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«Il coraggio di scendere in strada a gridare che Dio è vivo e che Cristo è Re». Intervista a Cristiano Lugli sulla processione di riparazione a Carpi

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I lettori conoscono Cristiano Lugli, per anni portavoce e organizzatore inarrestabile di tanti eventi di Renovatio 21. Cristiano è anche uno dei fondatori del Comitato Beata Giovanna Scopelli, un gruppo di fedeli cattolici nato nell’anno 2017 a Reggio Emilia. In questi anni il Comitato ha organizzato diverse azioni di riparazione, in particolare agli scandali pubblici dei vari gay Pride.

 

Quest’anno il Comitato si è occupato particolarmente dell’organizzazione di una processione di riparazione avvenuta a Carpi sabato 11 maggio scorso, a seguito dell’allestimento, all’interno di una chiesa, di una mostra con opere che sono state definite da alcuni come «blasfeme». Cristiano è stato uno degli organizzatori di questa processione.

 

Cristiano, facciamo un recap per quanti non conoscono questa storia. Cosa è successo a Carpi?

Succede che il 2 marzo 2024, nella chiesa di Sant’Ignazio, chiesa del museo diocesano di Carpi, l’artista locale Andrea Saltini apre la mostra «Gratia Plena». Dopo nemmeno due giorni dalla data inaugurale, sono arrivate le reazioni indignate di molti fedeli cattolici che ravvisavano blasfemia nei quadri dove veniva rappresentato Gesù Cristo, la Madonna e Maria Maddalena.

 

La notizia si è poi allargata anche nell’ambiente dell’informazione cattolica e, di conseguenza, in pochissime ore è diventata già un caso non solo locale ma anche nazionale.

 

Si ha idea di come si sia arrivati ad esibire, in luoghi della Curia, opere del genere?

Le prime spiegazioni, da parte della Curia, sono state le classicissime arrampicate sugli specchi: il vescovo Erio Castellucci, ad esempio, ha dichiarato di aver visto le opere solo ad installazione già compiuta e a mostra già inaugurata. Certamente l’iniziativa è stata tutta locale, con il parroco di riferimento che ha aperto le porte all’artista locale, con tanto di approvazione del museo diocesano di Carpi.

 

 

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Quali sono state le prime rimostranze?

La casella di posta elettronica della segreteria vescovile è stata inondata di mail, con fedeli da tutta Italia che domandavano la chiusura immediata della mostra.

 

Nel mentre, l’avvocato Francesco Minutillo di Forlì ha depositato una denuncia nei confronti dell’artista Saltini, del vescovo Castellucci e dei curatori della mostra, facendo riferimento al reato di cui all’art. 403 del Codice Penale [«Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone: Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000», ndr].

 

La Procura, con una certa velocità, ha deciso di chiedere l’archiviazione dicendo che «la notizia di reato si ritiene del tutto infondata». L’avvocato Minutillo si è opposto alla decisione promettendo di portare nuove prove davanti al GIP.

 

Qual è stato l’atteggiamento del vescovo?

Come dicevo, inizialmente ha dichiarato di aver visto le opere solo dopo; poi ha iniziato a difendere la mostra a spada tratta, arrivando persino a dire che il male non è nella mostra, ma la malizia è piuttosto negli occhi di chi la guarda.

 

Parole poco diplomatiche e con alla base, forse, una visione che ritengo totalmente relativista. Riflettere, ragionare con noi fedeli offesi non è stato quindi possibile per la gerarchia della chiesa moderna.

 

 

Spiegaci meglio…

In tutta questa faccenda il ruolo del vescovo Castellucci è stato centrale. Sarei anche propenso a credere al fatto che Castellucci abbia visto le opere a fatti compiuti: d’altronde oggi funziona così, i vescovi non comandano più, e sono presi da mille altre faccende di carattere prettamente burocratico. Certo, i vescovi sono sempre stati impegnati, ma il loro primo dovere è quello di vigilare e di essere pastori di anime. Il fatto che oggi il governo di un vescovo sia visto come un parlamento democratico in cui tutti hanno libertà di fare ciò che vogliono porta a questi risultati.

 

Sarebbe stato impensabile in anni di cattolicesimo si fosse allestita, in una chiesa consacrata – e sottolineo, consacrata – una simile mostra, che da cattolico reputo abbia evidenti tratti provocatori e contenuti blasfemi. Una mostra, penso, portata a destare scandalo fin da subito.

