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Politica

Il Messico elegge presidente una scienziata del clima ebrea che ha demolito una chiesa

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Le elezioni presidenziali messicane sono state vinte da Claudia Sheinbaum, la candidata del partito del Movimento di Rigenerazioen Nazionale (MORENA), da cui proviene anche l’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador (detto anche AMLO), che ha espresso soddisfazione per l’esito del voto.

 

Domenica scorsa la Sheinbaum, 61enne veterana della politica di Città del Messico soprannominata «la doctora» per i suoi studi universitari di fisica, è diventata la prima donna, e la prima persona ebrea, ad essere eletta presidente del Messico.

 

«Sheinbaum ha vinto circa il 60% dei voti nelle più grandi elezioni della storia del Messico, segnando un risultato storico in un paese a maggioranza cattolica noto per la sua cultura profondamente patriarcale» scrive la CNN.

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La Sheinbaum è nata nel 1962 a Città del Messico, dove erano riparati i nonni materni, ebrei sefarditi, emigrati dalla Bulgaria nei primi anni Quaranta. I nonni paterni, askenaziti, erano invece immigrati in Messico dalla Lituania negli anni Venti. È riportato che la neopresidente ha celebrato le principali festività ebraiche a casa dei nonni.

 

Sia il padre che la madre, oltre che di origini ebraiche, hanno professione di scienziati: la madre è professoressa universitaria di biologia, il padre è ingegnere chimico, il fratello Julio è anche lui un fisico. La Sheinbaum ha ricevuto nel 1995 un Ph.D in ingegneria energetica, per poi lavorare ad un laboratorio di Berkeley, la nota università californiana. Come scienziata accademica, è autrice di oltre 100 articoli e due libri su energia, ambiente e sviluppo sostenibile, contribuendo contribuito al Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, il controverso ente ONU detto anche IPCC.

 

La Sheinbaum era entrata a far parte dell’IPCC nel 2007 come esperta sul tema «Mitigazione dei cambiamenti climatici» per il quarto rapporto di valutazione dell’IPCC. Quell’anno il gruppo vinse il Premio Nobel per la pace. Nel 2013, ha collaborato alla stesura del quinto rapporto di valutazione dell’IPCC insieme ad altri undici esperti del settore.

 

La donna è entrata in politica nel 2000, quando è stata nominata segretaria dell’ambiente di Città del Messico da Obrador, allora capo del governo della capitale.

 

Nel 2015 la Sheinbaum divenne sindaco della città di Tlalpan, posizione da cui si è licenziata nel 2017 dopo aver ricevuto la nomina a candidata di una coalizione di partiti per le elezioni locali a Città del Messico.

 

Nell’episodio più discusso del suo mandato di sindaco di Tlalpan, una cappella cattolica – la Capilla del Señor de los Trabajos – del quartiere Cultura Maya della città fu demolita. Il 29 aprile 2016 al personale comunale è stato ordinato di demolire un muro che era stato costruito – illegalmente, riportano – adiacente a una cappella.

 

Gli operai incaricati di demolire il muro distrussero anche parte della struttura della cappella, compreso il tetto in lamiera, e rimossero le immagini religiose. Il parroco, Juan Guillermo Blandón Pérez, ha affermato che Sheinbaum era responsabile della demolizione della cappella e ha affermato che è stata effettuata senza preavviso. Alcuni giorni dopo la demolizione della cappella, le autorità del distretto riconobbero il loro errore. La Sheinbaum incontrò i rappresentanti della chiesa e propose di dividere la proprietà a metà e costruire una nuova cappella e un centro artistico comunitario.

 

La violenza ha avuto un grande peso in queste elezioni, le più sanguinose della storia del Messico. Decine di candidati e aspiranti politici sono stati uccisi da organizzazioni criminali che cercavano di influenzare coloro che sarebbero saliti al potere.

 

Come riportato da Renovatio 21, il caos è tale che il sindaco della città di Tijuana, proprio sotto il confine americano, l’anno passato ha dovuto rifugiarsi in una base militare. Pochi giorni fa un allarme sulla sicurezza del Paese era stato lanciato anche dal vescovo di San Cristobal de Las Casas, monsignor Rodrigo Aguilar.

 

«In alcune zone del Chiapas colpite dalla violenza, i trafficanti di droga controllano il movimento e non ci sono le condizioni per organizzare un voto elettorale», aveva spiegato in un video pubblicato sul sito informativo della diocesi.

 

Il tasso di omicidi in Messico è tra i più alti al mondo e oltre 100.000 persone risultano disperse in tutto il Paese. Secondo alcuni dati spesso utilizzati da chi parla di «femminicidio», circa 10 donne vengono uccise ogni giorno. Sui rapporti tra questo fiume di sangue e l’antica usanza al sacrificio umano di quelle terre in era precolombiana – cioè, precristiana – sono state fatte speculazioni socio-religiose e metafisiche.

