Civiltà
Equinozio, magia eterna
Oggi è l’equinozio di autunno.
Tutti sappiamo cos’è: il giorno in cui la durata della notte coincide con quella del giorno.
Tecnicamente, equinozio è l’istante nel tempo in cui il piano dell’equatore terrestre passa attraverso il centro geometrico del disco solare.Ciò si verifica due volte all’anno, intorno al 20 marzo e al 23 settembre. In altre parole, è il momento in cui il centro visibile del Sole è direttamente sopra l’equatore.
L’equinozio è un allineamento della Terra con l’astro che le dà la vita. Forse per questo da sempre varie religioni hanno considerato l’equinozio come una data di festa – perfino la laica Repubblica Francese, creata e portata avanti dalla massoneria come altre repubbliche europee, la vuole come festività nazionale.
Tutto il mondo dell’esoterismo e della magia freme nelle ore dell’equinozio. The Equinox era la rivista di occultismo pubblicata dal padre del neopaganesimo magico e del satanismo moderno Aleister Crowley.
C’è tuttavia una vera magia che vale la pena di ricordare: la precessione degli equinozi. Concetto non facilissimo da afferrare, tanto che chi scrive una volta ne chiese conto ad una laureanda in Astronomia, che fece scena muta.
C’è una vera magia che vale la pena di ricordare: la precessione degli equinozi
La precessione è il lento ed inesorabile cambiamento di l’orientamento dell’asse di rotazione terrestre rispetto alle costellazioni.
La precessione (cioè rotazione dell’asse attorno alla perpendicolare: immaginate una trottola) avviene per la forma non perfettamente sferica del pianeta e per l’intervento gravitazionale della Luna e del Sole.
Il moto completo della precessione è di 25.772 anni circa. In gergo, si chiama suggestivamente «anno platonico». Platone aveva infatti definito nel suo dialogo Timeo il periodo di ritorno del cielo alla sua posizione iniziale come «anno perfetto».
In questi quasi 26 millenni si avvicendano quindi le diverse ere astrologiche, e conseguentemente, cambia la stella polare: tra circa 13.000 anni a indicare il Nord sarà Vega e non Polaris, cioè quella che a questa altezza dell’anno platonico chiamiamo « Stella Polare».
Il moto completo della precessione è di 25.772 anni circa. In gergo, si chiama suggestivamente «anno platonico»
In pratica, con il tempo l’asse della Terra (chiamato anche punto vernale, punto d’Ariete o punto Gamma) punti verso verso diverse costellazioni. Ciò ha creato l’idea che il mondo attraversi varie ere astrologiche.
L’era astrologica, o era zodiacale, è la suddivisione che il pensiero magico ha dato alla storia del mondo. Essa si compone di dodici eoni, che collimano perfettamente con i dodici segni dello Zodiaco, ciascuno dei quali della durata di 2160 anni.
Il punto vernale – che è la congiunzione dell’asse del pianeta con il Sole che avviene nel giorno dell’equinozio di primavera – circa 2100 anni fa, puntava la costellazione dell’Ariete. In seguito con il passare dei secoli, la precessione, lo ha man mano spostato verso la costellazione dei Pesci (qui abbondano i riferimenti degli astrologi all’ascesa del Cristianesimo); secondo alcuni saremmo ora all’alba, dell’era astrologica successiva, la celeberrima Era dell’Acquario, popolarizzata dalla canzone del musical Hair. Sulla sua partenza le fonti sono discordi: taluni dicono che sarebbe scoccata proprio nel dicembre del fatale anno 2020, altri sostengono che sarebbe partita nel marzo di quest’anno.
Qui tuttavia si innesta la vera magia della storia degli equinozi.
Con il tempo l’asse della Terra punti verso verso diverse costellazioni. Ciò ha creato l’idea che il mondo attraversi varie ere astrologiche
La scoperta della precessione è dibattuta: babilonesi, egizi, cinesi… molti hanno trovato vaghe tracce di una possibile comprensione del fenomeno dei popoli antichi.
Tuttavia, qualcuno parla di una scoperta molto precedente, risalente addirittura al Neolitico. E con implicazioni di mistero totale.
