Pensiero
Il caso delle celebrazioni di Don Milani. Lettera aperta di due intellettuali fiorentini
Renovatio 21 pubblica la lettera aperta scritta da scrittore e giornalista pubblicista Pucci Cipriani e il blogger Pier Luigi Tossani, entrambi fiorentini, in merito alle celebrazioni per il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani. La lettera aperta è stata spedita a varie autorità civili e religiose che intendono commemorare il priore della Barbiana. Sul caso di Don Milani, e su quello che può significare oggi, Renovatio 21 aveva pubblicato un saggio piuttosto esteso quattro anni fa. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Gentilissimi,
non è a cuor leggero, quanto piuttosto gravato da dispiacere e preoccupazione, che vi inviamo la presente missiva.
Ci riferiamo all’imminente centenario della nascita di don Lorenzo Milani, che ricorrerà il 27 maggio prossimo e per il quale è stata organizzata una nutrita serie di manifestazioni, incontri, giornate di ricordo e di studio, che si protrarranno anche nel 2024.
Ne leggiamo sul sito web dell’Istituzione Culturale don Milani, a questo link, dove si dà notizia della costituzione di un Comitato nazionale dedicato, la cui presidenza è stata affidata all’on. Rosy Bindi.
Ci rivolgiamo a Voi, poiché siete stati chiamati a vario titolo alla composizione del Comitato e alla collaborazione con esso.
Da parte nostra, ci presentiamo: Giuseppe (Pucci) Cipriani, scrittore e giornalista pubblicista di Borgo San Lorenzo, direttore della rivista Controrivoluzione, e Pier Luigi Tossani, cittadino e blogger fiorentino.
Vi scriviamo dunque, per porgervi alcune considerazioni sulla figura del priore di Barbiana. Leggiamo nel testo precedentemente linkato, che il sindaco di Vicchio, Filippo Carlà Campa, ha affermato:
«La strada che stiamo seguendo, quella di non interpretare soggettivamente i testi di don Milani ma di leggerli nel loro significato profondo e vero, ha portato coesione e finalità d’intenti. La figura di don Lorenzo è divisiva nel senso che i suoi scritti, il suo messaggio chiamano, spingono a una riflessione, a prendere posizione, ma proprio per questo unisce, indica la direzione. Ci sprona – conclude – a ricercare sempre la verità nei suoi scritti».
È appunto questo che noi intendiamo fare: non tanto interpretare, quanto piuttosto semplicemente leggere direttamente alla fonte gli scritti del priore di Barbiana nel loro significato anche letterale, in quanto manifestazioni puntuali del suo pensiero, per trarne le conseguenze, circa la sostanza della sua lezione.
Oltre a ciò, nel testo di riferimento di questa missiva, diamo la parola ad alcuni testimoni che lo conobbero personalmente, e anche ad altre voci. Tale testo di riferimento è il dossier in undici capitoli che accompagnava la «supplica», che lo scrivente Pier Luigi Tossani – integrando le testimonianze fornitegli dall’altro scrivente Giuseppe Cipriani, senza le quali il dossier non avrebbe potuto essere completato nella sua interezza – volle rivolgere il 14 giugno 2017 a Papa Francesco e a tre Cardinali, nell’imminenza della visita del Pontefice a Barbiana, per metterli in guardia sui contenuti discutibili della lezione di don Milani. Dossier e «supplica» sono tuttora leggibili online, sul blog dello scrivente Pier Luigi Tossani.
La posta in gioco è di estrema importanza, poiché nel tempo il pensiero milaniano è divenuto ormai un paradigma non solo italiano, ma in certo modo anche internazionale, per fare non solo pastorale ecclesiale, ma anche educazione in senso lato, fare scuola e, infine, anche di interpretare il tema del lavoro e la politica.
Procediamo dunque per punti, accennando sinteticamente in questa sede solo ai punti principali, e rimandando, per ogni necessario approfondimento, al testo del dossier.
1. Obbediente?… No, ribelle
Don Milani, lungi dall’essere quel «ribelle obbediente» alla Chiesa, come viene correntemente definito, viveva invece in uno stato di permanente ribellione verso di essa (vedi capp.1, 3, 6, 10 del dossier).
L’ultimo superiore di don Milani, il Card. Ermenegildo Florit, sa valutare correttamente il temperamento del suo prete, nonché la cifra del suo lavoro pastorale, e ha la carità di dirglielo con garbo, ma anche con franchezza e fermezza.
