Spirito
Il cardinale Zuppi dice che credere in Dio non è necessario e che la Murgia gli ha insegnato il queer
Lasciano interdetti le parole pronunziate dal cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi al Giffoni Film Festival a inizio settimana.
Il porporato emiliano qui ha risposto a domande sulla questione di Chiesa e LGBT.
«Con tanta insistenza a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù – papa Francesco ha dichiarato e ha sottolineato che nella Chiesa ci devono stare tutti. Tutti, a prescindere da qualunque consonante o vocale» ha dichiarato l’arcivescovo, riferendosi quindi alle sigle omotransessualiste anche più aggiornate (le vocali «I» e «A», come il «+», sono stati introdotti solo di recente).
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«Questo è importantissimo: dobbiamo imparare a stare insieme, a prescindere da qualunque etichetta o definizione e lo impariamo stando dentro e non fuori». Il pensiero riguardo il tema sembra dunque chiarissimo: omotransessuali dentro la Chiesa, e magari pure benedetti in coppia, come peraltro vuole il documento Fiducia Supplicans.
Lo Zuppi è tuttavia andato oltre, disvelando esperienze personali che hanno lasciato molti osservatori cattolici più che stupefatti.
«E poi, bisogna capire cosa significa “queer” a mio parere» ha continuato, dimostrando di essere proprio addentro alla terminologia genderista. «A me lo spiegò una persona il cui nome era Michela ed il cognome era Murgia».
Qui il lettore può avere un piccolo shock: Michela Murgia (1972-2023) è stata una scrittrice cresciuta in ambienti cattolici (tra l’Azione Cattolica e il lavoro di insegnante di religione) finita poi celebrata nei circoli goscisti per le sue posizioni lontane anni luce dalla dottrina cattolica. La donna, che oltre che di sinistra era pure sarda, sposò in articulo mortis il compagno (era già stata sposata in precedenza) con una cerimonia «con la famiglia queer», in cui nell’unione, a quanto pare di capire, erano inclusi anche gli amici.
L’evento fu definito sui giornali «matrimonio queer», e raccontato come un vero «manifesto politico», in polemica con l’unione eterosessuale a due.
«Il matrimonio monogamo davanti alla legge le stava troppo stretto, ma ha dovuto farlo per assicurarsi i diritti familiari, diventati una necessità con la scoperta del tumore» scrisse fedelmente Open. Al rito talmente grottesco da non sembrare più nemmeno una scimmiottatura del matrimonio cattolico – come è di fatto quello civile – presenti vari personaggi dell’intelligentsija sinistroide, tra cui immancabile il giornalista specializzato in camorra Roberto Saviano, tutti vestiti di bianco, «de-sacralizza il colore nuziale, che cambia significato: il bianco è inclusivo, sintesi additiva di tutti i colori dello spettro. Nella collezione di cui ci ha fatto dono, realizzata ad hoc, ci sono solo pezzi intercambiabili, no gender, tra i quali ciascuno ha scelto la combinazione che meglio esprimeva la sua identità».
È chiaro che è da un personaggio così che un cardinale deve attingere lezioni importanti per il suo lavoro per il gregge dei cristiani.
Zuppi infatti sembra davvero intrigato dal concetto di «famiglia queer» portato innanzi dalla defunta Murgia. «Mi raccontava dei figli che aveva, con cui non aveva un legame di sangue» rivela ancora il porporato. «Si sposò con un uomo perché gli voleva bene e perché potesse continuare ad aver quel legame con questi figli». A questo punto se il lettore non capisce di cosa stia parlando (sono figli adottivi? Adottati legalmente? Sono figli di amici? Sono bambini a caso? Sono bambini? Di chi sono figli?) deve sapere di non essere solo.
Ma non è che il cardinale spieghi di più: «credo che questo dovremmo impararlo tutti, che può esistere un legame senza che necessariamente ci sia un risvolto giuridico. Il punto è volersi bene».
Tutto finisce nel volemose bene, un concetto di quella profondità abissale alla quale ci ha abituato il papato dell’argentino con i suoi sgherri vari.
Tuttavia, Renovatio 21 non lascia sparire il pensiero, per dare un veloce ragguaglio della filosofia alla base, che a quanto consta è già avanzata in Vaticano.
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Come riportato da Renovatio 21, nell’esortazione apostolica Laudate Deum compariva come unica fonte moderna citata, una pensatrice americana, anche lei cresciute tra suore e particole, la filosofa Donna Haraway (1944-).
La Haraway è considerata capofila di un pensiero che tra gli anni Ottanta e Novanta già si definiva «ciberfemminista», «ecofemminista» o perfino «femminismo post-umano», «post-genderismo». Non è sbagliato ritenere che la cifra del suo lavoro – un attacco feroce all’antropocentrismo – è estendere la teoria del gender alle questioni tecnologiche (come la modificazione del corpo umano) e oltre, fino al regno animale.
