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Pensiero

Entrare in una chiesa oggi: sanificazione delle mani o purificazione dell’anima?

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Una ritualità che è andata scomparendo in tutte le funzioni religiose è lo scambio della pace.

 

Eh si, bisogna evitare contatti causa virus e di conseguenza sono state abolite le strette di mano; poco male in fondo, perché a volte, nelle funzioni moderniste, questo rito era diventato una specie di confusione collettiva, dove si passava da una panca all’altra a sbaciucchiare, ad abbracciare, ad accarezzare il fedele di turno noncuranti del fatto che la solennità del momento richiederebbe ben altra atmosfera.

 

Lo spettacolo da balera dello scambio della pace durante la messa, per ora, non lo subiamo più: un piccolo vantaggio ottenuto dalla «pandemia»

L’attimo prima di ricevere il Sacro Corpo di Nostro Signore dovremmo quantomeno raccoglierci in silenzio e preghiera, possibilmente in ginocchio, in quanto l’Eucaristia è il sacramento che, sotto le apparenze del pane e del vino, contiene realmente, Corpo, Sangue, Anima e Divinità del Nostro Signore Gesù Cristo per il nutrimento delle anime. 

 

Questo spettacolo da balera dello scambio della pace, per ora, non lo subiamo più: un piccolo vantaggio ottenuto dalla «pandemia».

 

Ma un’altra ritualità è nata dopo la comparsa di questo virus: la sanificazione delle mani.

 

Quelle mani che prima venivano intinte nell’acquasantiera, oggi vengono unte dal gel. L’acqua Santa, che può avere benefici enormi, fino a ottenere miracoli e guarigioni, è scomparsa da quasi tutte le chiese

Quelle mani che prima venivano intinte nell’acquasantiera, oggi vengono unte dal gel. L’acqua Santa, che può avere benefici enormi, fino a ottenere miracoli e guarigioni, è scomparsa da quasi tutte le chiese.

 

Al contempo ha fatto l’entrata in scena l’Amuchina (o chi per essa), che ci sanifica le mani, ma, ahimè, non l’anima. L’intenso attimo prima di ricevere il Corpo di Cristo è sporcato da un sottofondo di sottile rumore di boccette che si aprono, di spray che spruzzano la «nuova acqua santa» sulle mani che a loro volta si sfregano tra loro con un suono che oramai è diventato sgradevolmente caratteristico.

 

Una volte pulite le mani siamo così sicuri di esse pronti a ricevere l’ostia? Non dovremmo «pulire» la nostra anima invece?

 

Spero che ognuno di noi, in coscienza, l’abbia fatto. «L’Eucaristia, in chi la riceve degnamente, conserva e accresce la grazia, che è la vita dell’anima, come fa il cibo per la vita del corpo; rimette i peccati veniali e preserva dai mortali; dà spirituale consolazione e conforto, accrescendo la carità e la speranza della vita eterna di cui è pegno».

«Nel momenti di ricevere la santa Comunione, bisogna trovarsi in ginocchio, tenere la testa lievemente alzata, gli occhi modestamente rivolti verso la santa Ostia, la bocca sufficientemente aperta, con la lingua un pochino avanzata sul labbro inferiore. Bisogna tenere la tovaglia o il piattello (patena) della Comunione in modo che essi ricevano la santa Ostia se dovesse cadere» San Pio X

 

Non sta a me sentenziare. Le mani igienizzate, però, sono indegne a ricevere il Corpo di Nostro Signore, ma a quello la nuova chiesa ci ha abituato da tempo, nonostante quanto ribadito da San Pio X:

 

«Nel momenti di ricevere la santa Comunione, bisogna trovarsi in ginocchio, tenere la testa lievemente alzata, gli occhi modestamente rivolti verso la santa Ostia, la bocca sufficientemente aperta, con la lingua un pochino avanzata sul labbro inferiore. Bisogna tenere la tovaglia o il piattello (patena) della Comunione in modo che essi ricevano la santa Ostia se dovesse cadere».

 

E queste mani che si apprestano a ricevere quanto di più prezioso e divino ci possa essere, una volta ricevuto il Pane consacrato, fanno dei giri strani cercando ti togliersi e rimettersi subito la tanto amata mascherina, dimenticandosi che la salvezza è quella appena poggiata – anche se indegnamente – sulle loro mani, ma la brandeggiano come un qualsiasi altro oggetto prima di portarsela alla bocca.

 

E poi siamo proprio sicuri che nessuno approfitti di queste «protesi facciali a becco d’anatra» per nascondere il pane Sacro per poi portarlo altrove?

 

Siamo proprio sicuri che tutti i preti e i loro chierichetti vigilino con attenzione? Chiedo, anche se a pensar male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca.

