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«Ecco i primi segni di discriminazione su mio figlio»: un padre ci scrive

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Un lettore di Renovatio 21, padre di un bimbo di sei anni, ci scrive della situazione che sta vivendo con la scuola elementare dopo le nuove norme – e quelle nuovissime, di cui nessuno, nemmeno gli istituti e le farmacie, sembrano rendersi conto.

 

«Ho un bimbo di sei anni. Lo mandiamo ad una scuola privata, perché, quando lo abbiamo iscritto, ritenuto che in quel particolare istituto sarebbe stato “scudato” da insegnamenti discutibili che vedevamo in tutte le scuole pubbliche – sto parlando di gender, “inclusività”, “affettività” etc. Non siamo scontenti della scelta. Tuttavia, l’esborso per la retta pesa non poco sul bilancio della famiglia».

 

«Nei giorni scorsi si è avuta la situazione per cui cinque bambini della classe di mio figlio sono risultati positivi. È così scattata la procedura secondo la nuova legge del governo: i bambini vaccinati (ricordiamo, si tratta di bambini di sei anni…) rimangono a scuola, i non vaccinati vanno in DAD. Già questa, consentitemi, è una bella discriminazione, e pure un’infrazione della privacy… è chiaro che chi è a casa non è stato artificialmente immunizzato».

«Sono sgomento. Posso dire che ho percepito nettamente che questo è l’inizio della discriminazione verso i nostri figli. E, lo dico a tutti, oggi come oggi non abbiamo nessun mezzo per proteggerli da essa»

 

Il genitore ci racconta come funziona la didattica a distanza.

 

«La DAD è, come sa ogni genitore, un disastro sotto ogni punto di vista. Costringe i genitori a stare a casa a fianco del bambino, con sacrificio delle ore di lavoro. C’è anche da dire che in molti casi, le lezioni si svolgono nel caos più totale, perché i bambini piccoli continuano a far rumore e a perdere l’attenzione: del resto, sono a casa loro, non a scuola. Nell’ibrido casa-scuola, molti bimbi si comportano, giustamente, come se fossero tra le mura domestiche, perché lo sono, con la particolarità di avere collegata tutta la classe. Abbiamo sopportato anche la DAD, pure ammirando la calma mantenuta dalla maestre».

 

«La procedura prevedeva quindi che, dopo 5 giorni, il bambino che vuole tornare in classe deve fare un tampone. La scuola, il giorno prima, ci manda un modulo per avere il tampone gratuito in farmacia. È lo stesso che abbiamo fatto giorni fa quando la scuola ci ha chiesto di testare la classe per capire se c’erano i cinque casi necessari per mandare tutti nel lockdown “splittato” vaccinati/non-vaccinati».

«La parte difficile è stata quando mio figlio, appena passati oltre, mi ha chiesto: “papà, perché non potevamo entrare? Papà, perché entravano tutti e noi no? Papà cosa è successo?” Non posso descrivervi l’amarezza che ho provato. E la vergogna»

 

La famiglia del lettore ha accettato anche questa.

 

«Siamo quindi andati in farmacia per fare il tampone, esibendo il documento debitamente compilato per avere il tampone gratuito previsto dalla scuola e dalle istituzioni sanitarie. In farmacia ci dicono tuttavia che quel modulo non è più valido dallo scorso giovedì. “Ora ci vuole la ricetta del medico con questo codice numero” ci dicono, indicando un numero messo su un cartello vicino alla casa. Ho chiesto loro come fosse possibile: ho stampato e compilato un documento della scuola arrivatomi poche ore prima. “È così. Pensi che a noi le autorità sanitarie hanno mandato la comunicazione per il giorno stesso, incredibile. Non ci è possibile quindi non farle pagare il tampone del bambino”. Tre persone di questo centro tamponi mi confermano la storia – peraltro tutti gentilissimi, e increduli quanto me. Io accetto anche questa: sono 15 euro, pazienza».

 

«Sulla chat dei genitori qualcuno fa notare il problema. Alcuni tuttavia dicono che da loro la farmacia ha accettato lo stesso. Altri dicono che no. Altri dicono di aver pagato il tampone del bambino 8 euro. Io, semplicemente, spengo la chat perché non ne voglio più sapere niente, il problema è risolto. Il labirinto della burocrazia finito. Quanto mi sbagliavo».

