla fine.

 

Le sorti della diocesi di Campos, purtroppo, senza la sua guida, presero poi in breve tempo una piega controversa, raggiungendo il totale accordo con Roma nel 2002 e tradendo, secondo alcuni, l’opera di monsignor de Castro Mayer.

 

 

Cari amici e benefattori,

 

Molti di voi si saranno chiesti che fine abbia fatto la posta di maggio del Seminario. Alcuni di voi avranno immaginato che consistesse in un’edizione commemorativa di Angelus per la morte, avvenuta il 25 marzo, del Fondatore della Fraternità San Pio X, l’Arcivescovo Marcel Lefebvre. Il Seminario ha dovuto tirare fuori il salvadanaio per inviarvelo, ma il Fondatore muore una volta sola! E poi, più apprezziamo i doni di Dio, come un grande vescovo cattolico, più Dio sarà incline a inviarci altri simili a lui: «Se tu conoscessi il dono di Dio…» dice Nostro Signore.

 

E ora il vescovo che ha avuto l’onore e la gloria di essere l’unico vescovo al mondo a stare accanto all’arcivescovo Lefebvre nell’ora del bisogno della Chiesa, il vescovo Antonio de Castro Mayer, vescovo in pensione della diocesi di Campos in Brasile, è morto anche lui, un mese esatto dopo l’arcivescovo, in ospedale, in Brasile, il 25 aprile scorso. Così Dio ha fatto in modo che i compagni d’armi sulla terra siano anche compagni in cielo.

 

Il vescovo de Castro Mayer nacque un anno prima dell’arcivescovo Lefebvre e divenne vescovo della diocesi di Campos, una cittadina a circa 200 miglia a nord-est di Rio de Janeiro, nel 1948, quando aveva circa quarantacinque anni. Era un esperto di diritto canonico e teologia e una Lettera pastorale sui “Problemi dell’apostolato moderno“, che scrisse per la sua diocesi nel 1953 e che conteneva un “Catechismo delle verità opportune per opporsi agli errori odierni”, si diffuse ben oltre la sua diocesi, dentro e fuori il Brasile.

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La sua forza nella dottrina fu la ragione per cui, quando il tornado del Vaticano II colpì la Chiesa, né lui né la sua diocesi furono spazzati via: un’impresa realizzata da nessun altro vescovo con la sua diocesi in tutta la Chiesa! Molti vescovi durante e dopo il Concilio devono essersi sentiti estremamente a disagio con la nuova religione introdotta, ma a meno che non avessero una mente molto lucida si saranno detti: «Beh, non mi piace e non ritengo che sia cattolica, ma la fede non si basa sui gusti o sui sentimenti, quindi se questo è ciò che dice il Papa, devo obbedire». 

 

Solo se avessero saputo, sempre con una mente lucida, che la dottrina della fede stessa era gravemente messa in pericolo dai cambiamenti, avrebbero potuto resistervi in modo silenzioso e costante, come fece il vescovo de Castro Mayer.

 

Inoltre, e molto di più, i suoi preti rimasero con lui. Quando arrivò la Nuova Messa, lo seguirono nell’osservanza della Messa tridentina, e quando raggiunse l’età di 75 anni e fu obbligato dalle nuove regole della Chiesa a dimettersi, la grande maggioranza dei suoi sacerdoti mantennero la Messa tridentina. 

 

Senza dubbio, grazie a lui, avevano capito.

 

Fu sostituito da un vescovo modernista che procedette a cacciare tutti i preti del vescovo de Castro Mayer dalle loro parrocchie. Alcuni di loro rinunciarono alla lotta, ma fu ancora una volta la grande maggioranza di loro a scendere letteralmente in piazza, e quando decisero di costruire nuove chiese dal nulla, allora – ulteriore testimonianza dell’ex vescovo e dei suoi preti – furono seguiti dalla grande massa del popolo, così che ora ci sono ancora 11 chiese nuove di zecca in costruzione. 

 

Ne ho viste tre quando ero in Brasile lo scorso dicembre. Non sono piccole, e quella che ho visto finita era molto bella, e già troppo piccola! Cosa può fare un bravo vescovo!

