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Gender

I detenuti transessuali continuano ad aggredire sessualmente le detenute nelle carceri americane

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Continuano gli episodi di aggressioni sessuali nelle carceri femminili ad opera di transessuali. Lo riporta LifeSite.

 

Il quotidiano britannico Daily Mail riporta il caso di D.S.G., 66 anni e un ergastolo per aver derubato e ucciso gli anziani vicini negli anni Novanta, che racconta di aver iniziato a condividere una cella con il detenuto maschio transidentificato all’inizio del 2023 e che inizialmente i rapporti erano «davvero amichevoli». La situazione, dice, è cambiata quando divenne prima verbalmente violento e poi sessualmente violento. Una notte, l’uomo ha lanciato un assalto a tutto campo. «È venuto nella mia zona del letto, si è abbassato i pantaloni e mi ha spinto il c***o in faccia», ha detto Gray all’Independent Women’s Forum.

 

La detenuta ha descritto l’esperienza come «terrificante e disgustosa». La donna ha detto all’uomo di fare marcia indietro. La prima aggressione, dice, era semplicemente una «dimostrazione di dominio maschile». La notte successiva, e questa volta «mi ha messo quella mano da omone sulla schiena, sulla scapola» mentre lei dormiva. G. si è svegliata in preda al panico e gli ha detto: «Stai fuori dalla mia c***o di zona. Non venire mai nella mia zona. Non toccarmi mai».

 

Lo ha detto a una guardia e l’uomo è stato trasferito da un’altra parte, ma sempre nel carcere femminile. Non ha presentato una denuncia formale per presunta aggressione per paura di essere isolata.

 

G. non è l’unica detenuta ad essere stata aggredita negli ultimi tempi. La California ha inviato transessuali nelle carceri femminili dal 2020, quando il disegno di legge 123 del Senato è stato convertito in legge dal governatore Gavin Newsom. Gli uomini possono essere mandati nelle carceri femminili semplicemente dichiarando di essere una donna – la cosiddetta «autoidentificazione» – e non devono sottoporsi ad alcuna procedura di cambio di sesso o trattamenti ormonali prima del trasferimento. Secondo le testimonianze di varie detenute, l’arrivo dei maschi nelle carceri femminili li ha trasformati.

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«Non voglio nessuno di loro qui. Voglio che se ne vadano. Degrada così tanto le donne. Molte donne, ha aggiunto, sono poco istruite e particolarmente vulnerabili» dice la prigioniera.

 

Il Daily Mail ha riferito che il sistema carcerario della California ha 1.997 detenuti che attualmente si identificano come transgender e non binari, e 345 prigionieri maschi hanno richiesto il trasferimento nelle carceri femminili. Finora «46 sono stati approvati, 64 sono stati respinti e 87 detenuti hanno cambiato idea».

 

Il dipartimento penitenziario della California insiste affinché tutte le richieste vengano esaminate attentamente e che i trasferimenti vengano approvati solo quando è «sicuro farlo». Tuttavia, storie di donne aggredite sessualmente da uomini transidentificati dietro le sbarre sono emerse ovunque la pratica sia stata implementata, inclusi Canada, Regno Unito e Stati Uniti.

 

Un cinquantenne «transidentificato», è stata accusato di aver violentato due donne dopo essere stato trasferito al Women’s Facility della California centrale. È alto un metro e ottanta e una delle sue vittime era una donna magra sulla trentina. L’ha violentata sotto la doccia del loro dormitorio condiviso.

 

Esempi del fenomeno sono diffusi in tutto il mondo.

