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Geopolitica

Gonzalo Lira ha cercato di fuggire dall’Ucraina. Di lui al momento nessuna notizia

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Lo scrittore e videoblogger Gonzalo Lira ha postato ieri un video dove dichiarava che stava per tentare di superare in moto il confine tra Ucraine a Ungheria, dove aveva intenzione di chiedere asilo politico. Lira non era apparso in pubblico da diversi mesi, facendo temere il peggio dopo il suo arresto da parte dei servizi di sicurezza ucraini dello SBU a inizio maggio.

 

Insieme al video, registrato per strada a una manciata di chilometri dal confine (presumibilmente, quello di Chop, ma non abbiamo conferme definitive) dopo due giorni di viaggio in motocicletta, Lira ha postato anche un lungo thread su Twitter dove dettagli ciò che gli è successo dopo l’arresto – in particolare, atroci torture e considerevoli estorsioni oltre che ingiustizie varie come il rifiuto di farlo uscire subito su cauzione.

 

Il processo di Lira, dove sarebbe accusato di quelli che sembrano reati di opinione e di negare l’invasione russa (cosa falsa: l’ha sempre chiamata così e non «operazione militare speciale» come vorrebbe Mosca) si sarebbe tenuto in queste ore, per cui – immaginando già il risultato di condanna – l’uomo ha deciso di fuggire dal Paese in sella alla sua BMW GS.

 

Ad oggi, trascorse più di 24 ore, non ci sono sue notizie, e lui stesso nel video aveva dichiarato che in caso non fosse riapparso dopo 12 ore lo si doveva considerare catturato dagli ucraini.

 

 

Lira, cittadino cileno-americano residente a Kharkov, era divenuto assai noto con la guerra ucraina per i suoi video in cui analizzava la situazione, così come la vedeva, in modo non favorevole al regime di Zelens’kyj, che chiamava «the cokehead of Kiev», il «cocainomane» di Kiev. Alcune sue tirate erano finite persino sulla TV russa, attirando l’attenzione delle forze di sicurezza ucraina.

 

Fuggito da una casa all’altra, aveva continuato a produrre video, fino all’arresto nel 2022. Tornato in libertà, in attesa di processo, aveva ricominciato a produrre i suoi video, non cambiando di una virgola le sue posizioni. Riarrestato a mitra spianati lo scorso primo maggio, era sparito ancora una volta, per riemergere d’improvviso solo ieri con il videomessaggio in cui annunciava di stare per tentare di uscire dall’Ucraina.

 

Nei tre filmati caricati, così come su Twitter, Lira ha raccontato di essere stato torturato in carcere da alcuni detenuti, che gli hanno graffiato un occhio dicendogli «per leggere ti serve un occhio solo». L’obiettivo erano i conti in banca di Gonzalo che, discendente di una famiglia patrizia cilena (il suo antenato è uno dei creatori dello Stato cileno) e accorto investitore, è un uomo abbiente. E l’Ucraina, come dicevano gli stessi giornali USA prima della guerra, è uno dei luoghi del pianeta dove la corruzione trionfa a livelli massimi.

 

 

Lira afferma che, a causa delle limitazioni geografiche imposte dalle banche sugli IP ucraini a causa dei tanti hackeraggi che avvengono da lì, pareva che gli altri detenuti, e i loro committenti, si fossero concentrati sui 140 mila dollari che aveva sul conto PayPal, frutto delle sue attività online.

 

Gli sono stati così estorti 70 mila dollari, e Lira dichiara di credere che in realtà i compagni di cella fossero i meri esecutori, mentre i danari andavano a autorità di sicurezza che conoscono il suo caso; lo scrittore dice anche che non gli è chiaro se abbiano lasciato gli altri 70 mila sul conto per galanteria, per evitare sospetti o perché intendevano rivenderlo ad un altro gruppo che lo avrebbe fatto torturare e ferire.