 

Un tempo sarebbe stato impensabile e qualora fosse pure successo, i responsabili religiosi non sarebbero certo rimasti scevri da conseguenze. Qui, invece, ci troviamo al capovolgimento: il vescovo non solo non corregge, ma addirittura difende la mostra, l’artista, i curatori, e se la prende con coloro i quali sono rimasti indignati, offesi dai quadri in mostra.

 

A mio giudizio, nello scandalo Castellucci non ha saputo agire diplomaticamente, magari cercando di sedare gli animi e tenere in considerazione la sensibilità dei fedeli scandalizzati, che hanno sentito vilipesa la religione cattolica perfino all’interno di una chiesa, di un loro luogo di culto.

 

C’è stato un attacco fisico al quadro e all’artista…

Tutti hanno potuto vedere l’opera danneggiata; nessuno, almeno che io sappia anche in base a ciò che è trapelato dai media, ha visto cosa sia realmente accaduto. Le versioni sono state discordanti fin da subito, e la procura sta indagando. Non mi risulta, per lo meno al momento, che ci siano video, né veri e propri testimoni oculari. Pare che il presunto aggressore avesse una parrucca ed una mascherina chirurgica, che avrebbe poi lasciato cadere durante la presunta fuga. La notizia è finita sui principali quotidiani internazionali, ma senza prove vere e proprie capaci di offrire una piena ricostruzione quanto accaduto. Almeno per adesso.

 

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L’attacco è avvenuto dopo che avevate segnalato la volontà di fare attività di riparazione?

No, il nostro comitato non aveva ancora speso alcuna parola rispetto agli intenti poi concretizzatisi l’11 maggio scorso. Alcuni gruppi autonomi, però, avevano iniziato a pregare al sabato pomeriggio davanti alla chiesa di Sant’Ignazio dentro la quale era allestita la mostra, tuttavia in maniera totalmente pacifica e senza mai disturbare, con nessun intento provocatorio e nessun atto per surriscaldare ulteriormente il clima.

 

Il colpevole è stato preso? Si sa qualcosa di come stanno procedendo le indagini?

Ad oggi non si sa nulla. Nessun colpevole è stato preso e non vi è nemmeno un presunto indagato, stando a quanto è emerso. Le indagini proseguono, ma a quanto so non ci sono aggiornamenti rilevanti.

 

La mostra quando si è conclusa?

A dire il vero, la mostra, così come era stata pensata inizialmente, si sarebbe dovuta concludere il prossimo 2 giugno. L’artista, accusando il presunto clima di tensione venutosi a creare, ha deciso di chiudere anticipatamente il 18 aprile. Anche in questo caso si può notare come non sia stata la Curia a chiederne la chiusura, ma il pittore stesso. Non sappiamo, e forse non potremo mai saperlo, se la Curia possa aver mosso qualche pressione per la chiusura, ma certo è che, anche se fosse, nessuno pare aver avuto il coraggio di metterci la faccia.

 

Veniamo alla processione di riparazione. Quanti hanno partecipato?

Noi abbiamo stimato, durante il percorso, circa 400 persone. Sono numeri davvero importanti se si pensa, appunto, che la mostra era già stata chiusa anticipatamente e questo poteva tentare molti a credere di aver già sistemato le cose. Invece è stata colta l’importanza di una pubblica riparazione, che avrebbe avuto ragion d’essere anche solo per un giorno di installazione di mostra.

 

 

Come si è svolta?

Come nelle precedenti edizioni organizzate dal nostro Comitato, è stata a tutti gli effetti una funzione liturgica, una vera e propria processione religiosa, con un sacerdote a presiederla, vestito con cotta, piviale viola – il colore penitenziale – e berretta, croce da processione, accoliti e tutto ciò che riguarda il servizio liturgico.

 

Sono state cantate le litanie ai Santi, recitato il Santo Rosario, le litanie al Sacro Cuore, la preghiera di riparazione al Sacro Cuore di Gesù e, infine, il Te Deum di ringraziamento per la chiusura anticipata della mostra.

 

La processione è partita dal cimitero di Carpi, attraversando poi le principali vie della città, in particolare soffermandosi davanti alla grande Cattedrale di Carpi, in piazza Martiri, per concludere poi con la preghiera di riparazione sul sagrato della chiesa di Sant’Ignazio, dove si è consumato lo scandalo della mostra «Gratia Plena».

