Gender
Il ministro, la Concia, la suora: il circo della scuola tradita
La canea che si è levata dopo l’ultima iniziativa del ministro Valditara dà la percezione chiara di come si sia perduta la consapevolezza del compito, insostituibile, che appartiene alla scuola. A cominciare da chi è chiamato ad amministrarla dall’alto della poltrona ministeriale.
Ricapitoliamo in sintesi i fatti, con qualche antefatto. Il partito di plastica dell’attuale presidente del consiglio ha raccolto una valanga di voti essendo presentato (da comparse arruolate alla bisogna) come baluardo contro la propaganda gender e dintorni. Quante volte si è sentito ripetere, a pappagallo, che sì, è vero che l’esecutivo «di destra» riproduce, enfatizzandolo, il programma del piddì (guerra, armi, sanità, economia, eccetera eccetera), però alt: almeno sul gender è una garanzia, con la Schlein avremmo già gli ellegibbitì a fare invasione di aula.
Un ritornello in bocca a quelli che, fermi alla distinzione destra-sinistra e anti mancini per riflesso pavloviano, dovevano difendere una indifendibile posizione filogovernativa.
Ma le cose sono andate un po’ diversamente. Cavalcando un fatto di cronaca nera strumentalizzato all’inverosimile per fini politico-mediatici, il ministro «competente», che già aveva dimostrato in varie circostanze la propria stoffa, è riuscito nell’impresa di andare oltre ogni più rosea aspettativa della sinistra arcobaleno: con mano lestissima ha introdotto nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione al pensiero di Gino Cecchettin insieme all’educazione alle relazioni – per dire «basta alla cultura machista e maschilista che ancora inquina il nostro Paese» (cioè il gender al quadrato con testimonial di eccezione) – mettendola sotto la accorta regia di una signora che di maschi se ne intende perché ha sposato un’altra donna e che comunque è coadiuvata da una suora e da un’altra signora a caso. Il tutto, per la modica cifra di quindici milioni di euro.
Il pacchetto però era talmente surreale che in molti non l’hanno presa benissimo e il malcapitato ministro è stato sommerso dai fischi.
Come sempre, si sono subito distinti i cattofenomeni che hanno alzato il falso bersaglio – lo stalking horse – su cui sparare e hanno fatto il pieno di firme inutili, di pollici alzati e dei dati informatici di chi ci casca. Per loro il problema, quello per cui bisogna strillare e strapparsi i capelli, è la signora Concia, in quanto lesbica dichiarata e praticante.
E però il ministro, al quale non la si fa, per compensare l’attivista iridata aveva appunto piazzato la suora di guardia, e contro la suora i baciapile mica possono picchiare. La suora, prontamente calata nella sua nuova parte istituzionale, si è sentita in dovere di correre in soccorso della trovata del ministro e ha cercato in una intervista di giustificare l’ingiustificabile, rendendo la vicenda ancor più grottesca.
Smentendo il ministro che aveva detto il contrario (ma nel regno dell’assurdo va bene così) dichiara: «Paola Concia non coordina il progetto “Educare alle relazioni”, è una fake news: tutte e tre abbiamo lo stesso ruolo». Rivendica l’esistenza di un triumvirato (o forse si dovrebbe dire triumvirata), perché tre femmine sono meglio di una, e come darle torto.
Prosegue con un triplo carpiato piuttosto gustoso: «solo non politicizzando la questione riusciamo a contrastare la violenza». In effetti non si vede ombra di politicizzazione in questa faccenda, zero proprio, e la suora fa bene a sottolinearlo perché, come consigliava sempre un vecchio penalista ai suoi clienti: bisogna negare tutto, soprattutto l’evidenza.
Ma il bello viene dopo: «il progetto prevede la creazione di gruppi di discussione che hanno come protagonisti i ragazzi, con la moderazione del docente di classe che sarà formato da Indire, con materiale fornito dall’Ordine degli psicologi e dei pedagogisti».
Cioè, la suora ci informa che il delicato argomento viene dato in pasto a gruppi di ragazzini nutriti solo dal mangime unico della propaganda, e se per avventura qualcuno di loro si cibasse di qualcos’altro, o avesse l’ardire di elaborare un pensiero in autonomia, verrebbe coperto di ignominia (lo sa, la suora, che succede così?).
Ci informa poi che i docenti moderano la discussione, ma – attenzione! – essi non sono ritenuti idonei sic et simpliciter a fare da moderatori, no: prima devono essere «formati» dalla struttura di regime, sul materiale fornito dall’Ordine degli psicologi. Per inciso, si parla di quell’ordine che ha fama di tollerare non proprio benissimo le posizioni non allineate e che da poco ha riformato il proprio codice deontologico modificando la disciplina del consenso informato (nel senso che lo psicologo stesso, scavalcando la volontà del paziente o dei suoi genitori se minorenne, può procurarsi dalla autorità giudiziaria l’autorizzazione a praticare un trattamento) e quella del segreto professionale.
Insomma, che il materiale su cui i docenti devono essere formati per procurarsi il patentino di bravi moderatori provenga da lì, ci rassicura tutti. Grazie suora.
