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Gender

Il gender è entrato nella Costituzione Italiana. Forse è giusto così

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La parola gender è entrata materialmente nella Costituzione Italiana. La cosa induce a qualche riflessione.

 

A darne notizia uno scoop del quotidiano milanese La Verità. Il termine «gender», che connota tutta la nota «teoria» – ora dominante nelle istituzioni occidentali, per cui la sessualità psicologica non si basa su quella somatica – è stato inserito, forse addirittura in una revisione di anni fa, nella traduzione ufficiale della Carta costituzionale presente sul sito del Senato.

 

Il vocabolo, che sta alla base del pensiero maggioritario LGBT, compariva nella traduzione anglofona dell’art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». (Corsivo nostro).

 

La parola «sesso» era stata tradotta, nella versione precedente, con la parola equivalente inglese «sex». Sempre così è tradotta anche nella versione inglese della Costituzione sul sito della camera, mentre in quella francese è scritto «sexe».

 

Nel pdf caricato sul sito del Senato invece è possibile leggere, ancora nel momento in cui scriviamo, questa traduzione:

 

«All citizens shall have equal social dignity and shall be equal before the law, without distinction of gender, race, language, religion, political opinion, personal and social conditions». (Enfasi nostra)

 

Il giornalista de La Verità Alessandro Rico nota anche un significativo cambiamento nell’uso dei verbi. Nella traduzione precedente l’articolo 3, si scriveva: «All citizens have equal social dignity and are equal before the law». I verbi have («avere») e are (cioè to be, «essere») sono coniugati a quello che in inglese si chiama present simple, il presente semplice, che ha natura affermativa. Nella traduzione genderizzata, invece «siamo passati alla costruzione con la particella “shall“, che veicola più correttamente l’idea di una prescrizione, di un’esortazione rivolta al futuro, che è poi il modo nel quale noi intendiamo i verbi all’indicativo del dettato costituzionale».

 

Ad ogni modo, la modifica più significativa riguarda l’ingresso della parola gender nella Carta, «come se, ai lettori internazionali, chi ha riadattato il testo volesse comunicare che lo spirito dei Padri costituenti non solo richiede l’identica protezione di maschi e femmine e dei loro diversi orientamenti sessuali (…), bensì riconosce pure l’esistenza di molteplice, al limite infiniti, generi, in quanto distinti dal sesso naturale».

 

Le ramificazioni di una simile alterazione sono immani: quanti persone non italofone, quanti specialisti, studenti, comuni cittadini si erano fidati di leggere la Costituzione, sul sito di Palazzo Madama, che rappresenta una fonte di massima ufficialità?

 

«Con un tratto di penna – o meglio, di tastiera del PC – qualcuno ha emendato la Costituzione senza passare dal Parlamento. Non potendo agire su quella in lingua italiana, si è sbizzarrito con la versione inglese, trasmettendo a un pubblico potenzialmente globale un’impressione sbagliata: che la nostra legge fondamentale sposi l’ideologia gender».

 

L’articolo del quotidiano meneghino non lo ricorda ai lettori, ma l’idea per cui il gender fosse in qualche modo nella mente dei padri costituenti e quindi nella Carta è già stata spesa pubblicamente negli anni.

 

Nel 2014, il futuro ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli – allora senatrice e vicepresidente del Senato – a presentare un disegno di legge per l’«Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università». Ci chiediamo quanto l’espressione «prospettiva di genere» sia sovrapponibile a «teoria del gender».

 

La parola «genere», in inglese «gender», era già preferita al termine costituzionale «sesso» già nel testo del disegno di legge.

 

Il DDL , di cui la Fedeli era prima firmataria, aveva l’obiettivo di «piena attuazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana, che dice di non discriminare in base alla religione o all’orientamento sessuale». Badate alle parole: anche qui, il lemma costituzionale «sesso» è scartato a favore di «orientamento sessuale», espressione in uso da qualche lustro dopo varie Finestre di Overton LGBT.