Giorgio de Santillana, un fisico ebreo romano che fuggì dal fascismo riparando in USA (dove insegnò storia della scienza al MIT di Boston) pubblicò nel 1969 uno strano libro dal titolo assai poetico, Il mulino di Amleto. (Il libro, compilato con la scienziata Hertha von Dechend, è pubblicato ancora oggi in Italia dall’ineffabile editore Adelphi…)
L’idea alla base del volume si attirò critiche severe da parte della comunità scientifica.
Santillana sostiene che la conoscenza della precessione degli equinozi e delle ere astrologiche era conosciuta sin dai tempi di una non precisata civiltà megalitica capace di «insospettabile sofisticazione».
Santillana sostiene che la conoscenza della precessione degli equinozi e delle ere astrologiche era conosciuta sin dai tempi di una non precisata civiltà megalitica capace di «insospettabile sofisticazione»
La conoscenza della precessione e del susseguirsi delle ere zodiacali sarebbe stato quindi incapsulato nelle mitologie umane, di modo da far arrivare il messaggio sino a noi. Questi misteriosi antichi avrebbero inserito la realtà del fenomeno astronomico in particolare sotto forma di una storia relativa a una macina e a un giovane protagonista (il mulino di Amleto che dà il titolo del libro, e un riferimento alla figura mitologica nordica Amlóða che compare nel racconto epico islandese Edda e che avrebbe poi ispirato Guglielmo Shakespeare nella creazione dell’eroe della sua tragedia più famosa).
Il libro ricostruisce il mito di un «mulino celeste» che ruota attorno al Polo e macina il sale e la terra del mondo, ed è associato ad un vortice.
La macina che cade dalla sua struttura rappresenta il passaggio della stella polare di un’epoca (simboleggiata da un sovrano o un re di qualche tipo) ad una nuova (simboleggiata dal rovesciamento del vecchio re dell’autorità e il potenziamento del nuovo).
Secondo gli autori questi «miti del mulino» sarebbe presenti in varie mitologie mondiali, come si evincerebbe da « oggetti cosmografici di molte epoche e climi (…) Saxo Grammaticus, Snorri Sturluson (…) Firdausi, Platone, Plutarco, il Kalevala, Mahabharata, e Gilgamesh, per non dimenticare l’Africa, le Americhe e l’Oceania».
«Possiamo quindi vedere come tanti miti, all’apparenza fantastici e arbitrari, di cui il racconto greco dell’Argonauta è una progenie tardiva, possano fornire una terminologia di motivi immaginali, una sorta di codice che sta cominciando a essere decifrato» scrive Santillana in un precedente libro del 1961, Le origini del pensiero scientifico.
«Possiamo quindi vedere come tanti miti, all’apparenza fantastici e arbitrari (…) possano fornire una terminologia di motivi immaginali, una sorta di codice che sta cominciando a essere decifrato»
Tale codice segreto, scrive lo studioso, «aveva lo scopo di consentire a coloro che sapevano (A) di determinare inequivocabilmente la posizione di determinati pianeti rispetto alla terra, al firmamento e l’uno all’altro; (B) di presentare quale conoscenza ci fosse del tessuto del mondo nella forma di racconti su “come è iniziato il mondo”».
Le implicazioni di questo pensiero sono immense. C’è un’intelligenza superiore, che giace sotto la storia?
Immaginate lo shock per il Progressismo, l’idea che eravamo delle scimmie, poi dei bruti, e poi via via ci siamo «civilizzati» fino ai viaggi spaziali, i vaccini mRNA e i matrimoni gay. E se, invece, vi fossero state delle civiltà precedenti che avevano capito molto più di quanto siamo in grado di capire noi?
Le implicazioni di questo pensiero sono immense. C’è un’intelligenza superiore, che giace sotto la storia? E se la storia umana potesse quindi essere una forma di involuzione (una caduta, in termini religiosi…) invece di un luminoso sentiero verso un futuro sempre migliore, sempre più giusto ed intelligente?
E se la storia umana potesse quindi essere una forma di involuzione (una caduta, in termini religiosi…) invece di un luminoso sentiero verso un futuro sempre migliore, sempre più giusto ed intelligente?
E se tutto quello che sappiamo della storia, quindi, fosse falso? Se invece che guardare i nostri antenati dall’alto verso il basso, la situazione si rovesciasse?
