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Satira

I partiti che non voteremo

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A pochi minuti dal silenzio elettorale, ci teniamo un’ultima puntualizzazione su questa incredibile, indecente, disperante tornata democratica.

 

Si tratta del sentire personale di Renovatio 21, e niente di più di questo. Non sono in alcun modo indicazioni di voto, e nemmeno, se leggete fino alla fine, di non-voto.

 

Non vogliamo dirvi cosa votare. Vi diciamo semplicemente cosa non voteremmo, e forse non voteremo, noi. E perché.

 

Avevamo pensato in questi mesi di scrivere un bestiario elettorale. Non abbiamo avuto il tempo, e ad una certa ci è sparita anche la voglia.

 

Quindi, prendete quanto segue anche come satira, la satira elettorale che non siamo riusciti a fare finora. OK?

 

Bene. Allora.

 

 

Non voteremo Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, per tutti i motivi che su questo sito abbiamo già spiegato più volte.

 

Ribadiamo che sugli unici temi fondamentali per cui dovrebbero farci votare, cioè la Russia e lo Stato biosecuritario di vaccino e green pass e piattaforma di controllo digitale, FdI e PD stanno sulle stesse posizioni. L’idea, proposta da qualcuno, per cui potrebbero perfino governare insieme, garante Draghi, non è fantascienza per niente.

 

FdI è pure evanescente sulle questioni morali, come l’aborto. L’ultima è l’arrivo di una candidata meloniana con pedigree pro-vita, quantomeno sulle etichette autoappostesi, che sostiene in un’intervista a Il Giornale che «non avrebbe alcun senso né risultato» chiedere l’abolizione 194. È la posizione che conosciamo.

 

Temiamo, soprattutto, che il governo della Meloni possa essere il governo della repressione, perché il gelido inverno causato dalla NATO vedrà proteste anche in Italia come in tutta Europa.

 

Non voteremo FdI perché ricordiamo cosa accadde esattamente un anno prima delle elezioni, il 25 settembre 2021, in piazza Duomo a Milano: la Meloni fece un comizio con transenne e celerini che la proteggevano dai no green pass che, come ogni sabato, si ritrovavano per la protesta proprio lì – a migliaia e migliaia.

 

Invece che strizzare vagamente l’occhiolino da capa dell’opposizione verso un’opposizione di strada enorme (fatta, ricordiamolo, di voti che forse erano pure alla sua portata) Giorgia andò via, e rimasero solo tensioni tra i no green pass da una parte e poliziotti e qualche attivista FdI dall’altra.

 

 

Come ci hanno scritto alcuni lettori allora presenti in loco, la scena diceva già allora già tutto.,

 

Non voteremo Forza Italia, anche se voteremo per Berlusconi, che da Vespa ha avuto il coraggio di lanciare delle verità sull’Ucrainameno male che Silvio c’è»). Purtroppo, votare Forza Italia significa votare la Ronzulli, Tajani, etc. Capite bene che per noi è impraticabile, pure se ci piacessero il partito e le cose che ci girano intorno.

 

Non voteremo Movimento 5 Stelle, perché, tipo, il fondatore di Renovatio 21 ci ha dato un po’ di argomenti per non farlo in un librone pubblicato otto anni e mezzo fa. Quindi, non perdiamo tanto tempo a spiegarci qui…

 

Non voteremo Calenda-Renzi, e ci viene anche un po’ da ridere a scriverlo, ma per completezza lo facciamo.  Di Calenda vi abbiamo parlato in un articolo di qualche settimana fa, quello sul phantom pain, «dolore dell’arto fantasma», cioè sull’amputazione del Parlamento che non si sa più cosa rappresenterò. Di Renzi invece non parliamo, e immaginate perché.

 

Non voteremo PD, e ci rendiamo conto che il lettore a questo punto può ridere forte, ma ci tocca di dirlo, quanto meno per ricordare il fatto che Renovatio 21 ritiene che l’unica liberazione possibile per questo Paese sia la depiddificazione. Il PD è la forma più avanzata dell’amalgama dello Stato-partito, e in congiuntura che le sue cooperative e con gli spezzoni di sistema con cui si è fuso forma quello che Gramsci chiamava «blocco storico», un tappo infinito che strangola la vita di questo Paese.

