Sorveglianza
Geolocalizzazione COVID, a Ravenna è realtà. E dopo, cosa verrà?
La notizia ha destato scandalo, la situazione è in
La Polizia locale di Ravenna, era emerso la settimana scorsa, aveva cominciato a fare controlli telefonici alle persone in quarantena chiedendo di inviare la propria posizione GPS ad un numero dettato durante la telefonata.
«Se la persona non vuole o non può mandarlo, sul posto si reca la pattuglia per il controllo “tradizionale”» riportava l’ANSA il 15 gennaio.
«Se la persona non vuole o non può mandarlo, sul posto si reca la pattuglia per il controllo “tradizionale”»
L’agenzia riportava anche le dichiarazioni del giovane sindaco ravennate Michele De Pascale, PD, rieletto al primo turno nell’ottobre 2021 con i voti della sinistra e del M5S. De Pascale è peraltro Presidente dell’Unione delle province d’Italia in carica.
«L’invio consenziente della propria posizione tramite lo smartphone offre al cittadino un’alternativa molto meno invasiva rispetto al controllo a domicilio» dice il primo cittadino del capoluogo romagnolo.
Si apprende che «l’isolamento domiciliare è una misura prevista dalla legge per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, si legge nella nota del Comune, e le disposizioni su sanzioni e controlli (art.4 decreto legge n.19 del 25 marzo 2020) prevedono che le misure siano eseguite anche dalla polizia municipale, in quanto agente di pubblica sicurezza, che possono recarsi al domicilio oppure optare per “ogni altra operazione tecnica».
«Dunque, sottolinea il sindaco, gli agenti contattano l’interessato sull’utenza contenuta negli elenchi che, quotidianamente, sono diramati dal Dipartimento di sanità pubblica agli enti preposti al controllo. Poi il colloquio telefonico consente di concordare la modalità più gradita di controllo. Alla persona viene data la possibilità di dimostrare la propria presenza al domicilio con l’invio del dato di posizione geografica del cellulare. Un dato “istantaneo”, che “non si protrae oltre il tempo dell’accertamento e non è soggetto a conservazione”. Insomma non c’è alcun “tracciamento generalizzato”».
Non abbiamo dubbi che si siano avuti molti casi, come dice il sindaco, di «invii consenzienti della propria posizione», specie di elettori del PD e dei grillini – ma non solo. Abbiamo visto come la popolazione, nell’incredibile stato di emergenza che stiamo vivendo ancora dopo due anni (ricordate? «due settimane per appiattire la curva…»), abbia risposto con grande docilità a qualunque cosa gli venisse chiesta.
Tuttavia, questa volta è successo qualcosa: il Garante della Privacy ha aperto un’istruttoria sul caso.
«Il Garante per la privacy ha aperto un’istruttoria ed ha inviato al Comune una richiesta di informazioni»
«Il Garante per la privacy ha aperto un’istruttoria ed ha inviato al Comune una richiesta di informazioni» ha scritto l’autorità romana, riportata da Il Resto del Carlino.
«Il Comune dovrà far pervenire all’Autorità ogni elemento utile alla valutazione del trattamento di dati personali effettuato, con particolare riferimento alle modalità del trattamento, descrivendo gli strumenti del sistema realizzato, incluse specifiche app per dispositivi mobili utilizzate; le finalità perseguite mediante la geolocalizzazione e i periodi di tempo e le modalità di conservazione dei dati raccolti, nonché il rispetto dei principi di proporzionalità e minimizzazione del trattamento».
«L’ente locale dovrà inoltre indicare le misure tecniche ed organizzative adottate per garantire un livello di sicurezza adeguato dei dati trattati e gli eventuali soggetti terzi destinatari dei dati acquisiti attraverso le funzioni di geolocalizzazione».