 

In Spagna, un assassino che sta scontando una pena detentiva di 30 anni per aver ucciso la sua vicina di casa si sta ora identificando come donna e viene trasferito in un carcere femminile. Anche altri criminali si stanno lanciando nella trovata, sperando che possa portare a condanne più comode: un violento stupratore seriale in Scozia ha appena annunciato il suo passaggio in prigione e ha chiesto cure di «affermazione di genere» (le autorità scozzesi hanno dichiarato che il violentatore plurimo non costituiva una minaccia per le detenute); un pedofilo americano condannato per aver violentato la figliastra di 7 anni fa appello contro la sua condanna all’ergastolo dopo aver annunciato di essere ora transgender; il mese scorso, un pedofilo britannico è stato condannato a soli 16 mesi di prigione e afferma di identificarsi come una bambina di 5 anni.

 

Come riportato da Renovatio 21, in New Jersey si era avuto il caso di detenute che hanno preso a rimanere incinte, fenomeno prima sconosciuto nelle carceri femminili. Lo stesso carcere era noto per denunce delle carcerate di aggressione sessuale da parte di transgender.

 

Sei mesi fa si era avuta notizia del fatto che nello Stato americano dell’Oregon un transessuale che aveva dato in pasto due persone ai maiali era stato incarcerato come donna in una prigione femminile.

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L’Italia è ora una grande discoteca gay. Ma quanto durerà ancora la musica?

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È finalmente finito il mese arcobaleno. Lo sapete, agli omotransessualisti alfabetici non bastava prendersi un dì l’anno per celebrarsi: no, dovevano prendersi trenta giorni, e quindi tutto giugno diventa il mese arcobalenato. Ed ogni istituzione lo pretende.   Eppure, una canzone ancora mi turbina per la testa. È eccezionale, dire orecchiabile è sbagliato, è proprio irresistibile.   Una travolgente musichetta gay militante, dove a parlare però è uno che conosco – probabilmente il maggior intellettuale cattolico vivente.   Ascoltate voi stessi. Si chiama «One Big Gay Disco». Cioè: «una grande discoteca gay».  

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Sentite che roba, che tiro. Ascoltate il testo:   «America is now one big gay disco». «L’America è ora una grande discoteca gay».   «One-Big-Gay-Disco».   L’autore è un DJ di cui ignoravamo l’esistenza, e più o meno ci sa che continueremo così così. In pratica, ha preso un pezzo disco-funk anni Settanta – basso ritmato e gai urletti «uh-aahh» inclusi – e ci ha aggiunto delle parole campionate da un discorso.   Nella didascalia di YouTube, il musicista scrive che il pezzo è «un perfetto omaggio alla scena dei club dalla mentalità aperta degli anni Settanta, con un video scintillante e nostalgico». Il video in realtà fa abbastanza schifo, è la classica robetta fatta senza soldi e con ancora meno idee: la bella ragazza in tuta non c’entra nulla, con il resto, ma va bene. La prosa di autopromozione, che sembra davvero, quella sì, vecchia di cinquanta anni, del DJ continua: la traccia «avrebbe potuto facilmente illuminare le iconiche piste da ballo di Studio 54, The Loft e Paradise Garage. Completo di archi vorticosi e ritmi ipnotici che richiamano i classici della discoteca del benessere».   Soprattutto l’autore si dichiara in grado di «riposizionare il discorso d’odio e trasformarlo in una celebrazione edificante della musica house e disco e in un inno per la comunità LGBTQ+».   Discorso d’odio? Ma quale discorso d’odio?   Dimenticavo: il discorso d’odio è qualunque discorso l’establishment e i suoi servi odino. È un genitivo oggettivo: l’odio è di chi ascolta più che di chi emette il discorso.   Le parole sono tratte da un video di E. Michael Jones, studioso e scrittore cattolico americano noto non a moltissimi, ma la cui portata intellettuale è senza pari, ovunque. Professore di letteratura inglese in un College cattolico dell’Indiana (zona Università cattolica di Notre Dame), fu licenziato a fine anni Settanta per la sua posizione sull’aborto: lui era contrario, tutti i «cattolici» dell’università «cattolica» erano invece a favore. Il mondo si era rovesciato già allora…   Ho incontrato Jones a Nuova York una decina di anni fa: io cercavo di far pubblicare i miei libri negli USA, lui voleva che i suoi fossero tradotti in Italiano. Non ricavammo molto, ma non è detto che in futuro con Renovatio 21, e l’aiuto dei lettori, non riesca a fare qualcosa.   Negli anni Jones ha animato una rivista, Fidelity, poi divenuta Culture Wars, e una casa editrice che ha pubblicato i suoi enormi tomi: si è occupato della degenerazione dell’arte, dell’ingegneria sociale dietro ai piani urbanistici, del significato dell’horror, della dottrina economica della chiesa, del ruolo sociale della musica da Wagner a Mick Jagger e, tema importante, della cosiddetta «liberazione sessuale», che lui ritiene essere uno strumento di controllo politico. Ad un certo punto, Jones ha cominciato ad occuparsi di un tema particolare e di lì sono stati dolori e problemi: l’influenza degli ebrei nella vita sociale. Potete capire a cosa è stato sottoposto da allora: depiattaformato già da tantissimo, tutti i suoi libri spariti da un giorno all’altro da Amazon. Tuttavia qui il discorso è un altro.   Jones è stato preso di sorpresa da questo remix funky della sua invettiva, tuttavia adesso ogni suo show – che è trasmesso su Rumble, perché, figurarsi – si apre proprio col pezzo. One-Big-Gay-Disco. Oh-ahhhh.  