 

 

Poi ci sono tutti i partitini anti-sistema che avevamo descritto in quell’articolo, Gatekeeper e Houserunner, scappati di casa e infiltrati.

 

La lista è corposa.

 

 

Non voteremo Paragone e Italexit, per una lunga serie di motivi, il primo dei quali è che mai e poi mai possiamo votare un ex grillino, soprattutto se riesce a passare dalla Padania alla RAI a La7 al Senato grillino. Carriera davvero notevole.

 

Il dottor Vanni Frajese, figlio della psichiatra Dina Nerozzi (autrice cattolica e traduttrice di importanti testi sul gender) e nipote del mitico giornalista RAI Paolo Frajese, ci sembra una brava persona.

 

Non abbiamo tuttavia grande ammirazione per le doti politiche di personaggi come la vicequestore Nunzia Schillirò e per l’opera di un Puzzer, sul quale abbiamo scritto abbastanza nei periodi in cui il canto «la gente come noi» ammorbava tutti, compreso Paragone, che proprio mentre intonava sorridente il ritornello fu contestato dalla piazza di Trieste.

 

Ai misteri sui siti di Paragone, a tutte le voci che circolano, ai suoi accorati elogi a Di Battista e a Casaleggio, non vogliamo nemmeno pensare.

 

 

Non voteremo Italia Sovrana e Popolare, anche se i dottori Gulisano e Giovanardi (il gemello buono che ha curato mezza Modena e oltre) sono degli ottimi candidati.

 

Non voteremo questo partito perché non ci è chiara esattamente la storia e la composizione della dirigenza: c’è nel percorso tutta una serie di storie diverse, movimenti meridionalisti, movimenti fatti con massoni dichiarati, formazioni con nomi di partiti spagnuoli, e in mezzo pure Fusaro, almeno per un po’. È un po’ difficile chiedere a noi di votare una cosa così.

 

Se in più ci aggiungiamo che dentro ci sta Rizzo, che potrebbe aver scoperto che con i no-vax magari tra un po’ si potrebbe arrivare pure a riportare sulla scheda elettorale la falce e il martello (e giù scongelamento di voti di pensionati nostalgici a Sesto San Giovanni, Mestre, Mirafiori, l’Emilia tutta)… Avevamo estrema simpatia per Rizzo, nonostante la storia del suo governo dietro al bombardamento NATO della Serbia nel 1999, tuttavia non è che possiamo fare a meno di chiederci dove sia stato in tutti questi anni in cui affrontavano la legge Lorenzin e ogni altra follia inflittaci.

 

Se poi aggiungiamo che nel gruppone c’è anche Ingroia, diciamo che il voto diventa non irresistibile, nonostante l’ideona di candidare una 95enne, Gina Lollobrigida, che però ha avuto modo di conoscere Fidel Castro.

 

 

Non voteremo il Partito di Adinolfi, perché siamo stati inondati di screenshot dei lettori che ci mostrano che erano d’accordo con il green pass, e poi sul logo adesso hanno scritto no green pass.

 

Il partito si chiama APLI che sarebbe tipo Alternative fuer Deutschland ma all’amatriciana, Alternative fuer Italien. Tuttavia ci rendiamo conto che c’era pure un altro gruppo, pare di ex grillini, che si chiama «Alternativa», quindi ad un certo punto avevamo anche noi, come Mentana, fatto confusione. Colpa nostra.

 

Dobbiamo dire che la parte del neopartito che viene da Casa Pound nel 2018 ci sembrava aver detto in campagna elettorale cose sensatissime, grandiose, come un progetto concreto sulla Libia. A fine luglio abbiamo invece letto l’intervista al La Verità: «Sull’aborto, lui [Adinolfi] chiede l’abolizione. Io preferirei combatterlo dinsincentivandolo…». Tutto questo in un partito che doveva, in teoria, essere fatto di cattolici, per la famiglia, per la vita, etc. Pazienza, conosciamo la solfa: è quella di sopra, è quella della gerarchia cattolica, è quella di tutta la politica…

 

Non è chiaro in quante circoscrizioni sia presente il partito. Al di là di quello, sulla mossa di candidare una persona legata al centro LGBT Cassero ci stiamo ancora interrogando.