Anche l’opposizione si è fatta sentire. Il capogruppo di Fratelli d’Italia in consiglio comunale Renato Esposito ha dichiarato che «la misura adottata riveste profili di illegittimità giuridica oltre che una palese inopportunità politica (…) Tale inaccettabile pratica infatti, ricorda più i metodi stalinisti del KGB che quelli attuati in un regime di libera democrazia», riporta Ravenna Today.
I lettori di Renovatio 21 sanno che quella della geolocalizzazione degli quarantenati COVID non è una novità, ed è in uso nel Paese-guida della repressione pandemica: l’Australia.
I cittadini australiani sono infatti obbligati a fornire selfie geo-tracciabili alla polizia per dimostrare che stanno a casa in quarantena aderendo al protocollo pandemico
I cittadini australiani sono infatti obbligati a fornire selfie geo-tracciabili alla polizia per dimostrare che stanno a casa in quarantena aderendo al protocollo pandemico.
Nel protocollo dello Stato australiano del Victoria, «se i cittadini non rispondono al controllo come ordinato, ufficiali sanitari vengono inviati al loro indirizzo per infliggere punizioni» scriveva Renovatio 21 tre mesi or sono.
Ora, come inevitabile, come ripetuto da questo sito mille volte, il «modello» australiano non può che tracimare, essere esportato in tutto il mondo.
Il motivo è da ricercarsi in questione tecniche di politica profonda: l’Australia, non ha una carta dei diritti. Ciò ha permesso a Canberra di effettuare, ad esempio, un blocco totale nello spostamento delle persone, cittadini australiani o meno che fossero, in entrata e in uscita dal Paese.
Ora, anche sulla scorta del pensiero di Robert Kennedy jr., pare sempre più palese che la pandemia si configuri come un immane attacco alle democrazie costituzionali, cioè ad una delle basi dello Stato moderno, ossia l’impianto dei diritti del cittadino. Un semplice rovesciamento dei fondamenti filosofico-politici della società: non più lo Stato per il cittadino (garantito dai diritti), ma il cittadino per lo Stato (che ha potere pressoché assoluto, non più vincolato ai diritti del cittadino, nemmeno quelli fondamentali).
Pare sempre più palese che la pandemia si configuri come un immane attacco alle democrazie costituzionali, cioè ad una delle basi dello Stato moderno, ossia l’impianto dei diritti del cittadino. Un semplice rovesciamento dei fondamenti filosofico-politici della società: non più lo Stato per il cittadino (garantito dai diritti), ma il cittadino per lo Stato (che ha potere pressoché assoluto, non più vincolato ai diritti del cittadino, nemmeno quelli fondamentali)
Ai cittadini, ovunque, vengono ora negati diritti scritti chiaramente nelle Costituzioni. In USA, il diritto alla libera espressione, il diritto al giusto processo tramite una giuria di pari, diritti connessi alla sfera religiosa contenuti nel Bill of Rights (la «Carta dei diritti che contiene gli emendamenti alla Costituzione) sono stati sacrificati, ripete Kennedy, che parla di una «decostruzione della Costituzione» ad opera di Big Pharma.
Pensiamo anche alla Germania, che all’articolo uno (detto della «Protezione della dignità umana») recita: «(1) La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla. (2) Il popolo tedesco riconosce gli inviolabili e inalienabili diritti dell’uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo». Come abbiamo visto, la Germania ora ha poliziotti che dicono ai manifestanti che questi non sono più esseri umani, e il relatore speciale ONU sulla tortura che si interessa dei casi delle violenze delle forze dell’ordine alle manifestazioni tedesche.
Oppure pensiamo all’Italia, dove – oltre alla libertà di cura sancita dall’articolo 32, ora al centro della discussione tra TAR e Consiglio di Stato, alla libertà di movimento dell’art. 16, alla libertà religiosa garantita dall’art. 19, etc. – è calpestato in questo stesso momento l’articolo 1 della Carta, e da tutte le istituzioni, quello che fa basare (un po’ sovieticamente…) l’intera Repubblica sul lavoro, valore primario e fondante dello Stato italiano.