Aggiunge poi a margine che «fondamentale sarà il ruolo delle famiglie, a cui spetta il compito di raccordare le modalità di attuazione del progetto». Raccordare con cosa? Quali famiglie? Reclutate come? Cara suora, qui ogni singola famiglia deve dire la propria, perché l’ambito educativo, che il ministro e il «triumvirago» pretendono di invadere per espropriarlo, semplicemente le appartiene. Quindi i «raccordi» li rispediamo al mittente.
L’intervista si conclude con un’ultima acrobazia: «questo progetto non si occupa di LGBT e gender, non porterà questi temi nelle scuole, voglio essere chiara. Si tratta di aiutare le ragazze ad avere piena consapevolezza di se stesse, aiutare i ragazzi al rispetto della donna e al contrasto della violenza».
Non prendiamoci in giro, fuori dalla favoletta raccontata a favor di pennivendolo, sappiamo tutti, detrattori e sostenitori, cosa il progetto porterà nelle scuole e abbiamo pure capito, per averne già assaggiato l’antipasto in questi giorni trascorsi di delirio organizzato, che alle ragazze viene inculcata la diffidenza e il disprezzo per i maschi, a meno che non siano adeguatamente svirilizzati; ai ragazzi viene inculcato un generico senso di colpa per la propria stessa natura, da emendare per principio. Le prime si sentono legittimate a diventare delle erinni, i secondi o si rassegnano ad aderire allo status di eunuco, oppure si chiudono nel loro guscio, col rischio concreto che mandino tutti a farsi benedire.
Si consiglia a suor Monia di farsi un giro turistico nelle scuole, così, giusto per capire a quali assurdità abbiano dato la stura i recenti proclami ministeriali sul tema.
In ogni caso, il tentativo di salvataggio del ministro da parte della suora non è bastato, perché il primo, alla fine, è stato costretto a rimangiarsi l’idea: «dal momento che la scuola italiana ha bisogno di serenità e non di polemiche, ho deciso di non attivare l’incarico di garanti del progetto “educazione alle relazioni” a suor Anna Monia Alfieri, Paola Concia e Paola Zerman [in effetti la gerarchia ha subito una revisione in extremis, ndr]. Rinnovo loro i ringraziamenti per la disponibilità e la generosità dimostrate. Il progetto “educare alle relazioni” andrà avanti senza alcun garante».
Cioè il ministro in sostanza ci dice una cosa tipo: «ho licenziato i piloti perché creavano troppo scompiglio, ma l’aereo parte lo stesso, allacciate le cinture di sicurezza».
Dopo di che, come prevedibile, partono le accuse di omofobia e i lai per la discriminazione subìta. Si segnala per velocità di esecuzione il presidente del Senato, La Russa, che ha telefonato a Paola Concia per esprimerle solidarietà prima ancora che lei si lamentasse. E il circo continuerà. Pop corn.
Ora, che la storia sia di per sé esilarante, non è una buona notizia, perché di mezzo ci sono i bambini e i ragazzi italiani. Però, se non altro, ci dimostra con disegnini facili facili dove porti non solo lo snaturamento della scuola programmaticamente perseguito negli ultimi decenni, ma più ancora l’oblio che è calato sulla sua vera funzione.
Al ministro dovrebbe ricordarla il nome del dicastero di cui è pro tempore il titolare: compito esclusivo della scuola è quello di istruire. È attraverso l’istruzione, infatti, che la scuola indirettamente educa, senza intaccare le prerogative (educazione diretta) della famiglia.
E si dà il caso che l’istruzione in Italia versi in uno stato comatoso, come puntualmente attestano i rapporti degli enti rilevatori: l’analfabetismo dilaga e le abilità cognitive degli scolari, in tutte le principali discipline, sono degradate a livelli imparagonabili a quelli di un passato anche recente.
Il ministro, dunque, avrebbe davvero molto da fare prima di fare ciò che non dovrebbe.
Gli strumenti che la scuola può e deve offrire sono quelle conoscenze, durevoli e universali, che, avendo resistito alla prova del tempo, compongono una base culturale solida, necessaria a formare menti libere e pensanti, capaci di leggere criticamente la realtà delle cose attraverso le sue leggi e al riparo dalle mistificazioni.
Inseguire i fenomeni mediatici e i flussi emotivi, lasciarsi trasportare dai venti delle mode, fare propri gli slogan corrivi della propaganda, reclutare influencer ed esperti assortiti (al posto dei docenti che, studiosi della propria materia, ne sappiano trasmettere la sostanza e l’amore), nulla ha a che vedere con il ruolo dell’istituzione. Ne lede anzi, e irrimediabilmente, il prestigio e l’autorevolezza.
Parimenti, imporre modelli di comportamento e dettare imperativi morali attraverso «educazioni» ideologicamente orientate corrompe l’essenza stessa della scuola perché da un lato le impedisce di svolgere bene il proprio compito culturale e scientifico, abbandonando i giovani all’ignoranza e al disorientamento esistenziale, dall’altro la legittima a conculcare la libertà dell’alunno.
