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Politica

Fondamenti e politiche del partito Sanseito, definito come la nuova «estrema destra» giapponese

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Scrivo queste righe la mattina di domenica 20 luglio, nel mio appartamento nel nord est di Tokyo. La stagione delle piogge chiamata tsuyu è ufficialmente finita: tra le poche nuvole il cielo appare di un azzurro brillante, l’umidità è relativamente scarsa e il caldo sopportabile e quasi piacevole.

 

Sarebbe una bellissima giornata estiva, se sul Giappone non incombesse la minaccia del populismo, pronto a sprofondare il paese nella barbarie nazionalista.

 

Squadracce in camicia arancione formano capannelli minacciosi nei pressi delle principali stazioni ferroviarie, mentre i residenti stranieri, presentendo il peggio, già affollano gli aeroporti.

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Vi piacerebbe, vero?

 

O almeno così piacerebbe ai media stranieri che ultimamente hanno preso a volgere i riflettori sul Sanseito, partito emergente nel panorama politico del Sol Levante.

 

Stiamo parlando di una forza politica nata nel 2020, che fino a ora ha raccolto rispettivamente il 2.50% e 3.80% dei voti nelle elezioni per la camera a cui ha partecipato: decisamente numeri ancora piccoli, sebbene la tendenza alla crescita paia essere costante.

 

Viene quindi spontaneo chiedersi cosa renda tanto inquietante il Sanseito agli occhi di Otaku Joe e Gender Fluid Jill, blogger statunitensi che, sorbendo il loro gluten-free soy flat white con quinoa e forfora vegetale in un caffè LGBTQKAIJUU-friendly di Koenjii, aizzano sui social media dell’anglosfera la chiamata alle armi contro il nippopopulismo montante.

 

Tali social media sono il mangime a cui si pasce la mandria dei giornalisti occidentali, che a sua volta produce lo stallatico che vi tocca leggere.

 

Il Sanseito (参政党, «partito della politica partecipata» è una traduzione abbastanza plausibile) e il suo fondatore Souhei Kamiya sono già stati accusati di tutti i peccati capitali della società moderna: antisemitismo, xenofobia, connivenza con la Russia – che, guarda guarda, starebbe influenzando le elezioni in corso – antivaccinismo e omofobia.

 

Aggiungiamoci la misoginia, perché in un comizio Kamiya ha avuto l’ardire di affermare quanto segue: «non sono gli uomini e le donne attempate quelli che mettono al mondo i bambini. Sono le donne giovani a mettere al mondo i bambini!». Impeccabile dal punto di vista biologico, ma evidentemente discutibile dal punto di vista ideologico.

 

Perché i lettori possano autonomamente farsi un’idea di questo partito politico, riporto qui sotto il suo programma come riportato dal volantino che ho trovato nella buca delle lettere. Aggiungo tra parentesi i miei commenti, al fine di fornire il contesto, informazioni utili e occasionale sarcasmo.

 

Il programma del Sanseito si divide in tre fondamenti, ognuno dei quali comprendente tre progetti politici.

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Fondamento I: Rendere ricco il Giappone

Progetto 1: diminuire le tasse, invece che raccogliere le imposte e ridistribuirle. Diminuendo l’IVA e l’importo dell’assicurazione sanitaria, il profitto netto dei cittadini aumenterebbe. (Il tema della diminuzione dell’IVA rispetto al 10% attuale figura nel programma della maggioranza dei partiti, a eccezione della maggioranza di governo).

 

Progetto 2: fare rinascere il Paese per mezzo di un’industria «vincente». Il Giappone è andato via via perdendo il suo ruolo di potenza industriale, il che spiega l’enfasi posta sul turismo negli ultimi anni. Il Paese deve rafforzare la sua industria pesante, mettersi al passo con la rivoluzione digitale rappresentata dall’IA e usare anche il suo arsenale di soft power (la cultura pop giapponese che tutti conoscono).