 

Non tradire la nostra Fede in nome di questa nuova fede fatta di sostanze igienizzanti, maschere facciali che oltraggiano la nostra dignità e «salvifici sieri benedetti» che tentano in ogni modo di inocularci

Se si considerassero per un solo attimo soltanto l’importanza ed il valore della Particola consacrata, «ogni ginocchio si piegherebbe» e nessuno si sentirebbe degno di tenerla nelle mani, neppure per pochi istanti.

 

Ciò detto, torniamo a Colui che può realmente salvarci e torniamo a Lui con enorme umiltà, ma anche con il coraggio di non tradire la nostra Fede in nome di questa nuova fede fatta di sostanze igienizzanti, maschere facciali che oltraggiano la nostra dignità e «salvifici sieri benedetti» che tentano in ogni modo di inocularci.

 

 

Francesco Rondolini

 

 

 

 

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Civiltà

L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra

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È morto Shinpei Tominaga, l’imprenditore giapponese – ma italiano d’adozione – colpito da un pugno a Udine mentre tentava di sedare una rissa.

 

L’uomo è mancato in ospedale dove era tenuto in vita dalle macchine. Il giapponese, che tentava di mettere fine ad un pestaggio che si stava consumando davanti ai suoi occhi, sarebbe stato colpito da un pugno sferrato da un 19enne veneto. Secondo quanto riportato, il ragazzo avrebbe confessato.

 

Il giovane veneto si sarebbe accompagnato da due amici, uno con un nome apparentemente nordafricano, un altro con un cognome che pare ghanese. Si tratta, secondo una TV locale, di una «banda ben nota», che «all’inizio era una baby gang che ora non è più così baby, anzi, ed è di una grande pericolosità per tutti i cittadini». Il trio si sarebbe scontrato «con due ucraini residenti a Pescara, in città per lavoro in un cantiere edile».

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Secondo RaiNews, il GIP «ha convalidato l’arresto per rissa aggravata di tutti e cinque i partecipanti».

 

La dinamica dei fatti sarebbe stata ricostruita dalla Questura «grazie ai testimoni e alle telecamere, pubbliche e private», scrive il sito della radiotelevisione pubblica italiana.

 

«Poco dopo le 3, due dei ragazzi veneti fumano per strada, conversando tranquillamente con i due ucraini. Sopraggiunge il terzo amico e cerca subito uno scontro fisico. Seguono degli spintoni». Uno degli ucraini «viene colpito con un pugno, rovina a terra, dove viene picchiato con pugni, calci e con la sedia di un bar».

 

«Uno dei tre corre a prendere un coltello da cucina nel bed and breakfast in cui alloggiavano, poco distante».

 

«Interviene una donna di passaggio, termina la prima fase dell’aggressione. I due ucraini si rifugiano nel vicino ristorante kebab. Vengono inseguiti dai tre ventenni».

 

È qui che avviene l’incontro fatale con l’imprenditore giapponese.

 

«Tominaga chiede loro di stare tranquilli, lasciar perdere. Un pugno al volto, e il 56enne cade per terra e sbatte violentemente la testa, finendo in arresto cardiaco». Non basta: sarebbero stati «aggrediti – anche con uno sgabello – i due amici che erano con Tominaga».

 

«I tre avevano già precedenti, a vario titolo, per rapina, lesioni e minacce».

 

Per quanto riguarda invece gli ucraini, «niente misura cautelare in carcere. Per uno di loro disposto il divieto di dimora in Friuli Venezia Giulia».

 

A parte il ragazzo che avrebbe sferrato il cazzotto fatale, parrebbe quindi una rissa tra immigrati. Una delle tante che si consumano, finendo al massimo in un trafiletto di cronaca locale (ma spesso neanche quello), in aree urbane oramai divenute preda della prepotenza dei «migranti» – le zone, in cui, generalmente, abbondano di kebabbari.

 

Stavolta però la notizia sta avendo eco nazionale, perché c’è scappato il morto, sul quale vogliamo dire due parole.

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Con Shinpei – che i giornali chiamano Shimpei, con la «m»: nella lingua giapponese il suono «mp» non esiste, ma non è escluso che se lo fosse italianizzato lui stesso – il nostro Paese non perde poco.

 

Innanzitutto, ricordiamo il suo lavoro: export di mobili verso il Giappone. Il mobile, in particolare la sedia, trova in Friuli un distretto di eccellenza, distrutto negli ultimi due decenni dalla concorrenza cinese. Tuttavia chi cerca la qualità della manifattura non si può far incantare dalla merce a buon mercato dei mandarini: il popolo del Sol Levante è noto per la sua appassionata pignoleria, da cui proviene il suo rispetto per l’Italia.

 

Shinpei, quindi, per l’Italia faceva un lavoro inestimabile: teneva in vita l’economia del prodotto di qualità, di per sé una vera resistenza alla globalizzazione, cioè alla cinesizzazione, che ha devastato la piccola e media impresa dell”Alta Italia consegnandoci all’incubo di disintegrazione della classe media e di deindustrializzante che stiamo vivendo.