 

Il tutto è stato accompagnato da un servizio d’ordine interno al Comitato e, ovviamente, dall’ottimo servizio della questura di Carpi, che ha garantito la massima sicurezza durante tutto il percorso. Tanti giovani, tante famiglie.

 

 

Come hanno reagito i carpigiani?

C’è stata una compostezza esemplare. E dico di più, un rispetto davvero inaspettato. Diverse persone, anche sedute al bar per consumare un aperitivo, si sono alzate al passaggio della processione facendosi il segno della Croce. È stato davvero commovente. Nessun commento, nessuna provocazione, ma tanto silenzio e rispetto.

 

La stampa vi ha dato contro?

Ormai credo che la stampa abbia capito che dar contro equivale a fare pubblicità, quindi molte testate scelgono piuttosto il silenzio. Altre, invece, con un po’ di serietà, hanno capito che non poteva essere ignorato un simile evento, e quindi si sono attenute a riportare ciò che noi abbiamo dichiarato — sia rispetto al numero di partecipanti, sia rispetto allo svolgimento della funzione.

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Bisogna ricordare che la prima processione di riparazione – in quel caso, per il Gay Pride di Reggio Emilia – fu organizzata da te nel 2017. In Italia non se ne vedevano da decenni. Grazie ai tuoi sforzi, molte altre sono seguite. Che bilancio fare di questi 7 anni, includendo il disgraziato biennio pandemico?

Effettivamente il disgraziato biennio pandemico non aiuta a stabilire un bilancio di questi anni, ma ciò che posso dire è che, sorprendentemente, la fiammella, nonostante tutto, non si è mai spenta. Il nostro timore è sempre stato quello di non riuscire a tenere alta l’attenzione e la tensione dopo la grande e prima processione del 2017: la novità, una volta vissuta, sé ripetuta rischia sempre di non avere più il sapore di novità e, quindi, di essere meno partecipata. In questo caso dobbiamo invece constatare che non è stato così, e la processione di Carpi ne è la prova.

 

Quanto è importante fare una processione oggi?

Direi che è una delle cose più importanti che ci possa essere, il segno della militanza più vero e più tangibile, ciò che ci distingue dai cattolici da tastiera che parlano, denunciano, sbraitano ma poi non hanno il coraggio di scendere in strada a gridare che Dio è vivo e che Cristo è Re. Purtroppo questo è ciò che tanto del conservatorismo bussolotico e provitico italiano non riesce a dimostrare. Non può esserci cattolicesimo senza militanza, e la militanza non può essere legata solo ed esclusivamente all’informazione, che certo è utile, ma non è tutto.

 

 

Quanti si rendono conto che si tratta di una riconquista dello spazio pubblico da parte dei cattolici, secondo riti che hanno abitato i nostri borghi per millenni? È per questo che la chiesa moderna, votata alla liquidazione della cristianità, combatte le processioni?

Non a sufficienza. 400 persone alla processione di Carpi è un buon numero, certo, ma è ridicolo se si pensa a quanti realmente saremmo potuti essere. Siamo una minoranza, questo è fuor di discussione, ma temo che ci si riduca sempre ad essere la minoranza di una minoranza. Come giustamente dici, la chiesa moderna combatte le processioni e continuerà a farlo perché ha capito che è proprio da questo che la Cristianità potrebbe ripartire. Lo hanno capito loro, ma purtroppo non noi. O almeno non tutti e non del tutto.

 

Il modernismo vuole che Dio rimanga nel privato, nella sfera intima delle persone – e non sappiamo nemmeno per quanto ancora intendano lasciarcelo almeno lì. La chiesa moderna è il nemico più grande del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, e per questo detesta le processioni, perché esse, oltre all’intento riparatorio che hanno rappresentato sin qui, sono ciò che di più semplice, naturale e concreto possa esserci per ristabilire il Regno Sociale di Gesù Cristo, portandolo a regnare laddove Egli deve regnare: nei crocicchi delle strade, nelle piazze, nei borghi e nella società intera.

 

Vi sono altre iniziative da seguire? L’impressione è che spesso si tratti di eventi improvvisati creati da sigle e personaggi improbabili, ancorché sconosciuti. Quanto può nuocere il dilettantismo degli ingenui rispetto alla battaglia?