Florit è misericordioso davanti all’aggressività di don Milani, tipica di una personalità problematica. Ne esce quindi un don Milani, secondo Florit, che glielo scrive personalmente, «assolutista», che fa una pastorale ispirata alla «lotta di classe», caratterizzato da uno «zelo fustigatore» che lo fa apparire «dominatore delle coscienze prima ancora che padre».
Don Milani pretende da Florit che il suo lavoro a San Donato a Calenzano e a Barbiana sia «solennemente e pubblicamente onorato», ma è fuori dalla realtà. Il priore non è quindi in grado di recepire la correzione del vescovo. Dal libro di Mario Lancisi “Processo all’obbedienza: la vera storia di don Milani” (Laterza, 2016), si evince che il priore si sfoga, per lettera, con uno dei suoi ragazzi, Francuccio Gesualdi. Al quale il 30 gennaio 1966 scrive che la risposta di Florit consiste in «tre pagine di crudeltà di falsità di ingiurie», e che non gli era mai stata data una parrocchia perché
«…manco di carità pastorale, sono classista, sferzante, credo di prendere la gente con l’aceto, invece ci vuole il miele, ecc. ecc. Ci ho sofferto per qualche ora, poi mi è passata perché lui (il Cardinale Florit, ndr) è un deficiente indemoniato (basti pensare la scelta del momento!) mi accusa ora che sono fuori combattimento di cose che se avesse creduto vere aveva il dovere di dirmi quando ero giovane e potevo correggermi. Pensa che è il primo rimprovero che ricevo dai “superiori” in 19 anni di sacerdozio». (pag. 103)
Per il priore di Barbiana il suo Vescovo è dunque «un deficiente indemoniato», che gli scrive una lettera piena «di crudeltà di falsità di ingiurie». Questo è.
Dopo la valutazione di Florit circa il lavoro di don Milani, rimandiamo al dossier, ancora al capitolo 1, per vedere l’opinione del primo Vescovo di don Milani, il Venerabile Cardinale Arcivescovo Elia Dalla Costa.
Al capitolo 10 riferiamo anche del parere di Angelo Giuseppe Roncalli, che all’epoca è patriarca di Venezia, e sarà poi il pontefice Giovanni XXIII. Nonché accenniamo alla severa critica del celebre testo milaniano «Esperienze pastorali» da parte de La Civiltà Cattolica, stampata con l’assenso del papa, che a quella data è Pio XII.
2. Il progetto educativo milaniano – Lettera «da» una professoressa
L’insieme degli aspetti problematici del priore ha ovviamente influenzato il suo progetto educativo (vedi al cap. 2 del dossier), attribuendo ad esso un carattere ideologico e classista, che ne ha pregiudicato gravemente il livello nella qualità e nei contenuti.
Ciò si è risolto in un danno, paradossalmente proprio nei confronti di quei poveri e di quegli ultimi che egli diceva di aver a cuore e voler aiutare, vale a dire in prima istanza i suoi allievi.
Secondariamente verso tutti coloro, docenti e discenti, che si sono ispirati al suo esempio educativo. Si evince infatti dal dossier, ancora al capitolo 2, che tutta la scuola italiana è stata largamente contaminata in modo negativo dal portato milaniano, che come si sa ha avuto moltissimi estimatori e seguaci.
Svolgiamo questo tema, in prima istanza, con l’ausilio della relazione della prof. Michela Piovesan, che cinquanta anni dopo la famosa Lettera a una professoressa, risponde al priore di Barbiana.
Nel medesimo capitolo, seguono poi altri interventi, a firma della prof. Cesarina Dolfi, di Roberto Berardi e di Maurizio Grassini.
I testi degli interventi sono tratti dalla rivista web fiorentina di cultura Il Covile, diretta da Stefano Borselli, che nella circostanza ringraziamo.
3. «Pacifista», ma non operatore di pace
Il priore si dichiara «pacifista», ma non è operatore di pace. Si veda, ad esempio, quando egli scrive nella Lettera ai cappellani militari toscani:
«…E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto».
Il che ci fa dedurre che il «pacifismo» del priore sia di matrice ideologica, strumentale alla lotta di classe. Egli riesce infatti a promuovere il «combattimento contro i ricchi» perfino quando si esprime sull’obiezione di coscienza, che, in quanto tale, in teoria dovrebbe ripudiare il combattimento. Don Milani, in effetti, dice che «le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente…», però già agli albori del suo ministero, nell’ormai lontano 1950, quando era vice parroco a San Donato a Calenzano egli scriveva nella famosa Lettera a Pipetta:
«Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione. Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione».
