Cina
Il Pentagono teme il programma di armi spaziali della Cina
La Cina sta investendo in armi progettate per bloccare o distruggere i satelliti statunitensi, ha detto un alto funzionario dell’Intelligence. Lo riporta Natural News.
L’investimento ha seguito gli sforzi del Paese retto dal Partito Comunista Cinese per ridurre il divario nella tecnologia spaziale tra Cina e Stati Uniti.
La Cina sta investendo in armi progettate per bloccare o distruggere i satelliti statunitensi
Il funzionario ha aggiunto che la Cina è «in marcia» per sviluppare armi antisatellite (ASAT).
Il contrammiraglio Mike Studeman, del comando indo-pacifico degli Stati Uniti, ha dichiarato durante un webinar che la Cina sta effettivamente sviluppando armi ASAT.
«Dal laser abbagliante al jamming, all’abbattimento cinetico da terra o dallo spazio – in tutte queste cose, sono in marcia».
«Dal laser abbagliante al jamming, all’abbattimento cinetico da terra o dallo spazio – in tutte queste cose, sono in marcia»
«Danno un’occhiata alle nostre capacità spaziali e vogliono eguagliarle e superarle – ed essere in grado di dominare per garantirsi le manovre di cui hanno bisogno per essere in grado di garantire i loro obiettivi se sono in combattimento».
Le osservazioni di Studeman sono la valutazione più recente delle capacità militari nello spazio della Cina. Secondo il segretario alla Difesa Lloyd Austin, le capacità della Cina erano una «sfida principale» ricorrente per la pianificazione e la spesa della difesa degli Stati Uniti.
Le minacce provenienti dalla Cina e dalla Russia sono servite come giustificazioni principali citate dai funzionari americani per l’istituzione della US Space Force (USSF) e del comando spaziale americano durante l’amministrazione Trump. Precedentemente tale ente era sotto il comando dell’aeronautica americana, ma l’ex presidente Donald Trump ha separato l’USSF come ramo militare indipendente nel dicembre 2019.
Studeman ha commentato che gli Stati Uniti riconoscono la minaccia e hanno «una notevole quantità di attività in corso».
«Danno un’occhiata alle nostre capacità spaziali e vogliono eguagliarle e superarle – ed essere in grado di dominare per garantirsi le manovre di cui hanno bisogno per essere in grado di garantire i loro obiettivi se sono in combattimento»
«Sarà un gioco di misure, contromisure e contromisure per qualche tempo a venire». Una di queste armi nell’arsenale degli Stati Uniti è il sistema Meadowlands. Questa arma ASAT terrestre è progettata per bloccare temporaneamente ma non distruggere i satelliti cinesi e russi.
La prima arma di Meadowlands è stata ritenuta operativa nel marzo 2020. L’USSF ha affermato che sta costruendo un arsenale di queste armi controspaziali nei prossimi sette anni, con ben 48 dispositivi in programma.
Nell’aprile 2021, l’Ufficio del direttore dell’Intelligence nazionale (ODNI) ha affermato che l’esercito cinese «continuerà a integrare i servizi spaziali – come la tempistica e le comunicazioni satellitari, la ricognizione e il posizionamento satellitare e la navigazione satellitare – nelle sue armi e nei suoi comandi nonché sistemi di controllo per erodere il vantaggio informativo dell’esercito americano».
L’ODNI ha menzionato nel suo rapporto annuale di valutazione delle minacce che Pechino continua ad addestrare i suoi elementi spaziali militari e «distribuire nuove armi ASAT distruttive e non distruttive terrestri e spaziali», aggiungendo che la Cina ha già schierato missili terrestri per distruggere i satelliti in orbita terrestre bassa (LEO).
La Cina ha già schierato missili terrestri per distruggere i satelliti in orbita terrestre bassa (LEO)
Oltre a questo, la Cina ha anche messo in campo laser ASAT a terra per accecare o danneggiare sensori ottici spaziali sensibili sui satelliti.
Oltre alle armi ASAT, la Cina ha anche perseguito programmi dedicati per i satelliti per comunicazioni militari e commerciali. La Defense Intelligence Agency ha dichiarato nel 2019 che la Cina possiede e gestisce circa 30 di questi satelliti per comunicazioni civili, commerciali e militari.
Secondo la DIA, il grande Paese comunista gestiva anche «un piccolo numero» di satelliti per comunicazioni militari dedicati.
Il rapporto ODNI ha fatto eco a un avvertimento simile dell’ex segretario alla Difesa Mark Esper espresso nel settembre 2020 durante un discorso in cui ha sostenuto la Cina starebbe usando «armi a energia diretta» e «killer di satelliti» contro gli Stati Uniti. Esper ha anche affermato che Pechino starebbe trasformando lo spazio in un «dominio di guerra» per ottenere la superiorità spaziale attraverso tecnologie sofisticate.