 

Progetto 3: opposizione all’immigrazione eccessiva degli ultimi anni. Il problema non è soltanto quello della sicurezza, ma anche quello dell’onere economico causato dagli stranieri rispetto ai possibili benefici che apportano. (I cittadini stranieri oggi sono più o meno il 3% della popolazione dell’arcipelago, ma l’aumento negli ultimi anni è stato tangibile. Kawaguchi, nella provincia di Saitama, è il simbolo dei problemi di integrazione: gli stranieri sono l’8% e ci sono grossi problemi di convivenza con la comunità curda).

 

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Fondamento II: Proteggere il Giappone

Progetto 1: stabilità della produzione di riso e sicurezza del cibo. Al momento il Giappone produce soltanto il 38% dei beni alimentari che consuma. L’obiettivo deve essere il 100%. Oltre a questo è necessaria un’informazione chiara riguardo agli additivi presenti nei cibi ed è anche fondamentale intensificare l’agricoltura biologica. (Qui il Sanseito tocca due nervi scoperti. L’autarchia alimentare è un obiettivo che il Giappone, Paese insulare poverissimo di materie prime, ricerca da sempre. Il cattivo raccolto di riso dell’anno scorso ha alimentato molte preoccupazioni nella popolazione. Il secondo punto é altrettanto delicato: gli oppositori sostengono che il Sanseito usi l’argomento del cibo sano per attirare inconsapevoli cittadini nelle spire dell’attivismo populista, un metodo più degno di una setta che di un partito politico. La verità è che c’è una diffusa preoccupazione riguardo all’aumento esponenziale delle allergie negli ultimi anni. La dermatite atopica ha una diffusione quasi epidemica, e non è il solo disturbo di larga diffusione)

 

Progetto 2: diminuire le spese mediche con premi per chi ha uno stile di vita sano. Nella fattispecie, gli anziani che si sono mantenuti in buona salute con il proprio stile di vita e non pesano sul sistema sanitario vanno premiati con viaggi premio all’interno del Paese. (Qui si fa riferimento alla campagna «Go To Travel», lanciata in epoca covidica per sostenere il turismo nazionale). In generale, la medicina deve essere preventiva invece che focalizzarsi sulle terapie farmacologiche a posteriori. (Ottimo modo per farsi dei nemici. Bravo, Kamiya-san!)

 

Progetto 3: Opposizione al trattato pandemico dell’OMS. Il Sanseito si oppone alle pressioni che arrivano dall’estero e ritiene che le politiche dell’OMS, volte al profitto dell’industria medica e di nazioni straniere, vadano riconsiderate.

 

 

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Fondamento 3: Crescere nuovi giapponesi

Progetto 1: Abolire l’educazione basata sui test. (Ho semplificato la traduzione, in realtà dice: abolire l’educazione basata sul controllo della deviazione standard. Quello è il metodo statistico con cui vengono assegnati i punteggi nell’infernale sistema degli esami che regge la scuola giapponese.) Costruire un sistema educativo che non guardi solo al punteggio degli esami, ma che trasmetta l’amore per il proprio Paese e per la famiglia, la coscienza di potere diventare un importante contributo al proprio paese: una nuova scuola fondata sull’amore e sul coraggio. (Tanta roba)

 

Progetto 2: 100.000 yen al mese per ogni bambino. Dare un contributo a ogni bambino fino ai 15 anni perché a tutti sia garantita uguaglianza nell’accesso all’istruzione. Rafforzare gli aiuti economici per realizzare una società in cui sia possibile mettere al mondo un bambino senza ansie e preoccupazioni eccessive.
(Questo popolo si sta estinguendo, nessun problema è più grande di questo al momento)

 

Progetto 3: Una nuova filosofia politica, partendo da una nuova costituzione. Il Sanseito non propone riforme, ma che i giapponesi possano creare da sé la costituzione del proprio paese. (L’attuale costituzione del Giappone è stata scritta dall’occupante statunitense. Parlare di riforma della costituzione in genere sottintende rivedere l’articolo 9, che impedisce al paese di avere un esercito. Questo tema viene discusso spesso, ma qui il Sanseito non sembra alludervi direttamente.)