 

Senza dubbio l’ultimo grande momento di Dom Antonio fu quando si mise al fianco dell’arcivescovo Lefebvre per co-consacrare nelle Consacrazioni del giugno 1988. Nel corso della cerimonia tenne un breve sermone spiegando perché era venuto: disse che era stato sottoposto a molte pressioni per stare lontano, ma per lui era un dovere tale che pensò che avrebbe commesso un peccato mortale se non fosse venuto.

 

L’arcivescovo Lefebvre era immensamente riconoscente per il suo aiuto. Il vescovo de Castro Mayer era in tutti gli aspetti così completamente indipendente dall’arcivescovo Lefebvre, che quando si schierò con lui contro tutto il mondo, fu la chiara dimostrazione che l’arcivescovo non stava solo inventando tutto di testa sua.

 

Senza essere influenzato dall’arcivescovo, un altro vescovo cattolico che si trovava di fronte alla stessa confusione era giunto alla stessa drammatica decisione: meglio incorrere nella «scomunica» che rimanere inattivi. Da allora in poi nessuno avrebbe potuto liquidare l’arcivescovo come un solitario stravagante.

 

Quanto l’arcivescovo apprezzasse il suo compagno d’armi, lo dice questo estratto, l’inizio di una lettera scritta dall’arcivescovo Lefebvre dalla Svizzera, il 4 dicembre dell’anno scorso a Dom Antonio, costretto ad un periodo di infermità a letto, in Brasile:

 

«Carissimo Monsignor Antonio de Castro Mayer, mi giungono voci dal Brasile sulla sua salute che, a quanto dicono, sta peggiorando! La chiamata di Dio si avvicina? Il solo pensiero mi riempie di profondo dolore. Quanto sarò solo senza il mio fratello maggiore nell’episcopato, senza il combattente modello per l’onore di Gesù Cristo, senza il mio unico fedele amico nella spaventosa landa desolata della Chiesa conciliare! D’altra parte risuona nelle mie orecchie tutto il canto della liturgia tradizionale dell’Ufficio dei Pontefici Confessori… il benvenuto dal cielo al servo buono e fedele, sé tale è la volontà del buon Dio»

 

Apparentemente, l’arcivescovo Lefebvre non immaginava che sarebbe stato il primo a tornare a casa, ma da lì non aspettò molto per trascinare dietro di sé il suo compagno. 

 

«Belli e avvenenti nella loro vita, anche nella morte non furono divisi: erano più veloci delle aquile, più forti dei leoni» (II Sam. I,23).

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Il funerale dell’arcivescovo a cui ho assistito a Ecône il 2 aprile è stato solenne, ma più consolante che triste. Ci sono diverse immagini nell’Angelus allegato, e un po’ della scena sulla tomba è evocata nel pezzo intitolato «Quello per cui si batteva non poteva morire». 

 

Il momento della tristezza sarà quando, se mai, la sua opera morirà.

 

Questo annuncio è in ritardo perché non c’era posto per esso nella lettera di aprile. Non preoccupatevi, ci saranno le Cresime l’anno prossimo, se Dio vuole. 

 

Ciò che conta è che i giovani conoscano e amino la loro Fede. Meglio — anime affamate, prendete nota — amare i Sacramenti e non averli che averli e non amarli, nella misura in cui Dio si sta avvicinando al primo stato ma si sta allontanando dal secondo.

 

Che la Madonna vi benedica per ciò che resta del suo mese. 

 

Trionferà, e sarà noto a tutti!