Il Comitato Beata Giovanna Scopelli, dall’inizio della sua fondazione, ha deciso di dedicarsi solo ed esclusivamente ad iniziative di riparazione, questo per non mescolarsi ad altre realtà già esistenti, certamente importanti ma aventi altri ruoli. A motivo di questo, abbiamo sempre cercato di mantenerci autonomi nelle nostre iniziative. Questo non per sfiducia o vanto, ma perché sappiamo per esperienza che questo genere di organizzazioni richiedono davvero tanto tempo, impegno e concentrazione.

 

Organizzare una processione di riparazione o un qualsivoglia atto di riparazione non può essere visto come una cosa semplice o fattibile a prescindere da ogni condizione. Dobbiamo tenere presente che, se è vero che ciò che conta è l’azione e la proporzione soprannaturale di una riparazione pubblica che fa da contraccolpo ad uno scandalo pubblico, è altrettanto vero la dimensione naturale e quindi sociale dell’evento non può essere ignorata. In altre parole, bisogna rendere culto e la dovuta lode a Dio anche organizzando qualcosa che, numericamente parlando, renda questi onori.

 

Potrà sembrare strano ma non lo è affatto, perché non ci si può permettere in alcun modo che un evento pubblico possa essere deriso a causa di una presenza scarsa di fedeli. Questo, ad onor del vero, non è mai successo nelle riparazioni organizzate dal nostro Comitato. Non perché siamo più bravi o più intelligenti, ma perché sappiamo come, quando e dove muoverci. Cosa che, mi si creda, è davvero importante.

 

Del resto non abbiamo mai detto e mai diremo a nessuno di non organizzare atti di riparazione: non siamo nessuno e non possediamo alcuna autorità per poterlo fare, ma certo consigliamo a tutti di stare attenti a non essere precipitosi, rischiando di voler fare a tutti costi, per un proprio desiderio individualista, qualcosa che non si riesce a strutturare nel migliore dei modi.

 

A quanti in passato ci hanno chiesto aiuto e collaborazione, l’abbiamo sempre prestata cercando di mettere a disposizione la nostra umile esperienza raccolta in questi anni. Anni in cui, effettivamente, la società ha dovuto fare i conti con un nuovo ma pur vecchio fenomeno, cioè quello dei cattolici militanti che ancora conoscono il latino, sanno pregare e cercano di amare Dio.

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Immagine fornite da Cristiano Lugli

 

 

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Vaticano, una nuova nomina controversa

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Sabato 6 settembre 2025, papa Leone XIV ha nominato la direttrice del Museo d’Arte Contemporanea di Roma (MACRO) Cristiana Perrella  Presidente della Pontificia Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Succede all’architetto Pio Baldi. Questa nomina, annunciata nel bollettino ufficiale della Santa Sede, ha sorpreso e turbato gli ambienti informati.  

Pontificia Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon

L’Accademia, fondata nel XVI secolo, si propone, secondo i suoi statuti approvati nel 1995, di «promuovere lo studio, la pratica e lo sviluppo delle lettere e delle belle arti, con particolare riguardo alla letteratura di ispirazione cristiana e all’arte sacra in tutte le sue espressioni, e di promuovere l’elevazione spirituale degli artisti, in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura».   Riconosciuta da Papa Paolo III il 5 ottobre 1543, è la più antica associazione artistica nazionale italiana ancora esistente. È composta da circa cinquanta accademici ordinari nominati dal Papa (i «virtuosi»), suddivisi in cinque categorie: architetti, pittori e cineasti, scultori, musicisti e amanti dell’arte, scrittori e poeti, oltre a 49 accademici onorari.  

Il nuovo presidente

Nata a Roma nel 1965, Cristiana Perrella è curatrice di mostre, critica d’arte e docente di management ed economia dell’arte presso l’Università San Raffaele di Milano. Ha diretto il Centro Pecci di Prato fino al 2021, ha organizzato la mostra Panorama a L’Aquila nel 2023 e ha collaborato con il MAXXI, la Biennale di Valencia, l’IKSV di Istanbul e la Fondazione Prada.   Dal 2025 dirige il MACRO, dove programma stagioni artistiche che integrano arti visive, musica e progetti comunitari, evidenziando il ruolo sociale dell’arte. Tra i suoi progetti più importanti come curatrice c’è la mostra con l’artista Yan Pei-Ming per il Giubileo del 2025, incentrata sui temi dell’emarginazione e dell’inclusione sociale.   Perrella è membro della Pontificia Accademia dal 2022, nominata da papa Francesco, e nel 2024 è stata nominata curatrice delle mostre d’arte contemporanea per lo spazio Conciliazione 5 dal Dicastero per la Cultura e l’Istruzione del Vaticano.