È chiaro che siamo in una situazione, non solo in Italia, dove il concetto stesso di «diritto» è stato abolito in favore di una sorta di giurisprudenza atomizzata, arbitraria e sentimentale dove chiunque decide quel che gli pare, purché sia nella direzione della segregazione pandemica: è il caso degli ospedali che, contra legem, rifiutano le persone non vaccinate, o addirittura non trivaccinate, contro i regolamenti e contro la Costituzione.
Ora, non c’è da stupirsi più di tanto se un sindaco – ricordandoci che i Ttattamenti sanitari obbligatori sono fenomeni rari che necessitano appunto la firma dei primi cittadini – attui una misura di controllo del genere.
Chi segue Renovatio 21 sa che, non solo in Cina, a Singapore, o negli Emirati, sono già in opera sistemi di sorveglianza molto più avanzati – e impressionanti, come la face recognition, il riconoscimento facciale attuato tramite la diffusione massiva di telecamere. La face recognition era stata proposta anche per permettere agli inglese di andare al pub.
Più avanti ancora abbiamo l’uso di droni di sorveglianza, e non si tratta di fantascienza, ma di realtà. La città di Londra sta proponendo l’uso di droni di controllo con la giustificazione della violenza sulle donne.
Vi è poi il capitolo su droni in grado di controllare la temperatura delle persone, capaci quindi di individuare i possibili infetti COVID. È successo in Malesia, mentre in Belgio, la polizia ha usato droni dotati di altoparlanti per impartire ordini alle persone di restare a casa. In Spagna droni di sorveglianza – quando non elicotteri – sono stati impiegati per assicurarsi che le persone che visitano le spiagge rispettino le norme pandemiche. In Australia fu diffusa la notizia che «droni ad alta potenza verranno utilizzati per trovare persone che non indossano maschere e macchine troppo lontane da casa» durante i lockdown.
Stupirsi che la tecnologia informatica ubiqua, che consente a ciascuno di noi di essere trovato via GPS, non venga usata dal potere per scopi di controllo (la cibernetica, per etimo, è scienza del controllo)?
Nemmeno questa è science fiction, anzi, è qualcosa di molto vicino: l’utilizzo di droni per la questione sanitaria è stato proposto anche in Lazio, dove la Regione lo scorso settembre stava approntando droni in grado di controllare la temperatura di chi è in spiaggia.
Quindi: stupirsi degli SMS geolocalizzati?
Stupirsi che la tecnologia informatica ubiqua, che consente a ciascuno di noi di essere trovato via GPS, non venga usata dal potere per scopi di controllo (la cibernetica, per etimo, è scienza del controllo)?
Da dove bisogna iniziare, per cominciare a riparare tutto questo?
Sorveglianza
Perquisita la casa di un professore tedesco per un tweet che criticava l’ideologia woke
La polizia tedesca ha effettuato un’irruzione nell’abitazione di un docente universitario conservatore a seguito di un tweet critico verso l’ideologia woke.
L’operazione si è svolta giovedì mattina a Berlino, nella casa di Norbert Bolz, noto pubblicista e studioso di media, ex professore di studi sui media presso l’Università Tecnica di Berlino fino al 2018.
L’irruzione rientra in un’indagine sull’uso di simboli di organizzazioni incostituzionali, come previsto dall’articolo 86a del codice penale tedesco.
Il 20 gennaio 2024, Bolz ha pubblicato un post su X, scrivendo: «Ottima traduzione di “woke“: Germania, svegliati! [in tedesco: “Deutschland erwache“]», citando un articolo del quotidiano di sinistra Taz, che aveva usato la stessa espressione nel titolo: «Divieto dell’AfD e petizione Höcke: la Germania si risveglia [in tedesco: “Deutschland erwacht“]».
