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Politica

Hanno scelto la palude

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Mi ero disinteressato. La corsa al Quirinale non mi riusciva proprio di seguirla.

 

Avevo l’impressione che i partiti, i loro leader oramai inguardabili, non sarebbero riusciti a trovare una qualche soluzione che non fosse un segno di impotenza. La prima impressione è quella buona.

 

Certo, c’era stata la storia di Berlusconi lanciato, ed era bellissimo: lui che scatena Sgarbi in cerca di «scoiattoli», il Vittorio che chiama grillini e comunisti a ore improbabili per poi passargli Berlusconi, che fa sempre un figurone. Era, a modo suo, stupendo: sapeva della vecchia politica spettacolo del Berlusca, quella che lo fece eleggere premier 3 volte, è fece fondere completamente la sinistra – letteralmente: dall’odio cieco per Berlusconi, alimentato dal gruppo De Benedetti (Espresso-Repubblica), vennero fuori i grillini. Nessuno lo ricorda, ma è così.

 

Ho pensato: Silvio alla fine, però, non vuole arrivare al Quirinale. Sta facendo un assolo del suo forte, la politica-spettacolo, solare e sgangherata, per poi lanciare il suo vero candidato. Cioè, immaginavo, Gianni Letta. Sarebbe stato bellissimo vedere cosa il capo del PD avrebbe fatto votare al partito: Enrico Letta è il nipote. La prospettiva quasi mi piaceva.

 

Sbagliavo terribilmente: non c’era, nemmeno in un fuoriclasse come il padrone del Monza, nessuna strategia.

 

Né lui, né nessun altro. Salvini aveva una strategia? No. Letta? No. Conte? Non ne parliamo. Di Maio? Chi?

 

La «palude», in inglese «The Swamp», fu uno dei termini clou delle elezioni 2016 di Donald Trump

Hanno buttato lì, nel superbowl dell’arte politica italiana, degli schemi a caso. Mosse intentate così a caso, perché non sapevano bene costa stavano facendo.

 

In realtà, in un certo senso sapevano benissimo cosa stavano facendo: stavano scegliendo la palude.

 

La «palude», in inglese «The Swamp», fu uno dei termini clou delle elezioni 2016 di Donald Trump. La «palude», diceva la teoria, è Washington: un sistema fatto di fango, nebbia, malattie, talvolta creature mostruose. I politici, i lobbysti, i grand commis, i generali, i grandi industriali, etc. sono tutti felici di stare nella palude, dove niente cambia, al massimo si affonda un po’ nella putredine, di cui però si è parte.

 

Steve Bannon diede una definizione pregnante: la palude in realtà è un business model. Un modello di business di successo. La palude si perpetua perché il sistema produce trippa per tutte le bestie che abitano le se acque putride. Lo stratega trumpiano disse quindi che per prosciugare la palude (un motto in voga in quei tempi era «dry the swamp») non sarebbe bastato Donald alla Casa Bianca, ci sarebbero voluti almeno venti anni.

 

La palude resiste perché è radicata, è profonda. Distribuisce danari. E sta lì da secoli.

 

La palude resiste perché è radicata, è profonda. Distribuisce danari. E sta lì da secoli.

Ora, voi capite che Roma, che sorge materialmente su una palude, sta lì da non da due secoli, ma da millenni.

 

Per carità, niente di tremendo. Ho parlato con un servitore dello Stato di alto livello, una volta, che mi convinse pure: diceva, guarda i grillini, calati a Roma pieni di ideali, selvaggi nei contenuti e nella forma. Guardali, digeriti uno ad uno dalla palude, trasformati nel giro di pochi anni in abitanti dello stagno, dove piazzano i loro girini – parenti, amici, compagni di liceo – ad ogni piè sospinto.

 

Tuttavia, la palude magari dovrà pure esserci per fisiologia naturale del potere, ma in questo momento, una scelta pura per la palude è qualcosa di disperante, è qualcosa di insostenibile. Il mondo, usando le vecchie regole, è andato a pezzi.

 

Non vi sono stati altri momenti come questo. Nessuno di noi può ricordare niente di simile. Anche perché la Spagnola non generò questa isteria – rileggetevi l’articolo che avevamo pubblicato due anni fa sui teatri di Nuova York rimasti aperti, «Gotham rifiuta di chiudere» – e una guerra, per lo meno la guerra tradizionale, è meno spaventosa di quello che stiamo attraversando. La guerra finisce, la guerra è l’attesa della sua fine, che tutti sanno essere inevitabile. La guerra non può durare per sempre. Per il virus non è così. La guerra non impedisce alla persone di abbracciarsi, di stare insieme, di morire mano nella mano.

 

Questo è il momento di crisi dove, è chiaro, si stanno per liberare energie nuove, mai viste. Fiumi di forza immensa, imprevista, che possono spazzare via ogni struttura precedente. Un momento, come dire, apocalittico.

 

Uno si aspetta che il politico, che se sta lì un po’ fiuto deve averlo, lo possa aver capito. Può mollare, magari anche non totalmente, la palude, e cominciare il lavoro di rabdomante sull’energia umana del futuro.

