Sorveglianza
Il green pass preparato prima del COVID. Per la tirannia digitale UE
Il green pass era stato preparato prima del COVID, della pandemia, del green pass.
Proprio così, il green pass c’era ancora prima che ci fosse il green pass. Il green pass precede Wuhan e il mondo pandemico.
I giornalisti de La Verità Claudio Antonelli e Giulia Aranguena hanno pubblicato un altro articolo di capitale importanza che scandaglia la questione dell’app verde, i suoi database, i suoi impieghi futuri – e l’oceano di politica e burocrazia europea (sempre opaca, melmosa) che ne hanno visto la nascita. E ben prima che la gente cominciasse a tossire in Cina.
Il green pass sta «consentendo per la prima volta nella storia italiana ed europea di formare una base dati utente (trasformare i cittadini in account digitali) lungo un’autostrada che si basa sugli algoritmi della blockchain».
Non si tratta di analisi o ipotesi: sono fatti. Il circuito elettronico del green pass è stato creato prima del COVID-19 per gli stessi scopi per cui sarà impiegato ora – scopi che ci viene detto sono stati suscitati dalla pandemia.
Invece, l’impressione è che la digitalizzazione della cittadinanza europea – cioè l’installazione di una piattaforma di controllo dell’individuo con dematerializzazioni di tante attività – fosse preordinata.
Il green pass, scrivono i due reporter, sta «consentendo per la prima volta nella storia italiana ed europea di formare una base dati utente (trasformare i cittadini in account digitali) lungo un’autostrada che si basa sugli algoritmi della blockchain».
Come abbiamo sottolineato varie volte, il primo grande step che sarà permesso dal processo digitalizzazione di cui il green pass è il kickstarter, sarù il cosiddetto «euro digitale». Una moneta interamente elettronica gestita nei portafogli virtuali dei cittadini su database del superstato Europeo.
Quella del green pass è «la stessa tecnologia che servirà a introdurre l’euro digitale o sviluppare funzioni di pagamento e tracciabilità online
Quella del green pass, infatti, è «la stessa tecnologia che servirà a introdurre l’euro digitale o sviluppare funzioni di pagamento e tracciabilità online. Infatti, in quanto tale, il green pass è proprio il fattore decisivo per l’accelerazione della digitalizzazione intensiva decisa dalle politiche di Bruxelles già prima della dichiarazione della pandemia da parte dell’OMSnel marzo del 2020».
La strategia emergerebbe da un documento strategico intitolato cioè Plasmare il futuro digitale dell’Europa del 19 febbraio 2020. Il testo di avvale di uno studio uscito poi nel secondo semestre 2020, Shaping the digital transformation, redatto da McKinsey Global Institute, un ente che studia le tendenze economiche globali ed è stato fondato nel 1990 ed è ovvia emanazione di McKinsey, multinazionale della consulenza coinvolta in vari scandali, da Enron alle persecuzioni dei dissidenti sauditi, etc. È un uomo di McKinsey l’attuale segretario dei Trasporti USA, il bizzarro Pete Buttigieg, omosessuale affitatore di uteri figlio del traduttore americano di Gramsci: dopo essere stato nella grande azienda divenne ufficiale per l’Intelligence della marina USA, tornando in Afghanistan dove era in realtà già stato a lavorare per il colosso miliardario.
Torniamo al documento. In Plasmare il futuro digitale dell’Europa – ribadiamo, uscito prima del pipistrello cinese – «si possono trovare le radici stesse dell’attuale green pass».
«L’UE già a febbraio 2020 prevedeva il ricorso a una vera “identità elettronica (eID) pubblica universalmente accettata”, poggiata su un robusto sistema infrastrutturale, sviluppata secondo un chiaro principio di interoperabilità degli standard informatici dei dati e rafforzata dall’estensione, al di fuori dai servizi finanziari, di quei presidi tipici del mondo finanziario della cosiddetta Psd2 (o Direttiva sui Pagamenti), come i fattori di autenticazione».
«L’UE già a febbraio 2020 prevedeva il ricorso a una vera “identità elettronica (eID) pubblica universalmente accettata”, poggiata su un robusto sistema infrastrutturale, sviluppata secondo un chiaro principio di interoperabilità degli standard informatici dei dati»
«Essa rappresenta il pilastro di tutta una serie azioni ritenute necessarie per guidare la “transizione verso un pianeta in salute e un nuovo mondo digitale”» scrive La Verità. Insomma, un piano per computerizzare il mondo, a partire da un sistema di ID elettronico che sia «pubblico universalmente accettato», e sottolineiamo soprattutto «universalmente accettato».