 

In altre occasioni, come in interviste radio finite sui social, la Fedeli sembrava alludere a tale «genere costituzionale», passando acutamente però da un’espressione di fase precedente, quella della «violenza di genere», alla quale, come noto, è attaccata un’altra parola in grado di disarmare ogni protesta, «femminicidio», altro termine orwelliano il cui uso è incrementato misteriosamente proprio in quegli anni.

 

Su 27esimaora, un blog del Corriere della Sera, nel 2015 la Fedeli difendeva «l’emendamento che prevede l’insegnamento della parità di genere, già approvato dalla Camera, e ora all’esame del Senato (…) Lo deve fare con coraggio, con umiltà, con la coerenza di promuovere, veramente, l’articolo 3 della nostra Costituzione, visto che la discriminazione, la violenza di genere, gli stereotipi, di fatto, limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana».

 

«Vogliamo continuare soltanto ad indignarci davanti ai femminicidi, ai dati sulla violenza di genere, ai fatti di cronaca che vedono i nostri ragazzi e le nostre ragazze vittime e protagonisti di bullismo, omofobia, misoginia?» si legge nel pezzo.

 

Nello stesso articolo, vecchio di quasi una decade, fa quasi tenerezza vedere la negazione dell’esistenza della teoria del gender, che allora fu una trovata che la sinistra italiana si inventò contro le proteste di chi voleva evitare ai figli una scuola dove si parla di omotransessualità.

 

«Come detto e ripetuto da tante e tanti scienziati e intellettuali di diverse discipline e di diversi orientamenti culturali, compresi eminenti teologi, non esiste una “Teoria Gender”: esistono invece gli studi di genere che si prefiggono di cancellare le discriminazioni riprodotte, a tutti i livelli della società, in base alle differenze» dice la Fedeli, che anni dopo, ricordiamo en passant, sarebbe entrata nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Agnelli.

 

Per chi non rammenta: il gender-negazionismo, il mantra secondo cui «la teoria del gender non esiste» veniva ripetuto ad ogni piè sospinto. Ora che la parola è entrata in qualche modo nella Costituzione, ci chiediamo se abbia iniziato ad esistere, o se siamo nel dramma parmenideo in cui la Carta d’improvviso si mette a parlare di qualcosa che non esiste, del non-essere.

 

È passata un po’ acqua sotto il ponte. Il gender è penetrato nelle istituzioni al punto di non essere solo una questione scolastica e civile, ma perfino chirurgica, con conseguenze sanitarie piuttosto sensibili.

 

Dieci anni fa la figura che ti presentavano, per modificare le leggi, era la coppia omosessuale, che si vuole bene, e quindi vuole «unirsi» in una specie di matrimonio, così da avere «i diritti di tutti». L’ulteriore figura che veniva descritta da giornali e politici, era quella del povero ragazzino che veniva «spinto» al suicidio perché vittima dell’omofobia dei compagni, che quindi andavano rieducati con i programmi di cui parlava il DDL Fedeli che si faceva scudo proprio del famoso articolo 3 della Costituzione.

 

Guardate come le cose sono cambiate: a venire sovrarappresentati dai media, ad essere invocati dai politici come classe da proteggere, non sono più le coppiette omosessuali, sono i transessuali – che, come visibile in Nord America, offrono episodi si picchiano manifestanti, occupano Campidogli, bruciano libri, organizzano «giorni della vendetta», pretendono di gareggiare negli sport femminili (e, ovviamente, stravincere).

 

E la figura pietosa del bambino vittima dell’omofobia passa in secondo piano, davanti alla giovane transessuale che ammazza bambini e adulti in una scuola cristiana, assicurandosi nel processo di sparare anche alla vetrata della chiesa adiacente che raffigura Adamo. Il manifesto della stragista transgender di Nashville, ci crediate o no, non è ancora stato pubblicato, nonostante sia nelle mani delle autorità da mesi e mesi, e pare pure che chi ha intenzione di renderlo pubblico sia stato minacciato.

 

Notata, inoltre, come sia cambiata la loro bandiera: non più il semplice arcobaleno rovesciato LGBT a cui siamo abituati, ora compare ovunque – anche sulle finestre delle ambasciate presso la Santa Sede – una bandiera iridata ma integrata da un triangolo con un altro fascio di colori, che sta a significare il transgenderismo. La bandiera omotransessualista nuova versione ha sventolato pure fuori dalla Casa Bianca, piazzata, incredibile, in posizione centrale, mentre le bandiere a stelle e strisce della Nazione, divenute secondarie, stavano ai lati.