 

«La cosa più dura succede il mattino che ho portato a scuola mio figlio, un mattino piovoso. All’ingresso un signore dell’istituto ci ferma: “scusi, devo vedere il green pass… del bambino”. Io gli rispondo che è nel libretto assieme alla giustificazione, come le altre volte. Lui mi dice che invece deve controllarlo fuori, all’entrata del cortile, dove ci trovavamo. Io, tenendo sempre per mano il bambino, obbedisco. Tiro fuori il QR, lui lo passa sul suo telefonino. “Mi dispiace, qui mi dice che il certificato non è valido”. Il signore sembra anche un po’ imbarazzato. Io cerco di mantenermi calmo. Tiro fuori l’intero documento, facendogli vedere, anche qui contro ogni privacy, data nome ed esito negativo. Lui ripassa lo scanner sopra il green pass del mio bambino: vedo chiaramente lo schermo diventare rosso, con la X di errore: certificato non valido».

Sì, la burocrazia pandemica è oramai arrivata ad un livello parossistico: nessuno è in grado di capire veramente quali siano le regole vigenti. Vi basta entrare in una chat qualsiasi di genitori di scuola per comprendere il caos e lo sconforto, anche perché nemmeno gli addetti delle scuole ne capiscono qualcosa

 

«A quel punto ho cominciato a sentire con chiarezza, oltre che l’adrenalina che saliva, anche qualcosa di inaspettato: il silenzio di mio figlio. Percepivo chiaramente che il bambino non stava comprendendo la situazione, dove lui veniva bloccato fuori dalla sua scuola mentre altri bambini con i loro papà e mamme entravano e uscivano sorridenti. Il mio pensiero è andato subito a questa questione: dovevo risolvere questa domanda che si era creata nella mente del bambino, e con una parte della testa stavo già cercando cosa dirgli. Con un’altra parte di me invece fissavo il signore davanti a me. Il quale, davanti a questo impasse, decide di chiamare qualcuno, forse un superiore della scuola, per chiedere cosa fare. Al termine della chiamata, che con evidenza non è servita a niente, gli viene un’idea. Dice che forse cambiando applicazione… quindi bofonchia qualcosa sul “tampone” che non capisco bene. Ripassa lo scanner: verde. Può entrare».

 

«Tuttavia quei pochi minuti, dove sono riuscito a mantenermi esteriormente tranquillo, non sono stati la parte difficile di questa “disavventura”, chiamiamola così. La parte difficile è stata quando mio figlio, appena passati oltre, mi ha chiesto: “papà, perché non potevamo entrare? Papà, perché entravano tutti e noi no? Papà cosa è successo?” Non posso descrivervi l’amarezza che ho provato. E la vergogna. Per la cronaca, gli ho dato una risposta di circostanza “non è successo niente, tutto normale”. Di questa risposta mi vergogno moltissimo».

 

«Mi è stato chiaro che il bambino forse non aveva capito quel che stava accadendo, ma stava interiorizzando un quadro in cui lui era in qualche modo colpevole: del resto, se non lo fanno entrare nella scuola che gli piace tanto, se una persona di cui si fida lo esclude dalla normalità, la colpa deve essere sua, o della sua famiglia».

Sì, la DAD è un inferno: a livello profondo non riesce a far capire al bambino che la scuola è diversa dalla casa, l’istituzione pubblica dallo spazio privato. Forse li stanno abituando allo smart working? O a all’abolizione della distinzione tra pubblico e privato come nei programmi del Forum di Davos?

 

«Si tratta di un piccolo episodio, mi rendo conto, ma apre una voragine immensa, dentro e fuori di me: stiamo minando la percezione della società che hanno i bambini? Li stiamo abituando all’idea di un mondo dove per fare cose normali c’è bisogno del lasciapassare? Li stiamo inducendo ad interiorizzare un senso di colpa riguardo al proprio status, sanitario o meno che sarà, deciso da un software?»

 

«Sono sgomento. Posso dire che ho percepito nettamente che questo è l’inizio della discriminazione verso i nostri figli. E, lo dico a tutti, oggi come oggi non abbiamo nessun mezzo per proteggerli da essa».