 

Di più: Shinpei, che aveva la famiglia in Giappone, in realtà l’Italia la conosceva bene, e con probabilità l’amava davvero. Era cresciuto a Roma, dove il padre Kenichi Tominaga commercializzava i cartoni giapponesi divenuti centrali per l’infanzia di tanti italiani: con Orlando Corradi aveva fondato una casa di distribuzione chiamata Doro TV Merchandising, la cui sigla con il cagnolino è nei ricordi di moltissimi, che vendeva gli anime ai network televisivi pubblici e privati italiani. Goldrake e Conan li ha portati da noi il babbo di Shinpei.

 

Pezzi di storia, pezzi di relazioni vere, e profonde, tra due Paesi sviluppati, l’Italia e il Giappone, terminati dalla barbarie presente, che ora tocca senza problemi anche le città di provincia.

 

No, non si è al sicuro anche nella tranquilla cittadina a statuto speciale, nemmeno se sei con tre amici per strada, nemmeno se ti offri di aiutare un ragazzo insanguinato. Quello che ti aspetta, uscito di casa nell’Italia contemporanea, è la morte – un sacrificio gratuito sorto dalla fine della civiltà in Europa.

 

Su Renovatio 21 abbiamo adottato il concetto, introdotto nei primi anni Duemila dallo scrittore statunitense Samuel Todd Francis (1947-2005), chiamato «anarco-tirannia», cioè quella sorta di sintesi hegeliana in cui lo Stato moderno regola tirannicamente o oppressivamente la vita dei cittadini – tasse, multe, burocrazia – ma non è in grado, o non è disposto, a far rispettare le leggi fondamentali a protezione degli stessi. La rivolta etnica delle banlieue francesi della scorsa estate ne sono l’esempio lampante, lo è anche, se vogliamo, il grottesco e drammatico video in cui il poliziotto tedesco attacca il connazionale che stava tentando di contrastare un immigrato armato di coltello, il quale per ringraziamento pugnala e uccide lo stesso poliziotto.

 

C’èst à dire: nella condizione anarco-tirannica, il fisco ti insegue ovunque, la giustizia ti trascina in tribunale perché non portavi la mascherina o perché hai espresso idee dissonanti, ma se si tratta di fermare il ladro, il rapinatore, etc., non sembra che nessuno, viste le percentuali di reati rimasti impuniti, faccia davvero qualcosa. E qualora prenda il criminale, ben poco viene fatto perché il crimine non sia ripetuto. Nel caso presente, i tre fermati, ribadiamo, «avevano già precedenti, a vario titolo, per rapina, lesioni e minacce».

 

La legge, le forze dell’ordine, lo Stato non sembrano aver fatto moltissimo per fermare il crimine, e convertire il criminale, che prosegue ad agire come in assenza di un potere superiore a lui – appunto, l’anarchia. Anarchia per i criminali, tirannide per i cittadini comuni, incensurati, onesti, contribuenti. Va così.

 

Al di là dell’amarezza, è il caso di comprendere cosa significa materialmente – cioè, biologicamente – l’avvio dell’anarco-tirannia per le vostre vite. L’anarco-tirannide produce giocoforza la vostra insicurezza, perché minaccia direttamente i vostri corpi. Lo stato di anarchia è quello in cui, non valendo alcuna autorità, la violenza non può essere fermata.

 

Se ci fate caso, in tanti teorici dell’anarchia spunta ad un certo punto quest’idea del mondo che va portato verso il baccanale dionisiaco, con l’orgia e la violenza come grottesco strumento per testimoniare la supposta libertà dell’essere umano, slegato da ogni legge anche morale. Non è il caso che gli scritti di uno massimi teorici dell’anarchismo odierno, siano stati accusati di essere pedofili.

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E quindi, uscire di casa, per un bicchiere con gli amici, è di per sé un’azione pericolosa. La strada, la vita quotidiana stessa, diventa una minaccia. È già così in tante aree cittadini: circolarvi di notte è qualcosa di pericoloso. Ecco la formazione delle no-go zones, che sono – se mai ce n’era ulteriore bisogno – la dimostrazione fisica della possibilità di lasciare che si neghi la Costituzione, la nel suo articolo 16 prevede la libera circolazione dei cittadini su tutto il suolo nazionale.

 

Qui, nel contesto di aggressioni continue e randomatiche, non vi è solo la vostra incolumità fisica, in gioco: c’è la vostra natura morale ad essere pervertita, perché – come nella tragedia di Udine – le virtù cristiane, come tentare di terminare un conflitto o aiutare qualcuno in difficoltà, viene punita con il sangue.

 

È la fine dello stato di diritto, e al contempo della legge naturale, della fibra morale che unisce la società. È l’instaurazione del regime del più forte, trionfo ideale del nazismo, dove il debole deve accettare di essere sacrificato dall’aggressore vittorioso. È un’espressione che forse avete sentito dire a qualche bullo delle medie quando, oltre che l’obbiettivo, finiva per picchiare qualcun altro: «si è messo in mezzo».