 

Così, si poteva pensare, avrebbero, forse pure con qualche mira gattopardesca, messo lì un volto nuovo, rassicurante, poco schierato.  Così, per dare al popolo, impaurito e disorientato (perché incapace di vedere la fine di questo tunnel), quantomeno la percezione di una remota possibilità di cambiamento.

 

Hanno deciso, così, di sancire una volta per tutte il loro divorzio dal Paese reale – credono davvero che i cittadini volessero la soluzione che sembra emergere?

No, niente. Niente. Hanno messo lì nomi partitici improbabili, bocche a culo di gallina, avanzi parlamentari riciclati in qualche stagno minore, non uno ma due nomi passati per i servizi segreti (dai servizi al Quirinale una cosa, come ha notato qualcuno, con accenti fortemente sovietici). Non un nome presentabile, non uno. Non un nome nuovo – neppure un vecchietto bonario che ispiri simpatia e firmi le leggi senza tante storie.

 

Non ce l’hanno fatta, perché hanno scelto la stagnazione.

 

Hanno scelto di buttare la palla a campanile, perché non hanno idea di cosa fare, non c’è schema, non c’è fantasia, non c’è fiducia nei compagni, c’è solo il timore di subire un goal. Spara il pallone in corner, in tribuna, dove vuoi. Ma non giocare a calcio.

 

Hanno deciso, così, di sancire una volta per tutte il loro divorzio dal Paese reale – credono davvero che i cittadini volessero la soluzione che sembra emergere?

 

Hanno deciso, così, di mostrare impudicamente la loro inutilità – cosa rappresentano, cosa decidono, cosa comandano, se poi devono subire un premier che mai ha fatto politica e riciclare un presidente di un’era geologica precedente, il Giurassico prepandemico?

 

Hanno deciso, così, di mostrare impudicamente la loro inutilità – cosa rappresentano, cosa decidono, cosa comandano, se poi devono subire un premier che mai ha fatto politica e riciclare un presidente di un’era geologica precedente, il Giurassico prepandemico?

Hanno deciso, così, di dimostrarci che c’è continuità assoluta tra partiti, e ancora peggio, tra partiti e Stato? Sì, una sola, unica palude che è lo «Stato-partito» di cui ha dato una geniale descrizione l’ex ministro PSI Rino Formica.

 

«Lo Stato diventa partito e per risolvere i conflitti che sono dentro la società reale deve dire che non c’è destra e sinistra. C’è lo Stato».

 

«I segretari non vengono consultati e il governo, partito con un mix fra tecnici e politici, ora è un tutt’uno omogeneo coordinato da un presidente che ha già sperimentato come si guida una istituzione senza stato, come la Banca centrale europea – che è senza Stato ma ha i poteri di un superstato»

 

Hanno deciso, così, di dimostrarci che c’è continuità assoluta tra partiti, e ancora peggio, tra partiti e Stato – una sola, unica palude che è lo «Stato-partito»

Insomma: ci hanno dato tutti gli elementi per rifiutare la realtà politica-statale in blocco.

 

Questo rifiuto, carburato anche dalla polarizzazione sociale (cioè, dall’apartheid biotica, sempre più intollerabile anche per gli attacchi nella vita quotidiana che tocca subire ai non vaccinati) non possono dire che non era previsto.

 

Formica lo aveva descritto benissimo:

 

«La scorciatoia dello Stato che diventa partito è un’illusione con uno sbocco autoritario. Lo Stato non può assorbire i conflitti che sono nell’interno della società senza una via democratica (…) Lo Stato che diventa partito non può assorbire i conflitti che ci sono nel Paese, che invece continua a tenere aperti i problemi del conflitto sociale e civile nell’interno del Paese».

 

Hanno alienato ogni possibile speranza residua in una massa di elettori non indifferenti. E quindi, lasciato aperto spalancato il conflitto sociale e civile nel Paese. Questo chiunque lo sente

Hanno alienato ogni possibile speranza residua in una massa di elettori non indifferenti. E quindi, lasciato aperto spalancato il conflitto sociale e civile nel Paese. Questo chiunque lo sente.

 

A loro, probabilmente, non interessa: e lo hanno dimostrato scegliendo, senza vergogna, la palude. Noi facciamo parte di quel famoso calcolo sacrificale che hanno fatto tutti, dai social media ai governi pandemici: il segmento dissidente, può e deve essere eliminato. Si deve procedere solo con la maggioranza bovina (anzi, vaccina). Dei soldi e dei voti dei piantagrane non ci importa nulla: viviamo benissimo con quelli dei bovini, sierizzati, dipendenti, obbedienti anche quando capiscono che li si porta al macello.

 

Lo Stato-partito vi detesta – a meno che non vi sottomettiate come gli altri, dimenticate di avere una coscienza, rinunciate agli ideali spirituali e perfino ai diritti costituzionali.

