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Geopolitica

I jihadisti raggiungono la periferia di Damasco. Assad è fuggito?

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Gruppi jihadisti in Siria hanno raggiunto la periferia di Damasco nell’ambito di un’offensiva in rapida evoluzione che ha travolto alcune delle più grandi città della Siria, ha scritto sabato l’Associated Press, citando i leader dell’opposizione e un comandante islamista.

 

La presidenza siriana ha smentito le voci secondo cui il presidente Bashar Assad avrebbe lasciato Damasco, aggiungendo che falsi resoconti della sua partenza dalla capitale siriana sono stati diffusi da organi di informazione stranieri nel tentativo di «ingannare e influenzare» la popolazione del Paese. Tuttavia, video non verificati di questi ultimi minuti mostrerebbero i miliziani islamisti entrare nei palazzi presidenziali e il primo ministro del Paese si sarebbe detto pronto a lavorare con gli insorti.

 

Con i jihadisti di Hayat Tahrir-al-Sham (HTS) e altre forze antigovernative che si sono spostate verso sud dalle province di Aleppo e Idlib nell’ultima settimana, l’esercito siriano si è ritirato ripetutamente dalle roccaforti chiave, tra cui Aleppo, Hama e diverse città a nord di Homs, nel tentativo di ristabilire le linee difensive e trattenere l’avanzata dei terroristi.

 

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Secondo l’agenzia Associated Press, sabato elementi terroristici avrebbero sfondato queste linee e raggiunto la periferia di Damasco: è la prima volta dal 2015 che i jihadisti invadono la capitale.

 

 

Mentre HTS avanzava rapidamente, l’ufficio della presidenza siriana ha annunciato sabato che «alcuni media stranieri stanno diffondendo voci e false notizie sul fatto che il presidente Bashar al-Assad stia lasciando Damasco o facendo rapide visite in un paese o nell’altro».

 

«La presidenza della Repubblica araba siriana nega tutte queste voci e sottolinea i loro palesi obiettivi e conferma che non sono una novità, ma piuttosto che questi organi di stampa hanno già seguito questo schema di tentativi di fuorviare e influenzare lo Stato e la società siriana nel corso degli ultimi anni di guerra», continua la dichiarazione.

 

Assad sta ancora svolgendo i suoi «doveri nazionali e costituzionali dalla capitale, Damasco», ha concluso.

 

In un articolo che cita fonti anonime, ieri il quotidiano britannico Telegraph ha affermato che la famiglia di Assad era fuggita in Russia e che non era «chiaro» se il presidente stesso sarebbe rimasto in Siria. Molteplici fonti occidentali hanno affermato che Egitto e Giordania stanno esortando Assad a fuggire dal Paese e a istituire un governo in esilio.

 

Riguardo ad Assad, il New York Times nelle ultime ore ha scritto che «aumenterebbero le prove che sia fuggito». Tuttavia, «Sebbene i ribelli abbiano affermato che il signor al-Assad se n’era andato, la loro affermazione non ha potuto essere verificata in modo indipendente e non si sa dove si trovi».

 

«La principale coalizione ribelle ha annunciato domenica sul suo Telegram di aver preso Damasco e che le forze siriane si stavano ritirando» scrive il NYT. «Il primo ministro della Siria, Mohammad Ghazi al-Jalali, ha detto che sarebbe rimasto nel Paese ed era pronto a lavorare con chiunque i siriani avessero scelto di guidarlo. Le sue dichiarazioni non hanno potuto essere immediatamente verificate».

 

«Il principale gruppo ribelle ha affermato che avrebbe lavorato con il signor Ghazi e ha invitato le forze militari a Damasco a tenersi lontane dalle istituzioni pubbliche, che, ha affermato, rimarranno sotto la supervisione del signor Ghazi fino a quando non saranno formalmente consegnate».

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Guidata da un ex comandante di Al-Qaeda e precedentemente nota come Jabhat al-Nusra, HTS era una delle numerose fazioni jihadiste che si opponevano al governo di Assad durante la guerra civile siriana. HTS avrebbe interrotto i legami con Al Qaeda nel 2016, ma gli Stati Uniti continuano a considerarla un’organizzazione terroristica.