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Lui racconta da quale suo discorso sono state estrapolate quelle parole. Era un video in cui descriveva un suo recente viaggio in Germania – Paese di cui conosce lingua e cultura, e lo ricorda spesso. Si trovava vicino alla porta di Brandeburgo a Berlino. Lì c’è l’ambasciata USA, e quindi lui, da buon americano, ha buttato l’occhio dentro.   Dice di aver visto che dentro, nell’atrio, c’era una grande statua dell’orso, il simbolo di Berlino (sapete: l’etimo germanico della città, come quello di Berna, è baer, appunto l’orso). Il marmoreo plantigrado diplomatico, tuttavia, recava una caratteristica che saltava all’occhio: era ricoperto da una bandiera arcobaleno.   «Non sapevo che l’orso di Berlino fosse omosessuale» si disse il Jones. Poi gli spiegarono che il monumento era così agghindato in occasione di un triste evento: in quei giorni di fine primavera 2016 un nightclub gay ad Orlando, era stato oggetto di un brutale attacco «terrorista»: un uomo entrò e sparò uccidendo 49 avventatori e ferendone 53. Il perpetratore era un ragazzo afghano americano, Omar Mateen, che si disse subito aveva fatto bay’ah (cioè, giurato lealtà) al califfo ISIS Al Baghdadi. Alcuni dissero che in realtà l’assassino era un gay che frequentava i locali gay e le app di incontro uraniste. Storia passata.   Jones quindi arrivò a pensare che se persino l’ambasciata americana a Berlino è investita del lutto arcobaleno per qualcosa avvenuto in un locale gay in Florida, significa che allora tutta l’America è ora una grande discoteca gay. Non vi sono altri valori: a pochi passi da lì, ricordiamo Kennedy pronunciò lo storico discorso dell’Ich bin ein berliner. Il potere americano tuttavia ora ha più necessità di ricordare i «martiri» omosex-discotecari.   Lo ha detto il segretario di Stato Blinken in settimana: i «diritti» gay sono per la superpotenza un tema di sicurezza. L’ammiraglio Kirby, portavoce militare della Casa Bianca, aveva detto più o meno lo stesso l’anno scorso: i diritti LGBT sono il cuore della politica estera americana, aveva detto l’alto militare coi capelli tinti. Si trattava di una risposta a chi gli chiedeva dell’Uganda, tagliata fuori da aiuti e commerci con gli USA (e dai fondi della Banca Mondiale) a causa della sua legge anti-sodomia. En passant, ricordiamo cosa successe subito dopo: strane, improvvise stragi nel Paese ad opera di sigle terroriste che sembravano sparite da decenni… e poi gli islamisti che in Somalia trucidano una quarantina di soldati della forza di pace ugandese…   Ma torniamo alla One-Big-Gay-Disco.   Guardando le immagini del pride di Milano, con politici, cantanti e migliaia di tizi a caso ricoprono le strade della città, non si può non vedere che anche l’Italia ora è una grande discoteca gay.   Ma quanta gente c’era, tanta, tantissima. Ma da dove vengono tutti quelli? Sono tutti omo? Forse sì. Loro dicono di essere l’8% della popolazione, cifra molto esagerata, quando un libro di psicologia generale di quando ero all’università parlava invece di 2% – altra cifra contestata come gonfiata. Tuttavia, è innegabile: il divorzio ha prodotto ondate di omosessuali, il femminismo – che autorizza la primazia della madre sul padre, e immaginiamo la combinazione con l’inclinazione matriarcale di certe regioni del Sud – ha proseguito l’opera di creare bambini, uomini, a cui è stata fatta mancare, più o meno programmaticamente, la figura paterna – e da lì la questione dell’omosessualità, secondo la famosa teoria freudiana, ora mostruosamente proibita, dell’origine per padre assente o padre debole.   Maree di uomini gay, certo. Ma anche tante ragazze: perché? Sono tutte lesbiche? Ma no, è che in una società dove la maschilità è definita «tossica», la femmina sincero-democratica vede nell’omosessuale l’unico umano dotato di pene rimasto frequentabile.   È, a suo modo, una forma di desessualizzazione della donna: invece che stare con gli uomini, vuole stare con gli uomini gay, dove non rischia nulla (non è osservata, desiderata, o ancora peggio, non desiderata) e dove trova magari una claque adorante (…«adoro!») con cui esibire magari una versione forsennata della propria femminilità, o forse il contrario – l’importante è che in giro non ci sia la sfida del maschio, perché costa tensione, incertezza, dolore, fatica. Ecco spiegato anche il fenomeno delle cicci (in gergo, i gay chiamavano così le donne che frequentano omoessessuali) o fag-hug («abbracciafroci»): e non siamo nemmeno sicuri del fatto che non sappiano che, quando non ci sono, i loro amici gay magari si lasciano andare a crudeli battute di scherno e disprezzo nei loro confronti.   Tuttavia, la musica pompa alla grande al gay pride meneghino, e sul carro c’è Elly Schlein. Massì, proprio lei, il segretario PD, che ballonzola con a fianco l’onorevole Zan, intonso dopo le inchieste di Report sulle colossali manifestazioni LGBT da lui organizzate. Eccola che tira l’urletto: «uuh-oooh», poi mette in fila due parole aggressive sull’«orgoglio», mentre intorno ha una quantità di persone travestite come nemmeno a carnevale.   Elly Schlein, sì. La guardiamo e continuiamo a non capire: gli eredi del PCI davvero hanno preferito lei a Bonaccini? Lei che in Svizzera guardava la sigla di Occhi di gatto mentre il Bonaccia martellava il consiglio comunale di Modena e la Festa dell’Unità di qualsiasi microcomune emiliano? Lei che non sembra nemmeno toccata dalla responsabilità – nonostante l’armocromista, non pare grande lo sforzo estetico, diciamo così – mentre quell’altro per le elezioni 2020 (perse di un soffio contro la Lega…) aveva accettato un restyling metrosessualizzante fatto di barbetta e occhiali a goccia, finiti in un logo dove dietro ad essi non vi era nulla, un po’ come il ras democristiano Giovanni Goria (il maestro di Crosetto) disegnato da Forattini negli anni Ottanta.   Elly – Nully, la chiamano i cattivi – non è che sembra tremare al pensiero che siede nel trono che fu di Togliatti (sì): maddeché, le sta facendo, appunto, un giro sul carro. Finché dura. Musica appalla.   Uuh-oooh.  