 

Durante una sessione di tortura, un prigioniero gli avrebbe rotto una costola sferrandogli un pugno sul costato talmente forte da essere redarguito dal boss del gruppo dei carcerati. Nonostante l’enorme ematoma, le autorità del carcere non hanno fatto niente. Dettaglio inaspettato, l’aggressore si sarebbe poi scusato con Lira, facendogli capire che doveva farlo – cosa che il videoblogger ha preso come possibile prova del fatto che fossero dei meri esecutori.

 

Rilasciato un mese fa, non è più intervenuto in rete, nemmeno per tardare un segno del fatto che fosse vivo. Nei video Lira sostiene che al momento del rilascio gli avevano detto che gli avrebbero sequestrato i documenti e messo una cavigliera elettronica; tuttavia gli sarebbero stati ridati i documenti, compreso il passaporto, e non avrebbe avuto inflitto nessun braccialetto elettronico di sorveglianza.

 

Ciò lo ha spinto, secondo quanto racconta, a pensare che le autorità ucraine gli stessero lasciando la porta aperta e dicendo «vattene», eliminando, dopo averla spremuta, questa piccola bega che rischia sempre di divenire un caso diplomatico, nonostante né l’America di Biden né il Cile del goscista Boric hanno in qualche modo aiutato il loro cittadino perseguitato per reati di pensiero – arrestato, imprigionato e torturato, in ultima analisi, per dei video su YouTube…

 

In un video disturbante uscito da poche ore, un giornalista di Grayzone chiede al portavoce del Dipartimento di Stato se sono al corrente del tentativo di fuga di Lira. La risposta è fulminea: «prima voglio verificare i fatti». Fine.

 

«Se fossi stato una lesbica drogata nera invece…» scherza Lira nel video, riferendosi con evidenza al caso di Brittney Griner, la cestista scambiata con il trafficante d’armi russo Viktor Bout.

 

Lira dice di essere certo che sarà condannato ad almeno cinque anni di lavori forzati, aggiungendo che, sapendo che ha 55 anni ed è un malato di cuore, probabilmente morirà in galera – dopo magari ulteriori sessioni di tortura ed estorsione.

 

Al momento nessuno, nemmeno tra i suoi contatti stretti nel mondo dei social sa dove sia. In molti propendono per il fatto che sia stato catturato: la mossa è stata ingenua, e forse pure potrebbe essere stato ingannato e sempre tracciato tramite il telefono.

 

Nella parte finale del suo ultimo messaggio video, Gonzalo ricorda la massima per cui per fare sì che il male trionfi basta che nessuno faccia niente.

 

Poi l’appello: se non si farà sentire entro 12 ore, «make a fuss», fate baccano.

 

«Non siate indifferenti al mio destino» conclude con visibile la tristezza, e la paura, negli occhi – ciò non cambia che si tratta di uno degli uomini più coraggiosi mai visti negli ultimi anni nell’intero panorama dei media internazionali.

 

Renovatio 21 reitera il suo invito ai lettori: pregate per Gonzalo.

 

E non pensate che la cosa non vi riguardi: è l’ennesimo esempio non solo della fine della libertà di pensiero (quel diritto costituzionale che abbiamo visto disintegrato in pandemia) ma anche del fatto che, con il proseguire di quest’era di follia, potreste essere perseguitati fisicamente per le vostre opinioni.

 

Oggi è Lira, domani sarete voi. L’unico modo per fermare questo processo mostruoso, è che qualcuno faccia qualcosa.