 

Mentre i ribelli avanzano, stanno prendendo il controllo di molte delle famigerate prigioni in cui il regime di Assad ha imprigionato, torturato e giustiziato prigionieri politici per decenni. I video che emergono dal nord di Damasco mostrano gruppi di uomini che camminano per le strade della città di notte, presumibilmente dopo essere stati liberati dalla prigione di Sednaya, che i ribelli hanno preso secondo testimonianze di osservatori.

 

Un video in live streaming su Instagram dal centro di Damasco mostra una scena di festa mentre le forze islamiste entrano in città. Le persone fuori dal Dar al-Assad Center for Culture and Arts hanno calpestato immagini in fiamme del presidente Bashar al-Assad e hanno tentato di rovesciare una statua di suo padre, l’ex presidente siriano Hafez al-Assad. Non sono riusciti a rimuovere la statua, ma hanno lasciato un bidone della spazzatura sulla sua testa.

 

Una statua di Assad padre era stata tirata giù ieri ad Hama, altra città chiave presa dai terroristi nelle scorse ore.

 

Tra tripudi di «Allahu akbar» e colpi di kalashnikov sparati in aria, le statue del fondatore della Repubblica baathista stanno venendo tirate giù in tutto il Paese.

 

 

 


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In una chiara manifestazione degli equilibri geopolitici e religiosi in giuoco, sono state attaccate anche effigi di sciiti come i defunti Nasrallah e Soleimani.

 

 

Un video non verificato che circola in questi minuti mostrerebbe miliziani islamisti dentro la residenza presidenziale.

 

 

 

Nel frattempo, filmati non verificati mostrano reazioni di giubilo in Turchia.

 

 

Assad aveva giurato di «eliminare» i jihadisti che stanno imperversando in Siria e di punire i loro «sponsor e sostenitori». Aerei da guerra russi e siriani hanno effettuato attacchi aerei quasi costanti contro le posizioni di HTS da quando è iniziata l’offensiva terroristica la scorsa settimana, uccidendo decine di militanti a nord di Homs sabato, secondo l’agenzia statale siriana SANA, che ha affermato che 2.500 jihadisti sono stati uccisi dall’inizio di dicembre.

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Geopolitica

Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che gli USA potrebbero avviare «molto presto» operazioni terrestri contro presunte reti di narcotraffico collegate al Venezuela, dopo aver quasi completamente interrotto i flussi di stupefacenti via mare. Caracas ha respinto con forza ogni accusa di legami con i cartelli della droga.   Parlando venerdì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha annunciato che il traffico di droga marittimo legato al Venezuela è calato del 92%, sostenendo che le forze americane stanno «eliminando la droga a livelli mai visti prima». «Abbiamo bloccato il 96% degli stupefacenti che arrivavano via mare», ha precisato, per poi aggiungere: «Presto le operazioni inizieranno anche sulla terraferma».   Il presidente statunitense non ha tuttavia fornito indicazioni su eventuali obiettivi o sull’estensione di tali azioni.   Da settembre le forze USA hanno intensificato sensibilmente la presenza militare nei Caraibi e nel Pacifico orientale, conducendo oltre 20 interventi contro imbarcazioni sospette di traffico di droga e causando la morte di decine di persone. Trump ha affermato che queste operazioni hanno salvato decine di migliaia di vite americane, impedendo l’ingresso di narcotici nel Paese.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sempre rigettato le accuse di Trump su presunti rapporti tra Caracas e i narcocartelli, sostenendo che Washington utilizzi la campagna antidroga come pretesto per destabilizzare e rovesciare il suo governo.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.   Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.   Questa settimana le autorità statunitensi hanno sequestrato anche la petroliera Skipper al largo delle coste venezuelane, una nave cargo che secondo gli USA trasportava petrolio dal Venezuela e dall’Iran. Le autorità di Caracas hanno condannato l’operazione definendola «furto manifesto» e «pirateria navale criminale».   Come riportato da Renovatio 21, nel frattempo, la Russia – da tempo alleata stretta del Venezuela – ha rinnovato pubblicamente il suo sostegno a Maduro. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio appoggio alla ferma determinazione del governo Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne». I due leader hanno inoltre confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico siglato a maggio.   Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.  

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Geopolitica

La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».

 

In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.

 

Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».

 

«Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».

 


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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.

 

Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.

 

Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».

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Geopolitica

Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.   In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».   Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.  

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.   In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.  

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».   Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».  

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