 

 

Il mondo è davvero cambiato. E quindi, perché anche la Costituzione non dovrebbe cambiare? Prendiamo ad esempio la Germania: ha cambiato la Grundgesetz, la sua carta costituzionale, per aumentare il budget militare, che poi magari finisce a Kiev, dove il portavoce dell’Esercito è, di fatto, un trans.

 

Come dire, tutto è davvero in grande mutamento, ma politica e telefilm, leggi e guerre, paiono tutti convergere verso un unico nobile concetto: il transessualismo. O meglio, la liquefazione – psicologica, chirurgica – dell’identità sessuale, teoricamente più coriacea dell’identità religiosa (dissolta, in Occidente, dal Concilio Vaticano II) e di quella nazionale (grazie all’Europa e al cosmopolitismo visto come virtù).

 

Lo sradicamento, quindi, passa anche per la negazione del significato dei propri cromosomi sessuali, scritti in ogni cellula del proprio corpo (con l’eccezione di qualche cellula sessuale). Il genderismo è uno strumento tecnico a cui il Nuovo Ordine non può rinunziare, neanche se di mezzo vi si mettono le leggi fondamentali, un tempo considerate sacre dagli establishment goscisti e non solo da quelli.

 

Abbiamo visto tanti articoli della Costituzione, a partire dal 1°, venire devastati durante il biennio pandemico. Come è stato possibile? Semplicemente, quando c’è stato il bisogno, ci è stata data una diversa lettura degli stessi (vero: a volte neanche a fatto finta di farlo, sì), di modo di adattare la Carta all’ora presente, cioè spalmarla sul mondo col virus.

 

Quindi, ci vien da pensare, forse è giusto così. Perché scandalizzarci, quindi, se, nella Carta in via di liquefazione, ci aggiungono la parolina che piace loro tanto, e che aiuta?

 

L’azione in corso, abbiamo detto, riguarda le radici delle persone, le radici dell’essere. E quindi quando capiremo che la soluzione da trovare è, giocoforza, radicale?

 

Quando affronteremo, prima delle leggi e delle costituzioni, il mostruoso problema spirituale al centro del mondo moderno?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Gender

La donna più forte del mondo in realtà era un uomo

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Jammie Booker, vincitrice del torneo «La donna più forte del mondo» 2025, è stata privata del titolo dopo che gli organizzatori hanno accertato che l’atleta di Philadelphia era nata maschio. La squalifica, l’ultima di una serie crescente di polemiche sui maschi biologici che gareggiano nelle categorie femminili, è arrivata a pochi giorni dalla competizione.

 

Il caso è esploso durante i Cerberus Strength Official Strongman Games in Texas lo scorso fine settimana, dove Booker ha dominato la categoria Women’s Open. Gli organizzatori hanno precisato di non essere stati informati in anticipo del background biologico dell’atleta e, a seguito di un’indagine urgente, l’hanno esclusa dalla classifica. «Abbiamo la responsabilità di garantire equità, assegnando gli atleti alle divisioni maschile o femminile in base al sesso alla nascita», si legge in un comunicato diffuso sui social da Official Strongman, che ha aggiornato i punteggi e incoronato la britannica Andrea Thompson come nuova campionessa.

 

La partecipazione di atlete transgender a competizioni sportive continua a generare dibattiti accesi. A luglio, il Comitato Olimpico e Paralimpico degli Stati Uniti (USOPC) ha vietato alle donne transgender di gareggiare nelle categorie femminili alle Olimpiadi, in linea con un ordine esecutivo del presidente Donald Trump che esclude le trans dalle squadre femminili e minaccia di tagliare i fondi alle istituzioni che lo violano.