 

Nel mondo nuovo, decristianizzato dall’immigrazione, dallo Stato e dal papato stesso, chi fa da paciere può finire ucciso. Quindi, meglio farsi gli affari propri, non intromettersi…

 

«Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinunzino all’azione», è un aforisma falsamente attribuito al filosofo settecentesco Edmund Burke, che tuttavia contiene una verità incontrovertibile. In una situazione di rischio fatale, chi mai ha voglia di fare la cosa giusta, e aiutare il prossimo?

 

Ecco raggiunto il vero scopo del processo dell’anarco-tirannide. Una società atomizzata, dove la paura costante del prossimo, dove l’ansia primaria per la sopravvivenza previene la possibilità della coesione sociale, così da lasciar liberi i padroni del vapore di far quel che vogliono senza timore di resistenza popolare.

 

Una società divenuta preda del malvagio è una società che può essere manipolata a piacimento. Nessun gruppo umano si oppone ai comandi del vertice, per quanto soverchianti e contraddittori: e lo abbiamo visto in pandemia. Quindi l’anarco-tirannia è, diciamo, una fase del Regno Sociale di Satana.

 

E quindi, cosa dobbiamo fare?

 

Quale politica per prevenire che le nostre vite divengano incubi?

 

Facciamo qualche semplice proposta.

 

Innanzitutto, si deve andare oltre al rifiuto più assoluto l’immigrazione: si deve chiedere, secondo una parola sempre più usata nel mondo germanofono, la remigrazione. Milioni e milioni di migranti, portati qui per infliggerci questa ingegneria sociale del male, vanno espulsi dal Paese, e questo a costo di svuotare interni quartieri.

 

Secondo: si deve istituire una forma di punizione dura al punto da essere considerata un vero deterrente: la galera, al momento, non lo è. Ricordiamo che, per quanto possano aver detto preti e papi postconciliari, la pena di morte non è contraria alla dottrina cattolica. E ricordiamo che i lavori forzati, che aiuterebbero economicamente il Paese, darebbero finalmente un senso all’esistenza dei carcerati: in passato si è detto che non è possibile farli lavorare davvero perché nella Costituzione, segnata dalla mentalità sovietica dei padri costituenti PCI permessa dai padri costituenti DC – c’è scritto che il lavoro va retribuito. Noi qui rammentiamo che anche quel tabù lo abbiamo perso: la Costituzione, negli ultimi anni, è stata violata in ogni modo.

 

Terzo: è necessario che qualcuno si intesti davvero il discorso politico sul porto d’armi inteso come nel concetto americano di carry: vi sono stati americani in cui si ha l’open carry, ossia la possibilità di circolare per strada visibilmente armati, in altri si ha il concealed carry, dove l’arma può essere portata seco quando nascosta. È inutile evitare il pensiero, nella giungla anarco-tirannica, l’unica deterrenza, e oltre l’unica forma di difesa, potrebbe divenire l’essere armati sempre ed ovunque – cosa triste ed orrenda, forse, ma anche qui, va così.

 

Purtroppo, causa di recenti incresciosi episodi consumatisi nel capodanno di parlamentari di Fratelli d’Italia, è difficile che il governo Meloni voglia avventurarsi in questa direzione, che pure dovrebbe essere la sua. C’è da ringraziare chi, secondo quanto ricostruito, avrebbe avuto l’idea geniale di tirare fuori una pistola in pubblico…

 

Quanto ai tempi che ci aspettano, abbiamo iniziato a scriverne un paio di anni fa. Quando terminerà la guerra ucraina, una quantità di veterani di Kiev, tra cui i molti tatuati neonazisti, potrebbero finire da noi. Forse esiliati, forse solo in tour a trovare la mamma, la zia, la sorella badante. Difficile che, a questo punto, quei ragazzi non si raggrupperanno in bande amalgamate da lingua, storia, esperienza (chi ha fatto la guerra insieme, non si molla mai) e credenza fanatico-religiosa nell’ideale ucronazista.

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C’è da dire che forse arriveranno anche armati, perché la quantità di armi inviate da USA e Paesi NATO – già finite a mafie in Finlandia, in Spagna, ai narcos in Messico, ai terroristi in Siria – è talmente vasta che qualcosa resterà con loro. A differenza del tranquillo contribuente italiano, la futura banda post-bellica – fenomeno cui abbiamo assistito negli anni Novanta con i gruppi di veterani della guerra di Bosnia che assaltavano le ville – sarà armata fino ai denti.

 

La situazione che si ingenererà per la giungla fuori da casa vostra ha un nome: gli strateghi dell’ISIS, nel loro mirabile manuale, la chiamavano Idarat at-Tawahhus, cioè «gestione della barbarie», o «gestione della ferocia».

