Persecuzioni
Gerusalemme, patriarcato armeno nel mirino dei coloni ebrei: cristiani «in pericolo»

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Al centro della controversia un terreno nell’area del «Giardino delle Vacche». Nel gruppo di coloni anche un radicale coinvolto in passato in un attentato e vicino al ministro Itamar Ben-Gvir. In una nota i vertici cristiani parlano di minaccia «senza precedenti» che mette a rischio la presenza stessa della comunità e di tutti i cristiani della Terra Santa.
Negli ultimi giorni una vasta opera di «distruzione» e la «rimozione» dell’asfalto sul terreno del Quartiere Armeno sono state effettuate «senza la presentazione di permessi da parte del Comune, né da parte del costruttore né da parte della polizia». Ciononostante, gli agenti hanno deciso di chiedere «a tutti i membri» della comunità «di lasciare i locali».
È quanto afferma il Patriarcato armeno di Gerusalemme, che lancia un appello alla solidarietà delle Chiese della città santa in un momento che definisce «senza precedenti», a fronte di un «altro passo» che finisce per mettere «in pericolo» la stessa «presenza cristiana a Gerusalemme e in Terra Santa».
Nella nota i vertici parlano di «minaccia esistenziale» più grave in 16 secoli di storia, che riguarda tutti e che è legato ad una controversa questione di terreni e proprietà.
Di recente il patriarcato armeno ha «annullato un contratto inficiato da false rappresentazioni, influenze indebite e benefici illegali». Tuttavia, prosegue il comunicato, «invece di fornire una risposta legittima all’annullamento», la società che vuole edificare nell’area conosciuta come «Giardino delle Vacche» ha «completamente ignorato la posizione legale del patriarcato» stesso sulla vicenda.
Al contrario, i vertici hanno scelto la via della «provocazione, aggressione e altre tattiche vessatorie e incendiarie, tra cui la distruzione di proprietà, l’assunzione di provocatori pesantemente armati e altre istigazioni» che vedono protagonisti anche un gruppo di coloni, con un elemento legato al ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir.
A conferma, spiegano alcune fonti nella città santa, di un benestare, se non connivenza o pieno sostegno, del governo israeliano alle rivendicazioni e agli attacchi dei coloni ebraici e della fazione ultra-ortodossa.
Ad alimentare i timori della leadership armena è stato l’ultimo attacco di una lunga serie negli ultimi mesi contro la comunità cristiana, dagli sputi ai fedeli in processione fino alla vandalizzazione di cimiteri e luoghi di culto, con il sostegno dell’esecutivo israeliano.
Ad aggiornare sulla vicenda è stato l’avvocato e attivista Daniel Seidemann, che sul suo profilo X (ex Twitter) ha raccontato di come le forze dell’ordine abbiano ordinato agli armeni di liberare l’area al centro della controversia, accusandoli di «appropriazione indebita». Dal 12 novembre, un grande gruppo fedeli sostenuto dal patriarcato, hanno promosso una protesta e bloccato gli accessi all’area con auto e recinzioni, per impedire qualsiasi ulteriore costruzione illegale sulla proprietà armena.
Nonostante il presidio degli armeni, un convoglio di coloni ebraici a bordo di auto e motociclette ha fatto irruzione nel quartiere a Gerusalemme Est, cercando di occupare l’area e cacciare i presenti.
A fronte di una situazione di tensione che rischia di esasperare, la polizia è intervenuta a difesa dei coloni finendo per arrestare tre cristiani, uno dei quali minore di età e permettendo a un gruppetto di invasori di formare un presidio al «Giardino delle Vacche». In risposta, i fedeli hanno dato vita a una catena umana, chiedendo – invano – agli assalitori di andarsene mentre la situazione in tutta la zona resta di grande tensione.
Alla guida del gruppo di coloni vi era il controverso imprenditore Danny Rothman, l’uomo rivendica il controllo della zona, e un sostenitore del movimento pro-colonie e occupazione: si tratta di Saadia Hershkop, che avrebbe legami con Ben-Gvir e, nel 2005, ha avuto un ruolo nell’attacco terrorista contro arabi palestinesi a Shefa-Amr lanciato dall’estremista ebraico Eden Natan-Zada.
La comunità armena di Terra Santa è da tempo al centro di una controversia relativa alla vendita di terreni nella città vecchia, a Gerusalemme, che ha già creato una profonda frattura interna. A originare lo scontro l’affitto per 99 anni – una sorta di esproprio di fatto – di proprietà immobiliari a un imprenditore ebreo australiano dall’impero economico opaco, che muove da tempo dietro le quinte.
Il prete che ha mediato e sottoscritto l’atto è l’ex amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme, oggi in «esilio» nel sud della California. Con lui hanno manovrato il patriarca armeno ortodosso Nourhan Manougian, l’arcivescovo Sevan Gharibian e l’uomo d’affari Daniel Rubenstein (conosciuto anche come Danny Rothman), che nell’area intende costruire un hotel di lusso.
La vicenda ha toccato anche la carica patriarcale, con il primate armeno «sfiduciato» dalla comunità, con parte dei fedeli che he hanno invocato le dimissioni, mentre Giordania e Palestina ne hanno «congelato» di fatto l’autorità.
La vicenda è esplosa nel maggio scorso, ma il contratto è stato firmato in gran segreto nel luglio 2021 e prevede l’affitto per quasi un secolo del terreno denominato «Giardino delle Vacche» (Goveroun Bardez). Situata nei pressi del quartiere armeno, in una zona strategica, l’area è gestita dal maggio 2021 dal comune come parcheggio per quanti si recano a pregare al muro del pianto. Il contratto risale all’anno precedente e vale per un decennio, ma il suo uso da parte degli ebrei ha provocato l’ira degli armeni che dal 2012 si battono per tornare a disporne a pieno titolo.
Alcuni scavi archeologici nel recente passato hanno portato alla luce mosaici di una chiesa bizantina. Inoltre l’accordo – criticato dai palestinesi che parlano di «svendita» di terre della città santa agli israeliani – non sarebbe valido, perché manca l’approvazione mediante voto del Sinodo armeno (otto ecclesiastici) e del via libera della Fraternità di San Giacomo del Patriarcato armeno.
Nel contratto sarebbero poi incluse quattro case armene, il celebre ristorante Boulghourji, attività commerciali ed edifici Tourianashen in via Jaffa, fuori dalla città vecchia.
La controversia finisce per interessare anche gli stessi «Accordi di Abramo», perché una delle compagnie interessate all’acquisto e costruzione è la One&Only, con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (EAU).
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Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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Immagine da AsiaNews
Persecuzioni
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