Nel documento UE viene dichiarato che bisogna migliorare le «competenze digitali dei cittadini», lavorare per un «aumento della connettività», addirittura garantire «la sovranità tecnologica europea attraverso un’espressa politica di controllo dei dati», che detto da quelli che trattano con Google, Facebook, Amazon, Apple e pure Huawei e soci fa un po’ ridere – specie se pensiamo alla verde Irlanda. (verde come certi dollari americani)
Ad ogni modo, nel documento programmatico UE si dice anche che verranno intraprese di azioni per:
1) «Migliorare il processo decisionale pubblico e privato» – qui il significato ci sfugge. Significa che la UE vuole stabilire come i privati devono prendere le decisioni? Magari, con che tecnologia? E il processo decisionale pubblico, deve essere stabilito parimenti dalla UE? Parlano delle elezioni…?
Il cittadino diviene utente. Il governo diviene «piattaforma». Questa è la digitalizzazione finale. La democrazia diviene computer. Le leggi, la Costituzione sostituite dal «codice». E, se avete visto il film Elysium, potete immaginare la conseguenza: chi controlla il sistema operativo controlla il Paese, controlla la realtà.
2) «Evitare «tentativi di manipolazione dello spazio dell’informazione» – stanno, per caso, parlando di purga delle fake news? Hacker russi? Troll farm in Macedonia? Renovatio 21 chiusa definitamente?
3) «Supportare il green deal «monitorando dove e quando c’è maggiore domanda di energia elettrica» – qui si innesta il discorso del green deal europeo, sul quale stiamo pubblicando tanti articoli. Per fare una sintesi, vi basta guardare quanti fiumi di inchiostro, e incontri politici di altissimo livello, siano dati alla creatura artificiale Greta Thunberg: stringendo ulteriormente, vi garantiamo che il prossimo lockdown, ora che abbiamo dato il nostro assenso su quello pandemico, sarà un lockdown «climatico».
4) «Modernizzare la struttura economica e finanziaria, e avere uno “spazio europeo dei dati sanitari”» – cioè, ci par di capire, di creare un grande database dei dati biologici e al contempo velocizzare l’infrastruttura delle transazioni, rendendo ancora più fluido, veloce, trasparente il circuito del danaro.
«Il nocciolo della questione sta nella potenzialità dirompente della trasformazione dell’identità personale in identità pubblica digitale»
Ma non solo. La UE si pone vari piani di azione, come per esempio «”per la democrazia europea volto a migliorare la resilienza dei nostri sistemi democratici”, sostenere il pluralismo dei media, affrontare le minacce di interventi esterni nelle elezioni europee applicando il voto elettronico».
Resilienza dei sistemi democratici, voto elettronico, pluralismo dei media… sì, Bruxelles vuole dirci come votare. Vuole mettere le mani, elettronicamente, sulla democrazia.
E così la Commissione ha preparato il piano digitale del prossimo decennio – chiamato «2030 digital compass» – che riformerà le norme sull’identificazione elettronica, che il contesto europeo si chiama eIDAS.
L’eIDAS «sarà il perno principale di azioni di massiccia informatizzazione che andranno fatte a tutti i livelli, specie nei servizi pubblici, tutti da digitalizzare».
«Si sta introducendo quindi «la riduzione dei cittadini a meri utilizzatori di servizi pubblici o privati erogati, con i medesimi meccanismi del Web service, da piattaforme nazionali a stretto controllo pubblico su cui, con il modello del Governament as platform»
Ma non è finita: «il parallelo con il green pass si scopre anche nelle caratteristiche del nuovo sistema di identità elettronica eIDAS, incentrato sulla creazione di portafogli europei di identità digitale, cioè certificazioni di credenziali personali da conservare su wallet dotati di firme crittografiche sotto forma di QR Code – in grado di collegare le identità digitali nazionali degli utilizzatori con la prova di altri attributi personali (per esempio il conto bancario, titoli di studio), a consentirne la perfetta sovrapponibilità con la sostanza informatica e giuridica del green pass».
Antonelli e Aranguena indicano che uno dei problemi (probabilmente, il motivo per cui nessuno si è accorto di nulla) è la volontaria ostinazione a tenere basso il livello della discussione pubblica. «Il nocciolo della questione sta nella potenzialità dirompente della trasformazione dell’identità personale in identità pubblica digitale».