 

I jihadisti teorici dello Stato Islamico concepivano il crollo di uno Stato come l’apertura di possibilità immani: dopo una prima fase che definivano «vessazione e potenziamento» – dove si estenua la popolazione di un territorio con estrema violenza e paura – si fa partire una seconda fase, dove, sulla scia del crollo dell’ordine dello Stato e l’instaurazione di una «legge della giungla» sempre più belluina, prevale tra i sopravvissuti pronti ad «accettare qualsiasi organizzazione, indipendentemente dal fatto che sia composta da persone buone o cattive».

 

Appunto: «fatti gli affari tuoi». «Non ti immischiare».

 

Siamo davvero disposti ad accettare la trasformazione della società in un incubo satanico?

 

Davvero vogliamo assistere alla fine della civiltà guardando inani dalla finestra, e pregando che il caos non arrivi a trucidare anche noi ed i nostri cari?

 

Quali gruppi umani possono davvero opporsi a questo processo di morte e distruzione?

 

Domande a cui bisogna rispondere quanto prima. Nel frattempo, le brave persone, gli innocenti, i virtuosi, vengono ammazzati, sacrificati all’altare dell’anarco-tirannide progettata per sottomettervi.

 

Roberto Dal Bosco

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Pensiero

Giorgio Agamben: l’Europa senza Dio, la NATO e l’invenzione del nemico

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Renovatio 21 pubblica questo scritto di Giorgio Agamben apparso sul sito dell’editore Quodlibet su gentile concessione dell’autore.   Credo che molti si siano chiesti perché l’Occidente, e in particolare i Paesi europei, cambiando radicalmente la politica che avevano perseguito negli ultimi decenni, abbiano improvvisamente deciso di fare della Russia il loro nemico mortale.   Una risposta è in realtà senz’altro possibile. La storia mostra che quando, per qualche ragione, vengono meno i principi che assicurano la propria identità, l’invenzione di un nemico è il dispositivo che permette – anche se in maniera precaria e in ultima analisi rovinosa – di farvi fronte.   È precisamente questo che sta avvenendo sotto i nostri occhi. È evidente che l’Europa ha abbandonato tutto ciò in cui per secoli ha creduto – o, almeno, ha creduto di credere: il suo Dio, la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, la giustizia.

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Se nella religione – con la quale l’Europa si identificava – non credono più nemmeno i preti, anche la politica ha perduto ormai da tempo la capacità di orientare la vita degli individui e dei popoli.   L’economia e la scienza, che hanno preso il loro posto, non sono in grado in alcun modo di garantire un’identità che non abbia la forma di un algoritmo.   L’invenzione di un nemico contro il quale combattere con ogni mezzo è, a questo punto, il solo modo di colmare l’angoscia crescente di fronte a tutto ciò in cui non si crede più.   E non è certo prova di immaginazione aver scelto come nemico quello che per quarant’anni, dalla fondazione della NATO (1949) alla caduta del muro di Berlino (1989), ha permesso di condurre sull’intero pianeta la cosiddetta Guerra Fredda, che sembrava, almeno in Europa, definitivamente sparita.   Contro coloro che cercano stolidamente di ritrovare in questo modo qualcosa in cui credere, occorre ricordare che il nichilismo – la perdita di ogni fede – è il più inquietante degli ospiti, che non soltanto non si lascia addomesticare con le menzogne, ma non può che portare alla distruzione chi lo ha accolto nella sua casa.   Giorgio Agamben  

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Necrocultura

Il cardinale, la DC e lo sterminio degli italiani

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Tendo a dimenticarmi, talvolta, che il cardinale Ruini è ancora qui.

 

Lui, tuttavia, ha ciclicamente modo di ricordarcelo, spuntando fuori sui grandi media. Il prelato emiliano ha poc’anzi dato un’intervista al Corriere della Sera che ha destato scalpore.

 

Della conversazione dell’ex presidente CEI con il quotidiano «laico» la politica ha recepito soprattutto una piccola rivelazione (in realtà, una conferma di quanto già scritto nel libro Il colle d’Italia) di carattere storico. In pratica, subito dopo l’estate 1994 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, aveva invitato a pranzo Ruini, il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran per chiedere di «aiutarlo a far cadere il governo Berlusconi».

 

«Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra — al di là della indubbia buona fede di Scalfaro — fu unanime». Notare la bontà del cardinale verso il democristiano Scalfaro. «E pensare che Scalfaro era stato per me un grande amico».

 

L’ammissione dà un senso nuovo anche alle parole di Giovanni Agnelli, che anche lui confessò in tranquillità di aver ricevuto una telefonata dallo Scalfaro mentre a Natale 1994 era in crociera nei Caraibi. Secondo Repubblica, lo Scalfaro avrebbe «chiesto invano all’Avvocato di formare il nuovo governo, in nome dell’amor di patria».

