Geopolitica
Il New York Times spinge per un attacco alla Crimea
Un articolo del New York Times appena pubblicato sembra spingere la Casa Bianca a mettere da parte le preoccupazioni e cominciare a colpire la Crimea.
Il pezzo, intitolato «Gli USA si scaldano per aiutare l’Ucraina a prendere di mira la Crimea» scrive che «dopo mesi di discussioni con i funzionari ucraini, l’amministrazione Biden sta finalmente iniziando ad ammettere che Kiev potrebbe aver bisogno del potere per colpire il rifugio russo [la Crimea], anche se una tale mossa aumenta il rischio di escalation, secondo diversi funzionari statunitensi che hanno parlato a condizione di anonimato per discutere il delicato dibattito».
«La moderazione nella posizione è avvenuta quando l’amministrazione Biden è arrivata a credere che se l’esercito ucraino può mostrare alla Russia che il suo controllo della Crimea può essere minacciato, ciò rafforzerebbe la posizione di Kiev in qualsiasi futuro negoziato» aggiunge l’articolo del quotidiano di Nuova York.
Commentando l’articolo, EIRN dà una sua analisi di quanto scritto: «Traduzione: gli Stati Uniti non hanno monete con cui negoziare, quindi rischieranno uno scontro termonucleare per fabbricarne uno».
Il New York Times passa in rassegna l’attuale popolare questione della «coalizione di carri armati»: con carri armati europei e autocarri americani Bradley, equipaggiati con missili guidati, gli ucraini possono riprendersi Zaporiggia e Mariupol’, privando i russi di un «ponte di terra» per la in Crimea.
«I Bradley, insieme ai carri armati britannici e ai veicoli corazzati da combattimento che Francia e Germania hanno concordato di inviare, potrebbero essere l’avanguardia di una forza corazzata che l’Ucraina potrebbe impiegare in una controffensiva questo inverno o primavera, affermano il governo e analisti indipendenti» scrive il NYT.
«I funzionari ucraini… non vedono altra scelta che prendere di mira la Crimea e metterla in pericolo, ha detto un alto funzionario statunitense, osservando che la questione è emersa durante i recenti incontri ad alto livello alla Casa Bianca. Tuttavia, la Crimea non può essere presa e una tale mossa potrebbe spingere Putin a reagire con una risposta escalativa» ammette il grande giornale.
Tuttavia, la valutazione di alcuni funzionari sentiti dalla testata «è che la Russia deve credere che la Crimea sia a rischio, in parte per rafforzare la posizione dell’Ucraina in qualsiasi futuro negoziato. Dimostrando la capacità di colpire in Crimea, dicono i funzionari americani, l’Ucraina potrebbe dimostrare che il controllo russo non è stabilito».
Evelyn Farkas, la massima funzionaria del Pentagono per l’Ucraina durante l’amministrazione Obama, viene poi citata mentre dice che «senza la Crimea, tutto va in pezzi». Quindi, il rischio dell’avventura ora deve essere spiegato.
Seguono citazioni di «esperti» che assicurano che colpire la Crimea non comporterebbe alcuna escalation di guerra totale.
Frederick B. Hodges, l’ex massimo comandante dell’esercito americano in Europa, osserva: «mi sembra che sempre più l’amministrazione stia riconoscendo che la minaccia dell’escalation russa forse non è ciò che pensavano fosse prima».
Dara Massicot, ricercatrice politica senior presso la RAND Corporation, spiega: «C’è più chiarezza sulla loro tolleranza per danni e attacchi. La Crimea è già stata colpita molte volte senza una massiccia escalation da parte del Cremlino».
Insomma, i russi attaccati non reagiranno, assicurano. E se c’è il rischio di uno scontro termonucleare, beh, a questo punto pazienza.
Come ricorda EIRN, è vero piuttosto il contrario: la Russia ha spesse volte risposto con estrema decisione e con forza cinetica ai colpi ricevuti.
Quando le preoccupazioni di sicurezza della Russia sono state ignorate, Mosca ha lanciato l’operazione militare speciale il 24 febbraio 2022.
Quando il ponte verso la Crimea è stato preso di mira da un attacco terroristico, la Russia ha posto fine alla prima fase del conflitto iniziando a colpire sistematicamente obiettivi infrastrutturali ucraini con missili di precisione.
Non è che tutti questi che parlano a vanvera lo facciano perché l’escalation è esattamente quello che vogliono?
Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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Immagine screenshot da Twitter
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Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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