Pensiero
Ebrei, musulmani… ma chi davvero deve custodire la Terra Santa?

Oramai una diecina di anni fa fui, come tutti, sorpreso dall’ascesa inarrestabile dell’ISIS. I suoi miliziani neri si erano presi un pezzo enorme del territorio della regione, non badando ai confini imposti dagli accordi Sykes-Picot (cioè la progettazione del Medio Oriente spartito tra francesi e britannici) né a quelli dei nazionalismi successivi.
In nome della religione, l’ISIS si era presa tutto, e, se ricordate, minacciava perfino di marciare su Baghdad (che, a occhio, aveva pure qualche soldato americano ancora dentro). L’espansione del movimento terrorista pareva indisturbata, con uno zelo ed un entusiasmo che impressionavano il mondo, specialmente i ragazzi musulmani europei di seconda o terza generazione, che fioccarono in massa a combattere in Siria e Iraq.
Giovani dalla Francia, dal Gran Bretagna, dalla Germania, dall’Italia, perfino dagli USA migrarono in massa verso le schiere che stavano costruendo, al centro dell’Asia, uno Stato teocratico, un vero Stato Islamico, retto da un fondamentalismo non possibile nemmeno per il Regno Saudita, dove vige la monarchia e gli interessi di equilibrio globale dei petroli.
Assistevamo, in diretta, alla creazione di uno Stato basato sulla religione e nient’altro. Un’idea che sembrava stesse vincendo su ogni fronte. Il Califfato avanzava nel territorio così come nella mente del mondo.
La mappa rimandava le dimensioni di questa enorme nuova entità politica. Lo Stato Islamico era una massa nera pronta ad espandersi in tutta l’area.
Guardando la cartina, tuttavia, mi era sorto un pensiero. Lo Stato Islamico di fatto stava sorgendo accanto ad un altro Stato fondato, secondo la definizione, sulla religione: lo Stato Ebraico. Lo Stato Islamico e lo Stato ebraico stavano a pochi chilometri di distanza, anzi per alcune mappe, che assegnavano all’ISIS il controllo delle aree di Tasil e Jamlah a ridosso della zona del Lago di Tiberiade, erano Paesi confinanti.
Lo Stato Islamico confinava con lo Stato Ebraico – e non solo geograficamente. Due grandi monoteismi millenari avevano quindi la loro proiezione politica definitiva, uno Stato retto sulla religione.
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Nella mente di chi guardava la cartina, tuttavia, poteva emergere una domanda imprevista: Stato Islamico, Stato Ebraico… e lo Stato Cristiano?
Perché non c’è, nell’area, uno Stato Cristiano? In fondo, si tratta dei luoghi dove, secondo quanto credono i cristiani, Dio è sceso sulla Terra per 33 anni. Sono gli spazi in cui, in seguito all’incarnazione, i cristiani hanno cominciato ad operare, mettendo radici che sono resistite per millenni, nonostante le ondate islamiche, nonostante il deserto. Pensiamo alla comunità cristiana irachena: erano centinaia di migliaia di persone, ora nel Paese, dopo la guerra genocida dei neocon, forse ne è rimasto, se va bene, qualche migliaio.
Il territorio più sacro per quella che sarebbe la prima religione mondiale non ha visto nascere un’entità che ne protegga lo status di spazio sacrale.
Curioso: i potentati globali lo Stato Ebraico lo hanno lasciato fare, anzi, ne hanno promosso la formazione. Lo Stato Islamico, parimenti, hanno lasciato che lo edificassero rapidamente. Lo Stato Cristiano no, mai: non è neppure nel menu. È inconcepibile. È innominabile. O meglio, lo è oggi.
Vi è stato un tempo in cui, invece, i cristiani si mossero per creare Stati che proteggessero la Terra Santa: gli Stati Crociati, territori retti dai cristiani europei. Il Principato di Antiochia (1098-1268), la Contea di Edessa (1098-1149), la Contea di Tripoli (1104-1289), e poi, soprattutto, il Regno di Gerusalemme (1099-1291).
Il lettore avrà capito che ci stiamo inoltrati in una dimensione innominabile per il mondo moderno, quella delle Crociate. Ossia quell’enorme movimento della Cristianità per difendere materialmente le sue radici.