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E poi, una domanda, che sorge a visionare un po’ di immagini del festone omotransessualoide: ma perché non ci sono, da nessuna parte, persone avvenenti? Perché sono tutti o sovrappeso, o vecchi, o con qualche elemento (taglio o colore di capelli, piercing) che sembra negare ogni possibilità di beltà personale?   È un rifiuto programmatico? Forse: rigettando la legge naturale ci si deve allontanare, giocoforza, anche dalla bellezza.   E poi: tutte queste persone che hanno occupato, oltre che un intero mese e le città e le scuole e i palinsesti TV, anche un aggettivo che indica la felicità – gay, «gaio» – sono felici?   In realtà, ci si chiede dove siano finiti anche tutti quei gay, palestrati e magari un po’ pompatelli di steroidi, che si vedevano sfilare in gruppi pettonudisti o nudisti tout court (o con la mise sadomaso, o da puppy: quelli che fingono di essere dei cani dobermanni, e si fanno portare a spasso con guinzagli borchiati, e abbaiano) alle grandi marce arcobaleniste. Perché al loro posto ci sono occhialute lesbiche diabetiche? Perché ci sono ometti in gonna, che mai sono passati per una sala pesi? La risposta drammatica potrebbe essere che oggi essere frocio è divenuto troppo facile. Nessun sacrificio, perché tutto quello che vuoi, incluso il sesso, lo ottieni subito, per «diritto». Quindi perché sbattersi in palestra?   Abbiamo ascoltato qualche discorso dal palco, dove tizi vari, in alcuni casi dal sesso davvero indefinibile, sparano truismi e nullismi, di vario tipo, educandoci sul fatto che adesso si dice LGBTQI+, con il più letto «plus», cioè «plas», all’anglofona: tanto per capire dove tira il vento geopolitico della «frociaggine» (copyright Staff Bergoglio) .   Ma non tutto è privo di succo: ecco sul palco un tizio con evidente paura dei capelli bianchi che, dopo aver detto che «siamo tutti uguali perché diversi» (esiste per i luoghi comuni più estremi un premio internazionale chiamato Bulwer-Lytton, autore di un romanzo il cui incipit suonava: «era una notte buia e tempestosa») si lascia scappare qualcosa di interessante.   Dice: non lo Stato, né Dio, può ordinare loro come devono vivere. Interessante: quindi, Dio esiste? E se esiste, posso fare il contrario di quello che mi comanda? Un attimo: come è che si chiama quello che iniziò facendo il contrario di quello che chiedeva Dio? Sul tema: ricordo uno striscione, ad una manifestazione dinanzi la Casa Bianca: «I bet hell is faboulous», «scommetto che l’inferno è favoloso».

