Geopolitica
Filippine: mandato di cattura per Quiboloy, sedicente «predicatore» e amico di Duterte
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Famoso per aver fondato una setta con milioni di fedeli ed essere stato «consigliere spirituale» dell’ex presidente. Già nel 2020 aveva ottenuto l’archiviazione delle accuse, ma il coraggio di denunciare di alcune vittime ha permesso di riaprire il caso. È imputato fra gli altri per traffico di vite umane e abusi sessuali.
Un tribunale filippino ha emesso un mandato di arresto a carico del controverso predicatore Apollo Quiboloy. Egli è un amico personale di lunga data dell’ex presidente Rodrigo Duterte ed è famoso nel Paese per aver fondato una chiesa con milioni di fedeli in una nazione in cui i leader di sette e gruppi religiosi rivestono grande influenza [anche] nel processo elettorale. Il predicatore evangelico, inserito nella lista nera dei ricercati numeri uno dell’FBI (il Federal Bureau of Investigation), è accusato di traffico di vite umane e abusi sessuali commessi a carico di una donna.
I giudici della città meridionale di Davao hanno ordinato il fermo di quello che si è definito «figlio designato di Dio» e «padrone dell’universo», in seguito all’incriminazione a marzo decisa dal ministero della Giustizia per accuse pendenti da anni. Una svolta, e un cambio di rotta, rispetto alla sostanziale impunità di cui ha beneficiato in passato, anche e soprattutto per il legame con l’ex capo dello Stato che aveva spinto il tribunale nel 2020 ad archiviare una prima volta le accuse.
In una nota il ministero stesso sottolinea l’impegno e il coraggio della donna e «vittima» che lo ha denunciato, la cui «persistente battaglia legale» ha permesso di far emergere sotto una «nuova luce» la portata e la gravità delle accuse. Inoltre, negli Stati Uniti lo stesso Quiboloy deve affrontare un altro procedimento giudiziario per abusi sessuali, per aver costretto – stando alle querelanti – diverse ragazze e giovani donne ad avere rapporti con lui. Accuse che il sedicente predicatore ha negato.
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Inoltre, secondo il Dipartimento Usa di Giustizia il denaro raccolto per un falso ente di beneficenza con sede in California è stato utilizzato per reclutare le vittime. Queste ultime sarebbero poi state portate negli Stati Uniti dalle Filippine, per lavorare – in condizioni di sfruttamento – in una «chiesa» chiamata Kingdom of Jesus Christ, The Name Above Every Name (KOJC). Alcune di esse si sono occupate della raccolta di ulteriore denaro, per sostenere e alimentare lo stile di vita sfarzoso dello stesso Quiboloy.
Lo schema di traffico sessuale e di vite umane è durato almeno 16 anni, fino al 2018. Quante «si adeguavano» allo sfruttamento venivano ricompensate con «buon cibo, camere d’albergo lussuose, viaggi in luoghi turistici e pagamenti annuali in contanti che si basavano sulle prestazioni» utilizzando i soldi raccolti tramite la KOJC negli Stati Uniti.
La setta fondata da Quiboloy sostiene di avere circa sei milioni di membri in 200 Paesi dalla sua nascita nel 1985, secondo quanto viene indicato nel suo sito web.
All’interno del portale ufficiale e sulle pagine social della «chiesa» vi sono inoltre numerose foto dell’ex presidente Duterte, del quale lo stesso Quiboloy afferma di essere stato «consigliere spirituale».
In una serie investigativa in due parti, il sito di informazione filippino Rappler avrebbe scoperto quattro grandi proprietà in Canada e negli Stati Uniti attualmente legate a Quiboloy e alla KOJC, con un valore totale stimato di 9,07 milioni di dollari. A queste si somma anche una proprietà nelle isole Hawaii del valore di 1,76 milioni di dollari al centro di un’apparente vendita di fittizia nel 2018.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Geopolitica
Pirati abbordano una petroliera al largo della costa somala
Una petroliera in rotta dall’India al Sudafrica è stata colpita da granate a propulsione missilistica e abbordata da «personale non autorizzato» al largo della costa somala, hanno comunicato giovedì le autorità marittime.
In un comunicato, Latsco Marine Management Inc. ha confermato un incidente di sicurezza a bordo della sua nave battente bandiera maltese, Hellas Aphrodite.
«L’episodio si è verificato intorno alle 11:48 ora locale del 6 novembre 2025, mentre la nave, che trasportava benzina, era in navigazione da Sikka (India) a Durban (Sudafrica)», a circa 550 miglia nautiche dalla costa somala, ha precisato la compagnia greca.
«La piccola imbarcazione ha sparato armi leggere e RPG contro la nave», ha riferito il Maritime Trade Operations Centre (UKMTO) del Regno Unito.
L’equipaggio della petroliera si è rifugiato in una stanza di sicurezza. Secondo la società di gestione, tutti i 24 membri sono illesi e in buone condizioni; l’azienda mantiene stretti contatti con loro.
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L’organizzazione «ha attivato la propria squadra di risposta alle emergenze e si sta coordinando con le autorità competenti per garantire la sicurezza e il benessere dell’equipaggio».
L’attacco fa seguito a un episodio di pochi giorni prima, in cui la Stolt Sagaland, battente bandiera delle Isole Cayman, era stata bersaglio di un presunto assalto pirata. Una petroliera a circa 330 miglia nautiche a sud-est di Mogadiscio (Somalia) ha segnalato l’avvicinamento di una piccola imbarcazione e attacchi aerei, secondo il Somali Guardian, che cita la missione navale UE nella regione, Operazione Atalanta. L’equipaggio è rimasto incolume e la nave è riuscita a sfuggire.
«Il comandante riferisce che 4 persone non autorizzate hanno tentato di salire a bordo della sua imbarcazione», ha comunicato l’UKMTO.
Dal 2008 al 2018 i pirati somali hanno perturbato le principali rotte marittime mondiali, generando caos diffuso. Dopo un periodo di relativa quiete, l’attività pirata è tornata a crescere.
La pirateria al largo della Somalia ha raggiunto l’apice nel 2011 con 237 attacchi registrati, ha riferito un’agenzia di stampa locale. Il gruppo di monitoraggio Oceans Beyond Piracy ha stimato il costo economico globale della pirateria somala quell’anno in circa 7 miliardi di dollari, inclusi circa 160 milioni di dollari in riscatti.
«Si raccomanda alle imbarcazioni di transitare con prudenza e di segnalare qualsiasi attività sospetta all’UKMTO», ha sottolineato l’agenzia.
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