 

«Dopo di me dovrebbero chiamare un cardinale o un generale» disse l’Agnelli, che immaginiamo pronunziare queste parole con il solito ghigno e l’inevitabile erre moscia. La realtà, prendiamo atto: è che l’erede dell’impero industriale para-statale fu ascoltato anche quella volta: chiamarono un cardinale, mentre per il generale, nel caso sia stata fatta anche quella telefonata, non sappiamo di chi si possa essere trattato, e neanche lo vogliamo sapere – perché parlare di generali e politica in Italia nella Prima Repubblica faceva suonare sirene d’allarme, mentre oggi… Vannacci.

 

Insomma, un piccolo colpo di palazzo, al cui racconto ora in Forza Italia stanno reagendo in molti. Erano tuttavia cose note.

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Come noto è il fatto che il vero golpe fu fatto, pochi anni prima, con Tangentopoli. Un’operazione certamente diretta dall’estero, pensano in tanti. Caduto il muro, il potere profondo americano – ciò che rende l’Italia un Paese a «sovranità limitata», espressione anticostituzionale che si usava e si usa con sempre minor pudore – doveva cambiare i cavalli. Craxi e il PSI gli avevano fatto qualche scherzetto: baciano Arafat, mandano i carabinieri a circondare i soldati americani a Sigonella. E la DC…

 

La DC è il vero tema dell’intervista, che giunge guarda caso proprio mentre si stanno per stappare le bottiglie per gli 80 anni dalla sua fondazione. È il macabro compleanno di una cosa morta, ma in verità, lo sappiamo, la DC non è mai davvero morta. E tenerla in vita, sotto forma di spezzatino frankensteiniano disseminata ovunque, è stato il lavoro di Ruini per decenni.

 

«Ed è stato un brutto modo di cadere» dice il cardinale nell’intervista, parlando della DC. «Quando accadde ci interrogammo, perché anche per noi si poneva un problema. Dissi subito: “Un altro partito dei cattolici è impossibile”. Percepii che, storicamente, non c’era più lo spazio».

 

«In quel periodo di passaggio da un partito all’altro ero molto ricercato da uomini politici della DC e di altre forze che volevano consultarmi. Da Mino Martinazzoli a Giovanni Spadolini».

 

Qui anche l’intervistatore di Via Solferino salta sulla sedia: ma cosa c’entra Giovanni Spadolini? Il capo del Partito Repubblicano, che del laicismo (che, in molti casi, è parola che sta a significare altro) ha fatto la sua bandiera esistenziale? Spadolini, e tutte le chiacchiere che si portava dietro?

 

«Spadolini venne da me per opporsi al cambio di nome della DC. Mi chiese di fare qualcosa per impedirlo». Insomma, Spadolini consulente del branding politico per i cattolici italici. «Ricordo le sue parole: “Da storico le dico che il nome Democrazia cristiana è il nome della vittoria dei cattolici. Partito popolare è invece il nome della sconfitta”. Gli risposi: “Presidente, sono d’accordo con lei, ma non decido io”».

 

C’è da ricordare, a questo punto, che il «laico» Spadolini nel 1981 divenne il primo presidente del Consiglio dei ministri non democristiano dal 1945. Quindi, vi erano commistioni, tra vescovi e «laici», sulle quali forse avevamo sorvolato, ma che sono effetto di un patto più profondo che lega la chiesa italiana – cioè la chiesa cattolica dopo il Concilio – ai poteri non-cristiani che hanno dato forma al disastro italiano pienamente visibile nell’ora presente.

 

La dottrina Ruini fu quella di aprire a Berlusconi, che invece aveva ricevuto tanta antipatia dai democristiani sopravvissuti ai giudici (Mino Martinazzoli, Rosa Russo Jervolino, Rosy Bindi), che infatti passarono in scioltezza agli ex-comunisti del PDS (poi DS poi PD: loro il brand hanno dovuto aggiornarlo).

 

Di più: Ruini immaginò che la diaspora della DC poteva essere una strategia in sé: ficcare in ogni partito una pattuglia di uomini vescovili, di modo da concorrere sempre comunque agli sterzi della politica.

 

«Nel 1995, nel suo discorso conclusivo al convegno ecclesiale di Palermo, Giovanni Paolo II dichiarò che la Chiesa non avrebbe dovuto coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito» dice Ruini. «Ma – aggiunse – ciò non implica in alcun modo una diaspora culturale dei cattolici.

 

Secondo il cardinale, Woytila «voleva dire che non si può ritenere compatibile con la fede l’adesione a forze politiche che si oppongono o non prestano attenzione ai principi della dottrina sociale della Chiesa: sulla persona, sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. Fu una linea saggia e producente».

 

Ci chiediamo: «saggia e producente», esattamente, in cosa? Nell’intervista Ruini dà immediatamente risposta.

 

«Allungando un po’ lo sguardo, i momenti salienti furono il referendum sulla procreazione assistita: puntando sull’astensione ottenemmo il 74%», rivendica il porporato.