 

Ammettiamo anche che non riusciamo a capire esattamente a volte di che parli Adinolfi, per esempio ci hanno inviato un video, non sappiamo di quando, in cui lo si vede mentre si riprende a fare il bagno in piscina di notte, dice di votare Partito della Famiglia, parla di Elodì – che crediamo sia una cantante, ma non siamo sicuri – aggiunge cose che immaginiamo ci sfuggono perché non seguiamo né la TV né i social, ma potremmo sbagliarci.

 

 

Infine, non voteremo Lega Nord, infine, per il solo motivo che anche solo per aver tentato di fare davanti a qualcuno il discorsetto –  Salvini è l’unico che pare comprendere, anche se poi fa subito due passi indietro e cinque dichiarazioni pro-Zelens’kyj, che le sanzioni alla Russia sono la morte dell’Italia e dell’Europa – siamo stati aggrediti, azzannati, graffiati, urlati, rincorsi.

 

E a ragione. La Lega ha votato il green pass e tutto il resto, la Lega ha cagionato il licenziamento e il dolore di masse immani di persone come noi, magari pure loro elettori.

 

Come si può votare qualcuno che è stato con Draghi? Massì, gli insulti e i morsi ci stanno.

 

Abbiamo terminato la lista. Di altri partitelli da non votare non abbiamo contezza, e anche se l’avessimo ora non abbiamo più voglia.

 

E quindi, come diceva Lenin, «che fare»?

 

Non andare a votare?

 

Macché. Queste sono solo opinioni personali, che valgono solo per chi scrive.

 

Sappiamo bene che tra i lettori si nascondono moltissimi feticisti del voto.

 

L’autorità che emana la tessera elettorale, uscita dalla naftalina una volta l’anno o poco più.

 

I tabulati con i candidati da scrutare lungamente, leggendo tutti i nomi, cognomi e soprattutto date e luoghi di nascita.

 

Il rumore del matitone sulla carte mentre si traccia la X, con la percezione tattile del legno ruvido appena sotto.

 

Le schede con quel design colorato immortale, incomprensibile, finanche fastidioso.

 

Il tizio a caso che quando inserisci la scheda nello scatolone dice «Pinco Pallo ha votato», così, in terza persona, mentre ti ha lì davanti.

 

Non privatevi di queste piccole gioie, anche se qualcuno le giudica perversioni.

 

Votate, non votate, fate quel che vi aggrada. Votate chi volete.

 

Alla fine, quest’anno più che mai, vale l’immagine insuperabile che del voto diede Fantozzi.

 

 

Ecco. Occupato.

 

Ricordatevi di tirare lo sciacquone. Fatelo per la decenza, la Democrazia e la Civiltà.

 

In giro ce n’è pochissime.

 

 

 

Animali

Le orche di Gibilterra affondano una barca a vela. È ora di dire basta

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Un gruppo di orche ha assalito e affondato uno yacht turistico con cinque persone a bordo al largo delle coste portoghesi, nei pressi della spiaggia di Fonte da Telha, a sud di Lisbona.

 

L’episodio, riportato dal giornale britannico The Independent, si è verificato sabato scorso. I cinque occupanti sono stati tratti in salvo da un’altra imbarcazione prima che lo yacht affondasse. Un video condiviso su Instagram da Mercedes-Benz Oceanic Lounge mostra un’orca che colpisce ripetutamente lo yacht, causandone l’inclinazione e l’affondamento, mentre un testimone esclama «Mio Dio».

 

Poche ore dopo, lo stesso branco, noto per le ripetute aggressioni di questi anni attacchi nei pressi di Gibilterra, ha attaccato un’altra barca nella baia di Cascais, con quattro persone a bordo, anch’esse soccorse senza riportare ferite. Dal 2020, centinaia di attacchi simili da parte di orche sono stati registrati vicino alla penisola iberica.

 

Due settimane fa, in Galizia, due imbarcazioni sono state assalite a breve distanza di tempo da una coppia di orche, appartenenti allo stesso branco guidato dalla famigerata orca femmina nota come «White Gladis». Le agenzie stampa scrivono in coro che «gli etologi» suggeriscono che questo comportamento possa essere di natura imitativa o una «reazione difensiva dovuta a un trauma».

 

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L’Autorità marittima nazionale del Portogallo ha dichiarato di aver ricevuto un avviso alle 12.30 «a causa di un’interazione con le orche (…) Gli equipaggi della stazione di salvataggio di Cascais e della Capitaneria del porto di Lisbona sono stati immediatamente attivati».

