Economia
I presidenti di Argentina e Brasile si incontrano per discutere di commercio senza dollari

Dopo una conversazione telefonica del 28 aprile, in cui hanno discusso della crisi finanziaria argentina e della necessità di una cooperazione bilaterale ampliata, il presidente argentino Alberto Fernández e il suo omologo brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, si sono incontrati a Brasilia discutere di come il Brasile potrebbe aiutare l’Argentina ad espandere il suo commercio con il Brasile, ma senza dover utilizzare nessuna delle sue scarse riserve in dollari.
Ciò comporterebbe che la Banca Centrale Brasiliana estendesse linee di credito alle società brasiliane per finanziare le loro esportazioni in Argentina e ricevesse pagamenti in pesos che sarebbero poi convertiti in real brasiliani in Brasile.
L’Argentina è in una terribile crisi finanziaria, avendo subito perdite per 20 miliardi di dollari di proventi delle esportazioni agricole a causa di una devastante siccità quest’anno, che ha causato un calo delle esportazioni di oltre il 40%.
Gli sforzi per convincere il FMI a offrire un prestito ponte di 5 miliardi di dollari, o per accelerare il pagamento di fondi che normalmente sarebbero effettuati in tre tranche da qui a dicembre, non sono andati da nessuna parte.
Il ministro delle finanze argentino Sergio Massa ha recentemente raggiunto un accordo con la Cina per pagare le importazioni da quel paese in yuan, per un importo di 1 miliardo di dollari, e secondo quanto riferito ha ottenuto un accordo dai funzionari bancari cinesi per aumentare l’attuale scambio di valuta da 5 miliardi di dollari a 9 miliardi di dollari in yuan.
È ritenuto quindi fondamentale consolidare un accordo con il Brasile, primo partner commerciale dell’Argentina, oltre a firmare una serie di accordi programmatici in discussione da mesi.
«Il presidente Fernández viene in Brasile per parlare della situazione economica dell’Argentina, quindi dobbiamo riceverlo e parlare» ha dichiarato il presidente Lula ai giornalisti al ministero degli Esteri.
Massa ha trascorso lo scorso fine settimana in una maratona di discussioni telefoniche e online con il ministro delle finanze brasiliano Fernando Haddad e il suo segretario esecutivo, Gabriel Galipolo, che hanno cercato di definire i dettagli su come il Brasile potesse offrire linee di credito a 210 società brasiliane che esportano beni e servizi in Argentina per facilitare il commercio non in dollari.
Questa non è necessariamente una questione semplice, tuttavia, come ha indicato Galipolo in un’intervista a TV GloboNews. «Quello che stiamo esaminando è come rendere possibile questo credito all’esportazione, date le restrizioni che esistono oggi sulla bilancia dei pagamenti dell’Argentina», ha detto.
Nessun dettaglio è stato rilasciato, al momento della stesura di questo documento, sui risultati dell’incontro odierno, a cui hanno partecipato anche i ministri delle finanze di entrambi i Paesi e i rispettivi staff, i ministri degli Esteri, Aloizio Mercadante, presidente della Banca brasiliana per lo sviluppo economico e sociale (BNDES) e altri funzionari di alto livello di entrambi i governi.
Secondo l’agenzia di stampa argentina Telam, dall’inizio di quest’anno ci sono stati 10 incontri formali tra funzionari argentini e brasiliani per esplorare alternative di finanziamento, oltre ad altri 18 incontri con rappresentanti di BNDES.
Come riportato da Renovatio 21, l’argentina in settimana aveva avviato il pagamento in yuan dei commerci diretti con Pechino; il Brasile aveva cominciato un mese fa. Nel 2021 la Banca Centrale Brasiliana aveva incrementato le riserve di valuta cinese.
L’Argentina l’anno passato ha proposto la sua candidatura per entrare nei BRICS.
Anche la Malesia, l’Indonesia, l’India e il Bangladesh stanno conducendo operazioni di sganciamento dal dollaro, il cui declino è stato ammesso dalla stessa presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde durante uno scherzo telefonico fattole da una coppia di burloni russi. Hanno aperto a scambi in yuan il Brasile, la Russia, l’Iraq e – dato molto rilevante per la storia e gli interessi USA – l’Arabia Saudita, che ha pure confermato a Davos i suoi piani di uscita dal petrodollaro.
La de-dollarizzazione è oramai inevitabile.
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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