Ancora: e se non avessimo neppure iniziato a decifrare le tracce che gli antichi ci hanno lasciato? Se la saggezza di cui disponiamo oggi non fosse nemmeno una frazione di quella di cui disponeva chi è venuto prima di noi?
Il pensiero progressista – cioè, l’incarnazione moderna dell’illuminismo massonico che ci ha dato le rivoluzioni degli ultimi secoli – non può tollerare in alcun modo un simile pensiero.
Ecco perché all’epoca il volume fu stroncato come «non serio», «amatoriale nel senso peggiore possibile» e quindi, di fatto, dimenticato, relegato allo scaffale delle bizzarrie. Esso poteva rappresentare un esercizio di mitologia comparata, al massimo, o di archeoastronomia, lo studio di come nelle passate epoche era osservato il cielo.
Per quanto l’accademia rigettasse il libro, l’idea continuava a vivere in libri come nel fortunatissimo saggio di pseudoarcheologia Impronte degli dei del giornalista Graham Hancock, dove si parla di questa sapiente civiltà scomparsa dopo un cataclisma, esattamente come quella di cui parla lo stesso Platone sempre nel Timeo e nel Crizia – Atlantide.
Il pensiero progressista – cioè, l’incarnazione moderna dell’illuminismo massonico che ci ha dato le rivoluzioni degli ultimi secoli – non può tollerare in alcun modo un simile pensiero
Scienziati ed intellettuali ridono di libri come questo – come ridevano di Donald Trump, diciamo.
Poi capita di leggere che, sì, in effetti l’allineamento perfetto delle Piramidi di Giza sarebbe dovuto proprio… all’equinozio d’autunno.
«Nel corso degli anni, gli esperti hanno proposto una serie di teorie per spiegare come gli antichi egizi costruissero le piramidi. Alcuni hanno ipotizzato di aver usato le costellazioni, mentre altri credono facessero affidamento sul sole» scrive la Smithsonian Magazine, che introduce il lavoro dell’archeologo Glen Dash. La rivista è serioso organo dello Smithsonian Institute, rispettabile ente di ricerca con annesso un notissimo museo a Washington D.C. e altri 19 musei, cosa che difatto rende lo Smithsonian il più grande gruppo museale al mondo.
«Nel suo articolo, Dash suggerisce che gli antichi egizi usassero effettivamente il sole per allineare le piramidi, ma in particolare il giorno dell’equinozio d’autunno» scrive la rivista.
«Per dimostrare la sua teoria, Dash ha piantato un’asta per tracciare il movimento del sole il 22 settembre 2016, il giorno dell’equinozio d’autunno (…) ha segnato la posizione dell’ombra della verga durante il giorno, formando una curva. Alla fine della giornata, ha avvolto un pezzo di spago attorno al palo e lo ha usato per segnare un arco che intercettava due punti della curva. Quando viene tracciata una linea retta, è quasi perfettamente puntata da est a ovest, con una leggera rotazione in senso antiorario, proprio come l’allineamento delle tre piramidi più grandi dell’Egitto».
Da qui si potrebbe aprire la storia della «Teoria della Correlazione di Orione».
L’idea – discussa in egittologia come teoria di frangia dal 1989 e popolarizzata dal film Stargate – ritiene che vi sia una correlazione tra la posizione delle tre piramidi di Giza e la Cintura di Orione della costellazione di Orione, e che questa correlazione fosse intesa come tale dai costruttori originali del complesso piramidale di Giza.
Le stelle di Orione erano associate a Osiride , il dio egizio della rinascita e dell’aldilà. Accanto alle piramidi, sappiamo esserci un altro enigmatico monumento, la sfinge: un leone con la testa di donna. Ebbene, secondo alcuni calcoli astronomici, l’era zodiacale della costruzione delle piramide era quella del Leone…
A noi non resta che far notare: quanta magia, in questo mondo. Quanta profondità, quanto significato hanno le sue storie. E che eterno mistero può nascondersi dietro ad un giorno qualsiasi, un giorno come oggi, equinozio d’autunno 2021.
Anche qui, un messaggio cifrato, incastonato in una mitologia antichissima.
Lasciamo i soloni ridere, e gli appassionati affondare nella letteratura sull’argomento.
A noi non resta che far notare: quanta magia, in questo mondo. Quanta profondità, quanto significato hanno le sue storie.