Si sta introducendo quindi «la riduzione dei cittadini a meri utilizzatori di servizi pubblici o privati erogati, con i medesimi meccanismi del Web service, da piattaforme nazionali a stretto controllo pubblico su cui, con il modello del Governament as platform, per alcuni settori ritenuti strategici, vi potrà essere una condivisione di dati sanitari e relativa identificazione personale anche per altre “forme di impiego” (trasporto, servizi finanziari, istruzione)».
Grazie a virus, vaccini e tamponi, la piattaforma della tirannide elettronica corre sui nostri telefonini.
Il cittadino diviene utente (e per questo da tempo vi ripetiamo che Facebook è un anteprima della società distopica che ci aspetta).
Il governo diviene «piattaforma». Questa è la digitalizzazione finale. La democrazia diviene computer. Le leggi, la Costituzione sostituite dal «codice». E, se avete visto il film Elysium, potete immaginare la conseguenza: chi controlla il sistema operativo controlla il Paese, controlla la realtà.
L’incubo digitale del green pass non riguarda il COVID, ma un piano ben precedente. La pandemia ha solo accelerato i tempi. La cosa giusta al momento giusto, per il Grande Reset della democrazia, l’installazione della tecnocrazia totalitaria più spaventosa mai vista.
Grazie a virus, vaccini e tamponi, la piattaforma della tirannide elettronica corre sui nostri telefonini.
Roberto Dal Bosco
Sorveglianza
Il nuovo presidente della Bolivia vuole la blockchain per combattere la corruzione
Il presidente eletto della Bolivia, Rodrigo Paz, punta a combattere la corruzione nel governo boliviano attraverso la tecnologia blockchain.
Paz ha sconfitto il rivale Jorge Quiroga con il 54,5% dei voti contro il 45,5% e assumerà la carica l’8 novembre. Con un messaggio centrista e favorevole al mercato, Paz ha vinto il ballottaggio di domenica, ereditando un’economia provata dalla carenza di carburante e dalla limitata disponibilità di dollari statunitensi, come riportato dall’AP. Per gli esperti del settore delle criptovalute, il programma di governo di Paz include due proposte specifiche legate alle risorse digitali e alla blockchain.
La prima proposta prevede l’uso della blockchain e degli smart contract negli appalti pubblici. Il programma ufficiale del Partido Demócrata Cristiano de Bolivia per il 2025 promette l’adozione di tecnologie blockchain e contratti intelligenti per eliminare la discrezionalità negli acquisti statali, con l’obiettivo di ridurre la corruzione automatizzando alcuni processi contrattuali.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
La seconda iniziativa consente ai cittadini di dichiarare le criptovalute in un nuovo fondo di stabilizzazione valutaria, sostenuto da un programma di regolarizzazione delle attività che include esplicitamente le criptovalute. Secondo il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, tali fondi servono a stabilizzare la valuta e a coprire importazioni essenziali in caso di scarsità di dollari. L’inclusione delle criptovalute permette al governo di tassarle o convertirle rapidamente in valuta forte, senza detenere token volatili.
Paz adotta un approccio pragmatico alle criptovalute, senza essere un sostenitore estremo del Bitcoin. La sua piattaforma considera la blockchain uno strumento anticorruzione e le criptovalute dichiarate come parte di un’iniziativa una tantum per capitalizzare un fondo di stabilizzazione valutaria. Non ci sono indicazioni di politiche per adottare il Bitcoin a livello nazionale, conservarlo nelle riserve o legalizzarne l’uso al dettaglio.
A giugno 2024, la Banca Centrale della Bolivia ha revocato il divieto sulle transazioni in criptovalute, autorizzando canali elettronici regolamentati e segnalando una modernizzazione dei pagamenti, scrive Cointelegraph. Nei mesi successivi, il volume medio mensile di scambi di asset digitali è raddoppiato rispetto alla media dei 18 mesi precedenti, secondo la banca.
Il cambiamento si è riflesso nell’economia reale. A ottobre 2024, Banco Bisa ha introdotto la custodia di USDT per le istituzioni, un primato tra le banche boliviane. A marzo, la compagnia petrolifera statale YPFB ha esplorato l’uso di criptovalute per le importazioni di energia, in un contesto di carenza di dollari. A settembre, i distributori locali di marchi automobilistici come Toyota, Yamaha e BYD hanno iniziato ad accettare USDT, segno di una crescente sperimentazione tra i commercianti.