 

Ho riportato qui sopra, più o meno fedelmente, le parole che il Sanseito usa nel suo materiale di propaganda elettorale. Credo possa essere utile a farsi un’idea in autonomia riguardo a questo fenomeno, senza le imbeccate dell’agenzia politica di turno.

 

Aggiungo una foto del meraviglioso tramonto di ieri, perché sì.

 

Tramonto su Tokyo, foto dell’autore

 

Taro Negishi

Corrispondente di Renovatio 21 dal Giappone

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Politica

Costantinopoli, arresti, divieti e blocco a internet. Erdogan «oscura» la protesta del partito di opposizione

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Continua la stretta delle autorità turche sul principale partito di opposizione. Commissariati i vertici della metropoli commerciale, i giudici potrebbero azzerare anche quelli nazionali. Almeno 14 persone fermate nei giorni scorsi per aver incitato alla protesta di piazza. Blocchi e restrizioni a internet, divieti di manifestazione, volantinaggio e sit-in.   Lo sconfinamento di droni russi in Polonia, parte dell’Alleanza Atlantica e che avvicina sempre più il conflitto fra Mosca e Kiev all’Europa, e il raid di Israele a Doha contro i vertici di Hamas, stanno oscurando una emergenza democratica in atto all’interno di un altro Paese Nato: nei giorni scorsi, e nel silenzio internazionale, la magistratura – col benestare del governo – ha di fatto azzerato – e commissariato – i capi del Partito Popolare Repubblicano (CHP), principale movimento di opposizione del Paese, a Istanbul.   Inoltre si contano diversi arresti fra quanti sono scesi in piazza a dimostrare, oltre al blocco di internet e il divieto di manifestazioni nel tentativo di «oscurare» dissenso e malcontento fra la popolazione contraria alla deriva autoritaria impressa dal presidente Recep Tayyip Erdogan.

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Il 9 settembre le autorità hanno arrestato tre persone per alcuni post sui social network che incitavano la popolazione a radunarsi davanti alla sede CHP a Istanbul, dopo che la polizia aveva circondato l’edificio in ottemperanza alla sentenza del tribunale per la sostituzione dei vertici eletti. La Procura generale ha pure avviato un’indagine su 24 account con l’accusa di «istigazione a commettere un reato», norma del codice penale utilizzata contro gli appelli alla protesta di piazza. Le forze dell’ordine hanno fermato un totale di 14 persone, nove delle quali deferite alla corte.   I magistrati hanno ordinato la detenzione cautelare in carcere in attesa di processo per la scrittrice Nur Betül Aras e il politologo Abdullah Esin (il terzo non è stato ufficializzato); gli altri sono stati rilasciati in libertà vigilata e condizionata, che può includere l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità o limitazioni agli spostamenti. Altre dieci persone risultano ricercate. Secondo altre fonti, Aras dovrebbe anche rispondere di «insulto al presidente», un campo di imputazione che il suo avvocato ha definito infondata.   I giudici hanno ristretto gli accessi a piattaforme e social fra i quali X (ex Twitter), YouTube, Instagram, Facebook, TikTok e WhatsApp come riferiscono gli esperti di Netblocks, un monitor globale della rete.   Limitazioni e blocchi sarebbero collegati alla richiesta di manifestazioni e proteste invocate dal Chp, dopo che la polizia ha allestito barricate attorno alla sede a Istanbul per facilitare l’ingresso dei «nuovi vertici».   Nessun commento, invece, dall’Unione turca dei provider, primi responsabili dell’attuazione delle pesanti restrizioni imposte dalle autorità. Al contempo, l’ufficio del governatore ha disposo dal 7 al 10 settembre il divieto di raduni pubblici in diversi distretti tra cui Besiktas, Beyoglu, Eyupsultan, Kagithane, Sariyer e Sisli per «motivi di ordine pubblico». Il bando riguarda dichiarazioni stampa, riunioni, manifestazioni, allestimento di tende, sit-in, campagne di firme, commemorazioni, volantinaggio, affissione di striscioni o poster.   Il partito e la sua ala giovanile avevano invitato i sostenitori a radunarsi fuori dall’edificio. Secondo i pubblici ministeri, i post sui social media oggetto dell’inchiesta incoraggiavano le persone a partecipare ai raduni nonostante i divieti. Il CHP, partito politico più antico della Turchia, amministra le municipalità delle principali città tra cui Istanbul, metropoli di oltre 16 milioni di abitanti e centro economico del Paese. A scatenare la protesta la decisione del tribunale civile di annullare il congresso provinciale del partito del 2023 e destituire la leadership locale eletta per presunte irregolarità. Il tribunale ha nominato un consiglio di amministrazione provvisorio composto da cinque persone; in risposta, il partito ha espulso il politico di lungo corso Gürsel Tekin dopo che questi ha accettato la nomina.   Gli arresti fanno parte di una più ampia campagna che si è intensificata dopo le schiaccianti vittorie dell’opposizione nelle elezioni locali del marzo 2024. Dall’ottobre dello scorso anno i pubblici ministeri e la polizia hanno condotto indagini su corruzione e terrorismo che hanno portato a centinaia di arresti, tra cui quello, avvenuto a marzo, del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, la personalità più importante dell’opposizione. Almeno 15 sindaci CHP sono stati incarcerati in attesa di processo, con ripercussioni anche sul piano economico con turbolenze sui mercati e preoccupazione degli investitori stranieri.