 

«Una volta giunti sul posto, si è constatato che l’equipaggio stava bene fisicamente, senza aver bisogno di assistenza medica, essendo stato trasportato con l’aiuto di una barca turistica nelle vicinanze».

 

Una nave di soccorso marittima spagnola è intervenuta dopo che le imbarcazioni sono state speronate dalle orche a pochi minuti di distanza l’una dall’altra nelle acque della Galizia. I soccorritori hanno rimorchiato in porto la nave danneggiata dalle orche prima di essere allertati di un altro attacco.

 

Da maggio 2020, i ricercatori hanno documentato centinaia di episodi – almeno uno al giorno! – di orche che attaccano proditoriamente vascelli umani nei pressi della penisola iberica, dando vita a diverse teorie e ricerche sull’aumento di questa tendenza comportamentale. Gli attacchi in genere prevodono il distacco del timone da parte delle orche, che poi procedono a danneggiare lo scafo.

 

L’ignominia dell’accademia e dei dei mezzi di stampa, che cianciano di una banda capitanata dall’orca matriarca chiamata «White Gladis», la quale sarebbe stata traumatizzata, non conosce né pudore né vergogna. La teoria dell’Orca cattiva perché offesa dagli uomini non solo non può avere alcun fondamento, ma viene ripetuta dalle agenzie come ennesima riprova della propaganda antiumana automatica, della Necrocultura di default promanta senza posa dalle centrali del mondo moderno.

 

 

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E quindi, eccoci ancora qui: danni per milioni di euro ed esseri umani messi in pericolo dalla torma delle killer whales iberiche.

 

Renovatio 21, che è l’unica testata che – con ostinazione, tra le proteste e pure gli insulti di tanti lettori (che non capiscono il senso metapolitico né comico di quanto andiamo scrivendo) – sta da anni veramente seguendo il fenomeno, dice ancora una volta: è il momento di dire basta.

 

La teppa orcina di Gibilterra troppo a lungo è stata tollerata. Alla ghenga di cetacei bianconeri va insegnata la legge dell’essere, che altri animali (compresi alcuni della loro stesse specie), comprendono benissimo: l’essere umano, fatto ad Imago Dei, è in cima alla piramide della vita, e non può essere toccato.

 

Una punizione severissima, se non la pena ultima, va comminata a questa mafia balenottera. Del resto, riflettetici: cosa si fa ad un cane «problematico»… ? Perché i cetacei –  nonostante ripetute prove della loro pericolosità e delle loro sadiche perversioni cannibaliche, drogastiche, vestimentarie, scatologiche e sessuali – godono di questo status di razza protetta? In India c’è la vacca sacra, perché nell’Occidente terminale deve esserci il delfino sacro?

 

Uno Stato serio provvederebbe subito a risolvere il problema. Un’appalto una bella baleniera giapponese, un gruppetto di islandesi o abitanti delle isole Fær Øer, «un paio di pinze ed una buona saldatrice», direbbe il Marcellus Wallace di Pulp Fiction. «Cura medievale» per le balene assassine, e sgherri con le nocche tatuate ACAB, nel senso del capitano di Moby Dick (pazienza se manca un’acca).

 

Se l’Unione Europea avesse un senso, prenderebbe subito provvedimenti, visto che ad essere in pericolo sono i suoi cittadini. Diciamo di più: se uno Stato non protegge i suoi membri (che ne rispettano le leggi e lo finanziano pure con tante, troppe tasse) a cosa serve davvero? Ecco: benvenuti nel paradosso dello Stato moderno, denunziato ogni giorno da Renovatio 21, una macchina programmata per umiliare ed uccidere gli esseri umani invece che per proteggerli.

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Perché uno Stato degno davvero di chiamarsi così, avrebbe già mandato un sommergibile (che attualmente non fanno nulla, se non muoversi negli abissi nella battaglia navale virtuale con i russi, con i quali nemmeno siamo in guerra, ufficialmente). Due siluri e il problema è bello che risolto. Provino, le orche assassine e stronze, ad affondare un sottomarino militare. Provino

 

Come indicato da Renovatio 21, un’idea di quello che si può fare dopo che la punizione della combriccola di mammiferi acquatici ce lo indica un ristorante di Yokohama. Sì, un bel pranzetto celebrativo a base di orca non è una prospettiva impossibile.