 

La lunga lettera del lettore tocca molti temi di cui si discute molto in questi giorni, senza arrivare a nessuna soluzione. Non abbiamo idea se il disguido sia stato di carattere tecnico o di incompetenza del «controllore»: forse doveva usare una app particolare? Una modalità diversa da quella che stava usando? Non sappiamo. Tuttavia, la lettera centra moltissime questioni di grande importanza per chi è  genitore nell’anno del Signore 2022.

  Non pensate che, una volta appresa la legge corrente, possiate condividerla

 

Innanzitutto, permettiamoci una risata dinanzi alla Lega Nord, che faceva i capricci all’interno del suo stesso governo-drago per far sapere che non potevano votare un decreto legge che «discrimina i bambini». Evidentemente, si tratta di un altro partito che ha perso ogni contatto con la realtà, e che tira fuori la testa ogni tanto per cercare di captare qualche voto flottante.

 

Sì, la burocrazia pandemica è oramai arrivata ad un livello parossistico: nessuno è in grado di capire veramente quali siano le regole vigenti. Vi basta entrare in una chat qualsiasi di genitori di scuola per comprendere il caos e lo sconforto, anche perché nemmeno gli addetti delle scuole ne capiscono qualcosa. E  non pensate che, una volta appresa la legge corrente, possiate condividerla: il figlio del lettore, con probabilità, ora sarà tenuto a tenere in classe una FFP2 per 5 giorni (il solito numero così, a caso). Qualcuno ha fatto notare di recente che questo è un’obbligo assurdo: non esistono FFP2 omologate per bambini, esistono FFP2 di piccola taglia, che ora installano per legge su nasi e bocche dei bimbi. Aggiungiamo, l’obbligo potrebbe pure esporre i bimbi ad un rischio: come riportato da Renovatio 21, i danni delle FFP2 dei bambini sono stati stimati da un’associazione di consumatori tedesca, che ha inoltre ricordato che «esistono criteri di questo tipo per le mascherine per bambini». In pratica: dannoso e possibilmente illegale.

 

Sì, la DAD è un inferno: a livello profondo non riesce a far capire al bambino che la scuola è diversa dalla casa, l’istituzione pubblica dallo spazio privato. Forse li stanno abituando allo smart working? O a all’abolizione della distinzione tra pubblico e privato come nei programmi del Forum di Davos, con il Grande Reset per cui «non possiederai niente e sarai felice?»

 

Tuttavia, è sulla questione personale, psicologica, che bisogna soffermarsi.

 

È vero, non sappiamo che effetto farà nei bambini sentire sulla propria pelle questi primi segni di esclusione sociale. E, come il nostro lettore, non abbiamo idea di cosa gli vada raccontato.

Non sappiamo che effetto farà nei bambini sentire sulla propria pelle questi primi segni di esclusione sociale. Non abbiamo idea di cosa gli vada raccontato

 

Circa venti anni fa, fecero vincere l’Oscar per il miglior film straniero ad un film mediocre, La vita è bella. Nella pellicola si vedeva il papà di un bambino ebreo (interpretato da un comico delle sagre del PCI) cercare di spiegare a suo figlio un cartello posto fuori da un negozio all’indomani delle leggi razziali in Italia.

 

 

Nell’era del green pass e del razzismo biomolecolare, i cani, i cavalli, i canguri, possono entrare – i non vaccinati no

 

«Perché i cani e gli ebrei non possono entrare, babbo?» chiedeva il bambino. Il padre improvvisava una risposta: «gli ebrei e i cani non ce li vogliono. Ognuno fa quello che gli pare, Giosuè. Là c’è un negozio, un ferramenta, dove non fanno entrare gli spagnoli e i cavalli. E là c’è un farmacista, ieri ero con un mio amico, un cinese che c’ha un canguro, dice: si può entrare? No, qui cinesi e canguro non ce li vogliamo. Eh, gli sono antipatici, che vuoi fare?».

 

Il film era contorto e non sappiamo se questa battuta dovesse far ridere lo spettatore. Quello che sappiamo è che questa situazione oggi rappresenta la vita reale di milioni di cittadini, milioni di padri che non sanno cosa dire ai loro figli.

 

Con una differenza: nell’era del green pass e del razzismo biomolecolare, i cani, i cavalli, i canguri, possono entrare – i non vaccinati no.