E in questo modo le è intestato un abnorme potere omologante, che evoca modelli di chiara matrice totalitaria.
Una scuola che tornasse a essere scuola e che, istruendo a dovere le giovani generazioni, onorasse il primo dei suoi servizi – ovvero quello di insegnare e coltivare il linguaggio affinché tutti siano in grado di esprimersi, di ascoltare e di comprendere gli altri – oltre a diventare vivaio e palestra di libertà, darebbe un contributo strutturale insostituibile a contrastare qualsiasi forma violenza. Contro chiunque.
Elisabetta Frezza
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Religioso canadese arrestato per essersi rifiutato di scrivere delle scuse al bibliotecario della «Drag Queen Story Hour»
Un pastore protestante canadese è stato arrestato per essersi rifiutato di scusarsi con una bibliotecaria che aveva organizzato un’ora di racconti drag queen per bambini. Lo riporta LifeSite.
Nel pomeriggio del 3 dicembre, la polizia di Calgary ha arrestato il pastore cristiano Derek Reimer per essersi rifiutato di ottemperare a un’ordinanza del tribunale che gli imponeva di scrivere delle scuse formali al direttore della biblioteca pubblica di Calgary, da lui criticato per aver promosso un’ora di racconti drag queen per bambini nel 2023.
«Sapete perché lo state arrestando? Non si pentirà delle sue convinzioni», ha chiesto alla polizia un giornalista canadese indipendente con lo pseudonimo di Dacey Media durante l’arresto.
Canadian Pastor, Derek Reimer was arrested yesterday after refusing a court ordered apology for protesting a kid friendly drag queen story hour. He was hauled off in handcuffs while his son screamed. Free speech is not under attack anymore, it is being dragged away. pic.twitter.com/6jMtoqNMPH
— Chad Prather (@WatchChad) December 4, 2025
Canada: Pastor Derek Reimer was arrested in Calgary for refusing to apologize to a Leftist librarian.
The librarian had arranged a drag queen story hour for children.
Pastor Reimer protested the evil event.
Pray for him and his family. pic.twitter.com/hQgQ151LYX
— Christian Emergency Alliance (@ChristianEmerg1) December 4, 2025
An entire video leading to Pastor Derek Reimer’s arrest! December 3, 2025!
Street Church Calgary!
We meet on the streets three times a week and inside the building, every Saturday 9:30 AM. On the streets, in front of Calgary City Hall: Wednesday 11:30 AM, Friday 5:00 PM, Sunday… pic.twitter.com/wyfj97fHqz
— Artur Pawlowski (@ArturPawlowski1) December 4, 2025
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All’arresto erano presenti il pastore Artur Pawlowski – già noto per le sue azioni di disobbedienza in pandemia – e il figlio di Reimer. I video dell’arresto sono rapidamente circolati sui social media, con molti attivisti canadesi che lo hanno condannato, in quanto considerato un attacco ai valori cristiani e pro-famiglia.
Al momento dell’arresto, Reimer stava scontando un anno di arresti domiciliari, contro i quali aveva già presentato ricorso e si è presentato in tribunale per discutere le condizioni della sua condanna. Nel 2023, l’avvocato di Reimer, Andrew MacKenzie, della Mission 7 Ministries, ha presentato ricorso contro la condanna a un anno di arresti domiciliari e due anni di libertà vigilata inflitta al pastore prima di Natale per aver protestato contro un evento «drag queen story hour» rivolto ai bambini presso la Saddletown Library di Calgary nella primavera del 2023. Gli avvocati del governo avevano cercato di condannare Reimer al carcere per la sua protesta contro il piano di indottrinamento omotransessualista.
Reimer aveva chiesto a Shannon Slater, la direttrice della biblioteca, perché la biblioteca stesse organizzando un evento del genere. Non avendo ricevuto risposta, Slater disse a Reimer di andarsene.
Calgary Pastor Derek Reimer found not guilty of mischief! Charges stem from an incident occuring during a drag queen story hour.
Reimer was forcibly ejected from the event after calling attendees perverts.
Drag queen story time has now been discontinued @calgarylibrary . https://t.co/W5uAJa4j58 pic.twitter.com/cDDw7GCs37
— Without Papers Pizza (@wopizza4) September 25, 2024
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Tuttavia, Reimer aveva pubblicato la sua interazione con Slater sui social media. Gli era stato ordinato di scrivere una lettera di scuse a Slater, che doveva essere consegnata entro la fine della settimana scorsa. Reimer ha dichiarato ai media locali che non avrebbe consegnato la lettera, poiché per «dispiacere» bisogna «ammettere la colpa», ovvero «aver sbagliato», sottolineando come questo equivalga ad ammettere di aver commesso un «errore» e che questo è ciò che significa «chiedere scusa».
Reimer ha anche sottolineato di aver detto alla corte di aver «fatto leva sulla mia libertà di coscienza, su uno studio approfondito e sulla mia comprensione di essa, unita alla libertà di espressione e di religione», e che «ciò ha spiegato e stabilito che devi esprimere alla corte le tue profonde opinioni religiose sul perché questa è una violazione della tua coscienza e perché non puoi farlo».
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