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Intanto il partito ha cambiato l’indirizzo della sede provinciale, indicando la ex sede di Sarıyer come ufficio di lavoro del presidente Özgür Özel.   Infine, la procura di Ankara ha avviato in contemporanea un altro procedimento civile che contesta la validità del congresso nazionale CHPdel novembre 2023, che ha eletto lo stesso Özel alla guida del partito fondato da Mustafa Kemal Atatürk.   La sentenza è prevista per il prossimo 15 settembre: se il tribunale dovesse annullare il congresso, i giudici potrebbero invalidare il voto e azzerare – sostituendoli – anche i leader nazionali con figure più «accondiscendenti» verso il governo e lo stesso Erdogan. Da qui la richiesta del partito di indire un congresso straordinario il 21 settembre per consentire ai delegati di esprimere un nuovo voto indipendentemente dai tempi del tribunale; tuttavia, la richiesta deve prima essere approvata da una commissione elettorale locale.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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Politica

Iraq, i cristiani si mobilitano in vista delle elezioni

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Con l’avvicinarsi delle elezioni legislative irachene previste per novembre 2025 e con oltre 30 candidati cristiani in lizza per i cinque seggi riservati alla loro comunità dalla legge elettorale irachena, resta una domanda centrale: le loro voci saranno realmente prese in considerazione o saranno soffocate dagli interessi dei principali partiti politici e dei blocchi influenti?

 

La desertificazione si sta diffondendo ovunque: persino tra i cristiani iracheni. Per lo più affiliati alla Chiesa cattolica caldea, la loro popolazione è diminuita drasticamente negli ultimi decenni. Un tempo stimati in oltre 1,4 milioni di anime nel 1987, pari a circa il 6% della popolazione irachena, il loro numero è crollato a circa 400.000 nel 2013, prima di subire una nuova ondata di devastazione con l’arrivo dell’organizzazione dello Stato Islamico (IS) nel 2014.

 

La brutale occupazione delle regioni cristiane, in particolare nella piana di Ninive, ha costretto decine di migliaia di famiglie a fuggire, abbandonando le loro case, le loro terre e il loro patrimonio. E nonostante la sconfitta militare dell’ISIS nel 2017, molti esitano ancora a tornare nei loro villaggi a causa della persistente insicurezza e della pressione delle milizie locali.

 

Il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca della Chiesa caldea e figura centrale della comunità cristiana irachena, ha ripetutamente lanciato nelle ultime settimane l’allarme sulle condizioni di vita dei suoi fedeli.

 

Nel suo intervento, l’alto prelato ha sottolineato l’urgenza di tutelare i diritti dei cristiani e di garantire la loro sicurezza di fronte alle crescenti minacce, in particolare quelle provenienti dalle fazioni armate che continuano a controllare alcune aree della Piana di Ninive. Questi gruppi, spesso legati a interessi politici o stranieri, esercitano pressioni attraverso ricatti, molestie e persino confische di proprietà, rendendo insostenibile la vita quotidiana dei cristiani.

