Geopolitica
Il 96% dei sauditi si oppone ai legami con Israele, Hamas cresce in popolarità: sondaggio
Un nuovo sondaggio ha rilevato che il 96% dei cittadini sauditi ritiene che i paesi arabi dovrebbero tagliare i legami con Israele in risposta alla guerra a Gaza, e che la popolarità di Hamas è cresciuta in modo significativo nel contesto della devastante offensiva militare israeliana sul territorio in conflitto. Lo riporta Middle East Eye.
Il risultato del sondaggio, condotto dal Washington Institute for Near Eastern Affairs, un think tank filo-israeliano con sede a Washington, mostra le difficoltà che gli Stati Uniti devono affrontare mentre spingono affinché l’Arabia Saudita normalizzi i legami con Israele. Prima della guerra a Gaza, gli Stati Uniti stavano lavorando attivamente per raggiungere un accordo che avrebbe visto Israele e Arabia Saudita normalizzare le relazioni.
Un simile accordo si baserebbe sugli accordi di normalizzazione esistenti come quelli tra Israele e Bahrein, Marocco ed Emirati Arabi Uniti , mediati sotto l’amministrazione Trump.
Durante un’intervista con Fox News andata in onda a settembre, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman aveva dichiarato che i due paesi si avvicinano «ogni giorno» a un simile accordo. Da allora, tuttavia, Riyadh ha messo in pausa i colloqui sulla normalizzazione e ha pubblicizzato il suo intervento diplomatico come un tentativo di «fermare l’escalation in corso».
Sebbene il regno abbia un sistema monarchico, secondo gli analisti l’opinione pubblica gioca un ruolo importante nel processo decisionale dei leader arabi.
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L’indagine di venerdì ha inoltre rilevato che il 40% dei sauditi ha espresso un atteggiamento positivo nei confronti di Hamas, rispetto al solo 10% secondo un sondaggio effettuato mesi prima dell’inizio della guerra.
Il sondaggio ha inoltre rilevato che la maggioranza degli intervistati in Giordania, Libano ed Egitto aveva opinioni favorevoli nei confronti di Hamas. I risultati del sondaggio evidenziano un’indignazione su larga scala nel mondo arabo per l’assalto militare israeliano a Gaza, avvenuto in risposta all’attacco del 7 ottobre al sud di Israele.
In tutto il mondo arabo sono scoppiate proteste di massa a sostegno dei palestinesi di Gaza. Oltre alle manifestazioni di piazza, i cittadini di tutto il Medio Oriente stanno boicottando le imprese legate a Israele.
L’indagine ha inoltre rilevato che l’87% dei sauditi ritiene che «Israele è così debole e diviso al suo interno che un giorno potrà essere sconfitto».
Avanza, da ogni parte la realtà del fallimento degli Accordi di Abramo, ossia la normalizzazione dei rapporti dei Paesi del Golfo con Israele: gli Emirati, dove regna Mohammed bin Zayed, mentore e confidente dell’uomo forte di Ryadh Mohammed bin Salman, avevano fatto da apripista, per poi giungere, sperabilmente, alla normalizzazione dei rapporti con i Sauditi, in una prospettiva che avrebbe accantonato per sempre la questione palestinese.
Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa si parlava di colloqui segreti tra il principe saudita e Netanyahu. Due mesi fa, dopo l’inizio della guerra di Gaza, l’Arabia Saudita ha dichiarato che ogni piano di accordo con Israele è sospeso.
La situazione nell’area è precipitata al punto che tre mesi fa Mohammed bin Salman ha dichiarato che il Regno dei Saud è pronto a dotarsi dell’atomica se lo farà l’Iran. Tra Riyadh e Teheran era pochi mesi prima arrivato un accordo stipulato sotto l’auspicio cinese.
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Immagine di Stephen Downes via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior. In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW — Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
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Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.
Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.
Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».
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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.
Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.
Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.
Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».
Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.
Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.
Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.
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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.
La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.
Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA. President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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