 

Anzi un banchetto in cui le orche non sono invitate sulle sedie, ma sui piatti, è auspicabile come deterrente non di poco conto: visto l’esibizionismo mostrato in un recente episodio al largo di Mossel Bay, in Sudafrica, dove un’orca ha aggredito uno squalo bianco per mangiarne il fegato dinanzi ai ricercatori, si potrebbe pensare una bella barchetta con tavolata, come di quelle che si vedono a Venezia la sera della Festa del Redentore, a consumare davanti alle stesse orche lasciate vivere le carni dei loro compagni di scorribande. Dicono che sono così intelligenti: ecco, allora potrebbero capire, e passare parola. Con gli esseri umani non si scherza. Chi tocca il figlio di Dio, viene punito.

 

Facciamo capire alla schifosa masnada pinnata chi comanda. È più che un imperativo metafisico e biologico, è una questione politica. Politica comunitaria vera e propria: della Comunità Europea, e della comunità umana.

 

È ora di dire basta. No alla prepotenza cetacea. Sì all’eccezionalismo umano.

 

Botte alle orche, per la legge naturale.

 

Roberto Dal Bosco

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Satira

La rete impazzita per Greta trasformata in He-Man

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Greta Thunberg, passionaria un tempo giovanissima della causa climatica, è ora alle prese con un oceano di lazzi scatenatisi in rete per il look esibito nelle ultime sue apparizioni.   La ragazza, ora in forze alla protesta nautica (motorizzata a combustibile fossile) della flotilla pro-palestinese, ha scioccato tutti con un taglio di capelli conosciuto tecnicamente come pageboy («taglio da paggio» medievale) che a molti ha ricordato un personaggio dello cartone Shrek, il principe Farquaadd. Ai più, tuttavia, ha ricordato un altro personaggio dei disegni animati, He-Man, il protagonista della serie anni Ottanta Masters of the Universe.  

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La Greta, evidente strumento mondialista che anni fa smuoveva (con il consenso dei governi!) milioni di studenti per i gli scioperi del «venerdì climatico» e parlava all’ONU («how dare you…») arrivando sulla barca a vela «Malizia II» con il principe (quello sì, tipo) monegasco marito della giornalista santoro-travagliana Isabella Borromeo, ora a ridotta a zimbello della rete, con la piattaforma X eretta a quartier generale degli zimbellatori, che zimbellano come non ci fosse un domani.   È un fiume zimbellante inarrestabile. He-Greta è realtà.      

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Tuttavia, molti sono offesi al riferimento, magari pure involontario, al biondo personaggio della Mattel. Parlare di He-Man significa toccare l’infanzia di tanti individui della generazione X.   Lo stretto collaboratore di Renovatio 21 Francesco Rondolini, possessore di un copia originale del Castello di Greyskull (così come un altro tizio che scrive per la testata, che se lo porta dietro da quando aveva otto anni, quello e pure la Cittadella del Serpente) ci fa sapere tutta la sua indignazione: «non è giusto, ma come si permette… giù le mani da He-Man, giù le mani dai Masters, i pupazzi della nostra infanzia».   Al culmine dell’ira funesta, Francesco ci manda pure un video di pochi secondi della sua collezione: un grattacielo impressionante di concrezioni in plastica di fantasie antiche. Lo He-manno è visibile all’ultimo piano della teca, dove, evolianamente, cavalca la tigre.  

