Politica
Il centro dei cacciatori di nazisti attacca il Canada per l’addestramento ai neonazisti ucraini

Efraim Zuroff, il direttore del Centro Simon Wiesenthal in Israele, ha criticato il governo canadese per l’addestramento dei combattenti neonazisti in Ucraina.
Lo Zuroff ha affermato che Ottawa ha la responsabilità di impedire che cose del genere accadano.
«Il governo canadese non ha prestato la dovuta attenzione» ha detto il direttore del Centro Wiesenthal, ONG accreditata presso ONU, UNESCO e Consiglio d’Europa intitolata al famoso cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal.
Quasi tutte le organizzazioni ebraiche avevano messo in guardia e condannato le formazioni neonaziste ucraine, ma tali condanne parevano essere passate, in questo momento, in secondo piano.
L’esercito canadese ha già affrontato questa polemica, perché da foto e documenti la matrice nazista dell’ideologia dei gruppi che stavano addestrando era incontrovertibile. Ottawa si è quindi difesa dicendo che non aveva l’obbligo di controllare i partecipanti al loro programma di addestramento
Nel 2020, Radio Canada ha riferito che le truppe canadesi avevano addestrato membri della Brigata Azov.
«Questa non è propaganda russa», ha detto Zuroff all’Ottawa Citizen. «Queste persone sono neonaziste. C’è un elemento di estrema destra in Ucraina ed è assurdo ignorarlo».
Il Canada ha speso 794 milioni di dollari per addestrare le truppe ucraine dal colpo di stato del 2014. Non è un segreto che in prima linea ci sono stati i gruppi Azov, Aidar e Pravij Sektor, tutti adoratori del collaborazionista ucraino di Hitler Stepan Bandera.
Gli stessi ufficiali canadesi erano perfettamente al corrente di chi stessero addestrando, con documenti dettagliati sulla natura battaglione Azov. I militari canadesi nei documenti emersi lo scorso novembre significavano la loro paura che la natura dell’Azov fosse esposta ai media.
I neonazisti vantavano del loro addestramento ad opera ucraina nel loro profilo Instagram, cosa che non ha mancato di generare controversia in Canada, dove non è piccola la comunità di ebrei fuggiti dall’Europa di Hitler, e dove la negazione dell’Olocausto sta per essere messa fuori legge.
Come riportato da Renovatio 21, lo Stato di Israele nelle ultime settimane ha preso le distanze da Zelens’kyj e dall’Ucraina.
Il premier Naftali Bennet, volato subito a Mosca appena iniziato il conflitto, ha di fatto chiesto a Zelen’skyj di arrendersi.
Alla Knesset (il parlamento israeliano), caso quasi unico nello zoom-tour di collegamenti del presidente di Kiev con i Parlamenti di tutto il mondo, Zelens’kyj non è stato applaudito, ma anche veementemente criticato per paragoni fuori luogo e perché molti cittadini israeliani di origine ucraina ricordano cosa Stepan Bandera ha fatto ai loro nonni, ai loro padri o in certi casi direttamente a loro.
Tel Aviv, a differenza di tanti altri Paesi che le stanno fornendo gratis, ha quindi rifiutato di vendere ciberarmi all’Ucraina.
Riguardo al Canada, non possiamo non ricordare come Trudeau avesse dato dei nazisti ai camionisti in protesta contro l’obbligo vaccinale.
La vicepresidente Chrystia Freeland, membra del board del WEF di Davos di origini ucraine, è stata vista reggere una sciarpa nera e rossa con la scritta Slava Ukraini, i colori e il saluto banderista. L’immagine, pubblicata dalla stessa Freeland su Twitter, è stata poi sostituita con un’altra senza l’insegna di Bandera; gli uffici della Freeland hanno quindi dichiarato che si trattava solo di disinformazione russa.
Vi sono foto di vari incontri di Trudeau e della Freeland con Andrij Parubij, fondatore nel 1991 del Partito Social-Nazionale d’Ucraina (PSNU), di chiara matrice neonazista, divenuto poi partito parlamentare con il nome di Svoboda («Libertà»). Dal 1998 al 2004 fu anche a capo dei Patrioti d’Ucraina, organizzazione paramilitare del PSNU. Avvicinatosi a posizione più moderate e eletto alla Rada (il parlamento ucraino) con il partito Julja Timoshenko, è sempre stato in prima linea nelle rivoluzioni colorate del 2004 e del 2014.
Nel 2018 affermò in TV che Adolf Hitler sarebbe stato il «più grande democratico», un campione della «democrazia diretta», quella che un tempo piaceva anche a certi nostri partiti di maggioranza.
Immagine screenshot da Twitter
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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