 

 

 

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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Orban: l’UE pianifica la guerra con la Russia entro il 2030

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha sostenuto che l’Unione Europea si sta preparando a un confronto bellico con la Russia e mira a raggiungere la piena prontezza entro il 2030. Parlando sabato a un raduno contro la guerra, Orban ha denunciato come il Vecchio Continente stia già procedendo verso uno scontro militare diretto.   Il premier magiaro delineato un iter in quattro tappe che di norma conduce al conflitto: la rottura dei legami diplomatici, l’applicazione di sanzioni, l’interruzione della collaborazione economica e, da ultimo, l’inizio delle ostilità armate. Secondo lui, la maggioranza di questi passaggi è già stata percorsa.   «La posizione ufficiale dell’Unione Europea è che entro il 2030 dovrà essere pronta alla guerra», ha dichiarato, rilevando inoltre che i Paesi europei stanno virando verso un’«economia di guerra». Per Orban, taluni membri dell’UE stanno già riconfigurando i comparti dei trasporti e dell’industria per favorire la fabbricazione di armamenti.   Il premier du Budapest ha ribadito la contrarietà di Budapest al conflitto. «Il compito dell’Ungheria è allo stesso tempo impedire che l’Europa entri in guerra», ha precisato.

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Orban ha più volte manifestato aspre critiche alla linea dell’UE riguardo alla crisi ucraina. L’Ungheria ha sempre respinto le sanzioni nei confronti di Mosca e gli invii di armi a Kiev, invocando invece colloqui di pace in luogo di un inasprimento.   L’allarme riecheggia le recenti uscite del presidente serbo Aleksandar Vucic e del ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, entrambi i quali hanno insinuato che un scontro tra Europa e Russia diventi sempre più verosimile nei prossimi anni.   Malgrado la retorica sempre più bellicosa di certi membri dell’UE e della NATO verso la Russia, nessuno ha apertamente manifestato l’intenzione di impegnarsi in una guerra. La scorsa settimana, il presidente del Comitato Militare NATO, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha confidato al Financial Times che l’Unione sta valutando opzioni per un approccio più ostile nei riguardi di Mosca, inclusa l’ipotesi che un attacco preventivo possa configurarsi come atto difensivo.  

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Scontri lungo il confine tra Thailandia e Cambogia

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Lunedì la Thailandia ha condotto raid aerei in Cambogia, mentre i due vicini del Sud-est asiatico si attribuivano reciprocamente la responsabilità di aver infranto la tregua negoziata dagli Stati Uniti.

 

A luglio, una controversia confinaria protrattasi per oltre cinquant’anni è sfociata in scontri armati tra i due Stati. Il presidente USA Donald Trump, tuttavia, era riuscito a imporre un cessate il fuoco dopo cinque giorni di ostilità.

 

L’esercito thailandese ha riferito che i nuovi episodi di violenza sono emersi domenica, accusando le unità cambogiane di aver sparato contro i soldati di Bangkok nella provincia orientale di Ubon Ratchathani. Un militare thailandese è caduto, mentre altri quattro hanno riportato ferite; in seguito, ulteriori truppe thailandesi sono state bersagliate da artiglieria e droni presso la base di Anupong, ha precisato lo Stato Maggiore.

 

 

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Il portavoce della Royal Thai Air Force, il maresciallo dell’aria Jackkrit Thammavichai, ha comunicato in tarda mattinata di lunedì che i jet F-16 sono stati impiegati per «ridurre le capacità militari della Cambogia al livello minimo necessario per salvaguardare la sicurezza nazionale e proteggere i civili». Il portavoce del ministero della Difesa cambogiano, il tenente generale Maly Socheata, ha replicato domenica sera sostenendo che le truppe thailandesi hanno sferrato vari assalti contro le postazioni di Phnom Penh, utilizzando armi leggere, mortai e carri armati.

 

«Anche la parte thailandese ha accusato falsamente la Cambogia senza alcun fondamento, nonostante le forze cambogiane non abbiano reagito», ha dichiarato. Il dicastero ha altresì smentito le denunce thailandesi su un potenziamento delle truppe lungo il confine.

 

La contesa territoriale affonda le radici nell’epoca coloniale, quando la Francia – che dominò la Cambogia fino al 1953 – delimitò i confini tra i due paesi. Gli scontri di luglio provocarono decine di vittime e oltre 200.000 sfollati da ambo le parti.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Thailandia aveva sospeso la «pace di Trump» quattro settimane fa.

 

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