Alimentazione
Gli impianti di produzione di fertilizzanti chiudono in Gran Bretagna, nei Paesi Baltici e in Polonia
La produzione europea di fertilizzanti azotati si sta fermando. Come in un’ondata, impianti su tutto il continente stanno chiudendo.
Alcune chiusure, dicono, sarebbero temporanee, altre invece vengono già dichiarate come permanenti.
Tutti i soggetti industriali interessati citano come motivo il picco dei prezzi del gas naturale, l’input per la produzione.
Al lettore distratto ricordiamo: niente fertilizzanti, niente raccolti, niente cibo.
Yara, il più grande produttore mondiale di fertilizzanti chimici, ha annunciato il 25 agosto che ridurrà del 50% la produzione di fertilizzanti azotati in Europa. L’azienda ha già chiuso stabilimenti europei in diverse località.
Un portavoce del Consiglio dell’UE ha affermato la grave situazione a settembre verrà affrontata a settembre, ma ci viene da riderem perché, come ricorda EIRN, è proprio la UE che preme per «la drastica riduzione dei fertilizzanti “chimici” nelle direttive “Farm to Fork” del Green Deal 2020».
In Gran Bretagna, la principale azienda di fertilizzanti della nazione, CF Fertilizers (una sussidiaria di CF Holdings con sede negli Stati Uniti) ha annunciato questa settimana che interromperà temporaneamente la produzione di fertilizzanti azotati nel suo stabilimento di Billingham. A luglio aveva annunciato la chiusura definitiva del suo impianto nel Cheshire, a Ince, che aveva già temporaneamente interrotto la produzione nell’autunno 2021, a causa degli alti prezzi del gas 0 cioè prima dell’operazione speciale russa in Ucraina, dove il Regno Unito – a fronte della povertà dickensiani che sta investendo il popolo britannico – si sta intromettendo con forniture di armi, addestratori e pressioni diplomatiche in tutte le direzioni.
In Polonia, Azoty Grupa SA, la più grande azienda chimica della nazione, questa settimana ha annunciato importanti tagli ai fertilizzanti azotati. Il ministro dell’Agricoltura ha chiesto al governo di elaborare un piano di emergenza.
Nei Paesi Baltici, il più grande produttore di fertilizzanti del Baltico, Achema, con sede a Jonava, nella Lituania centrale, chiuderà le sue operazioni di azoto il 1° settembre. Il quotidiano russo Vedomosti riferisce di questa chiusura, che, come in tutta Europa, è dovuta a un aumento significativo dei prezzi del gas e dei costi di produzione. Il top manager dell’azienda, riporta il giornale moscovita, osservache a causa dell’aumento dei prezzi del gas, i fertilizzanti dell’azienda stanno diventando meno competitivi rispetto ai prodotti provenienti da Russia e Stati Uniti.
Vedomosti riferisce che questo inverno potrebbe portare a uno squilibrio critico del mercato. Boris Krasnozhenov, responsabile di Securities Market Analytics presso la russa Alfa Bank, ha dichiarato che l’Europa è «la regione più costosa» per la produzione di fertilizzanti azotati.
Sergej Grishunin, amministratore delegato della Agenzia Nazionale di Rating, concorda sul fatto che la loro produzione nell’UE «non ha senso» agli attuali prezzi del gas. «Se i produttori europei non riceveranno il sostegno statale, potrebbe esserci una catastrofica carenza di fertilizzanti azotati in inverno e in primavera», ritiene Krasnozhenov.
Come riportato in questi mesi da Renovatio 21, il tema della crisi mondiale dei fertilizzanti è risalente a prima della guerra ucraina, tuttavia, essendo che – coincidenza – Russia e Bielorussia rappresentano un’enorme quota della produzione mondiale di fertilizzanti, la situazione non poteva che peggiorare.
A inizio conflitto la Russia aveva sospeso le esportazioni di fertilizzanti; , provocando la sospensione da parte di molte nazioni delle esportazioni alimentari – come l’Ungheria, rilevante esportatore di grano in Italia.
Tra marzo e aprile 2022 si erano viste veementi proteste per il costo di cibo, carburante e fertilizzanti in vari Paesi, tra cui, ad esempio, il Perù.
Nel frattempo, la più grande cooperativa agricola USA ha ammonito riguardo al fatto che le sanzioni potrebbero causare carenze di fertilizzanti, quindi di cibo, negli Stati Uniti.
In un bizzarro episodio dello scorso maggio, un treno carico di preziosi fertilizzanti è deragliato in Canada.
Il quadro è chiarito da un denso, profetico articolo di William F. Engdahl – «Fertilizzanti, attacco organizzato alle forniture globali?» – pubblicato su Renovatio 21 nel novembre 2021, quando una possibile carestia di fertilizzanti (prodromo di una nuova fame globale) cominciava già a dare segni leggibili.
Tutto questo sta accadendo. La fame può tornare anche nel nostro mondo cosiddetto sviluppato.
Lo abbiamo permesso lasciando al potere uomini corrotti e/o incapaci.
Le conseguenze sono per noi incalcolabili. Non resta, per quanto possibile, il prepararsi.
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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