 

Ricordiamo al lettore brevemente di cosa si tratta: la riproduzione artificiale fu normata in Italia da una legge concepita da democristiani, la famosa legge 40/2004. In molti osservano che legge sembra scritta in modo tale da poter essere smontata in un secondo tempo dall’intervento di giudici di vario grado. La legge permette la produzione di esseri umani in laboratorio, ma in un certo numero. Quanto poi è scritto rispetto allo scarto degli embrioni cozza, ovviamente, con l’intoccabile legge 194/1978, che oltre agli embrioni consente di uccidere anche feti e bambini.

 

Soprattutto: la legge sui bambini sintetici voluta dai democristiani e difesa boicottando il referendum 2005 è, ad oggi, la causa della distruzione di centinaia di migliaia di embrioni l’anno, più esseri di quanti non se ne uccidano annualmente con l’aborto di Stato. Ricordiamo pure che, grazie al ministro Lorenzin – un’altra transitata dal NCD – la creazione di bambini in provetta è ora nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè il massacro è pagato, esattamente come il feticidio 194, direttamente dallo Stato, dalle tasse del contribuente.

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E poi, quali altri ricordi, cardinale? «Più tardi l’opposizione alla legge del governo di Romano Prodi sui DICO, che apriva le porte al riconoscimento delle unioni tra omosessuali. Non ero più presidente della CEI, ma guidai ancora io quel passaggio».

 

«Grazie alla manifestazione del Family day quel provvedimento si fermò. Ecco, sia il referendum sia il Family Day furono esempi del modo in cui la Chiesa si posizionò in proprio, esprimendo direttamente la sua posizione».

 

Eccoci: il Family Day, quella serie di grandi eventi dove per un giorno i cattolici vanno in piazza a Roma e sembrano tantissimi (in genere, grazie alle parrocchie neocatecumenali della periferia della capitale, dove giocoforza ci sono tante famiglie numerose), una vera forza politica. Poi il giorno dopo sparisce tutto, e la Necrocultura politica segue il suo corso. Il cardinale gioisce per aver fermato i DICO di Prodi, ma pochi anni dopo ecco che ci ritroviamo con le Unioni Civili, cioè il matrimonio omosessuato. Non un gran lavoro.

 

Tuttavia, i Family Day sono importanti: perché consentono di gestire, e lanciare, figure politiche che poi rimangono persistenti nel tempo. È il caso di Eugenia Roccella, ex radicale abortista presentatrice del primo Family Day. Ce la ritroviamo eletta con Berlusconi, poi parte del dimenticato partito scissionista di Angelino Alfano NCD (nel quale, disse qualche cronaca, i vescovi pure potrebbero averci messo lo zampino), poi, dopo una pausa perché non eletta, d’un bleu rispunta in lista con FdI nel 2022 e viene immediatamente fatta sedere nello scranno del ministero della famiglia.

 

Le posizione della Roccella sono note: la 194 non si tocca («mi occupo del contrario»; «L’aborto? Non è roba mia, chiedetelo al ministro della Salute»), apertura ai bambini delle coppie gay con una bella sanatoria («la strada corretta è la stepchild adoption»).

 

È quindi utile chiedersi, per il lettore sbadato, chi fosse sul palco del secondo Family Day. Renovatio 21 ha cercato di descrivere il quadro in un articolo dell’ottobre 2022, quando era fresca la vittoria dei Meloni alle urne. Parlavamo di un «network democristiano» dietro a Giorgia, le cui posizioni su aborto etc. sono, casualmente, proprio quelle dei personaggi di Ruini, che con evidenza è riuscito ad infiltrarsi anche qui.

 

Perché, in fondo, si tratta della posizione del cardinale stesso: Ruini nel 2008 chiese di «non rivoltarsi» contro la 194. «L’ex presidente della CEI ha evitato, “parlando a titolo personale”, di utilizzare la parola “omicidio” per l’aborto» scriveva La Stampa, descrivendo un’intervista TV del cardinale con Giuliano Ferrara.

 

L’intervista termina con una strana dichiarazione di affetto del cardinale ad un’altra figura laica di alto livello Carlo Azeglio Ciampi e alla moglie 102enne. Su Ciampi, e sul suo ruolo nell’attacco che nel 1992 George Soros portò alla lira, abbiamo scritto altre volte.

 

Insomma, arrivati in fondo, non si scorge nel discorso del prelato non diciamo l’amarezza, ma anche la semplice constatazione di cosa davvero sia successo in Italia mentre lui stava nella stanza dei bottoni, con o senza DC.

 

La legge per l’aborto di Stato 194/1978 – una legge prodotta e votata da un governo democristiano, quello papale papale di Giulio Andreotti – ha prodotto, si dice, sei milioni di cittadini in meno. Un calcolo, come abbiamo visto altre volte, che è possibile considerare con l’unità di misura inventata per i danni delle bombe atomica, il megadeath, «megamorte». Ogni megadeath vale un milione di vittime.