Pechino starebbe trasformando lo spazio in un «dominio di guerra» per ottenere la superiorità spaziale attraverso tecnologie sofisticate
«Nel frattempo, nello spazio, Mosca e Pechino hanno trasformato un’arena un tempo pacifica in un dominio di guerra. Hanno armato lo spazio attraverso satelliti killer, armi a energia diretta e altro ancora, nel tentativo di sfruttare i nostri sistemi e distruggere il nostro vantaggio militare», aveva rivelato Esper.
L’ex segretario alla Difesa ha continuato:
«In questa era di grande competizione per il potere, non possiamo dare per scontati i vantaggi di lunga data degli Stati Uniti. L’USAF in particolare ha mantenuto la superiorità aerea incontrastata per decenni, con intelligence persistente, sorveglianza, ricognizione e attacchi aerei di precisione sempre e ovunque. Tuttavia, i nostri rivali vicini, Cina e Russia, cercano di erodere il nostro dominio di vecchia data».
Il Comitato per gli stanziamenti della Camera USA ha anche rilevato la necessità di agire contro le armi ASAT da parte della Cina
Date queste minacce, l’ODNI in seguito ha affermato che lo sviluppo delle cosiddette operazioni controspaziali sarà parte integrante di una potenziale campagna militare. Il Comitato per gli stanziamenti della Camera USA ha anche rilevato la necessità di agire contro le armi ASAT da parte della Cina.
In una bozza di rapporto sul disegno di legge sulla difesa fiscale 2022, il comitato ha sottolineato “le crescenti minacce poste dai laser a terra in grado di danneggiare o distruggere sensori spaziali sensibili in orbita bassa”. Il comitato ha anche notato “la mancanza di una strategia coordinata per comprendere questa minaccia e sviluppare concetti per mitigarne i rischi”.
Senza menzionare la Cina, la bozza del rapporto indicava al Dipartimento della Difesa di collaborare con l’ODNI contro queste minacce, e invitava entrambe le agenzie a «fornire un piano per raccogliere, consolidare e caratterizzare i dati sull’attività delle minacce laser di potenziali avversari e sviluppare strategie per mitigare queste minacce».
Cina
Cina, il vescovo Zhang e gli altri cattolici ridotti al silenzio
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nell’Henan apre nuove ferite anziché sanarle l’ordinazione episcopale avvenuta ieri. Il vescovo sotterraneo di cui Roma ha accolto la rinuncia è ancora sotto stretto controllo, non ha potuto partecipare alla cerimonia del suo successore e nemmeno la famiglia può vederlo. Il commento di un sacerdote: «Pechino viola lo spirito dell’Accordo. Non è la prima volta che veniamo umiliati. La Chiesa non si sostiene con il potere, ma con la fede».
«Il vescovo Zhang Weizhu è ancora sotto stretto controllo, senza libertà; la sua famiglia non può nemmeno vederlo o ricevere un segno della sua sicurezza, e tuttavia si annuncia al mondo che è stato reso “emerito”». È quanto fonti di AsiaNews riferiscono dall’Henan all’indomani della cerimonia di ordinazione episcopale del nuovo prefetto apostolico di Xinxiang, mons. Li Jianlin e del contestuale annuncio da parte della Santa Sede della rinuncia dell’attuale ordinario – mons. Zhang Weizhu, appunto – un vescovo di 67 anni ordinato clandestinamente nel 1991, che non era mai stato riconosciuto dalle autorità cinesi e anzi anche apertamente perseguitato per il suo rifiuto di aderire all’Associazione patriottica.
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Le modalità di questo passaggio hanno lasciato grande amarezza tra i fedeli delle comunità sotterranee locali. «Il vescovo Zhang Weizhu – raccontano – non ha potuto partecipare alla cerimonia, né ha avuto la possibilità di far sentire la sua voce, mentre all’esterno viene consegnata una storia “perfetta”. Quello che perdiamo non è solo la trasparenza e il rispetto, ma il fatto che un pastore venga trattato come un elemento di un procedimento, e non come una persona viva, con carne e sangue. Che la verità non venga messa a tacere – chiedono – che chi soffre possa essere visto, e che la Chiesa – in qualsiasi circostanza – non si abitui mai a considerare l’ingiustizia e il silenzio come qualcosa di “normale”».
Questa mattina il direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni ha diffuso una nuova dichiarazione in cui si riferisce di una cerimonia durante la quale oggi le autorità locali hanno riconosciuto civilmente la dignità episcopale del vescovo emerito mons. Giuseppe Zhang Weizhu. E commenta che «tale provvedimento è frutto del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi e costituisce un nuovo importante passo nel cammino comunionale della circoscrizione ecclesiastica».