 

Casi emblematici come quello della nuotatrice statunitense Lia Thomas e della sollevatrice neozelandese Laurel Hubbard hanno riacceso il confronto su eventuali vantaggi fisici persistenti per le atlete transgender rispetto alle donne biologiche, nonostante il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) abbia affermato nel 2021 che non si debba presumere un «vantaggio automatico» e abbia demandato le regole di idoneità alle singole federazioni sportive.

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La questione è tornata d’attualità alle Olimpiadi di Parigi 2024, quando la pugile algerina Imane Khelif – squalificata l’anno prima ai Mondiali per presunti motivi di genere – ha conquistato l’oro, spingendo l’ex presidente del CIO Thomas Bach a negare l’esistenza di un «sistema scientificamente solido» per distinguere uomini e donne nello sport.

 

Ora il CIO è orientato a escludere le donne transgender dalle categorie femminili alle prossime Olimpiadi, sulla base di una nuova politica di ammissibilità prevista per il 2026, come riportato dal Times all’inizio di novembre citando fonti interne. La revisione si fonda su una valutazione scientifica che conferma come i vantaggi acquisiti durante la pubertà maschile possano perdurare anche dopo trattamenti farmacologici per ridurre i livelli di testosterone.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’ex presidente del CIO Thomas Bach sosteneva all’epoca che non esisteva «un sistema scientificamente solido» per distinguere tra uomini e donne nello sport.

 

Come riportato da Renovatio 21, il sollevamento pesi, come ogni altra disciplina (il nuoto, la maratona, il ciclismo, la BMX, l’hockey, il sollevamento pesi, il basket, il ju jitsu, etc.), era già stato colpito dal transessualismo sportivo. Lo è stato persino il biliardo in un’episodio noto, Alexandra Cunha, 49 anni, capitano della squadra nazionale femminile portoghese, si è ritirata dal torneo International Rules Pool Tour, incolpando i recenti cambiamenti alle regole da parte dell’autorità governativa dello sport, la World Eightball Pool Federation.

 

Come riportato da Renovatio 21, alle Olimpiadi di Tokyo vi fu il caso del sollevatore di pesi supermassimi transessuale Laurel Hubbard, 43 anni, che rappresentò la Nuova Zelanda a Giochi e riuscì, incredibilmente, a non vincere.

 

Due anni fa il pesista transessuale «Anne» Andres aveva stabilito il record nazionale durante un campionato durante il Campionato del Canada Occidentale 2023.

 

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Gender

La Corte UE ordina alla Polonia di riconoscere il matrimonio gay

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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha stabilito martedì che la Polonia è obbligata a riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati in altri Paesi membri, pur se tali unioni sono vietate dalla legge nazionale.   In una sentenza emessa martedì, la CGUE ha condannato Varsavia per aver violato il diritto comunitario nel rifiutare di trascrivere nel registro civile polacco il matrimonio contratto nel 2018 in Germania da due cittadini polacchi. Al rientro in Polonia, le autorità avevano respinto la loro istanza, motivandola con il divieto nazionale sulle unioni omosessuali.   La Polonia, a forte maggioranza cattolica, equipara i matrimoni civili e religiosi, ma esclude le coppie dello stesso sesso nonostante le reiterate sollecitazioni di Bruxelles. La Costituzione polacca, non diversamente da quella italiana, definisce il matrimonio come «unione tra uomo e donna».   La Corte ha ritenuto che tale rifiuto infranga le norme UE sulla libera circolazione e sul rispetto della vita privata e familiare. Concedere la trascrizione alle coppie eterosessuali ma negarla a quelle omosessuali configura discriminazione, si legge nel comunicato. I giudici hanno però precisato che gli Stati membri conservano la competenza esclusiva su autorizzazioni o divieti di nozze same-sex nel proprio ordinamento interno.