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La bandiera arcobaleno, che in verità ora è diversa da quella di pochi anni fa perché dispone di un inserto incistatovi dentro, il triangolone rosa-bianco-marron-nero dei trans, garrisce possente ovunque. Su Twitter si vedono immagini di Londra, dove le bandierine omotransessualiste hanno totalmente sostituito l’Union Jack, e in Gran Bretagna ti arrestano se in rete fai ironia con un meme sull’argomento. Australia, stessa cosa: difficile pensare, vista l’assenza di simboli nazionali e l’abbondanza di bandiere aliene, che non sia il segno del fatto che si sia finiti sotto un potere occupante.   Rammentate la Casa Bianca l’anno passato? Il drappo omotrans splendeva al centro del colonnato palladiano, le bandiere degli USA ai lati – il posto d’onore è per il vessillo di Sodoma… E solo la settimana scorsa Biden stava sul prato, sempre in evidente stato di amenza, mentre a due metri da lui ballava un nero barbuto vestito da donna.   La faccenda è che, parrebbe, la faccenda potrebbe non durare. Un signore, padre di famiglia ed investitore famigliare, ha vergato pochi giorni fa un lungo post su Twitter, raccontando di aver notato come Greenport, un ricco paesino turistico della costa di Long Island, si è svuotato dal flusso di famiglie allegre ed altri visitatori.   Come mai? Lui fa capire che è perché una serie di negozi hanno esposto la bandiera omotransessuale, e le famiglie in USA cominciano a non sentirsi più sicure davanti a questo segno.  