La popolarità della pensatrice statunitense cominciò nel 1985, quando pubblico sulla rivista Socialist Review il suo «Manifesto per i cyborg: scienza, tecnologia e femminismo socialista negli anni ’80», divenuto poi semplicemente Manifesto Cyborg pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1995. Si tratta di un saggio considerato una pietra miliare nel nuovo femminismo, che di fatto negando in ultima analisi anche l’identità della donna, si pone in contrapposizione al vecchio femminismo.
La Haraway predica un superamento dei dualismi sociali e biologici: critica la struttura binaria della cultura occidentale che ha generato divisioni tra categorie come uomo/donna e naturale/artificiale. Questi dualismi, afferma la Haraway, «sono stati tutti sistematici nelle logiche e nelle pratiche di dominio delle donne, delle persone di colore, della natura, dei lavoratori, degli animali… tutti costituiti come altri».
Si tratta, molto chiaramente, di una porta filosofica spalcanata per il transumanismo, che tuttavia qui si estende anche alle relazioni sociali.
In un testo più recente chiamato Making kin. Fare parentele, non popolazioni, scaturito da un gruppo di lavoro con altre cinque pensatrici femministe la Haraway scrive che non è che bisogna fare bambini (un atto inquinante, che genera anche altri problemi), ma riorganizzare in senso «famigliare» le persone che già esistono: un qualcosa che sta tra la ritribalizzazione della società, viene da pensare, e il tentativo di creare surrogati della famiglia, come avviene per quelli che invece dei figli hanno cani e gatti o perfino bambole iperrealistiche.
Si tratta, ad occhio e croce, proprio della «famiglia queer» della Murgia, tanto ammirato dal cardinale Zuppi. Non sappiamo se la Murgia, come la Haraway citata dal papa, sia finita per parlare dello «Chtulucene» (da Chtulhu, divinità oscura, distruttiva e godzillesca inventata da H.P. Lovecraft), un’era apocalittica che bisognerà attraversare per salvarsi dal disastro dell’antropocene (cioè, letteralmente, «l’era degli uomini»), segnato dalla sovrappopolazione, che i nemici di Cristo per qualche ragione hanno sempre in mente.
Non è secondario capire cosa pensa lo Zuppi, perché per molti è considerato un papabile. Nonostante le inchieste giornalistiche sui soldi dell’8 per mille alle ONG immigrazioniste, nonostante il fallimento del suo viaggio di pace a Kiev (con siluro ulteriore lanciatogli contro dall’Università Cattolica di Leopoli), nonostante il crollo nel terrorismo jihadista più sanguinario del Mozambico (con martiri cattolici inclusi), la cui pacificazione negli anni Ottanta era stata il vanto della Comunità di Sant’Egidio, l’alveo movimentista da cui il cardinale proviene.
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Zuppi, ricordiamo, è quello che ha disintegrato secoli di tradizione felsinea facendo preparare tortellini privi di maiale, così da non turbare gli «ospiti» immigrati islamici. Il «tortellino dell’accoglienza» al pollo, per la gioia di generazioni di bolognesi che, se non piangono, si rivoltano nella tomba.
Rammentiamo pure, en passant, anche l’entusiasmo nei confronti della possibile ascesa al Soglio espressa da un massone dichiarato, Gioele Magaldi, ex Gran Maestro del Grande Oriente Democratico e dominus di tale movimento Roosevelt, che durante un’intervista ad Adnkronos disse: «conosco però il mondo Vaticano e tra i cardinali quello che stimo di più è Matteo Zuppi, che tra l’altro mi ha sposato. Sarebbe un ottimo papa».
Tuttavia, in realtà, niente di tutto questo importa. Perché nulla importa più, oggi. Neanche il credere in Dio.
È riportato che, continuando il suo intervento, il cardinale che potrebbe divenire papa avrebbe chiesto all’uditorio: «c’è bisogno di credere?».
Cioè: il porporato domanda, davvero, se c’è bisogno di credere in Dio.
Risposta: «No».
Eh?
Così. Ripetiamo.
«C’è bisogno di credere? No. C’è tanta gente che dà forme di altruismo e attenzione al prossimo, forme di generosità, senza credere» ha spiegato il religioso. «Le religioni non hanno l’esclusiva del voler bene», ha puntualizzato. Eccerto.
«L’individualismo è una malattia pericolosissima, che ci fa vivere da isole. Noi non siamo fatti per essere isole, non ci fa essere contenti. Noi siamo contenti quando vogliamo bene».
Capito? L’importanza è volerse ben, ma non per la salvezza dell’anima, e nemmeno per l’amore di Dio, per comandamento divino, perché cosa buona e giusta, etc.: maddeché, bisogna volersi bene perché altrimenti non siamo contenti. Un pensiero che dimostra che l’utilitarismo, oltre che essere installato nello Stato che uccide i bambini, ferisce i suoi cittadini e schiavizza le minoranze, è divenuto orizzonte mentale perfino di un cardinale papabile.
Il piacere, l’essere contenti, prima di tutto: il resto è secondario, sacrificabile. E pazienza se attaccare l’individualismo parlando del primato della felicità individuale è un paradosso per cui perfino i preadolescenti del Giffoni Film Festival dovevano tirare sul palco pomodori ed ortaggi.
