Persecuzioni
Gerusalemme, coloni ebraici attaccano il quartiere dei cristiani armeni: arresti e feriti

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In una nota il patriarcato parla di 30 «provocatori» con indosso maschere, armi che hanno assaltato vescovi, sacerdoti e fedeli. Ma per la vice-sindaco della città i responsabili sarebbero «uomini arabi» che si sono «azzuffati» con gli armeni e la polizia ha effettuato dei fermi «da entrambe le parti». Dietro il raid il controllo di un’area contesa della città santa.
Due giovani armeni arrestati dalla polizia israeliana e diversi altri feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. È il bilancio dell’attacco, avvenuto ieri pomeriggio, da parte di decine di estremisti ebraici in un’area contesa a Gerusalemme, appartenente al Patriarcato armeno ma da tempo nel mirino dei coloni e di un imprenditore dalle controverse origini. E, anche in questo caso come in altre vicende del passato, la comunità cristiana è due volte vittima: dell’assalto che ha provocato shock e feriti e della successiva operazione delle forze di polizia israeliana, che finisce per punire chi ha subito – e non chi è causa – della violenza.
Secondo quanto riferisce il Movimento per la Protezione e la Conservazione del Quartiere Armeno di Gerusalemme, in seguito a un «attacco» sferrato da «uomini armati» nell’area nota come «Cow Garden» due giovani armeni «sono stati arrestati». «Domani [oggi, ndr] saranno portati in tribunale. Gli avvocati ~ prosegue la dichiarazione del movimento – li rappresenteranno durante il procedimento giudiziario».
Gli attivisti si rivolgono al Patriarcato armeno esortandolo a usare «tutti i mezzi possibili» attraverso i suoi collegamenti con la polizia, il comune e il governo per garantire «il rilascio immediato dei giovani» fermati ingiustamente.
Fonti locali riferiscono di almeno 30 «provocatori» con indosso maschere, altri ancora con armi in pugno, protagonisti di un assalto a vescovi, sacerdoti, diaconi e fedeli armeni ieri nella città vecchia, a Gerusalemme. In rete e sui social circolano immagini e video dell’assalto, che secondo una lettera inviata a governo e polizia dal patriarcato armeno sarebbe stato «coordinato e di massa».
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«Diversi sacerdoti, studenti e armeni dell’area – continua la nota – sono rimasti feriti in modo grave». «Ci hanno attaccato in modo deliberato» accusa il vescovo Koryoun Baghdasaryan, direttore del Real Estate Department del Patriarcato, intervistato da The Jerusalem Post (JP). Per il cancelliere Aghan Gogchyan gli aggressori hanno usato spray al peperoncino e altre sostanze chimiche colpendo gli studenti del seminario, molti dei quali sono stati portati in ospedale.
Nel commentare l’attacco, i vertici della comunità armena di Terra Santa – secondo cui il raid è legato alla causa presentata in tribunale contro il tentativo di esproprio dei terreni – parlano di «un gruppo di 30 coloni estremisti israeliani» vestiti «con abiti neri, passamontagna e armati». Poco prima dell’una del pomeriggio i componenti della banda si sono avvicinati muniti di «bastoni, pietre e granate lacrimogene», nell’ennesimo tentativo di «allontanare violentemente la comunità armena dall’area».
Gli armeni «hanno combattuto i coloni ebrei fino all’arrivo della polizia». Diversa, al limite del paradossale, la versione della vice-sindaco di Gerusalemme Fleur Hassan-Nahoum interpellata dal JP, che parla di «spiacevole incidente» addossando la responsabilità dell’attacco a «arabi musulmani» che si sarebbero «azzuffati» con gli armeni. Gli agenti sono intervenuti prontamente, aggiunge, effettuando «arresti da entrambe le parti».
La comunità armena di Terra Santa è da tempo al centro di una controversia sulla vendita di terreni nella città vecchia, a Gerusalemme, che ha già creato una profonda frattura interna. A originare lo scontro l’affitto per 99 anni – un esproprio di fatto – di proprietà immobiliari a un imprenditore ebreo australiano dall’impero economico opaco, che muove da dietro le quinte. Il prete «traditore» che ha mediato e sottoscritto l’atto è Baret Yeretzian, ex amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme, oggi in «esilio». Con lui hanno manovrato il patriarca armeno ortodosso Nourhan Manougian, l’arcivescovo Sevan Gharibian e l’uomo d’affari Daniel Rubenstein (conosciuto come Danny Rothman), che nell’area intende costruire un hotel di lusso.
La vicenda ha toccato anche la carica patriarcale, con il primate armeno «sfiduciato» dalla comunità, parte dei fedeli ne hanno invocato le dimissioni, mentre Giordania e Palestina hanno «congelato» di fatto l’autorità.
La vicenda è esplosa nel maggio scorso, ma il contratto è stato firmato in gran segreto nel luglio 2021 e prevede l’affitto per quasi un secolo del terreno denominato «Giardino delle Vacche» (Goveroun Bardez), oggi un parcheggio usato per recarsi al muro del pianto. Il suo uso da parte degli ebrei ha provocato l’ira degli armeni, che dal 2021 si battono per tornare a disporne a pieno titolo.
Nel contratto sarebbero incluse quattro case armene, il ristorante Boulghourji, attività commerciali ed edifici Tourianashen in via Jaffa, fuori dalla città vecchia.
La controversia finisce per interessare anche gli stessi «Accordi di Abramo», perché una delle compagnie coinvolte è la One&Only, con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (EAU).
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Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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Immagine da AsiaNews
Persecuzioni
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