 

Sinceramente Vostro in Cristo,

 

+Richard Williamson

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Immagine da FSSPX.news

 

 

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Gender

Il cardinale Zen condanna il «pellegrinaggio» LGBT nella Basilica di San Pietro: «offesa a Dio»

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Il cardinale Joseph Zen ha denunciato il pellegrinaggio LGBT in Vaticano e si è unito agli appelli di altri vescovi affinché compiano riparazioni per la profanazione della Basilica di San Pietro. Lo riporta LifeSite.   In una dichiarazione in lingua cinese pubblicata mercoledì, Zen ha scritto: «recentemente è emersa la notizia che un’organizzazione LGBTQ+ ha organizzato un evento per l’Anno Santo, in cui i partecipanti sono entrati nella Basilica di San Pietro a Roma per attraversare la Porta Santa».   «Ostentavano oggetti di scena color arcobaleno, indossavano abiti con slogan e coppie dello stesso sesso si tenevano per mano con passione: era puramente un’azione di protesta», ha osservato il vescovo emerito di Hong Kong.   «Questo non era un pellegrinaggio giubilare (in cui i credenti rinnovano i voti battesimali, si pentono dei peccati e si impegnano a riformarsi). Tali azioni offendono gravemente la fede cattolica e la dignità della Basilica di San Pietro: una grave offesa a Dio!»

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«Il Vaticano era a conoscenza di questo evento in anticipo, ma non ha poi emesso alcuna condanna. Troviamo ciò davvero incomprensibile!»   Zen ha sottolineato che «coloro che provano attrazione per persone dello stesso sesso» dovrebbero essere trattati con beneficenza; tuttavia, «non possiamo dire loro che il loro stile di vita è accettabile».   «Non siamo Dio», ha continuato. «Dio ci chiama a trasmettere ciò che Gesù ci ha insegnato: il vero amore per loro. Dobbiamo aiutarli a ottenere la grazia attraverso la preghiera e i sacramenti per resistere alla tentazione, vivere virtuosamente e percorrere la via verso il cielo».   Zen ha fatto riferimento alla richiesta di atti di riparazione avanzata da quattro vescovi: il vescovo Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, Kazakistan; il vescovo Joseph Strickland, vescovo emerito di Tyler, Texas; il vescovo Marian Eleganti, vescovo ausiliare emerito di Coira, Svizzera; e il vescovo Robert Mutsaerts, ausiliare di ‘s-Hertogenbosch, Paesi Bassi.   Il porporato cinese ha affermato di sostenere fermamente questo appello e ha suggerito che, dopo la Festa di metà autunno in Cina, i fedeli dovrebbero «riunirsi con i parrocchiani vicini per tre giorni per recitare le preghiere allegate».   «Inoltre, compite un atto di abnegazione o un atto di carità per offrire riparazione davanti a Dio per i peccati dei nostri fratelli e sorelle che hanno sbagliato», ha concluso.   Il cardinale Zen ha allegato al suo messaggio la preghiera di riparazione compilata dai quattro vescovi e recitata alla Conferenza sull’identità cattolica lo scorso fine settimana.   Il vescovo emerito di Hong Kong si aggiunge alla lista dei prelati ortodossi che hanno pubblicamente condannato il «pellegrinaggio LGBT» in Vaticano. Oltre ai quattro vescovi che hanno redatto la preghiera di riparazione, l’evento è stato criticato anche dal cardinale Gerhard Müller, che ha affermato che si trattava «indubbiamente» di un sacrilegio.   Come riportato da Renovatio 21, il cardinale Zen la scorsa estate aveva scritto che «il Dio misericordioso è così disgustato dai comportamenti sessuali tra persone dello stesso sesso perché questo crimine è troppo lontano dal piano di Dio per l’uomo (…) Il Suo piano è che un uomo e una donna si uniscano in un solo corpo con un unico ed eterno amore e cooperino con Dio. Una nuova vita può nascere e crescere nel calore della famiglia».

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Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato lo Zen si era scagliato contro Fiducia Supplicans arrivando a chiedere le dimissioni dell’autore del testo, il cardinale Victor «Tucho» Fernandez, eletto da Bergoglio a capo del Dicastero per la Dottrina della Fede.   Il porporato in questi mesi ha attaccato con estrema durezza il Sinodo sulla Sinodalità, accusando Bergoglio di usare i sinodi per «cambiare le dottrine della Chiesa», nonché «rovesciare» la gerarchia della Chiesa per creare un «sistema democratico».   Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni fa il cardinale Zen ha celebrato una messa tradizionale per la festa del Corpus Domini e ha guidato una processione per le strade di Hong Kongo, città dove le autorità, ora dipendenti da Pechino, lo hanno arrestato ed incriminato, nel silenzio più scandaloso del Vaticano (mentre, incredibilmente, il Parlamento Europeo esorta la Santa Sede a difenderlo!), con il papa Bergoglio a rifiutarsi di difendere il cardinale in nome del «dialogo» con la Cina comunista che lo perseguita.