Zuppi era lì per parlare del film Il ragazzo dai pantaloni rosa, pellicola che narra della storia di un ragazzo suicida impugnata anni fa dal giro dell’omosinistra per chiedere leggi contro il «bullismo» che in realtà sono per la censura e la rieducazione gender dei ragazzini anche piccoli.
Siamo messi così. Tante storie, microstorie, dichiarazioni di superficialità estrema, o di sacrilegio manifesto, che ci infliggono quotidianamente, più volte al giorno. È il mosaico estenuante che va a comporre lo Chtulhucene, dove saremo tutti queer e senza figli, cioè con i figli degli altri, come dicono le scrittrici che piacciono al neovaticano.
Poi uno dice non c’è uno scisma di fatto nella chiesa.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Francesco Pierantoni via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Papa Leone intervenga sull’Eucarestia a Brigitte Macron: parla un sacerdote francese
Notre-Dame: Brigitte Macron et le public s’avancent pour la communion pic.twitter.com/eRypHnKMYg
— BFM (@BFMTV) December 8, 2024
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Poligamia: il Vaticano non intende modificare il diritto canonico
Il Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) ha ribadito che attualmente non esiste alcun piano per modificare il diritto canonico relativo alle unioni poligame, molto comuni nell’Africa subsahariana. Questa dichiarazione del Cardinale Victor Manuel Fernandez, Prefetto del DDF, arriva dopo una nota dottrinale sulla monogamia come fondamento del matrimonio cristiano.
I vescovi africani potrebbero essere delusi, poiché avevano chiesto una modifica del diritto canonico per scoraggiare ulteriormente la piaga della poligamia, profondamente radicata nelle tradizioni africane. Commentando la nota di Una Caro del 25 novembre 2025, il Cardinale Fernandez ha sottolineato che il nuovo testo non intendeva «condannare esplicitamente la poligamia», ma piuttosto «promuovere la monogamia come ideale evangelico», limitandone significativamente la portata.
Ciò è ancora più significativo se si considera che il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede si è affrettato a sottolineare che l’iniziativa rispondeva principalmente alle ripetute richieste dei vescovi africani, espresse durante le visite ad limina e al Sinodo sulla sinodalità. In Africa, questi prelati affrontano importanti sfide pastorali in regioni in cui la poligamia colpisce fino al 24% dei cristiani in Burkina Faso, secondo i dati del Pew Research Center.
In una lunga nota a piè di pagina, Una Caro affronta le tradizioni africane a livello giuridico, dove la prima moglie svolge spesso un ruolo centrale nei riti funebri e nell’educazione dei figli di altre unioni. «Studi sulle culture africane mostrano che diverse tradizioni attribuiscono particolare importanza al primo matrimonio», si legge.
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Tuttavia, il cardinale Fernandez insiste sul fatto che questa menzione non implica, a suo avviso, una revisione del canone 1148, che consente a un uomo poligamo convertito al cattolicesimo di scegliere una delle sue mogli per convalidare un matrimonio cristiano, con preferenza per la prima.
I vescovi africani, riuniti nell’ambito del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), avevano tuttavia criticato questa flessibilità canonica, in particolare in un documento dell’agosto 2025 intitolato «Le sfide pastorali della poligamia». In esso, denunciavano casi in cui gli uomini «mettono da parte» la loro prima moglie per sceglierne una più giovane, causando sia scandalo che ingiustizia all’interno delle loro comunità.
Il prefetto della DDF ha riconosciuto queste «situazioni violente» nei villaggi isolati, dove le donne abbandonate rischiano la miseria o la morte: «Dobbiamo trovare una soluzione prudente che porti gradualmente a unioni monogame», ha dichiarato al sito di informazione The Pillar, specificando al contempo che i vescovi africani devono impegnarsi in questa riflessione, senza modifiche immediate al diritto canonico. Questa posizione si inserisce in un contesto più ampio.
La poligamia è diffusa nell’Africa occidentale e centrale: in Ciad, il 21% dei cristiani vive in famiglie poligame, e in Mali il 14%. Durante il Sinodo sulla famiglia del 2014, mons. Ignatius Kaigama – ora arcivescovo di Abuja, in Nigeria – ha sottolineato che la poligamia spesso mira ad assicurare la prole, sollevando interrogativi pastorali per i convertiti. «Come possiamo aiutarli? Come possiamo condurli alla conversione?», si è chiesto.
Il documento del SECAM ha anche deplorato le pratiche falsamente pastorali di alcuni sacerdoti, come la tolleranza informale o lo status di «catecumenato permanente» per i poligami, sostenendo invece un annuncio «radicale» del Vangelo.
I vescovi africani non hanno quindi veramente prevalso e il controverso autore del documento Fiducia Supplicans (2023) sulla benedizione delle coppie irregolari si è, nella migliore delle ipotesi, impegnato ad aiutare i vescovi africani a trovare «soluzioni appropriate», senza però «isolare» i sacerdoti che esercitano il loro ministero in contesti in cui la poligamia è la norma.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News.
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Immagine screenshot da YouTube
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Corredentrice e Mediatrice: cosa chiedevano i vescovi alla vigilia del Vaticano II
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