 

Sebbene i cinque seggi riservati ai cristiani nel parlamento iracheno – distribuiti tra le province di Baghdad, Ninive, Kirkuk, Dohuk ed Erbil – possano sembrare insignificanti rispetto agli oltre 300 membri del Parlamento, rappresentano un’opportunità per la comunità cristiana di affermare i propri diritti. Tuttavia, l’attuale sistema elettorale pone sfide importanti.

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Il cardinale Sako, fervente sostenitore della partecipazione elettorale, si batte da tempo affinché il voto per questi seggi sia riservato esclusivamente ai cristiani. Questa proposta mira a impedire che grandi coalizioni politiche, spesso dominate da interessi non cristiani, manipolino i risultati mobilitando elettori esterni alla comunità.

 

Questa pratica, purtroppo comune, diluisce la rappresentatività dei rappresentanti eletti cristiani e limita la loro capacità di difendere gli interessi dei loro correligionari. La campagna elettorale è in pieno svolgimento nell’estate del 2025 e mette in luce l’impegno di molti candidati cristiani, sia che si presentino in modo indipendente o sotto l’egida di blocchi politici.

 

Tuttavia, la frammentazione della comunità e la competizione tra i candidati rischiano di disperdere i voti, indebolendo così il loro impatto complessivo. Inoltre, i cristiani devono fare i conti con un clima politico in cui i grandi partiti, spesso sostenuti da potenze regionali, esercitano un’influenza sproporzionata.

 

Oltre alle prossime elezioni, la Chiesa caldea chiede una riforma del sistema politico iracheno, per garantire una migliore tutela alla minoranza cristiana e arginare la tentazione di un esodo che spazzerebbe via una delle comunità più antiche del Medio Oriente.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Politica

Le spiagge italiane, la loro storia, la questione politica intorno ad esse. Intervista ad una balneare

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Ieri Renovatio 21 ha cercato di descrivere in profondità il tema, sia politico che antropologico, dei cosiddetti «balneari» e del clamore che ciclicamente si genera intorno ad esso.

  Oggi, per avere un quadro più nitido della tematica spiagge, abbiamo fatto quattro chiacchiere con la signora Monica, titolare di un bagno riccionese, persona molto gentile ed equilibrata, che ci ha raccontato in maniera schietta e sincera questa spinosa problematica.   Ci potrebbe spiegare, per sommi capi, questa controversa questione? Io cerco di parlarti del dato oggettivo. C’è una normativa non facile e soprattutto tante sentenze avute in Consiglio di Stato e nella Corte di Giustizia Europea. Uno rischia di perdersi e poi ci sono singole situazioni in varie località balneari sparse nella penisola. Mancando una normativa unitaria nazionale, i singoli comuni si muovono un po’ come vogliono loro.