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Cristiana Perrella è diventata particolarmente nota per aver organizzato «Nudes», una mostra di opere di una fotografa cinese. Sotto le spoglie dell’arte, la galleria ha esposto 90 fotografie la cui crudezza esplicita e provocatoria ha suscitato forti critiche.   Ha creato anche altre mostre di natura simile, sia esplorando la cultura dei nightclub come spazi di liberazione morale ed espressione personale all’interno della comunità LGBT+, sia elogiando questa stessa liberazione attraverso poster di film pornografici, promuovendo chiaramente valori contrari alla morale cattolica.   In un’intervista su Medium, spiega: «dovremmo riprendere il concetto di Rosi Braidotti e parlare del soggetto nomade. … In realtà sono interessata a temi legati alla femminilità e al femminismo, ma anche alla cultura queer e, in generale, a tutto ciò che sfugge alla semplificazione e allo schematismo. … Sono anche molto interessata al momento in cui il discorso postcoloniale si intreccia con quello di genere».   Tribune chrétienne, che ha riportato alla luce questa citazione, commenta: «invocando la filosofa postmoderna Rosi Braidotti, figura del femminismo radicale e del postumanesimo, la signora Perrella aderisce a una visione del mondo in cui l’uomo cessa di essere una persona creata a immagine di Dio e diventa un “soggetto nomade”, instabile, multiplo, dedito all’esplorazione della propria sessualità senza scopo né direzione».   «È un’antropologia che si oppone direttamente alla concezione cristiana della persona umana, una e indivisibile, chiamata alla santità e all’unità interiore. Il suo elogio del femminismo militante, della cultura queer e del postcolonialismo rivela un’agenda ideologica molto più che artistica. Tutto in essa traspira decostruzione: decostruzione del corpo, dell’identità, della tradizione».   «La Chiesa non può confondere l’arte autentica, che è ricerca della verità e della bellezza, con un attivismo che offusca deliberatamente i punti di riferimento fondamentali dell’antropologia cristiana. La nomina di una figura che sostiene la messa in discussione dei quadri morali e la dissoluzione dei punti di riferimento antropologici appare una rottura brutale con lo spirito di questa venerabile istituzione».   E il fatto che una tale nomina provenga dallo stesso Papa, allo scopo di ricoprire la presidenza di un’accademia pontificia, rende la decisione ancora più inspiegabile.   Nel caso in cui, nonostante l’operato dei segretari vaticani, Papa Leone XIV non fosse pienamente informato delle posizioni pubbliche della signora Perrella, così manifestamente contrarie al Vangelo e allo spirito cristiano, possiamo comprendere la confusione che questa decisione provoca e sperare che l’attuale Papa ponga saggiamente rimedio a tale confusione.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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L’Ungheria celebra un millennio di cristianesimo con una croce gigante fatta di droni nel cielo

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L’Ungheria ha celebrato la sua eredità cristiana nel giorno di Santo Stefano con fuochi d’artificio e una croce gigante formata nel cielo dai droni. Lo riporta LifeSite.

 

Il 20 agosto, l’Ungheria ha celebrato la sua festa nazionale, la festa di Santo Stefano I, il primo re d’Ungheria. Durante i festeggiamenti, droni luminosi hanno formato una croce gigante sopra il Danubio, vicino al palazzo del Parlamento.

 

Il ministro degli Affari Esteri e del Commercio Peter Szijjarto ha condiviso un’immagine della croce galleggiante con la didascalia «Altri mille anni», in riferimento al fatto che l’Ungheria è una nazione cristiana da un millennio.

 

Lo spettacolo prevedeva anche fuochi d’artificio, una banda musicale e una processione con le reliquie di Santo Stefano.

 

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«Nel giorno di Santo Stefano celebriamo il nostro millenario Stato cristiano ungherese, fondamento della nostra nazione, pilastro dell’Europa cristiana», ha scritto il premier Vittorio Orban su X. «Orgogliosi di portare avanti questa eredità di fede, forza e indipendenza».

 


Durante il suo primo mandato da primo ministro (1998-2002), l’Orban ha avuto un ruolo chiave nello spostamento della corona di Santo Stefano da un museo al centro del palazzo del Parlamento, un atto simbolico che ha sottolineato l’importanza del patrimonio cristiano dell’Ungheria.