Potete immaginare la città Santa con le sue mura, dove però si parlava italiano, l’antico francese (la lingua franca) e altre lingue europee (più un po’ di greco ed arabo, per le classi più basse). Pensate all’Europa proiettata, sovrimpressa, in questa terra orientale: il sistema feudale, le chiese, pure una sorta di Parlamento (l’Alta Corte di Gerusalemme, costituita dalle famiglie nobili residenti in città).
Insomma: dove ore sorge lo Stato Ebraico, e dove Hamas vuole creare uno Stato musulmano basato sulla sharia, si ergeva lo Stato Cristiano, senza bisogno di chiedere scusa a chicchessia. E senza genocidi di sorta: i re cattolici non sterminarono i musulmani, e anzi li inclusero nel sistema feudale. Considerando la diversity dell’epoca – cattolici, ortodossi, ebrei, musulmani, drusi; europei e levantini, nordici e mediterranei – qualcuno potrebbe addirittura arrivare a pensare che gli Stati Crociati offrano un possibile esempio di coesistenza fra i popoli.
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Del resto, rispetto alle altre religioni abramitiche, i cristiani hanno un concetto totalmente diverso dell’essere umano e del suo spirito. L’ebraismo si trasmette, secondo quanto si dice, matrilinearmente: sei ebreo se è ebrea tua madre, tua nonna materna, la tua bisnonna, trisavola, etc. La conversione all’ebraismo di un goy, un non-ebreo, è ancora oggi per alcuni oggetto di dibattito. L’Islam prevede invece la conversione a fil di spada: la conquista militare è il presupposto della sottomissione delle popolazioni all’Islam, pena il divenire dhimmi, cittadini non islamici che hanno status diverso e pagano tasse supplementari.
Il cristianesimo non ha niente di tutto questo. La conversione a Cristo può avvenire solo nel cuore del singolo, non può essere imposta in alcun modo. Secondo alcuni, questo è l’aspetto che ha reso l’Occidente profondamente differente dall’Oriente: l’individuo, l’uomo e la sua interiorità, hanno preminenza sul foro esterno, hanno agenzia – l’uomo fa ciò che viene dal suo profondo, che è sacro ed inviolabile.
Chi accetta Cristo, quindi, accetta il suo ordine fin dentro se stesso, e di qui discende l’armonia sociale che in alcune parti del mondo si può ancora avvertire. Lo notarono, centinaia di anni fa, i messi imperiali cinesi mandati in Occidente a studiarne la società. Nella loro relazione rivelavano il loro infinito stupore davanti al fatto che ad Ovest gli uomini obbedivano ai re cattolici non perché ne avessero paura, né per l’inerzia della tradizione, ma perché avevano accolto nel cuore la religione cattolica.
Il cristianesimo non discrimina, nemmeno coloro che hanno altre fedi. Le Scritture sono piene di episodi di samaritani e centurioni che – uomini di buona volontà – operano il bene. La porta della conversione è sempre aperta, a chiunque nel profondo realizzi, e accetti, la Signoria di Cristo. E cioè, l’amore di Dio per l’uomo.
Lo Stato Cristiano, quindi, non può che essere benevolo. Non può che amare l’essere umano.
È proprio per questo, quindi, che esso è proibito. E proprio per questo che esso è stato reso un tabù, è stato infilato nella categoria dell’impensabile, dell’irricevibile.
Se il mondo moderno è sorretto da potenze di morte, che propalano una cultura che odia Dio e l’uomo sua immagine, come può mai tollerare l’esistenza di uno Stato Cristiano?
Gli ultimi secoli di storia, in realtà, sono stati la storia dell’attacco totale allo Stato Cristiano in ogni sua forma. La Rivoluzione Francese, che ci fanno studiare a scuola, è la sua prima vera decapitazione. Partita nell’anno della morte di un Santo Papa che aveva ricostituito il codice sorgente della Cristianità, la Prima Guerra Mondiale, lo abbiamo già scritto, può essere considerata lo strumento per distruggere ciò che rimaneva dell’Europa cristiana, ossia l’Austria asburgica, che formalmente costituiva ancora il Sacro Romano Impero.
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Il resto del Novecento, e gli anni che stiamo vivendo, altro non sono che la liquidazione in varie fasi di ogni cristianità politica. La Seconda Guerra Mondiale ha piazzato a capo di vari Paesi europei partiti cosiddetti di «democrazia cristiana»: una contradictio in adjecto, una manticora politologica (il cristianesimo compatibile con la democrazia liberale? Ma quando mai?) ingegnerizzata dagli angloamericani lavorandosi, nei loro avamposti massonici d’oltreoceano, Jacques Maritain e compagni.