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La frase «Deutschland erwache» (La Germania si risveglia) era un verso dello «Sturmlied», inno del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Sebbene Bolz l’abbia utilizzata in modo sarcastico e citando il giornale di sinistra, la Procura ha deciso di emettere un mandato di perquisizione per la sua abitazione, indagandolo per l’uso di un’espressione legata a un’organizzazione vietata, il Partito Nazista.
Bolz, noto commentatore politico con oltre 91.000 follower su X e frequente ospite di talk show, è stato difeso dal suo avvocato, Joachim Steinhöfel, esperto di diritto dei media. In una dichiarazione ad Apollo News, Steinhöfel ha criticato l’irruzione: «Siamo di fronte a una preoccupante perdita di controllo del sistema giudiziario penale, che sembra aver coinvolto anche l’Ufficio federale di polizia criminale. Quando un rinomato studioso come il professor Bolz subisce una perquisizione domiciliare per un tweet chiaramente ironico, c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro Stato di diritto».
«Non è accettabile che le autorità non riescano più a distinguere tra propaganda criminale ed espressione legittima di opinioni», ha aggiunto.
Bolz ha espresso il suo turbamento in una dichiarazione al sito Nius: «Di solito scrivo e parlo di questo mondo. È spaventoso quando questa realtà bussa improvvisamente alla tua porta. Non sono scioccato, perché me lo aspettavo. Ma constatare che la situazione è esattamente come descritta dalle analisi critiche è inquietante sotto ogni punto di vista».
Le autorità tedesche sono note per effettuare perquisizioni domiciliari a causa di post online, soprattutto se in contrasto con l’ortodossia della sinistra dominante.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso, la polizia ha fatto irruzione nella casa di un anziano per aver condiviso un meme che definiva «idiota» l’allora vice-cancelliere dei Verdi tedeschi.
Quattro mesi fa si sono avuto raid della polizia alle sei del mattino in tutta la Germania per prendere di mira centinaia di individui sospettati di aver insultato i politici o di aver diffuso «odio e incitamento» online. L’azione massiva, condotta dall’Ufficio federale di polizia criminale (BKA), utilizzava il nuovo articolo 188 del Codice penale per colpire gli individui accusati di razzismo e incitamento all’odio.
«Quando la polizia è alla porta, ogni colpevole si rende conto che i crimini d’odio hanno delle conseguenze», ha scritto su X il ministro degli Interni Nancy Faeser, vantandosi delle retate. La Faeser nota per la sua volontà di introdurre programmi contro l’«estremismo di destra» fra i bambini dell’asilo.
Mesi fa un tribunale distrettuale tedesco ha condannato il caporedattore della rivista conservatrice Deutschland-Kurier a sette mesi di carcere per aver diffamato l’allora ministro degli Interni Faeser – proprio quella dei corsi contro l’estremismo di destra per i bambini di tre anni nei kindergarten – con quello che era chiaramente un meme satirico.
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La repressione più dura si abbatte in Germania da anni, prendendo di mira soprattutto AfD, perseguitata dagli stessi servizi di sicurezza della Budesrepubblica. Infatti, i servizi di sicurezza interna tedeschi BfV hanno messo sotto sorveglianza il loro stesso ex capo, Hans-Georg Maaßen.
L’ondata di perquisizioni segue il divieto di Compact Magazine, una testata sovranista dove erano pure apparsi saggi del segretario di Stato USA Marco Rubio sui limiti dell’ordine mondiale del dopoguerra, e la sua cancellazione da internet. Questa settimana, un tribunale federale di primo grado ha stabilito che il divieto non era costituzionale e costituiva una violazione della libertà di stampa, infliggendo un duro colpo al Ministero dell’Interno federale.