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Immagine di Rock Li via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine tagliata 
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Misteri

Candace Owens pubblica i presunti messaggi di Charlie Kirk: «vedo il cattolicesimo in maniera sempre migliore»

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Candace Owens ha pubblicato presunti messaggi personali del defunto Charlie Kirk che dimostrano un crescente interesse per la Chiesa cattolica. Lo riporta LifeSite.

 

In uno dei messaggi, Kirk affermava che «vedo il cattolicesimo in maniera sempre migliore». Owens ha affermato che Kirk le ha inviato il messaggio nel febbraio 2024 durante conversazioni private sulla teologia e sull’uso politico del termine «giudeo-cristiano».

 

Candace ha descritto l’osservazione come parte di uno scambio continuo tra amici, aggiungendo di non aver mai affermato che Kirk si fosse convertito o si stesse preparando a farlo. «Charlie stava attraversando alcuni cambiamenti spirituali verso la fine», ha detto l’attivista, affermando che Kirk «non frequentava la chiesa del pastore Rob McCoy», ma piuttosto andava a messa ogni settimana e a volte anche più spesso.

 

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Owens ha anche attirato l’attenzione sul ciondolo di San Michele che Kirk indossava al momento della morte, aggiungendo che la sua vedova, Erika, aveva portato un vescovo a pregare sul suo corpo in seguito, e in precedenza aveva portato un prete a casa loro per pregare dopo una «fattura» comminatagli pubblicamente da giornalisti di sinistra.

 

Aveva anche parlato positivamente dell’importanza della Madonna, presentandola come la «soluzione al femminismo tossico» e invitando gli evangelici a venerarla di più.

 

 

Tuttavia, pur notando che i cattolici «speravano che avrebbe fatto il passo successivo perché stava pregando il Rosario», Owens ha insistito sul fatto che Kirk non aveva deciso di convertirsi e che lei non aveva mai affermato il contrario.

 

La rivelazione arriva nel mezzo di controversie in corso sulla vita spirituale e l’eredità di Kirk, seguite al suo assassinio a settembre. Alex Clark e Andrew Kolvette della TPUSA avevano recentemente discusso dell’interesse di Kirk per il cattolicesimo, definendolo più estetico che teologico.

 

«Stava diventando cattolico? No», ha detto Kolvet, produttore e caro amico di Kirk. «Ma amava molto la Messa cattolica. Amava il suo rituale. Amava la bellezza delle antiche chiese cattoliche e le vetrate. E lui ed Erika ci andavano ogni tanto».

 

«Mi è sembrata una specie di insabbiamento», ha detto la Owens a proposito di questa conversazione, chiedendosi perché personaggi vicini a Kirk si fossero affrettati ad affermare che non si stava avvicinando al cattolicesimo.

 

«Sono rimasto un po’ stupita», ha detto Candace, definendo il modo in cui hanno parlato dell’argomento un «tentativo inautentico di dissuadere l’idea che Charlie si stesse ammorbidendo nei confronti del cattolicesimo».

 

Le opinioni religiose di Kirk sono diventate un punto focale nella più ampia lotta sulla sua eredità, con personalità interne a Turning Point, e commentatori come la Owens che offrono resoconti divergenti delle sue posizioni private su questioni di fede.

 

Il giornalista della testata d’inchista di sinistra Grayzone Max Bluementhal ha sottolineato che un’eventuale conversione al cattolicesimo di Charlie lo avrebbe reso forse più distante dall’influenza israeliana, che abbonda tra gli evangelici americani da cui il ragazzo proveniva.