Va però precisato che il comunicato diffuso sulla stessa cerimonia da China Catholic – il sito dell’Associazione patriottica – racconta che il presule, dopo essere stato tenuto lontano ieri dall’ordinazione del suo successore, avrebbe tenuto un discorso «esprimendo la necessità di aderire al patriottismo e all’amore per la religione, di attenersi al principio di chiese indipendenti e autogestite, di seguire l’orientamento della sinicizzazione del cattolicesimo nel nostro Paese e di contribuire alla costruzione complessiva di un moderno Paese socialista e alla promozione complessiva della grande rinascita della nazione cinese».
Parole decisamente improbabili sulla bocca di mons. Zhang e che lasciano forti dubbi sul tenore di questa cerimonia, del tutto analoga a quella avvenuta a settembre a Zhangjiakou per l’altro vescovo sotterraneo mons. Agostino Cui Tai.
Sui comunicati ufficiali relativi all’ordinazione del nuovo vescovo della prefettura apostolica di Xinxiang e su quanti invece sono stati ridotti al silenzio, pubblichiamo qui sotto un commento inviato ad AsiaNews da un altro sacerdote appartenente a una «comunità sotterranea» dei cattolici cinesi.
Il 5 dicembre 2025, nella prefettura apostolica di Xinxiang, è stata celebrata l’ordinazione episcopale di padre Francesco Li Jianlin. Nello stesso giorno, il governo cinese ha pubblicato un comunicato ufficiale, seguito poi dall’ annuncio della Santa Sede.
In apparenza, tutto sembra rientrare in una «nomina episcopale avvenuta secondo l’Accordo Provvisorio sino-vaticano». Ma chi conosce anche solo un poco la realtà ecclesiale in Cina sa che tra questi due comunicati esiste un vasto spazio di silenzi. E proprio in questi spazi si trovano coloro che sono stati esclusi.
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1. Lo splendore dei comunicati e le assenze nella realtà
Il comunicato cinese ha enfatizzato la «solenne celebrazione», elencando i membri della Conferenza episcopale cinese presenti alla cerimonia, senza però menzionare l’ordinario legittimo della prefettura di Xinxiang, mons. Zhang Weizhu, neppure con un cenno formale.
Il comunicato vaticano, con il suo consueto linguaggio prudente e istituzionale, afferma: il Santo Padre ha accettato la rinuncia di Mons. Zhang.
Ma la realtà non detta è un’altra:
– mons. Zhang non è stato autorizzato a partecipare all’ordinazione del suo successore;
– pur essendo l’Ordinario legittimo, è stato tenuto completamente ai margini, come se non fosse mai esistito;
– sacerdoti e religiose della comunità «non ufficiale» non hanno ricevuto alcuna informazione, né invito di partecipazione;
– alcuni laici responsabili di parrocchia sono stati convocati «per un colloquio preventivo» o addirittura trattenuti per evitare la loro presenza.
Una celebrazione che avrebbe dovuto coinvolgere l’intera Chiesa locale si è trasformata in una cerimonia ristretta, controllata da pochissimi.
2. Come una celebrazione può rendere di nuovo «sotterranea» la comunità sotterranea
Quando a mons. Zhang fu chiesto di presentare la rinuncia, egli avrebbe posto una sola condizione: «Che si possa provvedere in modo dignitoso alla situazione dei sacerdoti e delle religiose della comunità sotterranea».
Era la richiesta di un pastore che, nonostante anni di sorveglianza, restrizioni e pressioni, continuava a preoccuparsi soltanto del suo popolo.
La realtà, però, ha dimostrato il contrario:
– i sacerdoti sotterranei non sono stati inclusi in alcuna disposizione;
– non è stata elaborata nessuna lista, nessun riconoscimento, nessuna regolarizzazione;
– nessuna comunicazione è stata fatta loro prima della cerimonia;
– molti hanno saputo dell’ordinazione soltanto tramite l’annuncio del governo.
Non è una soluzione ai problemi: è la creazione di nuovi conflitti. Non è la guarigione di vecchie ferite: è l’apertura di ferite nuove.
La Santa Sede afferma che tutto è avvenuto «secondo l’Accordo»; la parte cinese, tuttavia, ha proceduto secondo la propria logica, ignorando il ruolo di mons. Zhang, lo spirito dell’intesa e la situazione concreta della prefettura.
È il risultato di una trattativa profondamente asimmetrica: l’espressione dell’arroganza del potere statale e della sofferta sopportazione della Chiesa.