E che eterno mistero può nascondersi dietro ad un giorno qualsiasi, un giorno come oggi, equinozio d’autunno 2021.
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Civiltà
Gli Stati Uniti mettono in guardia l’Europa dalla «cancellazione della civiltà»
L’Europa rischia la «cancellazione della civiltà», in quanto i leader del continente promuovono la censura, soffocano le voci dissidenti e ignorano gli effetti dell’immigrazione incontrollata, avverte la nuova Strategia per la sicurezza nazionale diffusa dall’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump.
Il testo, dal tono aspro e innovativo, reso pubblico venerdì, rileva che, sebbene l’Unione Europea mostri chiari segnali di stagnazione economica, è il suo deterioramento culturale e politico a costituire una minaccia ben più grave.
La strategia denuncia le scelte migratorie dell’UE, la repressione dell’opposizione, i vincoli alla libertà di espressione, il crollo della natalità e la «perdita di identità nazionali e di autostima», ammonendo che il Vecchio Continente potrebbe risultare «irriconoscibile entro 20 anni o anche meno».
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Secondo il documento, numerosi governi europei stanno «intensificando i loro sforzi lungo la traiettoria attuale», mentre Washington auspica che l’Europa «rimanga europea» e si liberi dal «soffocamento regolatorio», un’allusione evidente alle tensioni transatlantiche sulle norme digitali dell’UE, accusate di penalizzare colossi tech americani come Microsoft, Google e Meta.
Tra le priorità degli Stati Uniti figura il «coltivare la resistenza alla traiettoria odierna dell’Europa all’interno delle nazioni europee», precisa il testo.
La strategia trumpiana esalta inoltre l’emergere dei «partiti patriottici europei» come fonte di «grande ottimismo», alludendo al boom di consensi per le formazioni euroscettiche di destra che invocano restrizioni ferree ai flussi migratori in tutto il blocco.
Il documento sentenzia che «l’era delle migrazioni di massa è conclusa». Sostiene che questi flussi massicci abbiano prosciugato le risorse, alimentato la criminalità e minato la coesione sociale, con l’obiettivo americano di un ordine globale in cui gli Stati sovrani «collaborino per bloccare anziché solo gestire» i movimenti migratori.
Tale posizione si inserisce nel contesto delle spinte di Trump affinché i partner europei della NATO incrementino le spese per la difesa. In passato, il presidente aveva ventilato di non tutelare i «paesi inadempienti» in caso di aggressioni, qualora non avessero accolto le sue istanze. Durante un summit europeo all’inizio dell’anno, l’alleanza ha approvato un piano per elevare la spesa complessiva in difesa fino al 5% del PIL, superando di gran lunga la soglia del 2% a lungo stabilita dalla NATO.
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Civiltà
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Civiltà
Chiediamo l’abolizione degli assessorati al traffico
Renovatio 21 propone una soluzione apparentemente drastica, ma invero assai realistica, ad uno dei problemi che affligge l’uomo moderno: il traffico.
Non si parla di una questione da niente, e ci rendiamo conto che essa pertiene propriamente alla catastrofe del mondo odierno, e proprio per questo serve una modifica radicale di carattere, soprattutto, istituzionale.
Lo aveva capito il genio di Marshall McLuhan: «La strada è la fase comica dell’era meccanica (…) Il traffico è l’aspetto comico della città» (Gli Strumenti del comunicare, 1964). Il culmine comico dell’era dell’industria: la civiltà costruisce strade ed automobili per muoversi in libertà e rapidità, e si ritrova imbottigliata per ore, innervosita, massacrata da miriadi di leggi, restrizioni, multe.
Il traffico è un fenomeno generatore di caos e dolore, di isterie e sprechi – il tutto subito sulla nostra pelle, ogni singolo giorno – al quale nessuno sembra trovare soluzione, soprattutto quanti sarebbero preposti a risolverlo. Costoro sembrano invece, consapevoli o no, impegnati nell’aggravarsi del dramma.
Davanti a noi abbiamo la degradazione continua, inarrestabile della mobilità urbana. È difficile trovare qualcuno che possa dire che il traffico è migliorato, o che una soluzione azzeccata adottata su una qualche strada non sia stata poi azzerata da una scelta successiva, calata, come tutte, dall’alto, sul cittadino schiavo inerme.