 

 

 

 

 

 

 

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L’allattamento al seno è meglio del latte artificiale, ma le mamme devono limitare l’esposizione alle sostanze chimiche: studio

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Secondo un nuovo studio, il latte materno delle madri di tutto il mondo contiene un’ampia gamma di sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino, tra cui bisfenoli, sostanze perfluorurate, pesticidi, ritardanti di fiamma e plastificanti, che possono alterare gli ormoni e potenzialmente danneggiare lo sviluppo.

 

Secondo un nuovo studio, il latte materno delle madri di tutto il mondo contiene un’ampia gamma di sostanze chimiche che interferiscono con il sistema endocrino (IE), come bisfenoli, sostanze perfluorurate, pesticidi, ritardanti di fiamma e plastificanti, che possono alterare gli ormoni e potenzialmente danneggiare lo sviluppo.

 

I ricercatori sottolineano che il latte umano è ancora l’alimento più raccomandato per i neonati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia l’allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi di vita, perché il latte umano protegge i neonati dalle infezioni e apporta benefici per tutta la vita, tra cui un minor rischio di disturbi dell’apprendimento, diabete, obesità e ipertensione.

 

«I neonati allattati al seno possono essere esposti a miscele di interferenti endocrini attraverso il latte materno, il che può comportare rischi per lo sviluppo precoce della vita, in particolare per lo sviluppo neurologico e la funzionalità tiroidea», ha affermato la ricercatrice principale, la dottoressa Katherine E. Manz, professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze della Salute Ambientale presso la Facoltà di Sanità Pubblica dell’Università del Michigan.

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Tuttavia, i benefici generali dell’allattamento al seno per la salute sono ancora evidenti e sostanziali. È importante non scoraggiare l’allattamento al seno, ma piuttosto concentrarsi sulla creazione di ambienti che limitino l’esposizione materna a queste sostanze chimiche, ove possibile.

 

I risultati evidenziano la necessità di una migliore comprensione e regolamentazione dell’esposizione alle sostanze chimiche che si accumulano nel corpo delle donne e che possono essere trasmesse ai bambini attraverso l’allattamento al seno, un percorso che, secondo gli autori, è stato a lungo trascurato.

 

La revisione globale di 71 studi sulla lingua inglese, pubblicata il 25 novembre su Current Environmental Health Reports, ha documentato livelli misurabili di sostanze chimiche prodotte dall’industria, note per influenzare gli ormoni coinvolti nella crescita, nello sviluppo del cervello, nel metabolismo e nella funzione immunitaria.

 

I problemi di salute più comuni legati all’esposizione precoce agli interferenti endocrini presenti nel latte materno sono stati gli effetti sullo sviluppo cerebrale e le alterazioni dei normali livelli di ormone tiroideo, come emerge dalla revisione. Gli impatti negativi più significativi sullo sviluppo cerebrale sono stati legati a livelli più elevati di ritardanti di fiamma e pesticidi.

 

Ad esempio:

 

  • Una maggiore esposizione ai ritardanti di fiamma polibromurati è stata associata a punteggi più bassi nei test di sviluppo di Bayley , che misurano il pensiero, il movimento e lo sviluppo socio-emotivo nei neonati e nei bambini piccoli.

 

  • Numerosi pesticidi organoclorurati presenti nel latte materno sono stati associati a peggiori risultati cognitivi e linguistici durante l’infanzia, e alcuni di essi sono stati associati a un rischio maggiore di ADHD.

 

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Oltre alla tossicità neuroevolutiva, numerosi studi hanno riscontrato associazioni tra la quantità di sostanze chimiche presenti nel latte materno e i livelli alterati dell’ormone tiroideo, hanno scritto gli autori.

 

Ad esempio, uno studio ha rilevato un’associazione tra lo squilibrio dell’ormone tiroideo nelle madri e l’accumulo di PBDE (etere di difenile polibromurato), in particolare nel latte materno subito dopo il parto.

 

Un altro studio ha scoperto che alcuni pesticidi presenti nel latte materno erano associati, nel sangue del cordone ombelicale dei neonati alla nascita, a livelli più bassi di ormone stimolante la tiroide e dell’ormone IGF-1, che svolge un ruolo importante nella crescita infantile.

 

Gli interferenti endocrini entrano nell’organismo attraverso l’inalazione, l’ingestione o il contatto cutaneo e sono stati precedentemente rilevati nel sangue del cordone ombelicale e nella placenta. Poiché molti interferenti endocrini si accumulano nell’organismo nel tempo, potrebbero passare nel latte materno durante l’allattamento, suggerisce lo studio.