3. Mons. Zhang Weizhu: un vescovo reso invisibile, ma il più simile a Cristo
Qualunque sia la narrazione esterna, un fatto non può essere cancellato: prima di questa ordinazione, la prefettura apostolica di Xinxiang aveva un vescovo legittimo nominato dalla Santa Sede: mons. Zhang Weizhu.
Dopo anni di sorveglianza, restrizioni e isolamento, senza mai lamentarsi pubblicamente, egli è stato infine indotto a presentare la rinuncia. E proprio il giorno in cui viene ordinato un nuovo vescovo, lui, il pastore della diocesi, non può neppure varcare la porta della chiesa. È stato escluso in modo totale, silenzioso, quasi chirurgico, come un’ombra che si vuole cancellare dal tempo.
Ma né la storia né la memoria della Chiesa lo dimenticheranno.
Egli appare davvero come «l’agnello condotto al macello», silenzioso, mite, obbediente sotto la croce. Se in tutto questo c’è una vittoria mondana, la vittoria del Regno appartiene invece alla testimonianza di mons. Zhang.
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4. La rabbia cresce: una comunità ferita
Gli effetti di questa vicenda nella Chiesa locale sono profondissimi:
– i sacerdoti della comunità sotterranea provano una rabbia senza precedenti, sentendosi ignorati e annullati;
– religiose e fedeli vivono come una ferita il sentirsi esclusi dalla propria Chiesa;
– molti fedeli comuni non sapevano nulla di un evento così importante;
– parecchi seminaristi e sacerdoti si domandano: «Chi siamo noi? Che valore abbiamo nella nostra stessa Chiesa?»
Non è un dolore che un semplice comunicato possa guarire.
5. Dove andare?
Non siamo chiamati a essere ingenui, ma neppure a cedere alla disperazione.
Non è la prima, e non sarà l’ultima volta, che la Chiesa, dentro un sistema di forte controllo, si trova costretta al silenzio, alla umiliazione, alla sofferenza.
Tuttavia, continuiamo a credere che:
– la Chiesa non si sostiene con il potere, ma con la fede;
– un vescovo non è tale per volontà umana, ma per dono dello Spirito;
– la vera storia non è scritta nei comunicati, ma nella testimonianza;
– i dimenticati, gli esclusi, i silenziati sono spesso i segni più profondi di Dio nella storia.
Oggi Xinxiang sembra aprire un nuovo capitolo, ma molte ferite restano aperte e molti interrogativi senza risposta. Forse l’unica via è questa: andare verso la croce, verso la verità, verso Colui che vede ciò che gli uomini ignorano e non cancella mai nessuno dal suo cuore.
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6. Eppure, nonostante tutto: congratulazioni al nuovo vescovo e una preghiera di speranza
Nonostante le contraddizioni, le sofferenze e le tensioni irrisolte, con cuore filiale diciamo comunque: auguri per l’ordinazione del nuovo vescovo. Ogni vescovo è un dono alla Chiesa.
Per questo preghiamo con sincerità:
– che mons. Li Jianlin metta al primo posto il bene della Chiesa, al di là delle pressioni esterne o politiche;
– che possa davvero assumere il compito di ricostruire l’unità della prefettura, sanando le lacerazioni di tanti anni;
– che abbia un cuore di padre verso ogni sacerdote e religiosa, soprattutto verso coloro che oggi si sentono ignorati o esclusi;
– che non sia soltanto un vescovo ordinato, ma un vero pastore per questa terra ferita.
Il peso che porta non è leggero. La strada davanti a lui non sarà facile. Ma se lo Spirito ha permesso che questo giorno arrivasse, allora possiamo solo sperare che egli sappia trovare una via realmente evangelica nel mezzo di tante tensioni.
Che diventi strumento di unità, non di divisione;
che porti guarigione, non nuove ferite;
che risponda con sincerità, umiltà e coraggio alla voce di questo tempo.
Conclusione: Su una terra lacerata, continuare a credere nella Risurrezione
Ciò che Xinxiang vive non è solo una questione religiosa o politica, ma una manifestazione delle tensioni e delle prove del nostro tempo.
Eppure crediamo che:
– Dio agisce nei silenzi della storia;
– si manifesta nei dimenticati;
– pianta semi di risurrezione proprio nelle zone più oscure.
Che il nuovo vescovo sia custode di questi semi.
Che la croce di mons. Zhang diventi luce per la prefettura.
Che tutti coloro che sono stati esclusi, silenziati, dimenticati sappiano che per Dio nessuno è un «vuoto».
Non sappiamo cosa riservi il futuro, ma sappiamo una cosa: Dio non abbandonerà la Sua Chiesa.
Un sacerdote della comunità sotterranea cinese
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Cina
Cinesi uccisi al confine tra Tagikistan e Afghanistan: Pechino evacua il personale
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Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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