Crediamo che uno dei motivi di tale regressione diacronica ed ubiqua sua l’esistenza dei cosiddetti assessorati al traffico, che si chiamano in vari modi (uffici mobilità, dipartimento dei trasporti, direzione viabilità), ma che sono tutti costruiti attorno ad uno assunto semplice: spendere un determinato budget per cambiare le strade.
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Probabilmente la questione è davvero così semplice: nell’impossibilità di non spendere l’ammontare di danaro assegnato (grande tabù per qualsiasi ente pubblico: i soldi che risparmi non generano un premio, ma una diminuzione della cifra che arriva l’anno dopo) gli assessori e i loro scherani non possono che mettere mano ovunque, con decisioni a volte incomprensibili, a volte ideologiche, e quasi sempre dannosissime.
Ecco che, perché l’assessorato deve fare qualcosa, invertono un senso unico, cagionando il disorientamento totale del cittadino automunito, che d’un tratto si trova non solo multato, ma anche al centro di un pericolo per sé e per gli altri. Ricordiamo le tecniche dei missionari: cambiare la forma del villaggio è aprire la mente dell’indigeno all’altro, qui tuttavia non c’è il Vangelo a dover essere diffuso, ma il nulla di una decisione burocratica stupida e gratuita – gratuita per modo di dire, perché anche per un’inezia del genere vi è un costo non indifferente per il contribuente.
Ecco che, perché l’assessore deve finire sui giornali, l’area viene pedonalizzata: ZTL laddove prima potevi passare per portare i figli a scuola o fermarti nel negozietto (che ne patirà, ovvio, le conseguenze). Sempre considerando che le ZTL sono da vedersi come riserve indiane degli elettori dei partiti di sinistra, gli unici che possono permettersi di vivere in centro.
Ecco che, perché l’assessore deve far carriere nel partitello con le fisime ecologiche, laddove c’erano due corsie ce ne troviamo una sola, con una, perennemente vuota, riservata ad autobus che fuori dalle ore di scuola sono oramai solo utilizzati da immigrati che con grande probabilità non pagano il biglietto e in caso potrebbero pure picchiare il controllore (succede, lo sapete). Il risultato è, giocoforza, un imbottigliamento ancora più ferale, un’eterogenesi dei fini per politica ecofascista che è, in ultima analisi, solo una mossa di PR inutile quanto oscena.
Ecco la sparizione di parcheggi gratuiti – grande segno della fine della Civiltà – così da scoraggiare, come da comandamento di Aurelio Peccei, l’uso dell’auto che produce anidride carbonica, orrenda sostanza per qualche ragione alla base della chimica organica e quindi della vita stessa, soprattutto quella umana. Chi va all’Estero – non in Giappone, ma in un Paese limitrofo come l’Austria – sogna vedendo la quantità di parcheggi sotterranei creati attorno alle cittadine, senza tanti problemi per gli scavi al punto che, con recente politica, il rampollo Porsche si è fatto il suo tunnel che lo porta da casa al centro di Salisburgo in un batter d’occhio.
Il superamento del traffico attraverso la dimensione infera è stato compreso, con la solita mistura di genio e concretezza, da Elon Musk con la sua Boring Company: se vuoi migliorare la tragedia del traffico l’unico modo di farlo è andando verso il basso, anche se sembrerebbe che il prossimo misterioso modello di Tesla, la Roadster, potrebbe poter operare verso l’alto. Noi, tuttavia, non abbiamo Elone, abbiamo gli assessori al traffico.
E poi, i capolavori – sempre trainati da ideologia verde, interessi cinesi impliciti e tagli di nastro sul giornale – della «micromobilità», con i monopattini e le bici «free-floating» rovinate, abbandonate e utilizzate, in larghissima parte, dalle masse di eleganti africani, che magari con esse si spostano con più agilità per certe loro attività, come lo spaccio di droga: massì, vuoi non pagargli, oltre che vitto-alloggio-acqua-gas elettricità-internet-telefonino-avvocato-sanità-bei vestiti alla moda anche dei mezzi di trasporto con cui, appunto, possono evitare il traffico? Tipo: un inseguimento di una gazzella della Polizia nel traffico contro un criminale in monopattino, come finisce? L’eterogenesi dei fini qui non è nemmeno comica, è tragicomica, o tragica e basta.