 

Sebbene le concentrazioni delle sostanze chimiche variassero notevolmente a seconda della regione e del tipo di sostanza chimica, gli scienziati affermano che 13 degli studi hanno riportato che i neonati ingerivano livelli di esposizione agli interferenti endocrini più elevati di quelli raccomandati nel latte materno.

 

Tuttavia, gli studi non hanno valutato l’assunzione giornaliera in modo coerente, affermano i revisori. Solo due hanno applicato i criteri di sicurezza raccomandati per i neonati. Gli altri hanno stimato l’esposizione nei neonati utilizzando gli stessi limiti di sicurezza degli adulti, aggiustando solo per il peso corporeo del bambino.

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Gli studi hanno dimostrato la presenza di:

 

  • I bisfenoli (come il BPA), utilizzati nei rivestimenti delle lattine per alimenti, nei contenitori di plastica e nelle ricevute termiche, sono stati rilevati in tutto il mondo. Queste sostanze chimiche possono imitare gli ormoni e altri studi hanno collegato l’esposizione precoce al BPA a un aumento del rischio di malattie cardiache, ictus, diabete di tipo 2 e obesità in età adulta.

 

  • I pesticidi organoclorurati, molti dei quali utilizzati in agricoltura e nel controllo dei parassiti e persistenti nel suolo e negli alimenti, sono stati rilevati frequentemente, tra cui 36 diverse sostanze chimiche in 11 studi. Ricerche precedenti hanno collegato l’esposizione a tumori infantili, disturbi neurologiciinfertilità, parto prematuro e problemi metabolici e riproduttivi.

 

  • I ritardanti di fiamma polibromurati, utilizzati in schiume per mobili, componenti elettronici e tessuti, e i policlorobifenili (PCB), un tempo utilizzati in apparecchiature elettriche e materiali industriali e ancora presenti nel suolo, nell’acqua e negli alimenti, sono stati rilevati in tutti i 10 studi che li hanno valutati. L’esposizione è stata associata a punteggi più bassi nello sviluppo infantile, a un maggiore rischio di problemi comportamentali e a squilibri ormonali tiroidei.

 

  • Sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS, o «sostanze chimiche perenni»), utilizzate in pentole antiaderenti, tessuti antimacchia, imballaggi alimentari e processi industriali, sono state comunemente rilevate, tra cui PFOA e PFOS. Lo studio suggerisce che queste sostanze chimiche potrebbero essere più concentrate nel latte materno. L’esposizione è stata associata a cancro, malattie della tiroide, danni al fegato, indebolimento del sistema immunitario e problemi di sviluppo.

 

  • Gli ftalati, comunemente presenti nella plastica, nei prodotti per la cura della persona e negli imballaggi alimentari, sono stati rilevati frequentemente, con metaboliti come MEHP, MiBP e MnBP che sono comparsi in tutti gli studi. Sebbene gli ftalati vengano eliminati rapidamente dall’organismo, sono ampiamente presenti nei beni di consumo. L’esposizione precoce è stata collegata a problemi riproduttivi, malattie metaboliche e problemi dello sviluppo neurologico.

 

  • I parabeni, conservanti comuni utilizzati in lozioni, cosmetici, shampoo e alcuni alimenti confezionati, sono stati identificati in 10 studi, e il metilparabene è presente in tutti. In quanto interferenti endocrini, i parabeni possono essere collegati a problemi riproduttivi, cancro al seno, obesità e disturbi della tiroide.

 

  • Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), un tipo di inquinante atmosferico prodotto dalla combustione di combustibili fossili, dai gas di scarico del traffico, dal fumo di tabacco e dalle emissioni industriali, sono stati rilevati frequentemente. L’esposizione agli IPA è stata associata a problemi metabolici, respiratori, riproduttivi e dello sviluppo.

 

Nonostante queste associazioni, i ricercatori affermano che la concentrazione delle sostanze chimiche rilevate negli studi in un dato momento non determina da sola il rischio. Molte si accumulano nell’organismo nel tempo.

 

Inoltre, le soglie di sicurezza variano a livello internazionale e spesso non sono progettate specificamente per i neonati, osservano i ricercatori. Alcuni studi hanno stimato l’esposizione infantile al di sopra dei limiti raccomandati, mentre altri hanno riscontrato livelli inferiori.