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Come riportato da Renovatio 21, nove mesi fa il Messico ha depenalizzato l’aborto. Nel 2022 aveva legalizzato in tutto il Paese il «matrimonio» omosessuale. Il Paese sarebbe divenuto un contendente dell’Ucraina come principale sede dell’industria della maternità surrogata.

 

I Narcos, che hanno a disposizione miliardi di dollari dal traffico di stupefacenti verso gli USA (sono il più grande datore di lavoro in America Latina) e operano con violenza ferale, ora controllano anche la tratta di immigrati al confine con gli Stati Uniti.

 

Ora il punto fondamentale per la presidenza Sheinbaum sarà il rapporto con Washington, tra i timori di uno spostamento verso la Cina, che già opererebbe tremendamente in Messico facendo arrivare tramite i narcocartelli i componenti per il fentanil, la sostanza cinquanta volte più potente dell’eroina che sta uccidendo centinaia di migliaia di americani in quella che è ritenuta essere un’operazione di vendetta della Cina contro gli anglofoni per le guerre dell’oppio del Novecento.

 

L’anno scorso il predecessore AMLO aveva dichiarato che Città del Messico non ha intenzione di entrare nei BRICS.

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Immagine di Eneas de Troya via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine tagliata 

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Politica

Brigitta Macron contro le femministe: «stupide stronze»

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La moglie del presidente francese Emmanuel Macron, Brigitte, ha provocato un’ondata di indignazione dopo aver definito le manifestanti femministe «salles connes», cioè «stupide stronze».   All’inizio di questa settimana è emerso un video (poi cancellato) in cui la first lady francese, domenica scorsa, chiacchierava in privato nel backstage con l’attore e comico ebreo sefardita Ary Abittan, in passato accusato di stupro. L’artista 51enne era in tournée per la prima volta dopo che i giudici istruttori avevano archiviato il caso per mancanza di prove.   La sera precedente, il collettivo femminista Nous Toutes («Tutte noi») aveva fatto irruzione nel suo spettacolo di cabaret: alcune attiviste, con maschere raffiguranti il volto dell’attore e la scritta «stupratore», si erano alzate in mezzo al pubblico gridando «Abittan stupratore» prima di essere accompagnate fuori.   Nel video trapelato, Abittan scherza sul fatto di sentirsi ancora nervoso, probabilmente temendo il ritorno delle manifestanti. Si sente chiaramente Brigitte Macron rispondere in tono scherzoso: «Se ci sono delle stupide stronze, le cacceremo via».   Martedì un portavoce dell’Eliseo ha spiegato che la first lady stava solo cercando di tranquillizzare l’attore e che il suo commento era diretto unicamente ai metodi radicali usati per interrompere lo spettacolo.

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Nonostante la precisazione, le reazioni sono state immediate e trasversali: politici di tutti gli schieramenti, attivisti e personalità del mondo del cinema hanno condannato le parole.   La segretaria nazionale dei Verdi, Marine Tondelier, le ha definite «estremamente gravi»; la senatrice LR Agnès Evren le ha giudicate «profondamente sessiste». Persino l’ex presidente François Hollande ha criticato la scelta lessicale della first lady. L’attrice Judith Godrèche, divenuta simbolo della lotta contro le violenze sessuali nel cinema francese dopo aver denunciato abusi subiti da minorenne, ha chiesto la fine di questi comportamenti nel settore culturale e ha pubblicato un breve messaggio su Instagram contro le dichiarazioni di Brigitte Macron. Il collettivo Nous Toutes ha poi trasformato la frase in un hashtag virale sui social.   Brigitta Macron era già finita al centro dell’attenzione nei mesi scorsi per una lunga vicenda giudiziaria legata alle teorie complottiste che la descrivono come transgender. Una sentenza di quest’anno ha condannato e multato le due donne che avevano diffuso la falsa notizia, riaccendendo il dibattito sulle molestie online contro le figure pubbliche.   Il caso aveva avuto risonanza internazionale dopo che la commentatrice americana Candace Owens ne aveva ripreso le accuse, per poi dichiarare che i Macron avessero ordinato il suo assassinio.   Come riportato da Renovatio 21, Macron aveva chiesto personalmente a Trump di intercedere con la Owens per farla smettere di parlare dell’incredibile teoria per cui la Brigitta sarebbe nata uomo.  

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Immagine di Mélanie Praquin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Trump: Zelens’kyj deve indire le elezioni

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Il presidente statunitense Donald Trump ha invitato l’Ucraina a convocare elezioni, mettendo in dubbio le autentiche prerogative democratiche del Paese in un’intervista a Politico diffusa martedì.