Come riportato da Renovatio 21, la Germania è il Paese dove mesi fa un cittadino è stato multato per aver criticato giudice che ha solo multato un immigrato per lo stupro di una 15enne: al cittadino tedesco è stata comminata una multa doppia rispetto a quella dell’immigrato stupratore.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso un tribunale di Amburgo ha condannato un uomo a tre anni di galera per aver giustificato l’«aggressione russa» all’Ucraina su Telegram.
Come riportato da Renovatio 21, il caso più avanzato di repressione di libertà di parola pare essere la Gran Bretagna, dove almeno 12 mila persone all’anno sono messe in galere per frasi sui social. In Albione si è arrivati a condannare persino chi prega con la mente.
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Sorveglianza
Il nuovo presidente della Bolivia vuole la blockchain per combattere la corruzione
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Intelligenza Artificiale
Apple Siri accusata di intercettare gli utenti: indagine penale in Francia
La procura francese ha avviato un’indagine penale contro Apple per le accuse secondo cui il suo assistente vocale Siri avrebbe raccolto e analizzato registrazioni degli utenti senza il loro consenso. L’inchiesta è stata assegnata all’agenzia francese per la criminalità informatica, come comunicato dalla procura di Parigi e riportato dal sito Politico e dall’agenzia Reuters.
L’indagine è scaturita da una denuncia presentata a febbraio da un’ONG francese, basata sulla testimonianza della «gola profonda» Thomas Le Bonniec, ex dipendente di un subappaltatore di Apple, che ha dichiarato di aver ascoltato migliaia di registrazioni di Siri nel 2019 durante un’attività di controllo qualità.
Le Bonniec avrebbe lavorato per Globe Technical Services in Irlanda, dove revisionava e annotava clip audio per migliorare l’accuratezza di Siri. Ha riferito a Politico che il materiale rivelava a volte «momenti intimi e informazioni riservate», che potevano consentire l’identificazione degli utenti.
L’informatore ha accolto con favore l’indagine, affermando che dovrebbe permettere di «rispondere a domande urgenti», come il numero di registrazioni effettuate dal lancio di Siri e il luogo in cui i dati sono archiviati.
Un portavoce di Apple in Francia ha dichiarato a Politico che l’azienda «non ha mai utilizzato i dati di Siri per creare profili di marketing, non li ha mai resi disponibili per scopi pubblicitari e non li ha mai venduti a nessuno per nessun motivo».
Apple ha inoltre comunicato a Reuters di aver rafforzato le misure sulla privacy di Siri dal 2019, con ulteriori miglioramenti effettuati quest’anno. L’azienda ha precisato che le conversazioni con Siri «non sono mai state condivise con i marketer né vendute agli inserzionisti».
A gennaio, Apple ha anche sottolineato che non avrebbe conservato «registrazioni audio delle interazioni con Siri, a meno che l’utente non acconsenta esplicitamente».
Come riportato da Renovatio 21, negli Stati Uniti, Apple ha affrontato una class action simile, in cui Siri è stato accusato di aver registrato involontariamente conversazioni private, poi esaminate da appaltatori terzi per il controllo qualità.
All’inizio di quest’anno, l’azienda ha raggiunto un accordo da 95 milioni di dollari, approvato da un giudice federale il mese scorso. L’accordo prevede risarcimenti fino a 20 dollari per dispositivo con Siri abilitato per gli utenti che hanno posseduto prodotti Apple tra il 2014 e il 2024. Inoltre, Apple è stata obbligata a eliminare le vecchie registrazioni di Siri entro sei mesi.
Come riportato da Renovatio 21, ad inizio anno era emerso che il governo britannico aveva una technical capability notice («avviso di capacità tecnica») ad Apple, costringendo l’azienda a creare una backdoor per il suo servizio iCloud criptato. Tale manovra consentirebbe alle forze dell’ordine e alle agenzie di sicurezza britanniche di accedere ai dati criptati archiviati dagli utenti Apple in tutto il mondo, secondo il giornale.
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Immagine di Kārlis Dambrāns via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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