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Egitto, l’ISIS giustizia un cristiano copto: aveva finanziato la costruzione di una chiesa

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews

 

 

Nabil Habashi Khadim, 62 anni, era uno stimato commerciante e filantropo. Egli era stato rapito l’8 novembre scorso e ucciso con un colpo di kalashnikov in testa. Il video della morte rilanciato dal movimento jihadista. Fra i motivi dell’uccisione l’aver contribuito alla realizzazione dell’unico luogo di culto cristiano a Bir Al-Abd,

 

 

 

Lo Stato islamico (SI, ex ISIS) ha giustiziato un cristiano copto ortodosso egiziano, uccidendolo con un proiettile in testa in una esecuzione filmata e rilanciata ieri sui canali social del gruppo jihadista e condiviso da numerosi utenti e piattaforme

Lo Stato islamico (SI, ex ISIS) ha giustiziato un cristiano copto ortodosso egiziano, uccidendolo con un proiettile in testa in una esecuzione filmata e rilanciata ieri sui canali social del gruppo jihadista e condiviso da numerosi utenti e piattaforme.

 

La vittima, già considerato un «nuovo martire» dagli ortodossi del Paese, è uno stimato intellettuale e commerciante di 62 anni, Nabil Habashi Khadim, rapito l’8 novembre scorso nella città di Bir Al-Abd, nel Sinai settentrionale, freddato con un kalashnikov mentre era inginocchiato a terra.

 

Fonti locali riferiscono che l’uomo aveva contribuito alla costruzione dell’unico luogo di culto cristiano della città, la chiesa della Madonna dell’Anba Karras (Nostra Signora).

 

Anche questo è uno dei motivi che avevano spinto il commando jihadista a sequestrarlo nei mesi scorsi; nel filmato uno dei boia appartenenti alla cellula locale di Daesh (acronimo arabo per lo SI) accusa in modo esplicito l’uomo di aver contribuito, anche a livello finanziario, alla costruzione della chiesa poco prima di premere il grilletto e giustiziarlo.

La vittima, già considerato un «nuovo martire» dagli ortodossi del Paese, è uno stimato intellettuale e commerciante di 62 anni, Nabil Habashi Khadim, rapito  e freddato con un kalashnikov mentre era inginocchiato a terra

 

Il gruppo jihadista accusa inoltre la Chiesa di «collaborazionismo» con l’esercito, la polizia e i servizi segreti egiziani.

 

Altri ancora legano la tempistica dell’uccisione alle imminenti feste pasquali, che per i copti ortodossi cadono il 2 maggio prossimo.

 

Testimoni racconta che Nabil Habashi Khadim, l’ultimo di una «lunga serie di martiri del Nord Sinai» era uno stimato gioiellieri della città di Bir Al-Abd. La sua famiglia è considerata fra le più antiche della comunità copta dell’area, molto attiva nel commercio dell’oro oltre a possedere un negozio di abbigliamento e una attività di rivendita di telefoni cellulari.

 

L’8 novembre scorso un gruppo di uomini, armati ma in abiti civili, lo hanno rapito sulla strada davanti casa e sono fuggiti indisturbati. In tutti questi mesi sono risultate vane le ricerche delle forze dell’ordine e gli appelli della famiglia per la sua liberazione.

L’uomo aveva contribuito alla costruzione dell’unico luogo di culto cristiano della città, la chiesa della Madonna dell’Anba Karras (Nostra Signora).

 

La sua morte ha suscitato cordoglio e commozione nella comunità copta egiziana, il cui leader papa Tawadros II ha diffuso una nota di condanna e chiesto preghiere per il l’uomo «rapito da elementi takfiri nel Nord Sinai cinque mesi fa e successivamente martirizzato». La Chiesa, prosegue la nota, «piange un figlio e un servo fedele» che ora è nella gloria celeste di Cristo per aver «testimoniato la sua fede fino al sacrificio di sangue». La dichiarazione si conclude confermando il sostegno della comunità copta ortodossa «agli sforzi dello Stato egiziano» volti a contrastare «questi odiosi atti di terrorismo» e a «preservare la nostra cara unità nazionale» per un «futuro di pace e prosperità».

 

Da anni nel Sinai settentrionale è in atto una guerriglia da parte di gruppi estremisti islamici, che si è intensificata in seguito al rovesciamento del presidente Mohamed Morsi nel 2013 e dell’ascesa dello Stato Islamico nella regione l’anno successivo. Nel mirino anche diversi cristiani, uccisi in attacchi mirati contro singoli e gruppi di fedeli.