Pare dunque che le due posizioni milaniane, quella disarmata e quella armata, vadano fatalmente a confliggere.
4. Cuore di tenebra
Andiamo ora a verificare in questo importante capitolo se la valutazione di Dalla Costa e Florit su don Milani era giusta. È un servizio che rendiamo molto volentieri a questi due grandi della Chiesa fiorentina.
Capire don Milani è dopotutto abbastanza semplice, potendo accedere direttamente al suo pensiero tramite i suoi scritti.
Rileviamo dunque che in alcuni suoi testi il priore di Barbiana si rivela un sostenitore della violenza rivoluzionaria (vedi capp. 3 e 4 del dossier). Egli infatti scrive nella famosa Lettera a Gianni, che porta la data del 30 marzo 1956:
«Ma domani, quando i contadini impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni, ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione storica di quegli avvenimenti. Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell’arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti».
Dunque la sentenza che giustifica l’ecatombe classista è già stata stesa. Poi leggiamo che
«Se quel Giudice quel giorno griderà “Via da me nel fuoco eterno” per ciò che Adolfo ha fatto colla punta del suo forcone, che dirà di quel che il signorino ha fatto colla punta della sua stilografica? E se di due assassini uno ne vorrà assolvere, a quale dei due dovrà riconoscere l’aggravante della provocazione? A quale dei due l’attenuante dell’estrema ignoranza? D’una ignoranza così grave da non esser neanche più uomini. Neanche forse più soggetti d’una qualsiasi responsabilità interiore».
E perché mai il Giudice dovrebbe assolvere uno dei due assassini? In base a quale ratio? Non è dato sapere.
Nella visione milaniana, gli sterminatori di classe hanno comunque diritto all’attenuante specifica dell’«estrema ignoranza», che li esimerebbe dalla responsabilità degli omicidi da loro commessi a danno dei padroni, e che potrebbe anche persino aprir loro la porta del Regno dei Cieli. Il priore parla infatti di «assoluzione» divina per i proletari assassini. Anzi secondo lui essi non sarebbero «neanche più uomini», e quindi, in quanto tali «forse» nemmeno perseguibili a termini di legge.
Francamente quella di don Milani ci pare una disistima eccessiva per la classe contadina, che, specie nel 1956, non crediamo fosse ridotta nello stato di abbrutimento sub-umano da lui evocato. Ai padroni invece il priore assegna «l’aggravante della provocazione», per il solo fatto di essere tali.
Non sfugge dunque ad un occhio oggettivo il nocciolo profondo di violenza rivoluzionaria di stampo giacobino – spiace dirlo ma è bene esser chiari – che evidentemente albergava nel cuore di tenebra del priore di Barbiana.
Il tutto ci pare eloquente. Il tempo futuro è domani, 31 marzo 1956. Il verbo non è il congiuntivo imperfetto, ma l’indicativo. L’eliminazione fisica della controparte, il prospettato massacro degli intellettuali, degli uomini di scienza, dei confratelli sacerdoti e perfino degli innocentissimi poeti, è preconizzato da don Milani come imminente e ineluttabile.
Diremmo che è particolarmente grave il fatto che il priore di Barbiana, invece di scongiurare la violenza rivoluzionaria, abbia evocato l’epilogo della lotta di classe fino alle sue estreme conseguenze, invece di servirsi, da cattolico ancor prima che da prete, dei princìpi di sussidiarietà e di partecipazione autentica dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, per risolvere pacificamente i problemi del consesso civile con gli strumenti della Dottrina sociale cattolica.
Di questa alternativa possibile si parla estesamente nel capitolo 7 del dossier.
Il priore si rivela ancora una volta sostenitore dello spargimento del sangue dei nemici del popolo, come si legge nel cap. 4 del dossier quando nella Lettera a Ettore Bernabei egli scrive:
«…Per il bene dei poveri. Perché si facciano strada senza che scorra il sangue. E se anche il sangue dovesse scorrere un’altra volta, perché almeno non scorra invano per loro come è stato finora tutte le volte».
Già agli albori del suo ministero, nell’ormai lontano 1950, quando era ancora vice parroco a San Donato a Calenzano, si è visto che don Milani scriveva, nella famosa Lettera a Pipetta:
«Ora che il ricco t’ha vinto col mio aiuto mi tocca dirti che hai ragione, mi tocca scendere accanto a te a combattere il ricco. Ma non me lo dire per questo, Pipetta, ch’io sono l’unico prete a posto. Tu credi di farmi piacere. E invece strofini sale sulla mia ferita. E se la storia non mi si fosse buttata contro, se il 18… non m’avresti mai veduto scendere là in basso, a combattere i ricchi. Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione. Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione».