 

Bluementhal aveva pubblicato uno scoop che raccontava come Kirk avesse rifiutato 160 milioni offerti dal primo ministro israeliano Netanyahu a Turning Point USA (per portarlo «al prossimo livello») e come fosse stato invitato ad un ritrovo nella prestigiosa magione del miliardario hedge fund sionista Bill Ackman, dove gli sarebbe stata fatta pressione al punto che una lobbista israeliana britannica gli avrebbe pure urlato.

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Parimenti, è stato detto che amici avessero rivelato come Charlie avesse «paura» delle forze di Israele, di cui pure era stato un accanito sostenitore. L’insofferenza di Kirk per le pressioni che gli stavano mettendo – specie dopo che aveva fatto parlare ad un evento estivo il giornalista Tucker Carlson e il comico Dave Smith, considerati ora come anti-Israele – erano state rese pubbliche durante una trasmissione con la celebre giornalista Megyn Kelly.

 

Tutti coloro che si sono interessati del caso ci tengono a ricordare, tuttavia che non vi sono prove che Israele sia implicato nell’omicidio di Kirk.

 

Come riportato da Renovatio 21, a ribadire l’estraneità dello Stato Ebraico è stato più volte, alla TV americana e in videomessaggi pubblici sui social, il premier israeliano Beniamino Netanyahu, il quale per qualche ragione ha negato simultaneamente anche le accuse sugli assassinii rituali ebraici medievali con vittime i bambini cristiani, come San Simonino.

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Economia

IOR e APSA, papa Leone riforma le controverse regole della banca vaticana stabilite da Bergoglio

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Lo scorso 29 settembre, papa Leone XIV ha firmato la sua prima lettera apostolica in forma di motu proprio, intitolata Coniuncta cura («Responsabilità condivisa»), pubblicata su L’Osservatore Romano il 6 ottobre.   Il documento riforma la gestione degli investimenti finanziari della Santa Sede, abrogando le disposizioni dell’era di Francesco che obbligavano l’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) a operare esclusivamente attraverso lo IOR (Istituto per le Opere di Religione), di fatto conferendo a quest’ultimo un monopolio operativo.   Lo IOR, la notissima banca vaticana, gestisce i conti e gli investimenti degli enti religiosi, mentre l’APSA funge da organismo curiale che amministra il patrimonio della Santa Sede, con funzioni simili a un ministero delle finanze.