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Potremmo continuare con la lista. Laddove c’era una rotonda che funzionava meglio di un semaforo (ogni tanto, qualcuna la devono azzeccare, ma non dura) ecco che te la cancellano e ci mettono cordoli, fiori, pianticelle, magari perfino un monumento orrendo o una fontana lercia.
Laddove c’era una strada larga, eccotela divorata da un nuovo mega-marciapiede che non usa nessuno, se non i ciclofascisti zeloti, i quali tuttavia divengono presto vittime della follia viabilitaria, con sensi unici e corsie di trenta centimentri anche per i velocipedi.
Laddove c’era una strada dritta che in 50-100 metri ti portava allo snodo, loro, per farti arrivare al medesimo punto, ti costruiscono una deviazione di mezzo chilometro che ti manda sotto un supermercato, un tribunale, una palestra, una pizzeria, appartamenti di lusso e uffici pubblici – insomma un bel progetto di complessone che qualcuno deve aver costruito e in qualche modo venduto, con tutti incuranti del fatto che se all’esame di urbanistica all’Università proponevi una cosa del genere venivi bocciato seduta stante.
Laddove devono costruire una tangenziale, magari con decenni di ritardo, ti rendi conto che si dimenticano di fare le uscite nei comuni che attraversa e ci fanno l’immissione con uno stop invece di una corsia di accelerazione, con il risultato che entri a 0 km/h in una strada dove da sinistra ti arriva uno che viaggia ufficialmente a 70-90 km/h, che poi divengono sempre 100-120 km/h se non, nel caso del tizio con l’Audi in leasing, cinque vaccini e chissà cos’altro in corpo, perfino di più.
E non parliamo dei casi di corruzione che saltano fuori in quegli uffici – dove ci sono appalti, ci sono mazzette, uno pensa. Ma non è nemmeno questo il punto: nel disastro, gli effetti della malizia possono essere indistinguibili da quelli dell’ebetudine conclamata dei soggetti e del sistema.
È difficile, davvero, trovare qualcosa di positivo in quello che fanno quanti sono politicamente preposti al miglioramento della mobilità – cioè dell’esistenza – dei cittadini. Il motivo, lo ripetiamo, è strutturale: gli assessorati sono macchine strutturate per modificare, cioè complicare, le cose. In pratica, sono l’essenza stessa della burocrazia, con effetti fisici però immediati e devastanti.
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La soluzione a tutto questo potrebbe essere davvero facile-facile: abolizione completa degli assessorati al traffico. Con essa, si perderebbe l’incentivo strutturale a cambiare sempre e comunque tutto, e a valutare con più responsabilità le innovazioni.
Immaginiamo che se la viabilità fosse fra le mansioni dirette del sindaco, cioè se la responsabilità fosse la sua, le decisioni sulla mobilità sarebbero più dosate e sensate, perché esposte al popolo con il quale il primo cittadino ha certo un rapporto più diretto, nonché mediato dal voto, passato e soprattutto futuro.
È una proposta che non sappiamo se sia già stata fatta. Certo si possono valutare cose anche più radicali: come la punizione per quanti complicano e distruggono la viabilità delle nostre città. Lo sappiamo, è la mancanza di castigo che crea aberrazioni ed orrori, con la devastazione di tanta parte d’Italia dovuta a questo principio di irresponsabilità della casta politico-burocratica.
La realtà è che, per ottenere qualcosa, il cittadino sincero-democratico automunito deve arrabbiarsi molto di più. Non basta ringhiare al bar, o imprecare dentro l’abitacolo, magari pure, a certe latitudini, suonando il clacsone. Non serve alimentare un sistema che, alla fine, continua a produrre assessori al traffico, e traffico.
No, serve davvero di più. Perché l’auto è davvero un mezzo di libertà, e aggiungiamo, di vita – l’auto è uno strumento della famiglia. Chi vuole togliervela – come quelli di Davos, le cui idee percolano poi giù giù fino al vostro assessorino – odia la vita, odia voi e i vostri figli.
Chiedere l’abolizione degli assessorati al traffico ci sembra il minimo che possiamo fare se vogliamo sul serio lottare per la Civiltà.
Roberto Dal Bosco
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