Possibile, ci diciamo, che ancora oggi non si colga la valenza incendiaria di queste parole?
Su questo punto segnaliamo altre pericolose implicazioni, nel medesimo capitolo 4.
5. Le pulsioni omosessuali/pedofile, e la questione del padre
In ultimo, don Milani manifesta anche pulsioni omosessuali e pedofile (vedi al cap. 5 del dossier), quando in una lettera all’amico Giorgio Pecorini egli scrive:
«Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani piú che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)».
e
«… E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?»
Per il doveroso approfondimento della spinosa questione che non può certo essere svolto qui, rimandiamo all’intero capitolo 5 e in particolare all’equilibrata relazione di Armando Ermini.
A questo punto riteniamo opportuno fermarci per non appesantire ulteriormente la nostra missiva e rimandarvi al testo integrale del dossier per gli altri temi pur importanti che vi abbiamo trattato, come da indice. Tutto ciò premesso, leggiamo sul Corriere Fiorentino in data 7 dicembre 2022 a questo link, circa le commemorazioni milaniane, che in proposito vi siete espressi nel modo seguente:
«Per dodici mesi, quindi anche nel 2024, non vogliamo celebrare, una parola cui lui era allergico, ma farlo parlare oggi, farlo parlare in primo luogo ai giovani, ai ventenni, motivo per cui ci sarà anche un sito del centenario e coinvolgeremo le scuole con iniziative, concorsi, premi, borse di studio collettive — spiega Rosy Bindi — il sito oltre a coinvolgere i giovani avrà spazio per tutte le iniziative legate al priore di Barbiana, non solo per quelle che faremo noi, poche, di livello nazionale e mi auguro di qualità».
Ebbene oggi, di cosa vogliamo far parlare don Milani, ai giovani, ma anche a noi stessi?
È forse cambiato qualcosa rispetto al passato, rispetto alle valutazioni che su don Milani avevano dato i suoi diretti superiori dell’epoca, il Venerabile Cardinale Arcivescovo Elia Dalla Costa, e il Cardinale Ermenegildo Florit?
È cambiato qualcosa rispetto alle valutazioni che ciascuno di noi ancora oggi può fare circa la lezione milaniana, attingendo direttamente dalle parole del priore?
Può essere che la débâcle educativa milaniana, l’ammutinamento sistematico ai superiori, l’apologia della violenza rivoluzionaria, della lotta di classe, dello spargimento del sangue dei nemici del popolo, della lotta armata di stampo proto-brigatista e finanche – ma di questo Dalla Costa e Florit non erano a conoscenza – l’orgogliosa rivendicazione di pulsioni omosessuali e pedofile (il tutto è naturalmente documentato nei diversi capitoli del dossier), non siano più censurabili come lo erano una volta?
È una grave responsabilità quella di presentare il priore, non soltanto ai giovani, ma a tutti, come un modello da imitare. L’elementare principio di precauzione lo sconsiglia vivamente.
Dicevamo in apertura della nostra missiva che nel prendere l’iniziativa di rivolgerci a Voi, siamo dispiaciuti e preoccupati. Siamo dispiaciuti perché ci rendiamo ben conto che quanto ci siamo sentiti in dovere di porgerVi è senz’altro assai spiacevole, e possa scandalizzarvi o ferirvi.
Specie coloro fra di voi che sono stati più vicini al priore di Barbiana. Ma se le parole hanno un senso, siamo anche molto preoccupati, perché se non guardiamo la realtà in faccia e non andiamo a dismettere il mito milaniano, la realtà ci travolgerà.
Anzi ha già cominciato a travolgerci, come ben si vede.
Concludendo, ci pare evidente che a questo punto il tema centrale della questione vada ben oltre il pur importante ed esemplare caso specifico di don Lorenzo Milani.
Ci permettiamo di segnalare piuttosto l’urgenza della ricerca della verità, ponendo sulla realtà uno sguardo libero da ideologie. Potremo così anche dare un giudizio chiaro e univoco, a pro di tutti, non sulla persona di don Lorenzo Milani, cosa che ci guardiamo bene dal fare, avendo anzi verso di lui la massima compassione, quanto piuttosto sulle scelte che egli fece e sulle parole inequivocabili che egli volle convintamente pronunciare.