 

Le differenze da regione a regione potrebbero essere dovute a normative in continua evoluzione, differenze nell’attività industriale, contaminazione ambientale, occupazione e variazioni naturali nella composizione del latte durante l’allattamento, osservano gli autori. Pochi studi monitorano i neonati nel tempo e i metodi di raccolta dati mancano di coerenza, complicando i confronti.

 

Secondo gli autori, un campionamento standardizzato e una maggiore quantità di dati provenienti da popolazioni diverse potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere meglio in che modo l’esposizione a sostanze chimiche durante l’infanzia possa influenzare la salute a lungo termine.

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Per comprendere veramente i rischi a cui sono esposti i neonati allattati al seno, sostengono che sia essenziale sapere come le sostanze chimiche passano nel latte materno e come il livello di esposizione della madre influisce sulla quantità di interferenti endocrini nel suo latte.

 

«Negli studi futuri, bisognerebbe concentrarsi sul miglioramento delle tecniche di rilevamento, sull’integrazione di misure di controllo della qualità e sulla valutazione dell’esposizione agli interferenti endocrini in più matrici biologiche nel tempo, per ottenere stime di esposizione più precise nei neonati allattati al seno», hanno affermato.

 

«Inoltre, sono necessari dati più solidi per caratterizzare i livelli di EDC sia in base alla popolazione che alla regione e per chiarire le loro associazioni con esiti negativi sulla salute, al fine di formulare raccomandazioni più complete sull’allattamento».

 

Per ridurre l’esposizione agli interferenti endocrini, preferire alimenti freschi a quelli confezionati. Scegliere prodotti per la cura della persona che riportino sull’etichetta la dicitura «senza ftalati». Inoltre, filtrare l’acqua potabile, pulire regolarmente con un aspirapolvere con filtro HEPA o utilizzare un purificatore d’aria ed evitare l’uso di pesticidi non necessari in casa.

 

Pamela Ferdinand

 

Pubblicato originariamente da US Right to Know.

Pamela Ferdinand è una giornalista pluripremiata ed ex borsista del Massachusetts Institute of Technology Knight Science Journalism, che si occupa dei determinanti commerciali della salute pubblica. 

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Immagine di Anton Nosik via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

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Livelli pericolosamente elevati di metalli tossici nei giocattoli di plastica per bambini

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Un recente studio brasiliano ha rilevato concentrazioni allarmanti di metalli tossici nei giocattoli per bambini commercializzati nel Paese. Lo riporta Science Daily.   Ricercatori di due università brasiliane hanno esaminato un vasto campionario di giocattoli di plastica, sia di produzione nazionale che importati, conducendo l’indagine più completa mai realizzata sulla contaminazione chimica di questi articoli.   Il dato più inquietante riguarda il bario: in molti campioni la sua concentrazione è risultata fino a 15 volte superiore al limite di sicurezza previsto dalla normativa brasiliana. L’esposizione prolungata al bario è associata a gravi danni cardiaci e neurologici, inclusa la paralisi.   «Sono state rilevate anche elevate quantità di piombo, cromo e antimonio. Il piombo, associato a danni neurologici irreversibili, problemi di memoria e riduzione del QI nei bambini, ha superato il limite nel 32,9% dei campioni, con alcune misurazioni che hanno raggiunto quasi quattro volte la soglia accettata» scrive Science Daily. «L’antimonio, che può scatenare problemi gastrointestinali, e il cromo, un noto cancerogeno, erano presenti al di sopra dei livelli accettabili rispettivamente nel 24,3% e nel 20% dei giocattoli».