Il 31 luglio, la banca centrale ha firmato un memorandum con El Salvador, definendo le criptovalute un’«alternativa valida e affidabile» alla valuta fiat e impegnandosi a collaborare su strumenti politici e di intelligence per modernizzare i pagamenti e promuovere l’inclusione finanziaria.
La banca ha riportato che i volumi mensili di scambio di criptovalute hanno raggiunto i 46,8 milioni di dollari al mese, con un totale di 294 milioni di dollari da inizio anno al 30 giugno.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di Parallelepiped09 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Intelligenza Artificiale
Apple Siri accusata di intercettare gli utenti: indagine penale in Francia
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Sorveglianza
Perfino le aziende legate alla CIA Palantir e Signal lamentano la spinta alla sorveglianza nell’UE
Due importanti società tecnologiche statunitensi, Palantir Technologies e Signal Foundation, hanno espresso preoccupazione per l’aumento della sorveglianza statale e per i controversi progetti di controllo digitale che stanno emergendo in Europa.
Palantir, azienda tecnologica nota per la sua lunga collaborazione con la CIA, uno dei suoi principali clienti e primi investitori, non parteciperà a gare per contratti legati all’ID digitale, ha dichiarato Louis Mosley, responsabile dell’azienda in Gran Bretagna.
«Palantir ha sempre seguito una politica di supporto ai governi democraticamente eletti nell’attuazione delle loro politiche, anche quando si tratta di misure molto controverse», ha detto giovedì a Times Radio. «L’identità digitale non è stata sottoposta al vaglio delle ultime elezioni, non era nel programma elettorale. Non ha ricevuto un chiaro e forte sostegno pubblico alle urne, quindi non è un progetto per noi».
Sostieni Renovatio 21
A fine settembre, il primo ministro britannico Keir Starmer ha presentato il piano per l’ID digitale, promuovendolo come uno strumento per «contrastare il lavoro nero e semplificare l’accesso ai servizi pubblici essenziali per la maggior parte delle persone». I critici, tuttavia, lo hanno definito un passo verso una sorveglianza diffusa e un controllo digitale.
Nel frattempo, Signal – servizio di messaggistica criptata con legami meno evidenti con la CIA 0 avendo ricevuto finanziamenti da Radio Free Asia, un’agenzia di propaganda statunitense, che gli erano già costati il blocco in Russia – ha minacciato di lasciare il mercato europeo se l’Unione Europea approvasse il suo piano di controllo delle chat. Venerdì, la presidente di Signal Foundation, Meredith Whittaker, ha commentato le notizie riportate dai media, definendo il cambio di posizione della Germania, che ora sembra sostenere il piano, un «rovesciamento catastrofico».
«Se fossimo costretti a scegliere tra integrare un sistema di sorveglianza in Signal o abbandonare il mercato, abbandoneremmo il mercato», ha dichiarato Whittaker, criticando il piano come un programma di «scansione di massa» giustificato «con il pretesto di proteggere i bambini».
Il programma di controllo delle chat, ufficialmente noto come Regolamento sugli abusi sessuali sui minori (CSAR) e in discussione nell’UE dal 2020, obbligherebbe servizi di messaggistica come Signal, WhatsApp, Telegram e altri ad analizzare i file sui dispositivi degli utenti alla ricerca di contenuti illeciti prima della crittografia e dell’invio.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di Cory Doctorow via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0
-



Misteri2 settimane faLa verità sull’incontro tra Amanda Knox e il suo procuratore. Renovatio 21 intervista il giudice Mignini
-



Pensiero6 giorni faCi risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
-



Spirito2 settimane faMons. Viganò: «non c’è paradiso per i codardi!»
-



Sanità1 settimana faUn nuovo sindacato per le prossime pandemie. Intervista al segretario di Di.Co.Si
-



Salute1 settimana faI malori della 42ª settimana 2025
-



Necrocultura4 giorni fa«L’ideologia ambientalista e neomalthusiana» di Vaticano e anglicani: Mons. Viganò sulla nomina del re britannico da parte di Leone
-



Autismo2 settimane faTutti addosso a Kennedy che collega la circoncisione all’autismo. Quando finirà la barbarie della mutilazione genitale infantile?
-



Politica7 giorni faI vaccini, l’euro, l’OMS e le proteste pro-Palestina. Renovatio 21 intervista il senatore Borghi