Una volta accantonato il mito ingombrante, potremo pienamente affidare il priore di Barbiana alla Misericordia di Dio e lasciarlo riposare in pace.
Václav Havel, nel Potere dei senza potere, scriveva: «La prima politica è vivere nella verità». Non sarà mai troppo tardi per riconoscere questo elementare dato di fatto.
(…)
Con ossequi, restando a disposizione,
Giuseppe (Pucci) Cipriani
rivista web Controrivoluzione
Pier Luigi Tossani
blog La filosofia della TAV
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Pensiero
Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana
Renovatio 21 pubblica questo scritto dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Le opinioni degli scritti pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.
Mt 7, 20
Premessa
La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).
Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).
L’idealizzazione dell’autorità
Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.
Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)
La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.
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Una crisi sistemica
Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.
I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state e deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)
Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.
Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.
L’accettazione della frode
Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».
Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.
er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).
Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.
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La «Rivelazione del Metodo»
Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).
Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitiva, ossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».
Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)
La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori
Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.
Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».
Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».
L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?
Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.
Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».
Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.
Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?
Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.
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Il «colpo da maestro» di Satana
Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.
Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.
Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.
L’assolutizzazione dell’obbedienza
Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.
Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.
Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.
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Conclusione
La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi e falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.
E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della Fede. Non dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.
La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una e apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.
Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):
Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.
L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.
Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?
Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
24 Ottobre MMXXV
S.cti Raphaëlis Archangeli
NOTE
1) Il termine auctoritas deriva da auctor, nell’accezione di autore e garante riferita a Dio.
2) San Pio X ricordava che il successo dei malvagi è possibile anzitutto grazie all’ignavia dei buoni.
3) L’espressione in fraudem legis si riferisce a un comportamento o un atto giuridico compiuto con l’intenzione di eludere una norma, aggirandone lo scopo o l’applicazione, pur rispettandone formalmente la lettera. In altre parole, si tratta di un’azione che, pur apparendo conforme alla legge, viene posta in essere per ottenere un risultato che la legge stessa intende vietare o limitare. Le caratteristiche di questo comportamento sono la conformità formale, l’intenzione elusiva e l’effetto contrario alla mens del legislatore.
4 – La mens rea designa la componente psicologica del reato, ossia l’intenzione o la consapevolezza di violare la legge.
5) Scrive Hoffman: «Il principio alchemico della Rivelazione del Metodo ha come componente principale una beffarda derisione delle vittime, simile a quella di un clown, come dimostrazione di potere e macabra arroganza. Quando viene eseguito in modo velato, accompagnato da certi segni occulti e parole simboliche, e non suscita alcuna risposta significativa di opposizione o resistenza da parte dei bersagli, è una delle tecniche più efficaci di guerra psicologica e violenza mentale». Cfr. Michael A. Hoffman II, Secret Societies and Psychological Warfare, 2001.
6) Scriveva Bartolo Longo: Innanzi a Dio l’uomo non ha vera libertà di coscienza, libertà di culto e libertà di pensiero, come oggi s’intende, cioè facoltà di scegliersi una religione ed un culto come gli talenta; ma solo la libertà dei figliuoli di Dio, come dice S. Paolo, cioè di lasciare l’errore e le seduzioni del secolo per correre liberamente al Cielo. L’affermare, perciò, che l’uomo ha il diritto innanzi a Dio di pensare e di credere in religione come gli piace, è un errore. Cfr. Bartolo Longo, San Domenico e l’Inquisizione al Tribunale della Ragione e della Storia, Valle di Pompei, Scuola tipografica editrice Bartolo Longo, 1888.
7) Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona (o un gruppo) fa dubitare un’altra della propria percezione della realtà, della memoria o della sanità mentale, con l’obiettivo di controllare, indebolire o destabilizzare la vittima.
8) Non vi può infatti essere vera obbedienza se chi è costituito in autorità nella Gerarchia esige di essere obbedito ma allo stesso tempo disobbedisce a Dio, che è il garante e la fonte stessa dell’Autorità. Né vi può essere legittima autorità se chi la esercita in nome di Dio non si sottomette a propria volta alla Sua suprema Autorità.
9) Augustin Lémann, L’Anticristo, Marietti, 1919, pag. 53. «Il secondo campione della verità cristiana contro l’Anticristo sarà una falange di dottori suscitata da Dio in quei tempi di prova. […] Questa falange di dottori riceverà, per la difesa e consolazione dei buoni, una maggiore intelligenza delle nostre sante Scritture». Cfr. https://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/wp-content/uploads/2014/07/LANTICRISTO-A-Lemann.pdf
Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.
10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.
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Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto
I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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