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Attraverso la spettrometria di massa al plasma, lo studio ha identificato ben 21 elementi tossici: argento (Ag), alluminio (Al), arsenico (As), bario (Ba), berillio (Be), cadmio (Cd), cerio (Ce), cobalto (Co), cromo (Cr), rame (Cu), mercurio (Hg), lantanio (La), manganese (Mn), nichel (Ni), piombo (Pb), rubidio (Rb), antimonio (Sb), selenio (Se), tallio (Tl), uranio (U) e zinco (Zn).   «Questi dati rivelano uno scenario preoccupante di contaminazione multipla e mancanza di controllo. Tanto che nello studio suggeriamo misure di controllo più severe, come analisi di laboratorio regolari, tracciabilità dei prodotti e certificazioni più stringenti, soprattutto per i prodotti importati», ha dichiarato uno degli autori principali della ricerca.   Gli studiosi hanno inoltre calcolato i tassi di rilascio delle sostanze: la percentuale che effettivamente passa dal giocattolo al bambino durante l’uso normale (inclusa la pratica di portarli alla bocca). I valori oscillano tra lo 0,11% al 7,33%, quindi solo una piccola parte del contaminante viene assorbita. Tuttavia, le elevatissime concentrazioni iniziali e l’esposizione quotidiana prolungata (per mesi o anni) rendono il rischio sanitario comunque significativo.   I ricercatori ritengono che i metalli pesanti entrino nei giocattoli soprattutto durante la produzione, in particolare con le vernici e i pigmenti utilizzati. Le correlazioni tra gli elementi rilevati suggeriscono, in molti casi, una fonte comune di contaminazione.   In studi precedenti, lo stesso gruppo aveva già documentato la presenza nei giocattoli di interferenti endocrini (sostanze che alterano l’equilibrio ormonale), associati a problemi di fertilità, disturbi metabolici e aumento del rischio oncologico.

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Essere genitori

I bambini con cellulare prima dei 12 anni corrono un rischio maggiore di obesità, depressione e sonno scarso

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Ran Barzilay, MD, Ph.D., autore principale di uno studio pubblicato lunedì su Pediatrics e psichiatra infantile e adolescenziale presso il Children’s Hospital di Philadelphia, ha dichiarato a The Defender che spera che i genitori considerino in che modo la decisione di dare un cellulare ai propri figli possa influire sulla loro salute.

 

Secondo una ricerca pubblicata lunedì su Pediatrics, i bambini che possiedono un cellulare entro i 12 anni corrono un rischio maggiore di obesità, depressione e mancanza di sonno rispetto ai bambini che non ne hanno uno. Inoltre, più sono piccoli quando ricevono il telefono, maggiore è il rischio che diventino obesi e abbiano difficoltà a dormire.

 

Ran Barzilay, MD, Ph.D., autore principale dello studio e psichiatra infantile e adolescenziale presso il Children’s Hospital di Philadelphia, ha dichiarato a The Defender che spera che i genitori considerino in che modo la decisione di dare un cellulare ai propri figli possa influire sulla loro salute.

 

«Non dovrebbe essere qualcosa che fai e poi dimentichi», ha detto Barzilay. «Piuttosto, i genitori dovrebbero comunicarlo ai loro figli e collaborare per capire come il possesso di uno smartphone influisca sul loro stile di vita e sul loro benessere».

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Gli autori dello studio hanno condotto analisi statistiche dei dati su oltre 10.000 dodicenni statunitensi nell’ambito dell’Adolescent Brain Cognitive Development Study, descritto come «la più ampia analisi a lungo termine sullo sviluppo cerebrale dei bambini condotta negli Stati Uniti fino ad oggi».

 

Il team di Barzilay ha riunito ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia, della Penn Medicine, dell’Università della California, Berkeley e della Columbia University.

 

Oltre a prendere in considerazione i dodicenni che già possedevano un cellulare, hanno monitorato anche i dodicenni che non ne avevano uno all’inizio dell’anno, ma che ne avevano ricevuto uno all’età di 13 anni.

 

«Quando hanno compiuto 13 anni», ha detto Barzilay, «quelli che avevano ricevuto uno smartphone in quell’anno avevano maggiori problemi di salute mentale e di sonno rispetto ai ragazzi che ancora non ne avevano uno».

 

Ciò era vero anche quando gli autori tenevano conto della salute mentale e dei problemi di sonno dei bambini dell’anno precedente, ha aggiunto.

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I genitori devono parlare con i loro figli dell’uso del cellulare

Barzilay ha sottolineato che i cellulari non sono intrinsecamente dannosi. «Offrono vantaggi significativi, connettendo le persone e fornendo accesso a informazioni e conoscenze», ha affermato.

 

Ha empatizzato con i genitori che devono decidere per quanto tempo aspettare a dare un cellulare ai propri figli e che devono stabilire dei limiti di tempo una volta che lo fanno.

