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Geopolitica

I rapporti tra Iran ed Egitto sulla via della normalizzazione

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Dopo la normalizzazione tra Arabia Saudita e Iran e la normalizzazione della Siria a marzo, apparentemente sono in corso grandi sforzi per ristabilire le relazioni diplomatiche tra Iran ed Egitto.

 

Una tale mossa sarebbe un altro sviluppo di rilievo per il Medio Oriente. Le tensioni tra Iran ed Egitto risalgono al 1979 e da allora la relazioni sono rimaste difficili.

 

Il 14 maggio, Fada Hossein Maleki, membro del Comitato per la sicurezza nazionale e la politica estera del parlamento iraniano, ha riferito che sarebbero in corso negoziati tra Iran ed Egitto in Iraq e che si aspetta che i due Paesi ripristinino le loro relazioni nel prossimo futuro.

 

Secondo il sito The Cradle, che cita «fonti mediorientali», la mediazione sarebbe guidata dal primo ministro iracheno Muhammad Shia al-Sudani.

 

È stato anche riferito che il Cairo sarebbe ancora tiepido sull’intera faccenda, tuttavia, sembra che questi negoziati dovrebbero aumentare nel prossimo futuro

 

Alla fine di maggio, il sultano dell’Oman, Haitham bin Tariq Al Said, si è recato a Teheran per incontrare il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, portando apparentemente un messaggio del presidente egiziano Abdel Fattah eal-Sisi «che comunica la disponibilità dell’Egitto per la ripresa dei rapporti con l’Iran», secondo il sito web di Khamenei.

 

Il sultano Haitham si era anche recato in visita al Cairo la settimana prima, dove aveva incontrato il presidente eal-Sisi, incontro che era avvenuto subito dopo il vertice della Lega Araba di quest’anno, in cui queste discussioni erano probabilmente all’ordine del giorno.

 

Un analista citato dall’agenzia turca Anadolu ha affermato che «i ponti sono stati ripuliti per la distensione Iran-Egitto». Inoltre, durante l’incontro con Haitham a Teheran il 29 maggio, l’Ayatollah Khamenei avrebbe approvato il processo di riconciliazione con l’Egitto.

 

Poi, un giorno dopo, un portavoce del governo iraniano aveva annunciato che il presidente Raisi aveva chiesto di avviare il processo di ripristino formale dei legami con l’Egitto.

 

Giovedì 29 giugno, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha dichiarato: «accogliamo con favore l’espansione e la normalizzazione delle relazioni con altri paesi regionali e musulmani, tra cui Egitto e Marocco».

 

Il ministro ha quindi affermato che sono in corso sforzi per dividere i vicini musulmani che dovrebbero essere fratelli, citando l’Afghanistan, l’Iraq e la Siria come esempi.

 

Dopo il ritorno dei rapporti diplomatici tra Arabia Saudita e Iran, in un accordo mediato dalla Cina  – con conseguente decremento delle violenze in Yemen – è degno di nota anche la riammissione della Siria nella Lega Araba e la normalizzazione dei suoi rapporti con altri Stati del Golfo.

 

La geopolitica mediorientale si sta riassestando in un modo che sembra non tener più conto degli Stati Uniti, nonostante mantengano in Siria una bizzarra e illegale presenza militare, con basi dove, sostengono il presidente siriano Bashar al-Assad e i servizi russi, verrebbero addestrati terroristi islamisti.

 

 

 

 

Immagine di khamenei.ir via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

 

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Geopolitica

Orban: i nipoti degli europei pagheranno per il nuovo prestito all’Ucraina

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Il premier ungherese Viktor Orban ha criticato duramente la pressione della Commissione europea per raccogliere ulteriori 135 miliardi di euro (156 miliardi di dollari) a favore dell’Ucraina, sostenendo che ciò scaricherebbe debiti sulle generazioni future di europei. L’affermazione arriva in piena bufera per uno scandalo di corruzione a Kiev.

 

Mercoledì, in un post su X, Orban ha accusato la presidente Ursula von der Leyen di aver «ancora una volta chiesto ai Paesi membri fondi extra per finanziare l’Ucraina e la guerra». L’ammontare, ha precisato, equivarrebbe al 65% del Pil annuo ungherese e a tre quarti del bilancio UE: «una somma astronomica che semplicemente non esiste oggi».

 

Il «trucco di Bruxelles» consisterebbe in un prestito congiunto europeo, che farebbe ricadere «sui nostri nipoti i costi della guerra russo-ucraina»: un’idea «categoricamente assurda», ha tuonato l’Orban.

 


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Von der Leyen, secondo quanto trapelato, ha invitato i governi UE ad accelerare un accordo per coprire le esigenze militari e finanziarie ucraine nei prossimi due anni, proponendo opzioni come contributi bilaterali, prestiti comuni e un finanziamento basato sui beni russi congelati.

 

In risposta, l’Orbano ha paragonato la strategia di Bruxelles a «inviare un’altra cassa di vodka per aiutare un alcolizzato», definendola «ancora più sbalorditiva» in un momento in cui «una mafia di guerra sta dirottando i soldi dei contribuenti europei».

 

La scorsa settimana, l’Ufficio nazionale anticorruzione ucraino (NABU), supportato dall’Occidente, ha avviato un’inchiesta su un’«organizzazione criminale di alto livello» capeggiata da Timur Mindich, ex socio d’affari di Volodymyr Zelensky. Gli investigatori parlano di circa 100 milioni di dollari in tangenti legate all’operatore nucleare Energoatom, convogliati attraverso una rete gestita da Mindich.