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In particolare, il rescritto del 23 agosto 2022, che vincolava l’APSA a un unico canale di gestione, è stato revocato. Pur confermando che l’IOR dovrebbe essere «generalmente» il canale privilegiato, il nuovo testo concede all’APSA la possibilità di scegliere intermediari finanziari con sede in altri Paesi qualora ciò risulti «più efficiente o vantaggioso».   Con questa decisione, il papa ha ripristinato l’autonomia strategica e decisionale dell’APSA, rafforzandone il ruolo di organismo centrale per la gestione economica e patrimoniale della Curia romana.   Fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco aveva cercato di centralizzare il controllo sulle attività finanziarie, promuovendo maggiore trasparenza e un allineamento con la missione della Chiesa, con particolare attenzione ai poveri. Inizialmente, aveva persino valutato la chiusura dello IOR, considerandone l’immagine pubblica troppo compromessa.   Tuttavia, nel 2015, con la nomina di Gian Franco Mimmì – amico di lunga data dai tempi di Buenos Aires – Francesco trasformò lo IOR nel pilastro della sua strategia finanziaria, elevandolo da istituzione controversa ad alleato chiave.   Il rescritto di Francesco imponeva inoltre che tutti i beni finanziari degli enti affiliati alla Santa Sede fossero trasferiti allo IOR entro 30 giorni. Questa misura generò interrogativi e preoccupazioni in Vaticano, con diversi attori privati che interpretarono la direttiva come un segnale di maggiore controllo, temendo ripercussioni sull’autonomia nella gestione delle proprie risorse.   Leone XIV ha dedicato grande attenzione alle sfide economiche della Santa Sede sin dai primi mesi del suo pontificato. Consapevole delle tensioni accumulatesi tra l’APSA, la Segreteria per l’Economia e lo IOR, ha scelto di delegare a collaboratori curiali – per lo più ancora legati all’era di Francesco – la gestione di altre questioni teologiche e pastorali, incluse delicate questioni come gli accordi segreti con la Cina.   In questa fase di riorganizzazione economica, un ruolo di primo piano è stato affidato al vescovo salesiano Giordano Piccinotti, presidente dell’APSA e figura di fiducia del Papa, ricevuto in udienza il 2 ottobre.   In una recente intervista estesa, Leone XIV ha elogiato apertamente la dirigenza dell’APSA, sottolineando il successo del suo bilancio 2024 – oltre 60 milioni di euro – e chiedendo retoricamente: «Perché parlare di crisi, allora?»   Il romano pontefice ha anche riconosciuto che uno dei problemi principali è stata la comunicazione: «il Vaticano ha spesso inviato un messaggio sbagliato, e questo non incoraggia certo le persone a dire “Vorrei aiutare”, ma piuttosto “Mi terrò i miei soldi”».   Nel 2013 Beroglio aveva nominato prelato allo IOR monsignor Battista Ricca, allora protagonista di un articolo finito in copertina su L’Espresso con titolo: «Il prelato della Lobby gay». Durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Brasile di Bergoglio, la giornalista Ilze Scamparini, ebbe il coraggio di fargli una domanda in merito, porgendogli una domanda molto precisa, nome e cognome incluso.   «Vorrei chiedere il permesso di fare una domanda un po’ delicata: anche un’altra immagine ha girato un po’ il mondo, che è stata quella di mons. Ricca e delle notizie sulla sua intimità. Vorrei sapere, Santità, cosa intende fare su questa questione? Come affrontare questa questione e come Sua Santità intende affrontare tutta la questione della lobby gay?» chiese la Scamparini.   La domanda non è ricordata da nessuno; tuttavia la risposta fu storica: «se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». Come noto, questa frase guadagnò a Bergoglio la simpatia universale e il premio di uomo dell’anno da parte della rinomata rivista gay The Advocate.   L’inchiesta del vaticanista de L’Espresso Sandro Magister era partita proprio fresca nomina di Ricca, da parte di Bergoglio, alla carica di «prelato» dello IOR. Il monsignore di Offlaga come noto era anche direttore della Domus sanctae Marthae, dove papa Francesco per qualche ragione aveva scelto di vivere.

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Al di là di questo caso, i danari vaticani in questi anni furono al centro di controversie tra investimenti da palazzinari a Londra e soldi al film biografico su Elton John e a Lapo Elkann.   Nella storia recente dei misteri delle finanze vaticane entra anche la vicenda, drammatica e dolorosa, del cardinale australiano George Pell, noto per le sue tendenze conservatrici.   Prefetto della Segreteria per l’economia, Cardinale George Pell, viene messo in galera in Australia nel corso di un incredibile processo per pedofilia. Le accuse paiono incredibili, ma l’anziano porporato finisce davvero in carcere. La Corte Suprema australiana poi lo libera, lasciando il mondo a pensare che quello che lo aveva spedito in prigione fosse stato davvero un processo-farsa.   In tutto questo intrigo, spuntano fuori, anche qui, dei danari: dalla Città del Vaticano all’Australia vengono bonificati 2,3 miliardi di dollari australiani (oltre 1,4 miliardi di euro), attraverso più di 400 mila transazioni. La polizia australiana, dopo un’indagine, chiude il caso. «I trasferimenti finanziari avevano generato il sospetto di un tentativo di pilotare il processo per pedofilia a carico del cardinale George Pell. Ma la polizia di Canberra non ha rivelato nessuna condotta criminale» riassume Repubblica. Di questi numeri assurdi, per mole di danaro (Prevost ora si rallegra per 60 milioni in bilancio!) e frequenza di operazioni (come si possono fare quasi mezzo milione di transazioni? In quanto tempo) nessuno parlerà più.

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Immagine di Catholic Church of England and Wales via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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