 

I genitori possono stare tranquilli che i cellulari non sono ammessi nella stanza dei bambini durante la notte e che è opportuno dedicare loro del tempo per socializzare e fare attività fisica, ha affermato.

 

Barzilay ha anche incoraggiato i genitori ad aiutare i propri figli a sviluppare «abitudini tecnologiche sane» parlando regolarmente con loro dell’uso del cellulare e di come li fa sentire.

 

«Quando gli adolescenti capiscono che queste conversazioni nascono da un impegno genuino nei confronti della loro salute, sono più propensi a collaborare con i genitori, riconoscendo che entrambe le parti condividono l’obiettivo comune di sostenere il loro benessere generale», ha affermato.

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I social media sono solo una parte del problema

Lo studio di Pediatrics si è concentrato sul possesso di cellulari, non sul tipo di contenuti a cui i bambini accedono quando li usano.

 

Tuttavia, parte della controversia sull’uso del cellulare da parte dei bambini riguarda l’impatto negativo dei social media su di loro. Ad esempio, The Defender ha recentemente riportato la notizia di una ragazzina di 12 anni che si è tolta la vita appena tre settimane dopo aver iniziato ad assumere Prozac, in seguito ad anni di dipendenza dai social media che, secondo i suoi genitori, avevano contribuito alla sua depressione.

 

Sua madre è ora coinvolta in una causa che accusa TikTok, Snapchat e YouTube di aver preso di mira i bambini vulnerabili con contenuti dannosi.

 

A gennaio, i ricercatori dell’organizzazione no-profit Sapien Labs hanno riferito che sentimenti di aggressività, rabbia e allucinazioni erano in forte aumento tra gli adolescenti negli Stati Uniti e in India, e che tale aumento era collegato all’età sempre più precoce in cui i bambini acquistano i cellulari.

 

Questo mese, l’Australia si prepara a implementare il primo divieto nazionale al mondo sui social media per gli adolescenti. A partire dal 10 dicembre, le aziende di social media dovranno adottare «misure ragionevoli» per garantire che i bambini e gli adolescenti di età inferiore ai 16 anni in Australia non possano creare account sulle loro piattaforme.

 

Entro tale data, le aziende dovranno anche rimuovere o disattivare gli account dei giovani australiani.

 

Ma i cellulari non sono dannosi per i bambini solo a causa dei social media, secondo il dottor Robert Brown, radiologo diagnostico con oltre 30 anni di esperienza e vicepresidente della ricerca scientifica e degli affari clinici per l’Environmental Health Trust.

 

All’inizio di quest’anno, Brown ha pubblicato una ricerca che dimostrava che bastano appena 5 minuti di esposizione al cellulare per far sì che le cellule del sangue di una donna sana si aggregassero in modo anomalo, anche quando il cellulare si trovava a un centimetro dalla pelle.

 

Brown ha dichiarato al The Defender di essere incoraggiato nel vedere istituzioni di alto livello come l’Università della Pennsylvania prestare attenzione alle conseguenze dell’uso dei cellulari sulla salute dei bambini.

 

Tuttavia, vorrebbe anche che la ricerca si concentrasse su come le radiazioni a radiofrequenza (RF) emesse dai telefoni danneggiano la salute dei bambini. «Non è solo la giovane età in cui si acquista un telefono a essere responsabile», ha affermato.

 

Miriam Eckenfels, direttrice del programma sulle radiazioni elettromagnetiche (EMR) e wireless di Children’s Health Defense, è d’accordo.

 

«Lo studio di Pediatrics si aggiunge alla montagna di prove che dimostrano che gli smartphone sono problematici e che i genitori devono proteggere i propri figli. Oltre al contenuto, anche le radiazioni RF sono dannose».

 

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ormai riconosciuto che ci sono prove «altamente certe» che l’esposizione alle radiazioni dei cellulari provoca due tipi di cancro negli animali, ha affermato.

 

«Genitori e pubblico devono avviare un dialogo sensato sulla tecnologia quando si tratta dei nostri figli e smettere di dare per scontato che queste tecnologie siano innocue», ha affermato Eckenfels.

 

Suzanne Burdick

Ph.D.

 

© 2 dicembre, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

Questo articolo è stato aggiornato per chiarire che il bupropione (Wellbutrin) è un antidepressivo, ma non un SSRI. È un inibitore della ricaptazione della noradrenalina e della dopamina, o NDRI.

 

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