 

La Chiesa «piange un figlio e un servo fedele» che ora è nella gloria celeste di Cristo per aver «testimoniato la sua fede fino al sacrificio di sangue»

Nel febbraio 2018 le forze di sicurezza egiziane, dell’esercito e della polizia, hanno lanciato una massiccia campagna contro gruppi armati ed jihadisti, con una particolare attenzione alla zona del Nord Sinai.

 

In poco più di due anni sono stati uccisi più di 840 sospetti terroristi e oltre 60 militari.

 

 

 

 

 

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Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Mons. Eleganti critica il Vaticano per l’installazione del tappeto per la preghiera musulmana

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Il vescovo Marian Eleganti ha criticato il Vaticano per aver installato un tappeto da preghiera per i musulmani nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Lo riporta LifeSite che lo ha intervistato.

 

Il prelato svizzero ha dichiarato alla testata pro-life nordamericana che «l’Islam è naturalmente espansivo».

 

«Non appena un musulmano prega lì, in qualche modo nella mente dei fedeli – non ne sono del tutto sicuro – ma non mi sorprenderei se diventasse una sorta di radicamento e punto d’appoggio, un avamposto del futuro dominio a cui l’Islam naturalmente aspira sempre».

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«L’Islam vuole il dominio assoluto; è intrinsecamente intollerante», ha continuato monsignor Eleganti. «Ha causato la scomparsa del Cristianesimo ovunque».

 

«Al contrario, non ci sarebbe mai permesso di costruire una cappella alla Mecca, il luogo sacro dell’Islam stesso, dove celebrare la Santa Messa», ha osservato Eleganti.

 

All’inizio di questo mese, la Biblioteca Apostolica Vaticana ha messo a disposizione dei musulmani una sala dotata di un tappeto per la preghiera.

 

«Certo, alcuni studiosi musulmani ci hanno chiesto una stanza con un tappeto per pregare e noi gliel’abbiamo data», aveva detto a La Repubblica Giacomo Cardinali, viceprefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.

 

La rivelazione che i musulmani possono pregare presso la Biblioteca Apostolica Vaticana ha scatenato le proteste dei commentatori cattolici, i quali hanno ipotizzato che tale permesso sia un segnale di indifferentismo religioso, ambivalenza riguardo alla propria identità cattolica e resa ideologica all’Islam.

 

Il vescovo Eleganti ha affermato che l’Islam è «una religione che noi crediamo non sia realmente ispirata da Dio, ma sia deliberatamente concepita in senso anticristiano».

 

«Si tratta di una polemica totale contro la figliolanza divina di Gesù e contro il suo significato assoluto di mediatore tra [l’uomo e] Dio Padre».

 

Il prelato elvetico ha sottolineato che l’Islam «nega la Trinità» e che «i cristiani in tutto il mondo subiscono persecuzioni per mano dei musulmani».

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«Penso che questo dimostri semplicemente che anche in Vaticano le persone che permettono e sostengono tutto questo hanno, a mio parere, un rapporto del tutto surreale e ingenuo con l’Islam e il dialogo interreligioso», ha affermato il vescovo, dichiarando che con azioni come queste, il Vaticano sta dipingendo «una religione puramente emotiva: siamo amichevoli, siamo aperti, siamo tolleranti, abbiamo una cultura accogliente, siamo aperti al dialogo, etc.»

 

«È una sorta di religione emozionale che non prende più sul serio la verità e la differenza, perché c’è solo unità nella verità. Tutto il resto è un’illusione».

 

Monsignor Eleganti nell’intervista a LSN ha criticato il Vaticano per aver cercato di «raggiungere l’unità con le religioni eterodosse senza porsi la questione della verità», affermando che i musulmani hanno «grandi moschee a Roma» e che non c’è bisogno che abbiano una sala di preghiera in Vaticano.

 

«Perché devono recitare le loro preghiere in Vaticano? Nessuno lo capisce, e non credo che sia una cosa giusta».