 

Ecco perché non si sono vergognati della farsa al Quirinale dove tutti – da Salvini, a Letta, a Conte, a Berlusconi – hanno dimostrato di non essere in controllo di nulla.

 

Quando nel 2023 Draghi ascenderà alla Presidenza, il partiti saranno ancora più fusi con l’apparato dello Stato – perché altre direzioni al momento non ne hanno, o meglio, hanno paura di prenderle. La palude, cioè, si infittirà. Diventerà ininfluente sapere se sei un senatore della Lega o un ex funzionario finanziario dello Stato: quello che conta è la comune, putrescente appartenenza alla palude

Tecnicamente, succederà che Mattarella farà come Napolitano, neanche due anni e poi si dimetterà a secondo mandato lontano dalla conclusione (una nuova tradizione quirinalizia?), lasciando il posto a Draghi, che di fatto deve essere stato rassicurato da qualcuno, visto che pochi giorni fa sembrava volesse andarsene qualora non gli avessero dato la prima carica dello Stato – probabilmente sarebbe stato, cioè sarà, il primo Presidente della Repubblica mai passato per la politica, i circoli, le strette di mano, la raccolta umana dei voti, etc. e questo si vede nelle disastrose conferenze stampa. La tecnocrazia sarà quindi completa.

 

Quando nel 2023  la vera creatura che domina la palude, il drago, ascenderà al Colle, il partiti saranno ancora più fusi con l’apparato dello Stato – perché altre direzioni al momento non ne hanno, o meglio, hanno paura di prenderle. La palude, cioè, si infittirà. Diventerà ininfluente sapere se sei un senatore della Lega o un ex funzionario finanziario dello Stato: quello che conta è la comune, putrescente appartenenza alla palude.

 

Tuttavia, una nota positiva. La liberazione di energie sconosciute di cui parlavamo sopra, non arresterà il suo corso. Anzi, l’intensità dell’emersione aumenterà vertiginosamente, senza dare la possibilità di comprendere in tempo quale volto essa assumerà.

 

Sanno di questo esiziale rischio? Ripetiamo, forse sì. Ma hanno scelto comunque la palude.

 

Perché insetti, anfibi, rettili, mostri, possono vivere solo lì.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine di SomeAnna via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

 

 

 

Politica

I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi

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Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.

 

Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.

 

Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.

 

«Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».

 

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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.

 

«L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.

 

Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.

 

L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.

 

A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.

 

Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.

 

Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.

 

 

Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».

 

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Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro

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Sanae Takaichi è diventata la prima donna Primo Ministro del Giappone, vincendo le elezioni parlamentari di Tokyo martedì. Esponente di lungo corso del Partito Liberal Democratico (LDP), nota come la «Lady di Ferro» del Giappone per la sua ammirazione verso l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher, Takaichi è riconosciuta per il suo conservatorismo sociale, il nazionalismo e il sostegno a un ruolo più ampio per le forze armate giapponesi.   A 64 anni, Takaichi ha sostenuto la revisione della clausola pacifista della costituzione postbellica del Giappone e il riconoscimento ufficiale delle Forze di autodifesa come esercito nazionale. Ha inoltre appoggiato un aumento della spesa per la difesa e una maggiore cooperazione militare con gli Stati Uniti.   Le sue posizioni sulla sicurezza nazionale richiamano le politiche dell’ex premier Shinzo Abe, di cui è considerata una protetta e con cui aveva stretti legami politici.   Frequente visitatrice del Santuario Yasukuni di Tokyo, che rende omaggio ai caduti giapponesi, inclusi criminali di guerra della Seconda Guerra Mondiale, Takaichi è stata spesso criticata dai Paesi vicini per quello che considerano revisionismo storico. Ha difeso le sue visite come atti di rispetto personale, sostenendo che i crimini di guerra dei soldati giapponesi siano stati esagerati.

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A livello interno, Takaichi si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sostiene la successione imperiale esclusivamente maschile e ha criticato le proposte di cognomi separati per le coppie sposate.   La Takaicha ha inoltre appoggiato il rafforzamento dei confini e politiche migratorie più rigide, chiedendo misure contro i visti non concessi, il turismo eccessivo e l’acquisto di terreni da parte di stranieri, soprattutto vicino a risorse strategiche.   In politica estera, la Takaichi ha definito la crescente potenza militare della Cina una «seria preoccupazione», proponendo misure di deterrenza, tra cui un patto di sicurezza con Taiwan.   Si ritiene che Takaichi non intenda perseguire un significativo riavvicinamento con la Russia, avendo ripetutamente rivendicato la sovranità sulle isole Curili meridionali, annesse dall’Unione Sovietica nel 1945 come parte degli accordi postbellici.   Takaichi assume la carica in un momento critico per il Giappone, che affronta un tasso di natalità ai minimi storici, un rapido invecchiamento della popolazione, un’inflazione persistente e il malcontento pubblico per gli scandali politici che hanno eroso la fiducia nel PLD, il partito al governo.  

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Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra

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Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.

 

I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.

 

Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.

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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.

 

Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.

 

Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.

 

Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.

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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.

 

Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.

 

Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.

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