Poi, il Concilio Vaticano II ha accelerato l’opera: è la chiesa stessa che ora parla di «laicità dello Stato», e quindi che accetta la disintegrazione dello Stato Cristiano sin nella sua idea fondativa, che è quella di un mondo retto dalla figura di Cristo, di una società in cui Cristo è re.
Non è rimasto nulla di cristiano, in nessuno Stato occidentale. Pensate alle monarchie europee, pensate ai re cattolici con le loro famiglie, quelli che ai funerali dei papa fanno sedere ancora davanti a presidenti: nel Regno di Spagna salvano i cani e discutono di uccidere i disabili, nel Regno del Belgio eutanatizzano i bambini. Questo è ciò che rimane dell’aristocrazia europea, che senza Cristo viene trasformata, come tutto il resto, in un orpello della macchina di morte.
Abbiamo anche noi un piccolo episodio del tabù da offrire: un comune italiano, retto dagli eredi del partito che voleva rivoltare il Paese con la dittatura del proletariato, paventò di non dare a Renovatio 21, una sala per una conferenza su un grande scandalo che riguardava quel territorio, anche se a chiederla era un consigliere dello stesso comune. Dissero che, leggendo nel sito, avevano visto che si parlava di «Stato Cristiano». Tale pensiero, a quanto sembra, non poteva essere accettato, era forse da ritenersi sovversivo.
Qualcuno può pensare che avessero ragione: cosa c’è di più sovversivo, odiernamente, di un sistema che vuole la prosperità dell’uomo e non la sua sottomissione, la sua umiliazione e la sua morte?
Cosa è più «rivoluzionario» di un ente che ama l’umanità invece che tentare di distruggerla? Cosa è più pericoloso per i signori del mondo?
L’ora presente lo dimostra: lo Stato Ebraico si può fare, lo Stato Islamico pure. Lo Stato Cristiano, no. Perché, e questo è il segreto dello Stato moderno, esso esiste solo in quanto anticristiano. Lo Stato anticristiano è l’unica opzione possibile che ci dà il mondo moderno. Tutto il resto è sfumatura.
Torniamo, infine, a guardare la Terra Santa, e ad interrogarci su questo massacro ebraico-musulmano nella Terra di Cristo.
Chiediamo al lettore, quindi: chi davvero dovrebbe regnare su Gerusalemme, e sul mondo intero?
Chi davvero ha a cuore la pace, e gli esseri umani?
Cosa stanno facendo mancare dalla mappa, e da troppo tempo?
Roberto Dal Bosco
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Immagine di scottgunn via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic
Pensiero
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Bizzarria
Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese

Per chi è stato in viaggio in Giappone il nome APA hotels potrebbe risultare familiare. La catena di alberghi dalla caratteristica insegna arancione è onnipresente nel Paese del Sol Levante, possiede circa 900 strutture alberghiere e in alcune zone urbane la loro densità è incredibile: così a memoria direi che ce ne sono almeno 5 nella zona tra Asakusa e Asakusabashi (due fermate di metro o mezz’ora scarsa a piedi).
La catena ha anche già iniziato la sua espansione nell’America settentrionale, con 40 strutture tra Stati Uniti e Canada.
Di recente ho avuto l’occasione di provare per la prima volta un hotel APA a Kanazawa, dove la catena è nata nei primi anni ottanta. Il giudizio complessivo è positivo: pulito, molto pratico da usare, al netto di stanze piuttosto anguste (ma nella norma nipponica) non posso dire che mi sia mancata alcuna comodità.
Anzi, le stanze dispongono del «bottone buonanotte» (oyasumi botan) cioè un pulsante vicino al comodino che spegne tutte le luci in un colpo solo. Di questo sono particolarmente grato perché mi ha risparmiato la classica caccia agli interruttori che contraddistingue le serate passate negli alberghi meno recenti qui in Giappone – in alcuni ryokan ci sono persone che si rassegnano a dormire con le luci accese per la disperazione, spossati dalla caccia all’interruttore nascosto.
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Un’altra caratteristica degli hotel APA è l’onnipresenza dell’effigie della presidentessa dell’azienda, la buffa Fumiko Motoya, sempre accompagnata da uno dei suoi vistosissimi cappelli (la sua collezione ne conta circa 240).

Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0
Insegne, pubblicità, bottiglie di acqua minerale, confezioni di curry liofilizzato: non c’è posto da cui non spunti il sorriso della nostra Fumiko, il tutto ha una lieve sfumatura di culto della personalità da regime totalitario.
Ma quello che porta ripetutamente questa azienda al centro di aspre polemiche non sono i vistosi copricapo del suo presidente, né tanto meno la folle varietà di ristoranti ospitati dagli alberghi APA (a seconda della località mi è capitato di vedere ristoranti italiani, indiani, singaporiani, coreani, caffè in stile europeo, letteralmente la qualsiasi). Si tratta, invece, della cifra politica della catena alberghiera.
Ogni stanza d’albergo ha in dotazione almeno un paio di copie degli scritti del fondatore dell’azienda, Toshio Motoya, storico e ideologo di orientamento decisamente patriottico.
Gli scritti in questione innescano periodicamente polemiche furibonde: il picco era stato raggiunto tra 2016 e 2017, quando il volume che si trovava nelle stanze degli alberghi conteneva una revisione storica del massacro di Nanchino (1937). Apriti cielo: il clima allora era meno liberticida di adesso, si era agli albori dei social media totalitari come li conosciamo oggidì, ma le polemiche in Asia e occidente furono furibonde.
Il bello è che l’autore e l’azienda hanno fatto quello che oggi nessuno fa: nessun passo indietro, nessuna scusa, soltanto ribadire le proprie ragioni in maniera più articolata. In un mondo come quello in cui viviamo, in cui la gogna internettiana ha reso tutti ominicchi, quaquaraquà e, d’altronde love is love, un po’ invertiti, un atteggiamento del genere si può forse definire eroico.
Cotale attitudine mi ha ricordato l’epoca d’oro del movimento ultrà italiano, quando ancora dalle curve, allora libere da qualsiasi controllo da parte di partiti politici, malavita e istituzioni, si alzava il coro liberatorio: «Noi facciamo il cazzo che vogliamo!».
La pagina in inglese dell’azienda usa uno stile revisionistico che in Europa sarebbe ragione sufficiente per arresto, condanna e detenzione. Ve la ricordate la libertà, voi europei? Pensate che brivido trovare in albergo letteratura che rivede il dogma riguardo agli eventi accaduti nei primi anni quaranta tra Polonia, Germania e Austria…
Di fronte alle furiose contestazioni, l’azienda continua imperterrita a fare trovare in ogni camera delle copie di Theoretical modern history (理論近現代文学), i volumi che raccolgono gli scritti del fondatore della catena Motoya. Durante il mio soggiorno a Kanazawa ho avuto modo di leggere alcuni articoli che mi hanno dato una prospettiva diversa della storia giapponese.
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L’insegnamento della storia nel Giappone post bellico ha frequentemente preso l’aspetto di una forma di autoflagellazione (sotto la guida dell’occupante statunitense). Questa colpevolizzazione del paese a scapito di tutte le altre forze coinvolte nel conflitto mondiale raggiunge picchi disturbanti nelle prefetture più sinistrorse del Paese, le così dette H2O (Hiroshima, Hokkaido, Oita).
Ci sono stati casi di genitori che hanno protestato dopo avere sentito che ai figli veniva insegnato che «le bombe atomiche ce le siamo meritate». Dopo decenni di scuse a capo chino, non c’è da stupirsi che parte del Paese inizi a manifestare insofferenza verso questo clima culturale e a volersi riconciliare con la propria storia, senza intenti necessariamente autoassolutori.
L’articolo che riporto nella foto riguardo al pilota suicida (quelli che l’occidente chiama kamikaze, ma che in Giappone sono tokkoutai, 特攻隊、le squadre speciali d’assalto), mi ha ricordato il manifesto elettorale del partito Sanseito, in cui due piloti «kamikaze» sono raffigurati abbracciati e con le lacrime agli occhi, un’immagine dei cosiddetti kamikaze diversa da quella che solitamente ci viene mostrata.
Passare una notte all’APA hotel è stata l’occasione per capire una volta di più che al popolo del Giappone, come a quelli d’Europa, è stato messo sulle spalle il giogo di un senso di colpa che impedisce loro di esistere in quanto tali, costringendoli ad abiurare sé stessi quotidianamente.
Adesso basta, noi facciamo il katsu che vogliamo.
Taro Negishi
Corrispondete di Renovatio 21 da Tokyo
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Immagine di Mr.ちゅらさん via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Geopolitica
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