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I protestanti irlandesi si oppongono con veemenza alla visita di Carlo III in Vaticano

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Descrivendo la recente visita di Stato del re Carlo III d’Inghilterra a papa Leone XIV come un «tradimento del protestantesimo», diverse figure del protestantesimo irlandese chiedono al monarca britannico di abdicare e di lasciare il posto a un protestante «genuino».   No rish need apply: «Gli irlandesi si astengano». Probabilmente è questo vecchio e sarcastico proverbio inglese a cui più di uno dei sudditi di Sua Maestà deve aver pensato quando ha scoperto sulla stampa le ultime dichiarazioni del reverendo Kyle Paisley.   Questo ministro presbiteriano, che non è altri che il figlio di Ian Paisley, fondatore del Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord, non ha gradito vedere il monarca britannico in visita di Stato presso la Santa Sede il 23 ottobre 2025, seduto alla destra di Papa Leone XIV nella Cappella Sistina, per partecipare a una preghiera ecumenica guidata dal successore di Pietro.   «Alla sua incoronazione, il re ha solennemente affermato la sua adesione al genuino protestantesimo e si è impegnato a preservare la religione della Chiesa fondata in Inghilterra e Scozia», ​​ha ricordato Kyle Paisley agli ascoltatori alla BBC. Ha aggiunto: «Il nostro sovrano ha quindi infranto il suo giuramento e dimostrato di non essere ciò che afferma di essere: un sincero protestante».

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Kyle Paisley non sembra essere stato l’unico protestante a essere indignato per lo storico incontro tra papa Leone XIV e re Carlo III: l’Ordine di Orange, una confraternita protestante internazionale con sede nell’Irlanda del Nord e strettamente legata ai protestanti dell’Ulster, ha descritto la visita di Stato del successore della regina Elisabetta II come «un giorno buio per il protestantesimo», esprimendo «profonda tristezza» e formulando le sue riserve nei termini più forti possibili.   Wallace Thompson della Evangelical Protestant Society of Northern Ireland ha ribadito questo sentimento: «permangono differenze dottrinali abissali [tra anglicanesimo e cattolicesimo]. Le due chiese restano così distanti che era inappropriato celebrare una simile liturgia. Il Re si è impegnato a salvaguardare la religione protestante riformata nel Regno Unito. Oggi, sta inviando un chiaro segnale che, in fondo, non intende onorare tale impegno», ha dichiarato alla BBC.   Kyle Paisley e i suoi amici colsero l’occasione per mettere in discussione la partecipazione di Re Carlo III e dei membri della famiglia reale alla messa funebre tenutasi in onore della Duchessa di Kent, una devota cattolica che aveva rinunciato al protestantesimo con il permesso della Regina Elisabetta II. Kyle Paisley dichiarò: «sconcertante che nessun membro della Camera dei Comuni, né alcun membro della Camera dei Lord, abbia pubblicamente denunciato lo spudorato compromesso del Re riguardo al suo giuramento».   E per concludere con un’affermazione poco ecumenica: «la bestia mortale [il cattolicesimo, ndr], che ha guarito le ferite inflitte dalla Riforma, ora prevede la sua completa guarigione, aiutata e sostenuta da un re infedele alla sua parola, da un governo britannico e da un ministero degli esteri, nonché da un primo ministro il più possibile privo di pietà».   La famiglia Paisley non è estranea alle controversie: il padre di Kyle, Ian Paisley, nel 1959, in seguito alla visita della regina Elisabetta a Papa Giovanni XXIII, fece riferimento a un atto di «fornicazione e adulterio con l’Anticristo», nientemeno. Trent’anni dopo, nel 1988, Ian Paisley fu espulso con la forza dal Parlamento Europeo per aver urlato a Papa Giovanni Paolo II, in visita ufficiale: «ti denuncio, Anticristo!»   Sebbene le reazioni dei fondamentalisti irlandesi restino, nel complesso, piuttosto minoritarie, esse illustrano a modo loro il divario che permane – e continua ad ampliarsi – tra cattolicesimo e anglicanesimo, che spinge sempre più anglicani ad aderire all’unità romana, incarnando così un vero ecumenismo.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Cina

Partita autunnale tra Santa Sede e Pechino

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Mentre il Partito Comunista Cinese aumenta la pressione sulla Chiesa cattolica in Cina, la consacrazione episcopale del nuovo vescovo ausiliare di Shanghai, il 15 ottobre 2025, riaccende le tensioni e illustra tutta la complessità del dossier avvelenato ora sulla scrivania di Papa Leone XIV.

 

L’ordinazione episcopale del vescovo Wu Jianlin si è svolta il 15 ottobre con misure di sicurezza degne di quelle imposte durante l’epidemia di COVID-19 nel Regno di Mezzo. Al punto che alcuni testimoni l’hanno descritta come una «cerimonia gremita»: circa seicento fedeli, tra sacerdoti, religiosi e laici, selezionati con cura, hanno partecipato all’evento, ma sono stati sottoposti a rigorosi controlli.