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Un commentatore scrive del pendio scivoloso per cui «sono passati dal “non ti deve interessare quello che faccio in camera da letto” al “devi assolutamente sapere cosa faccio in camera da letto”».   È un’osservazione bonaria: la realtà è che siamo passati – in pochi anni! – dal «diritto di visitare il compagno in ospedale» al diritto alla mutilazione sessuale dei bambini. Siamo lontani da una presa di coscienza della massa rispetto alla questione: tuttavia le immagini provenienti dalle drag queen story hour – dove, si raccontano, abbondano i bambini portati dalle loro mamme single – stanno svegliando qualche genitore.   C’è poi lo specioso caso dei murales stradali: bandiere arcobaleno al posto delle strisce pedonali, così da essere simbolicamente obbligati a passare per i colori dell’iride sodomista. Non ogni americano, tuttavia, sembra starci: ecco che si è innescata questa nuova tradizione di fare sgommate (con il SUV, con il motorino, con qualsiasi veicolo su ruota) sopra le strisce del gender stradale obbligatorio. Arresti e processi per i perpetratori: ma pensano sul serio che la repressione farà cambiare idea di chi non ne può più? Davvero non si rendono conto che la repressione non farà che radicalizzare ancora di più la crescente massa dei dissidenti?   I gay lo hanno capito? Gli oligarchi, loro creatori, pure? Probabilmente no, non ancora. È l’atteggiamento classico di chi sa che qualcosa di fondamentale esiste – tipo: Dio, la natura, la morale, la coscienza, etc. – ma preferisce far finta di niente e ignorare tutto. Fino al «ritorno del rimosso», un altro concetto del Freud ora in via di divieto totale. Cioè, fino a che la realtà, la verità, non torna in superficie, e ti esplode in faccia.   Ma, con questo ritmo che pompa, qualcuno si preoccupa?   Per il momento, tutti in strada a ballare. Perché l’Italia, l’Europa, il mondo, è una grande discoteca gay. One-Big-Gay-Disco.   Il problema è che la musica potrebbe finire prima di quello che pensano.   Roberto Dal Bosco

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Castrazione e uteri artificiali: le élite promuovono il transumanesimo ai festival intellettuali

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L’annuale Hay Festival of Literature and Arts, una volta descritto da Bill Clinton come «la Woodstock della mente», si è tenuto dal 23 maggio al 2 giugno di quest’anno.

 

Il giornale britannico Guardian ha riassunto i suoi contenuti titolando «gli uomini e gli altri mammiferi vivono più a lungo se vengono castrati, dice il ricercatore».

 

L’idea pare essere stata trasmessa da Cat Bohannon, una ricercatrice Ph.D. della Columbia University, nota per essere autrice di un libro bestseller – Eve: How the Female Body Drove 200 Million Years of Human Evolution («Eva: come il corpo femminile ha guidato 200 milioni di evoluzione umana»)

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Nonostante i suoi studi sul corpo della donna, la Bohannon ha affermato con fermezza che «le donne trans sono donne», ma la contraddizione non sembra colta da nessuno.

 

Durante il suo intervento all’Hay Festival, la Bohannon si è riferita ai testicoli come a «due piccole pepite della morte» suggerendo dunque che una «orchiectomia» – la rimozione chirurgica dei testicoli – potrebbe far vivere più a lungo gli uomini. Secondo la ricerca, ha detto, gli uomini castrati vivono più a lungo dei loro «coetanei regolarmente palluti» (sic).