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Pupazzi che citano pupazzi, la vertigine socio-metafisica sale di brutto.   Non si tratta del primo assalto che i fan del biondo forzuto devono subire. Anni fa è emerso l’interesse delle torme omotransessualiste, che hanno tentato di trasformare l’eroe del pianeta Eternia in un’icona gay, con saggi accademici sul sottotesto omoerotico del cartone e continui meme sui sul suo rapporto con altri muscolosi personaggi, incluso il perfido deutoragonista Skeletor.     He-Man si traduce letteralmente come «lui-uomo», e forse è questo che attrae la popolazione gaia, che con la figura del maschio, secondo un certo pensiero psicanalitico, ha un rapporto incompleto – da qui la passione per ruoli in teoria molto maschili, come quelli dei Village People: il poliziotto, l’indiano, il pompiere, il marinaio… etc.   Sappiamo dell’esistenza dei «Bear», gli «orsi», un sottogruppo di omosessuali il cui ideale erotico è l’uomo grande, grosso, villoso: in pratica Babbo Natale. Un’ammissione implicita, secondo la teoria psicologica (da Sigismondo Freud alla cosiddetta terapia riparativa di Joseph Nicolosi) proibita e censuratissima, dei problemi del rapporto con la figura paterna, che è stata troppo debole o assente…   E Greta cosa c’entra? in effetti sembra un po’ mascolina nelle foto, ma non sappiamo nulla delle sue vere inclinazioni – questo gossip globalista ce lo hanno risparmiato, e ci saranno delle ragioni. Possiamo attaccare un paio di sinapsi, e ricordare che il transessualismo, secondo sempre più studi, pare correlato allo spettro autistico, e ci era stato detto che la ragazzina era Asperger: ma sono illazioni, e siamo convinti che la diagnosi psichiatrica spiattellata urbi et orbi possa fare parte del trend globale, partito da Hollywood diversi anni fa, di glamourizzare l’autismo, visto che la sua crescita è inarrestabile almeno quanto l’ascesa dei vaccini e dei loro obblighi.   Ci colpisce, tuttavia, nella foto che sta facendo il giro della rete, qualcos’altro. L’icona climatico-oligarchica, schiena leggermente curva e gambette un po’ piegate, sembrerebbe infatti come spingere con le budella, uno sforzo che taluni ritengono possibile leggerle pure in volto. Come mai? Non è che…  

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Ricordiamo che certi gas organici, nella narrazione climatista, sono il grande nemico da abbattere: i peti prodotti dalla civiltà che si alimenta a carne bovina, sostengono gli scienziati, sono la causa della catastrofe ambientale in atto – e di qui ai progetti eccezionali, spesso ben finanziati da Gates, come quelli per i tecno-pannoloni anti-scureggia per le mucche…   Anche di questo aspetto della nuova incarnazione pro-pal (dopo essere stata pro-Ucraina, ovvio) della svedese non abbiamo lumi, e non ci interessa nemmeno: anche perché, viste certe conferenza stampa in cui faceva scena muta, non siamo sicuri che se glielo chiedessimo saprebbe risponderci.   Il campione catodico laico (diciamo così) Piero Angela diceva che la prima vera Greta Thunberg che aveva conosciuto portava i baffi e si chiamava Aurelio Peccei – vero, grande signora della Necrocultura depopolazionista, vero e proprio inventore, committente dell’ambientalismo moderno.   Ecco, un bel suggerimento: la prossima volta, Greta, vai con i baffoni. Magari la gente ride meno.

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Immagine screenshot da YouTube; modificata  
       
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Satira

Auguri e figli gender

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Accade a Padova, provincia del Veneto bigotto e benpensante, di sani e robusti principi morali e costituzionali. Un assessore (assessora, cioè), che ha appena dato alla luce una creatura, è riuscito/a a fare della propria riproduzione una notiziona planetaria grazie a una spontaneissima trovata: il superamento del fiocco monocromatico. Niente più rosa, niente più celeste, ecco il fiocco arcobaleno, tinto dell’ineffabile iride omotransessualista. 

 

L’assessoressa, che porta l’impegnativo cognome di Colonnello (da cui possibili cortocircuiti istituzionali dal sapore golpista: «assessore colonnello», anzi «assessora colonnella»), lo aveva già annunziato al Gay Pride dello scorso 31 maggio, cui aveva partecipato, cinta con la bandiera della gaiezza a mo’ di pareo, insieme al suo concittadino sempre sul pezzo, l’onorevole Zano.

 

«Mio figlio o figlia non avrà un fiocco rosa o azzurro per indicare il sesso bensì arcobaleno, simbolo di inclusione e di libertà». Ed eccallà. La stampa riporta strafelice che l’assessore colonnello è stato di parola: accanto alla puerpera – si può dire, puerpera? – compaiono cinque (perché cinque? c’è qualche numerologia simbolica LGBTina che ci sfugge?) coccarde arcobalenate.