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Ti faccio l’esempio di Riccione. Qui siamo sul demanio, ma non è tutta aria demaniale, in alcune zone ci sono delle parti che erano private. Alcune aree sono state vendute dal comune ai bagnini che le hanno comprate anche in vista della situazione che stiamo vivendo ora, spostando le loro strutture in modo che quella parte, essendo diventata proprietà privata non sarebbe andata in evidenza pubblica. Ciò che ci sarebbe andato sarebbe stata solo la sabbia in prossimità del mare e quindi l’interesse per i terzi sarebbe stato inferiore in quanto la spiaggia è a ridosso di una struttura privata.   Così facendo chi ha acquistato si è garantito – almeno in teoria – un’eventuale partecipazione unica a un possibile bando per quel pezzo di spiaggia. Come vedi le realtà sono diverse e si dovrebbe cercare si una normativa unitaria, ma anche che tega conto delle tante differenze che ci sono sparse in tutta la zona costiera italiana.   Ci sono tante situazioni tra pubblico e privato. E questo che ti sto dicendo vale solo per la spiaggia, senza contare il lacustre, il portuale, eccetera. Io capisco che sia difficile regolamentare ma ad oggi la cosa preoccupante è l’incertezza. Poi ci sono una marea di decreti, milleproroghe, cavilli burocratici, che uno veramente rischia di perdersi in questa burocrazia, nonostante cerco di stargli dietro il più possibile. Qualunque cosa succederà ci saranno una marea di ricorsi.    Molti comuni, per salvaguardare il proprio sistema turistico – questo lo dico in difesa dei balneari – come Riccione, vorrebbero favorire questo sistema consolidato che di fatto funziona, anche se qualche ammodernamento è necessario. Molti si sono rimodernati per offrire un prodotto sempre più di qualità e chi in questi anni ha dimostrato di gestire al meglio il proprio stabilimento. Cerchiamo di ascoltare le loro esigenze e magari nel momento che si faranno i bandi, di andare incontro a chi si è dimostrato sempre volenteroso nel proporre un’offerta turistica sempre al passo con i tempi.    La proroga automatica della concessione la Direttiva Bolkestein l’ha bocciata, ed è giusto. Fino al 2027 la nostra insistenza è stata dichiarata legittima e da lì in poi i Comuni devono fare le evidenze pubbliche. È un periodo che è stato concesso ai Comuni per organizzarsi in merito. Non è una proroga automatica, non siamo abusivi – parola ultimamente usata troppo spesso – e faccio fatica a comprendere tutte le polemiche in merito.   Poi ne ho lette di ogni che nemmeno sapevo: tornelli in spiaggia, divieto di portare il cibo in spiaggia… la spiaggia non è un bene nostro, non possiamo vietare il passaggio in alcun modo, abbiamo la concessione e nella concessione ci sono dei principi che vanno osservati assieme alle ordinanze balneari. 

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Nel 1992 le concessioni sono state fatte in modo automatico e il rinnovo avveniva tacitamente ogni sei anni, giusto? Sì. Non ho memoria di casi di qualcuno che abbia desiderato o si sia fatto avanti per ottenere una concessione al posto di uno che già l’aveva. Per essere precisi bisognerebbe scartabellare i verbali, ma dubito. Ci sono stati dei casi, in alcuni bagni, che gli ex proprietari hanno venduto l’azienda e hanno fatto il passaggio dell’affidamento – legittimo – e sono subentrare altre persone.   Mentre prima portavi tutto a casa con due soldi, nel momento in cui si è visto che la parte turistica poteva svilupparsi con l’offerta di vari servizi in più, ci poteva essere un guadagno, in un momento di crisi di tanti altri settori, allora è diventato un punto su cui focalizzare l’attenzione.   Il fatto che ci siano stati dei privilegi è vero, non voglio nasconderlo. I miei hanno sempre fatto questo mestiere. Io sono convinta che se ci fosse stata una normativa nazionale dove si rivedeva il canone e altri aspetti, tutto questo non sarebbe successo. È sempre stato un mondo che si tramandava familiarmente.   Un mondo artigianale. Mio nonno era pescatore. Questi qua erano tutti appezzamenti con file di tende con tutte sdraie, perché non esistevano neanche i lettini. Non c’era niente e si è dovuto anche un po’ bonificare. Poi piano piano, arriva la gente che vuole sempre un servizio migliore e così col passare degli anni c’è stata una crescita, ed è quello che si vorrebbe che venisse riconosciuta.   Mi commuovo quando ti dico queste cose, perché so cosa ha voluto dire tutto questo. A volte contesto qualche collega che dice: «la mia spiaggia». Non è così. Il problema è aver creduto che quello che ci è stato dato in concessione fosse nostro, ma non è così. Però al tempo stesso c’è stato tra di noi non tutti hanno avuto la stessa mentalità di cambiamento.   Al tempo il Comune fece il piano spiaggia con la possibilità di rimodernarsi. Alcuni si sono modernizzati altri no. Sono passati quasi vent’anni e oggi è arrivato il momento di farlo di nuovo, ma il problema è: come cambi? Noi qua abbiamo un bel progetto, ma c’è tanta incertezza.   Non vorrei che se aprissero i bandi delle concessioni poi qualche multinazionale o qualcuno che abbia un potere economico importante, subentrasse su più stabilimenti. Il pesce grosso mangia il pesce piccolo. La territorialità nel vostro settore è importante. La riviera romagnola gode parte della sua popolarità anche per il fatto che la gente del posto lavora nei vari settori turistici. Purtroppo in molti settori accade questo. Si perde sempre più spesso ciò che è tradizione. Il nostro settore poi è un modello, ciò non significa che non possa essere rivisto. Da noi saranno i comuni che devo decidere che normativa fare. Da una parte per tutelare il tipo di sistema turistico nostro, dall’altra parte c’è la Bolkenstein che chiede la concorrenza e di non porre troppi limiti per partecipare. Ma se non sono le multinazionali, possono essere i proprietari delle catene di hotel e dei grandi alberghi.   Allora dico ai cittadini che oggi fanno le loro rimostranze che in caso di partecipazione al bando, pensano di avere una chance di vittoria nei confronti di un gruppo economico potente come quelli che ho appena citato? Ma non solo.   La spiaggia che verrà, se viene data in concessione a un grande albergo, come saranno poi i prezzi? Se questi investono lo fanno esclusivamente per guadagnarci, mi pare più che ovvio. Se iniziano a snaturare quello che è il nostro modo di fare turismo, il cambiamento non sarà di certo positivo.