 

Castrazione e longevità: si tratta di una materia di cui non sappiamo molto, ha ammesso la Bohannona, tuttavia «si sta facendo molta buona scienza in questo ambito».

 

Lo scrittore comico irlandese Graham Linehan ha reagito all’articolo sulle affermazioni della ricercatrice con una sentenza sintetica e fulminea: «castrare i bambini è una buona cosa in realtà»:

 

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La castrazione dell’intera popolazione maschile sta quindi entrando nella finestra di Overton.

 

La Bohannon nel suo intervento festivaliero è andata oltre riuscendo a farlo divenire possibilmente ancora più inquietante: ha annunciato che «un giorno avremo un utero artificiale», e per la ricercatrice i dubbi etici vertono solo sul fatto che dovremmo sapere «molto di più sui corpi femminili per provare a costruirne uno falso».

 

«Cerchiamo di essere davvero utopici riguardo a questa merda, OK», ha detto al pubblico. «Diciamo che è disponibile per tutti, non è solo una cosa da donne ricche, non è solo una cosa da donne bianche – qualunque cosa significhi tra centinaia di anni – diventa quindi etico chiedere a una persona con un utero di rimanere incinta se si può fare al di fuori di un corpo?»

 

L’intervento della ricercatrice fa comprendere come l’utopia dell’élite sia in realtà la distopia del popolo, e come transgenderismo e transumanesimo siano due facce della stessa medaglia. Questi ideologici non credono che tu sia il tuo corpo.

 

«Entrambe queste ideologie “trans” si basano sulla convinzione che possiamo trascendere il nostro corpo; che possiamo modificarlo per adattarlo alle nostre identità interne» scrive LifeSite «o che alla fine possiamo fonderci con le macchine e diventare una specie ibrida. Se ci credi, la castrazione, o gli uteri artificiali, o i 72 sessi potrebbero avere senso. Potrebbe anche sembrarti un’utopia».

 

Come ribadito varie volte da Renovatio 21, l’utero artificiale – spinto dalle fandonie femministe sul patriarcato – è oramai inevitabile. Il suo studio procede anche con fondi dell’Unione Europea. Due anni fa in Inghilterra è nato un bambino a seguito un innesto di tessuto ovarico, cosa che potrebbe far presagire avanzamenti nella tecnologia di questo tipo. Poco prima ricercatori israeliani hanno prodotto in un utero artificiale un embrione di topo peraltro derivato da cellule staminali e non da gameti.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’industria dell’utero in affitto ucraina è già pronta a saltarci sopra, con il fondatore della prima clinica di riproduzione artificiale e uteri affittati dell’Ucraina che ha dichiarato che l’ectogenesi sarà realtà tra 5-7 anni.

 

Non sappiamo dire quanti allocchi pro-vita finiranno nella trappola che offrirà all’ectogenesi, cioè all’utero artificiale: niente più aborti, con l’embrione che verrà semplicemente trasferito in una capsula industriale e portato a termine, per divenire cosa non sappiamo, ma lo sanno ancora meno i prolife ebeti che hanno accettato la catastrofe dei bambini in provetta (in Italia, la legge 3072004) senza nemmeno voler guardare dove il pendìo scivoloso li avrebbe portati.

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Il problema è che non si fermeranno nemmeno lì: la gametogenesi, cioè la produzione di cellule sessuali a partire da qualsiasi cellula del corpo, è dietro l’angolo.

 

La gametogenesi potrebbe permettere il sogno proibito del movimento LGBT: la riproduzione omosessuale. La gametogenesi permette di trasformare cellule non sessuali in gameti, cioè spermatozoi ed ovuli. Quindi, si ipotizza, diventerà possibile ottenere un ovulo da un uomo, di modo di farlo fecondare dal partner, oppure di ottenere uno spermatozoo da una donna, di modo che fecondi l’ovulo della compagna.