 

Trump ha lanciato una nuova provocazione a Volodymyr Zelens’kyj, il cui quinquennio presidenziale è terminato a maggio 2024, ma che ha declinato di indire consultazioni elettorali presidenziali, invocando la legislazione di emergenza bellica.

 

Lo Zelens’kyj era stato scelto alle urne nel 2019 e, a dicembre 2023, ha annunciato che Kiev non avrebbe proceduto a elezioni presidenziali o legislative fintantoché perdurasse lo stato di guerra. Tale regime è stato decretato in seguito all’acutizzazione dello scontro con la Russia a febbraio 2022 e, da allora, è stato prorogato più volte dall’assemblea nazionale.

 

Trump ha dichiarato a Politico che la capitale ucraina non può più addurre il perdurante conflitto come pretesto per rinviare il suffragio. «Non si tengono elezioni da molto tempo», ha dichiarato Trump. «Sai, parlano di democrazia, ma poi si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».

 

Rispondendo a un quesito esplicito sull’opportunità di un voto in Ucraina, Trump ha replicato «è il momento» e ha insistito che si tratta di «un momento importante per indire le elezioni», precisando che, pur «stiano usando la guerra per non indire le elezioni», gli ucraini «dovrebbero avere questa scelta».

 

Come riportato da Renovatio 21, il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha spesse volte dichiarato di considerare illegittimo il governo di Kiev, sostenendo quindi per cui firmare un accordo di pace con esso non avrebbe vera validità.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Politica

Tentativo di colpo di Stato in Benin

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Un gruppo di militari del Benin, paese dell’Africa occidentale, ha proclamato la propria ascesa al potere attraverso la tv di stato SRTB. Tuttavia, diverse fonti hanno indicato che un assalto alla residenza presidenziale è fallito.   I soldati hanno sfruttato la rete televisiva per annunciare la sospensione delle istituzioni nazionali e della Costituzione beninese, ordinando la chiusura di tutte le frontiere aeree, terrestri e marittime. Hanno designato il tenente colonnello Pascal Tigri come presidente del Comitato Militare per la Rifondazione (CMR), «a partire da oggi». In seguito, il segnale del canale è stato tagliato.   Il ministro degli Esteri del Benin, Olushegun Adjadi Bakari, ha riferito all’agenzia Reuters che «un piccolo gruppo» di militari ha orchestrato un tentativo di golpe, ma le truppe leali al presidente Patrice Talon sono al lavoro per ristabilire la normalità. «C’è un tentativo in corso, ma la situazione è sotto controllo… La maggior parte dell’esercito rimane fedele e stiamo riprendendo il dominio della faccenda», ha precisato.   Il governo ha poco fa diffuso un video in lingua francese per spiegare l’accaduto. A parlare è Sig. Alassane Seidou, ministro dell’Interno e della Pubblica Sicurezza del Paese.  

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«Cari concittadini, Nelle prime ore del mattino di domenica 7 dicembre 2025, un piccolo gruppo di soldati ha scatenato un ammutinamento con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato e le sue istituzioni. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica».   «La loro risposta ha permesso loro di mantenere il controllo della situazione e di sventare la manovra. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica. Pertanto, il Governo invita la popolazione a continuare a svolgere le proprie attività come di consueto».   A Cotonou, la principale città del Benin, si sono sentiti spari sin dalle prime ore di domenica, sebbene le voci di un colpo di stato non siano ancora verificate, ha dichiarato Maxim Meletin, portavoce dell’ambasciata russa nel paese africano, all’agenzia African Initiative.   «Dalle 7 del mattino, abbiamo rilevato colpi d’arma da fuoco e detonazioni di granate nei dintorni della residenza presidenziale. Stando a indiscrezioni non confermate, militari beninesi si sono presentati alla tv nazionale per proclamare la destituzione del presidente», ha proseguito Meletin.   Una fonte vicina a Talon, interpellata da Jeune Afrique, ha raccontato che uomini in divisa hanno provato a irrompere nella residenza presidenziale intorno alle 6 del mattino ora locale, con il capo dello Stato ancora all’interno. L’incursione sarebbe stata sventata dalle guardie di sicurezza, e il presidente sarebbe illeso.   Tuttavia, questi dettagli non hanno ricevuto conferme indipendenti da canali ufficiali. Unità dell’esercito fedeli al regime in carica hanno risposto con una controffensiva. Si parla di elicotteri che pattugliano Cotonou, mentre varie zone del centro urbano risultano bloccate.   Talon è al timone del Benin dal 2016; il suo secondo e ultimo mandato scadrà nel 2026. La Carta Costituzionale ammette soltanto due quinquenni presidenziali, e le urne per il dopo-Talon sono in programma il 12 gennaio 2026.   Nell’agosto 2025, la maggioranza al governo ha sostenuto la corsa alla presidenza del ministro dell’Economia e delle Finanze, Romuald Wadagni.

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