 

«Oggi, 20 agosto, festa di Santo Stefano: celebrazioni in tutto il mondo, ovunque si trovino gli ungheresi», ha affermato l’ambasciatore ungherese presso la Santa Sede, Sua Altezza Imperiale arciduca Edoardo d’Asburgo-Lorena.

 


«Celebriamo oltre 1.000 anni di nazione cristiana» ha scritto SAR.

 

Le immagini dello spettacolo a Budapest sono impressionanti, monumentali in un senso epico e moderno al contempo.

 

 

 

 

 

L’Ungheria ha organizzato uno spettacolo di luci simile il giorno di Santo Stefano degli anni passati, quando i droni hanno pure formato una gigantesca croce fluttuante e una gigantesca corona.

 

 

 

Durante il regime sovietico, la festa di Santo Stefano fu soppressa. Il regime comunista scelse deliberatamente il 20 agosto 1949 come giorno per ratificare la nuova costituzione stalinista, in un apparente tentativo di sostituire la festa e promuovere il comunismo ateo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1989, i 40 anni di occupazione comunista dell’Ungheria terminarono e la festa di Santo Stefano divenne la nuova festa nazionale ungherese.

 

Re Santo Stefano I fu un fervente cattolico e il primo re cristiano d’Ungheria. Papa Silvestro II lo incoronò nell’anno 1000. Morì il giorno dell’Assunzione del 1038 e, sul letto di morte, dedicò il paese a Maria. Lui e suo figlio Emerico furono canonizzati da Papa San Gregorio VII nel 1083.

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«Il gender ha ampiamente pieno possesso dell’opera lirica»

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«Il gender ha ampiamente pieno possesso dell’opera lirica» è quanto scrive Pierluigi Panza su Il Fatto d’arte in un articolo che parla della tendenza in auge nei teatri e nei festival musicali, anche prestigiosi. «Del resto, l’opera è un suo territorio naturale poiché da sempre popolato di castrati, ruoli en-travesti, donne travestite da uomini e viceversa».   Nel Novecento, per convenzione, i ruoli originariamente destinati ai castrati sono stati interpretati da donne con voci da mezzosoprano o contralto en-travesti, spiega il critico. Di conseguenza, le voci tradizionalmente presenti sui palcoscenici mondiali sono state quelle di soprano, mezzosoprano e contralto per le donne, e di basso, baritono e tenore per gli uomini.   Negli ultimi anni, però, si è affermata la voce del controtenore tra gli uomini, inizialmente utilizzata principalmente per ricoprire i ruoli scritti per i castrati. Quello che sembrava un capriccio più che una necessità si è rapidamente trasformato in una tendenza diffusa, con un impatto sorprendente e inaspettato.   «Lo vediamo attualmente nel Festival di Salisburgo, dove in giorni successivi sono state messe in scena Drei Schwestern (le Tre sorelle da Anton Cehov) di Eötvös, Giulio Cesare in Egitto di Haendel e Hotel Metamorphosis, un pastiche su musiche di Vivaldi» racconta il Panza. Nella riformulazione di Tre sorelle, il compositore ha fatto la scelta di affidare tutte le parti femminili a «voci maschili, scelta legata al teatro kabuki che è privo di connotazioni maschili o femminili».

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«Una proposta del genere non può che piacere negli odierni tempi fluidi; così le tre sorelle sono state messe in scena con tre bei marcantoni» scrive il critico che avverte che anche il ruolo del soprano è ora insidiato dal genderimo: «la rivoluzione gender non si è fermata al trionfo diffusionale dei controtenori – quasi ricercate star come lo furono i castrati –, ma ha esteso ai maschi la voce da soprano».   «Così avviene nel Giulio Cesare in Egitto sempre in scena al Festival di Salisburgo. Qui il ruolo del romano Sesto è scritto da Haendel per un soprano o per un contralto castrato, cioè per una donna o per un castrato. A interpretarlo a Salisburgo è Federico Fiorio, un soprano veronese. E via con il resto dei ruoli: Giulio Cesare, Christophe Dumax, è un controtenore; Tolomeo, Yuriy Mynenko, un controtenore e Nireno, Jake Ingbar, pure lui un controtenore».   «È la moda del gender, bellezza!» conclude il critico d’arte.   Eravamo rimasti all’idea, diffusa dai giornali e dalle psicologhe invitate nelle scuole elementari cattoliche, che la teoria del gender non esiste. E invece, il gender è all’opera.

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