 

Un’altra possibilità – folle e inutile quanto si vuole ma il XXI secolo è ancora lungo – sarebbe quella di procreare invertendo il genere dei genitori: la donna mette lo spermatozoo, l’uomo l’ovulo. Ogni combinazione diviene possibile, nell’umiliazione terrificante della legge naturale.

 

La gametogenesi è stata già ottenuta in esperimenti con i topi. Gli esseri umani sono, giocoforza, la prossima fermata.

 

Intanto i cattolici scemi piangano (o meglio, fingano di piangere) per l’aborto, mentre la tecnologia riproduttiva e il sovvertimento della morale stanno facendo divenire il mondo come un teatro di morte massiva senza fine.

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Trump promette di porre fine all’obbligo vaccinale e alla «follia del gender» nelle scuole

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha promesso che, se rieletto questo novembre, taglierà le scuole che promuovono contenuti «inappropriati» per i bambini come l’identità di genere e Critical Race Theory, la teoria penetrata nell’istruzione americana che vede nell’uomo bianco il colpevole di ogni male.   Si è anche impegnato a togliere i finanziamenti federali alle scuole che impongono vaccini e mascherine, oltre a vietare agli uomini di partecipare agli sport femminili.   Trump ha affermato che l’istruzione è una delle principali priorità della sua campagna presidenziale, sostenendo che il sistema necessita di essere revisionato. In precedenza aveva delineato i piani per «smantellare» il Dipartimento dell’Istruzione, modificare il curriculum scolastico e consentire l’elezione dei presidi scolastici.   «Il primo giorno firmerò un nuovo ordine esecutivo per tagliare i finanziamenti federali a qualsiasi scuola che promuova la teoria critica della razza, la follia transgender e altri contenuti razziali, sessuali o politici inappropriati nella vita dei nostri figli», ha dichiarato il probabile candidato repubblicano alla presidenza lo scorso sabato la Casa Bianca davanti alla folla esultante della «Convenzione del popolo» di Turning Point Action, nello Stato del Michigan.   «E non darò un centesimo a nessuna scuola che abbia un obbligo per i vaccini o un obbligo per le mascherine», ha continuato l’ex inquilino della Casa Bianca, aggiungendo che «terrò gli uomini fuori dagli sport femminili» e «sosterrò pienamente il Secondo Emendamento, che protegge il diritto degli americani di poter detenere e portare armi».

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«Proteggeremo vite innocenti e ripristineremo una cosa chiamata libertà di parola, poiché ci viene portata via da questi delinquenti radicali», ha promesso Trump dopo aver annunciato di aver ricevuto il pieno appoggio dal gruppo di difesa dei diritti delle armi della National Rifle Association.   Accusando i democratici di forzare «l’indottrinamento liberale della gioventù americana», ha promesso di invertire una nuova espansione da parte dell’amministrazione del presidente Joe Biden del Titolo IX – che limita le scuole finanziate a livello federale dall’impedire agli studenti transgender di utilizzare bagni, spogliatoi e pronomi in linea con le loro identità.   Si è inoltre impegnato a bloccare i medici che forniscono cure volte ad affermare il genere, oltre a vietare alle agenzie federali di promuovere «il concetto di sesso e transizione di genere a qualsiasi età».   «La follia del gender della sinistra che viene imposta ai nostri figli è un atto di abuso sui minori. Molto semplice. Ecco il mio piano per fermare la mutilazione chimica, fisica ed emotiva dei nostri giovani», ha detto Trump in un video discorso a gennaio, in cui ha dettagliato una serie di politiche progettate per frenare la promozione dell’agenda LGBTQ.   Come riportato da Renovatio 21, Trump si sta spendendo anche per far cessare una volta per tutte la questione dei maschi che competono nelle gare sportive di categoria femminile.

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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
 
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