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La decisione vincolante è arrivata all’indomani delle critiche del presidente polacco Karol Nawrocki all’UE, accusata di «follia ideologica» e di spingere verso una centralizzazione eccessiva. Nawrocki ha ricordato che l’adesione all’Unione prometteva opportunità economiche e mobilità, non ingerenze nella politica interna o nelle norme familiari.   Eletto a giugno su una piattaforma di valori cattolici e sovranità nazionale rafforzata, Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non apporrà la firma a leggi che minino lo status costituzionale del matrimonio.   Il governo di coalizione europeista del premier Donald Tusk ha depositato nell’ottobre 2024 un disegno di legge per introdurre unioni civili anche per coppie omosessuali, ma i lavori procedono a rilento per le resistenze del partner conservatore, il Partito Popolare Polacco (PSL), che ha espresso dubbi e ostacolato un’intesa definitiva.   Come riportato da Renovatio 21, la strada verso il matrimonio omofilo in Polonia è stata battuta persistentemente negli ultimi anni.   La Polonia è tra i cinque Stati UE che non riconoscono legalmente le relazioni omosessuate, unitamente a Bulgaria, Lituania, Romania e Slovacchia. Nel frattempo, un altro Paese che era dietro la Cortina di ferro sovietica, il Kazakistan, due settimane fa ha votato per vietare la «propaganda LGBT».   Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato la CGUE aveva stabilito che la Romania doveva accettare la nuova identità di genere di una donna che ha fatto la «transizione» e ora si considera un uomo.  

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Immagine di Lan Pham via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
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Studio della Sanità USA conferma i pericoli dei farmaci transgender e degli interventi chirurgici sui minori

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Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) ha reso pubblico mercoledì un atteso rapporto sottoposto a revisione paritaria, che mette in guardia contro i rischi dell’«assistenza di affermazione di genere» per i minori, scatenando l’ira delle associazioni pro-LGBTQ+.

 

Lo studio, intitolato «Trattamento della disforia di genere pediatrica: revisione delle prove e delle migliori pratiche», si basa su un’analisi preliminare diffusa a maggio sui giovani con confusione di genere. Conferma che bloccanti della pubertà, ormoni di sesso opposto e interventi chirurgici provocano «danni significativi e a lungo termine, spesso trascurati o monitorati in modo inadeguato». Tra i rischi elencati: infertilità, disfunzioni sessuali, ridotta densità ossea, effetti cognitivi negativi, problemi cardiovascolari e metabolici, disturbi psichiatrici, complicanze operatorie e rimpianti post-trattamento.

 

Il segretario HHS Robert F. Kennedy Jr. ha appoggiato le conclusioni, accusando l’establishment medico di «negligenza». «L’American Medical Association e l’American Academy of Pediatrics hanno diffuso la menzogna che procedure chimiche e chirurgiche di rifiuto del sesso potessero giovare ai bambini», ha dichiarato in una nota. «Hanno tradito il giuramento di non nuocere, infliggendo danni fisici e psicologici duraturi a giovani vulnerabili. Questa non è medicina, è negligenza».

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Il rapporto giunge dopo l’ordine esecutivo firmato a gennaio dal presidente Donald Trump, che limita gli interventi di «cambio di sesso» per under 19, definendoli «mutilazioni chimiche e chirurgiche» mascherate da cure mediche necessarie.

 

Sempre più ospedali e medici stanno riducendo questi trattamenti: tra gli esempi, l’Università del Michigan, Yale Medicine, Kaiser Permanente, il Children’s Hospital di Los Angeles, UChicago Medicine e il Children’s National Hospital di Washington stanno eliminando o limitando bloccanti della pubertà e farmaci analoghi per i minori.

 

Negli USA circa 2,8 milioni di persone dai 13 anni in su si identificano come transgender, con la Gen Z che raggiunge il 7,6% tra chi si dichiara LGBTQ+.

 

Oltre al rapporto HHS, un’ampia letteratura scientifica indica che «affermare» la disforia di genere espone a pericoli gravi: oltre l’80% dei bambini la supera spontaneamente entro la tarda adolescenza, e anche una «riassegnazione» completa non riduce i tassi elevati di autolesionismo e suicidio tra chi soffre di confusione di genere.

 

Inchieste come quella del 2022 sulla Vanderbilt University Medical Center hanno documentato medici che promuovevano questi interventi pur consapevoli dei rischi, ammettendo in email e video che «fanno un sacco di soldi».

 

L’HHS ha precisato di aver invitato l’American Academy of Pediatrics e l’Endocrine Society a contribuire al rapporto, ma entrambe hanno declinato.

 

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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