 

Sebbene l’UE emetta spesso moniti generici sulla corruzione in Ucraina, i suoi funzionari tendono a evitare scandali che possano danneggiare Zelensky e il suo entourage.

 

Di recente Orban ha rivelato che l’UE ha già «bruciato» 185 miliardi di euro dall’escalation del 2022: «la guerra sta uccidendo economicamente l’UE», ha avvertito, esortando Bruxelles a privilegiare la diplomazia con Mosca anziché ulteriori aiuti.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Geopolitica

Il piano di pace degli Stati Uniti propone all’Ucraina di «rinunciare alla sovranità»

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Un piano di pace elaborato dagli Stati Uniti, apparentemente in stretta consultazione con Mosca, è stato presentato questa settimana a Kiev dall’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff. Secondo quanto rivelato da Axios e Financial Times, la bozza di 28 punti imporrebbe all’Ucraina concessioni così pesanti da essere considerate da numerose fonti una vera e propria capitolazione e una rinuncia di fatto alla sovranità nazionale.   Il documento prevede la cessione definitiva delle aree del Donbass ancora controllate da Kiev, il dimezzamento delle forze armate ucraine, la rinuncia a categorie fondamentali di armamenti e una netta riduzione dell’assistenza militare americana. Include inoltre il riconoscimento del russo come lingua ufficiale e il ripristino dello status ufficiale per la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca, repressa dall’attuale governo Zelens’kyj.   Lo Witkoff avrebbe chiesto esplicitamente al presidente ucraino – che ieri ha incontrato un alto ufficiale statunitense – di accettare questi termini.

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Mosca non ha né confermato né smentito l’esistenza del piano. Il portavoce Dmitrij Peskov ha dichiarato che non c’è «nulla di nuovo» rispetto ai colloqui già intercorsi tra Putin e Trump in Alaska, mentre il negoziatore russo Kirill Dmitriev ha sottolineato ad Axios che la posizione russa «è stata davvero ascoltata» e che l’intesa va ben oltre un semplice cessate il fuoco.   Un funzionario della Casa Bianca ha riferito a Politico che l’accordo potrebbe essere finalizzato entro la fine del mese, o addirittura già nel corso di questa settimana.   I dirigenti russi continuano a ribadire che qualsiasi soluzione duratura dovrà garantire la neutralità permanente dell’Ucraina, la sua esclusione definitiva dalla NATO, la smilitarizzazione, la denazificazione e il riconoscimento dell’attuale realtà territoriale.  

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Immagine di Le Commissaire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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Geopolitica

Gli USA stanno segretamente elaborando con la Russia un nuovo piano di pace per l’Ucraina

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Gli Stati Uniti starebbero elaborando in gran segreto una proposta inedita per risolvere il conflitto ucraino, secondo quanto rivelato martedì da Axios. La bozza, articolata in 28 punti, sarebbe stata redatta in coordinamento ravvicinato con Mosca e già condivisa con Kiev e i suoi alleati europei. Lo riporta la testa americana Axios.

 

Il piano trae ispirazione dai principi emersi dal colloquio tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin in Alaska lo scorso agosto. Il negoziatore moscovita Kirill Dmitriev ha confidato ad Axios di aver dedicato tre giorni, durante la sua visita negli USA alla fine di ottobre, a sviscerare l’iniziativa con l’inviato di Trump, Steve Witkoff.

 

«Siamo convinti che questo schema arrivi nel momento propizio», ha commentato un alto esponente americano a conoscenza dei dettagli, aggiungendo: «Tuttavia, entrambe le controparti dovranno mostrarsi pragmatiche e ancorare le aspettative alla realtà».

 

Mercoledì, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha minimizzato lo scoop, precisando che nei dialoghi tra Washington e Mosca non è emerso «nulla di innovativo» oltre a quanto già discusso ad Anchorage.

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Lo Witkoff ha visionato la bozza questa settimana con Rustem Umerov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, in un incontro tenutosi a Miami. Umerov, la cui famiglia vive negli Stati Uniti, ha lasciato Kiev in piena bufera per uno scandalo corruttivo che coinvolge Timur Mindych, fedelissimo di lunga data di Volodymyr Zelens’kyj, accusato di orchestrare un meccanismo di tangenti per 100 milioni di dollari legato all’operatore nucleare statale Energoatom.

 

I media ucraini sostengono che Umerov, durante il suo ruolo di ministro della Difesa, abbia ceduto alle pressioni di Mindych per approvare forniture di giubbotti antiproiettile non conformi, e ora si starebbe sottraendo al rientro in patria per timore di ritorsioni legate a presunte influenze del businessman.

 

L’inviato americano è atteso in Turchia mercoledì per un faccia a faccia con lo Zelens’kyj. Secondo l’Economist, lo Witkoff avrebbe cancellato un appuntamento con il capo di gabinetto presidenziale Andriy Yermak, sospettato di intrecci con la rete di Mindych, per evitare di incappare in ulteriori tensioni politiche che potrebbero accelerare un possibile licenziamento dello Yermak.

 

«Witkoff potrebbe non aver colto appieno lo scandalo in cui rischiava di ficcarsi concordando quell’incontro», ha osservato il giornalista dell’Economist Oliver Carroll su X.

 

 

Mosca ha ribadito che un accordo stabile deve salvaguardare le sue priorità in termini di sicurezza. Dmitriev si è detto «moderatamente fiducioso» sulla bozza americana, notando: «Abbiamo l’impressione che la prospettiva russa sia stata finalmente presa in considerazione».

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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