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C’è anche chi ha evidenziato il problema delle spiagge vuote questa estate. Che ore sono adesso, le 8:30? Fino a qualche anno fa vedevi già la spiaggia piena di genitori con i bambini, invece adesso fino alle 10:00 non scende al mare nessuno. C’è un’abitudine diversa oggi. Molta gente si ferma in spiaggia per l’aperitivo ed una cosa piacevole.   Fino alle 21:30 ci sono famiglie con i figli in spiaggia. È un nuovo modello. Prima salivano alle 19:00 per poi andare a cena in hotel. È ovvio che se uno viene adesso e fa una foto, gli ombrelloni sono vuoti. A giugno c’è stato un trend positivo.   A luglio c’è stato un leggero calo, agosto è sempre agosto e la gente viene sempre. Quello che ho notato è che le famiglie vogliono sempre più servizi e noi cerchiamo di offrirgliene sempre più, soprattutto ai bambini, che possono divertirsi tutto il giorno con quello che trovano da noi. La spesa in fondo è tutta qui.    Oltretutto la nostra costa è molto variegata e offre servizi diversi l’una dall’altra, oltre che avere territori profondamente differenti. C’è anche chi ha sollevato il problema del caro-ombrellone. Noi qua abbiamo delle basi da cui si parte, ma cerchiamo di rimanere in un prezzo più o meno popolare. Poi ognuno sulla base dei servizi che offre, sulla posizione e via dicendo, ha un suo listino prezzi. Ho notato, in alcuni articoli di giornale che ho letto al riguardo recentemente, alcune imprecisioni.   Considera che poi c’è bassa, media, alta stagione nel prezzario e se prendi l’ombrellone per più giorni il prezzo va a scalare. Alla fine puoi arrivare intorno ai venticinque euro di media, più o meno. A Riccione abbiamo tre spiagge libere nelle zone centrali. Ce n’è per tutti i gusti.

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La politica è intervenuta per bocca del Ministro Matteo Salvini in difesa vostra, nonostante il Consiglio di Stato. Io penso che stiamo aspettando il 2027 quando ci saranno le nuove elezioni e il balneare sarà un settore che si giocheranno per i voti.   Tutte le parti in gioco dovrebbe fare la loro parte cercando di riequilibrare un settore caro a tutti noi, perché la «sacralità laica» delle vacanze al mare è una routine irrinunciabile per l’italiano ed è giusto che lo Stato faccia la sua parte sostenendo il settore, ma è altrettanto vero che i gestori debbano fare la loro parte non alzando oltremodo i prezzi e offrire servizi all’altezza della loro clientela. Grazie Grazie a voi.   Francesco Rondolini

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