 

 

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Nihil novum sub sole: la pratica lungimirante di delegare al diretto interessato la libera scelta del proprio sesso è inveterata tra le star hollywoodiane, e perché mai un’assessor* piddina non dovrebbe conformarvisi.

 

Evvi tuttavia qualche ragionamento da farsi riguardo al nome scelto per la creatura. Molto gettonato per chi programma la neutralità sessuale della prole è Andrea, perché in effetti basta varcare la soglia della provincia autonoma di Bolzano e Andrea diventa femmina. Invece, secondo le cronache, al piccolo colonnello è stato imposto (quale inaccettabile prepotenza!) il nome di «Aronne». Biblica nomea, all’apparenza, tutta maschile. Come si concilia con l’arcobaleno? Ma dove è poi finita la strombazzata libertà del neonato? 

 

E perché non Aronnə con lo schwa? Capiamo che non è facile trovarlo sulla tastiera, ma si poteva allora optare per Aronn*, in attesa dell’autodeterminazione onomastica del pargolo (a che età? E se poi strada facendo cambia idea?). Ancora meglio, considerando gli ingombri delle lettere, sarebbe stato un «Aaronn*», con quella doppia «a» davanti che può arricchirlo di un effetto di stupefazione. Con lo stesso numero di lettere, ad una certa, la «a» in eccedenza a inizio parola potrebbe essere trasportata infine, come desinenza: vi presento Aronna. A meno che, ora che ci pensiamo, Aronne non sia stato scelto già come termine femminile, ma plurale: le Aronne. Sappiamo che in effetti per qualche ragione il genderismo anglofono consiglia l’uso di pronomi plurali (they/them) per le persone cosiddette «non binarie», o meglio per chi vuole.

 

Ragionandoci su, ci rendiamo conto però che si tratta di problemi inesistenti: con la sfolgorante carriera della carriera alias per tutti, qualsiasi studente può cambiare nome al volo, e pretendere di farsi chiamare col nuovo nome da tutta la scuola anche senza passare all’anagrafe. Che poi, pure il passaggio all’anagrafe per il cambio (di sesso, di nome, etc.) non è che sia cosa difficile: si può già fare, senza bisogna di castrazioni o chirurgie plastiche, in tanti Paesi, come la vicina Svizzera, o la Germania, dove si può fare una volta l’anno, da cinque anni in su. In futuro si potrà fare, molto presumibilmente, più volte. Lo si farà, se non lo si fa già, via internet, dal telefonino, con la app.

 

Insomma: perché mai, a questo punto, intraprendere quello sforzo indicibile che è la scelta del nome per la creatura (mettendo insieme gusti, statistiche, date, santi, faccia) quando questa può sceglierselo democraticamente in autogestione più in là? Se può scegliersi il sesso, perché non può scegliersi il nome?

 

Facciamo ufficialmente una proposta seria allo Stato moderno: ma perché mai dare nomi ai bambini, che poi magari non sono quelli che vogliono? Non sarebbe molto più facile assegnare loro un codice numerico, e via? Ad una certa, potranno sbloccarlo, come si fa quando si sceglie la password di un nuovo account dopo quella provvisoria iniziale, e piazzarci l’appellativo che vogliono, magari pure capolavori di digitazione come X Æ A-12, l’eccezionale, battaglianavalesco nome del figlio di Elone e dell’allora concubina cantante.

 

Si immagini la dolcezza sottesa alla nostra proposta: «THX1138, è pronta la cena!». A emettere l’annuncio qui, ovviamente, non è la madre, ma il genitore 1, oppure quello 2.

 

Havvi, infine, da farsi una considerazione riguardo al passare del tempo e dei costumi – o tempora, o mores, direbbe Ciceron* – con i relativi rischi: se a uno scappa «auguri e figli maschi», in quali conseguenze incorre? Denunzie? Rieducazioni? Deportazioni? Torture? Sostituzione coatta del nome anagrafico?

 

Che non sia il caso di conformare tutti al mondo nuovo? Suggeriamo all’onorevole Zan* di prendere spunto dal lieto evento che lo vede coinvolto per presentare un veloce disegnino di legge – un articoletto e via – per istituire, come unico auspicio proferibile a chi ancora si ostina a fare i figli con l’utero senza sesso predefinito, «auguri e figli gender». 

 

Roberto Dal Bosco

Elisabetta Frezza

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