 

Consegna obbligatoria dei cellulari all’ingresso, controlli di accesso e una laconica dichiarazione ufficiale dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, che ignora le varie parole – peraltro molto consensuali – pronunciate dai prelati sul posto.

 

La cerimonia non ha mancato di lasciare un retrogusto: il prelato che ha presieduto la cerimonia non era altri che mons. Joseph Shen Bin, vescovo di Shanghai e presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, non riconosciuto da Roma e strettamente soggetto al Partito Comunista Cinese (PCC).

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Il vescovo Shen Bin, la cui nomina nell’aprile 2023 è stata imposta unilateralmente da Pechino, prima di essere ratificata retroattivamente da papa Francesco il 15 luglio, era circondato da tre vescovi riconosciuti in base all’accordo provvisorio concluso tra la Santa Sede e il Vaticano nel 2018: il vescovo Yang Yongqiang di Hangzhou, il vescovo Li Suguang di Nanchang e il vescovo Xu Honggen di Suzhou.

 

La situazione non è migliore per il vescovo ordinato il 15 ottobre: ​​l’elezione del vescovo Wu Jianlin, 55 anni e originario del distretto di Chongming, risale al 28 aprile 2025, periodo in cui la sede papale è vacante. Non si tratta di una circostanza di poco conto: ha permesso al regime cinese di aggirare i fragili meccanismi di consultazione previsti dall’accordo provvisorio del 2018.

 

Il nuovo prelato, che ha assunto l’incarico di amministratore diocesano dopo la morte del precedente vescovo nel 2013, incarna la fedeltà alla linea del presidente Xi Jinping. La sua approvazione da parte di Papa Leone XIV, datata 11 agosto 2025, è stata rivelata dalla Sala Stampa vaticana il giorno stesso dell’ordinazione: un modo per dimostrare che la Santa Sede si è trovata ancora una volta di fronte al fatto compiuto.

 

La consacrazione del 15 ottobre risuona come un gesto di fragile unità, illustrato dal messaggio inviato dal vescovo Thaddée Ma Daqin, l’altro vescovo ausiliare di Shanghai, confinato nel seminario di Sheshan per tredici anni per essersi dimesso dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, dimostrando così la sua distanza dal PCC.

 

Assente alla cerimonia, il vescovo Ma Daqin, ordinato nel 2012 con l’accordo del Vaticano, ha espresso il suo auspicio per l’armonia sulla rete WeChat controllata da Pechino: «sono lieto di apprendere che il vescovo Shen Bin ha ordinato stamattina padre Wu Jianlin come vescovo ausiliare. Credo fermamente che, con questo collaboratore, il vescovo Shen potrà guidare le opere della Chiesa cattolica a Shanghai verso uno sviluppo sempre maggiore, per la maggior gloria del Signore».

 

Eppure, lungi dal suscitare una gioia unanime, questa ordinazione provoca una lacerazione personale tra i cattolici di Shanghai, come testimonia una voce anonima raccolta da AsiaNews il 16 ottobre 2025: «a Shanghai, dovremmo gioire o dovremmo piangere?», si chiede questo fedele locale.

 

L’incoronazione del vescovo Wu Jianlin avviene in un contesto di relazioni sino-vaticane erose nel tempo: Sandro Magister interpreta questa sequenza come una manifestazione dell’arroganza di Pechino, amplificata dalla «sinizzazione» delle religioni voluta da Xi Jinping. L’accordo del 2018, che affida alle autorità cinesi la proposta iniziale dei candidati episcopali prima dell’approvazione papale, verrebbe così «disprezzato», nelle parole dell’esperto vaticano.

 

E il Vaticano, dopo aver protestato nel 2023 contro l’insediamento del vescovo Shen Bin, si accontenterebbe di una conferma silenziosa, ratificando peraltro altre tre nomine cinesi dall’elezione di papa Leone XIV. «Se ignoriamo la verità dei fatti; se non interveniamo nella reclusione di un vescovo già legittimamente consacrato (…), è ancora questa la comunione voluta da Cristo?», si chiede il vaticanista italiano, che parla di uno «schiaffo in faccia» dato al nuovo sovrano pontefice.

 

Più che uno schiaffo in faccia per un papa – Xi Jinping non è certo Filippo il Bello – potrebbe trattarsi di una prova? Da bravi giocatori di Go, gli inventori del gioco più antico del mondo elogiano l’efficacia delle famose «mosse sentite», che costringono l’avversario a rispondere per mantenere l’iniziativa. La sfida per Roma sarebbe ora quella di riconquistare il vantaggio perso, probabilmente durante il precedente pontificato.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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