 

L’Italia starebbe, in teoria, a 6 megamorti. Praticamente, è come se avessero nuclearizzato una grande regione, o anche due: considerate che a Hiroshima vi furono sul momento 66 mila morti, pari a 0,06 megadeath. All’Italia pare essere andata peggio. E ai megadeath della 194 aggiungiamo quelli degli embrioni distrutti dalla 40: per ogni bambino artificiale in braccio se ne uccidono quantità, forse 150 mila l’anno, forse di più.

 

In verità, c’è una considerazione aritmetica ulteriore, che non ho sentito fare in Italia. Associato all’aborto, vi è un ghost number, una cifra nascosta di persone che vengono a mancare.

 

Considerate che una bambina abortita nel 1978, nel 1980, nel 1982, potrebbe aver avuto già nei primi anni 2000 una figlia. E costei, se avesse partorito alla medesima età della madre, potrebbe aver avuto a sua volta una figlia in questi stessi anni che stiamo vivendo.

 

Proprio così: gli aborti della legge democristiano potrebbero essere, oggi, nonni.

 

Quindi, lo sterminio degli italiani, del quale il cardinale non sembra avere alcuna contezza, è di proporzioni molto, molto superiori a quanto si possa immaginare. È un massacro infinito, dai contorni metafisici – ricordate il detto ebraico, «chi salva un uomo salva l’umanità»? Ecco, realizziamo qui che uccidere un bambino significa distruggere, per sempre, la sua discendenza.

 

Una bomba atomica sganciata sull’Italia, sul suo futuro. Un’intera nazione – parole che deriva dall’etimo nascere – devastata nell’unica cosa che conta davvero: la vita dei suoi cittadini.

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Ma, di questa Nazione Non Nata, a chi importa? Gli italiani non nati votano? Pagano le tasse? Offrono l’8 per mille? No. Forse per questo, meritano di essere eliminati a piacimento, anche tutti. La parola per descrivere tale fenomeno è tornata recentemente di moda: genocidio.

 

Di tale abisso, che è stato creato da democristiani assieme ai vescovi, che dimostra l’esito anticristiano dello Stato moderno – il dominio violento ed assassino del più forte sul più debole – non c’è traccia nella riflessione di nessuno. Né cardinali, né intellettuali, al riparo nei loro pranzetti e nei loro stipendioni, paiono anche solo volersi avvicinare al pensiero.

 

Pensiamo all’articolo di Marcello Veneziani – uno che aveva già dimostrato la sua posizione sulla questione ai tempi della sentenza della Corte Suprema USA che de-federalizzò l’aborto – comparso oggi su La Verità a celebrare un convegno per gli 80 anni della Democrazia Cristiana, la quale, è scritto, «aderiva così profondamente alle fibre del nostro Paese da essere considerata un elemento naturale della nostra vita pubblica e privata».

 

La DC non è il partito che ha legalizzato lo sterminio di milioni di italiani e cancellazione della loro discendenza, ma è «quasi l’autobiografia degli italiani, come si disse pure del fascismo: il fascismo-Stato pretende di essere la versione paterna mentre la DC-Stato fu la versione materna».

 

Forse è così: una madre moderna, però, una madre che abortisce i propri figli in tranquillità, per edonismo (deve andare ad Ibiza, per far carriera, o difendere il clima) e per sciocchezza ed immoralità, senza nemmeno le motivazioni psicotiche di Medea. Perché la psicosi, per una società che uccide la propria prole, non può che essere è la norma.

 

E quindi, tornando al cardinale, vogliamo dirgli – noi sopravvissuti alla strage, noi che siamo chiamati a vivere i suoi postumi apocalittici – che la sua voce non vorremo interviste al Corriere, ma per ben altro: la realizzazione del fatto che le forze sedicenti cattoliche nel Paese hanno costruito una macchina di morte massiva che grida vendetta al cielo, e che ha preparato di fatto ad una società ancora più folle, tra obblighi di vaccini prodotti (guarda caso) con feti abortiti, islamizzazione (cioè: anarco-tirannia su base migratoria), biototalitarismo molecolare, crollo delle nascite, violenza e follia, alimentate magari da psicodroghe legali, in ogni dove – e non è ancora finita, perché l’obbligo di fare i bambini in provetta, con sicuro imprimatur papale, è dietro l’angolo – e le leggi, statene sicuri, saranno preparate dai democristiani e digerite dal Vaticano.

 

Bel lavoro, non c’è che dire.

 

E se, invece di parlare ai giornaloni, i responsabili stessero in silenzio, magari in un convento, a pregare e a meditare su quanto accaduto – e quanto sta venendo inflitto ai nostri figli, ai sopravvissuti di questo infinito massacro?

 

Il pentimento non era una cosa cattolica?

 

Forse. Ma di cattolico, caro cardinale Ruini, chi – cosa – è rimasto in Italia?

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di Grzegorz Artur Górski via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine modificata

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