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Dr. Volodymyr & Mr. Zelens’kyj : Il lato nascosto del presidente ucraino

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Il deputato svizzero ed ex caporedattore della Tribune de Genève, Guy Mettan, traccia un ritratto del saltimbanco che interpreta il ruolo di presidente dell’Ucraina. Mostra come questo comico di varietà si sia trasformato in alleato dei banderisti e per loro conto instauri una dittatura.

 

 

Héros de la liberté, Hero of Our Time, Der Unbeugsame, The Unlikely Ukrainian Hero Who Defied Putin and United the World, Zelensky, l’Ukraine dans le sang: media e dirigenti occidentali, affascinati dalla «stupefacente resilienza» dell’attore, miracolosamente trasformato in «condottiero di guerra» e «salvatore della democrazia», non sanno più con quali superlativi tessere le lodi del presidente ucraino.

 

Da tre mesi il capo di Stato ucraino è in prima pagina su tutti i giornali, è in apertura dei telegiornali, inaugura il Festival di Cannes, arringa parlamenti, si congratula e ammonisce colleghi a capo di Stati dieci volte più potenti del suo: un successo e un senso tattico finora ineguagliati da un attore del cinema o da un dirigente politico.

 

Come non lasciarsi ammagliare da quest’improbabile Mr. Bean che, dopo aver conquistato il pubblico con le sue smorfie e stravaganze (per esempio passeggiare nudo in un negozio e simulare un pianista suonando con il proprio sesso), ha saputo in una notte barattare le sue pagliacciate e i suoi discorsi sboccati con una T-shirt grigioverde, una barba di una settimana e parole cariche di gravità per galvanizzare truppe aggredite dall’orso cattivo russo?

 

Dal 24 febbraio Volodymyr Zelensky ha incontestabilmente dimostrato di essere un artista di politica internazionale di eccezionale talento. Chi ha seguito la sua carriera di comico non se n’è stupito perché conosceva il suo innato senso dell’improvvisazione, le sue capacità mimetiche, la sua audacia di giocatore.

 

L’eccezionalità del suo talento era già emersa nella conduzione della campagna elettorale, quando in poche settimane, dal 31 dicembre 2018 al 21 aprile 2019, stese avversari coriacei, come l’ex presidente Poroshenko, mobilitando la squadra di produzione televisiva e gli oligarchi, suoi generosi sovvenzionatori. Bisognava passare dalle prove allo spettacolo vero. C’è riuscito.

 

 

Talento per il doppiogioco

Tuttavia, come spesso accade, la facciata corrisponde raramente al retroscena. La luce dei proiettori offusca più di quanto illumini.

 

Nel caso di Zelensky, non si può non prendere atto che il quadro è meno sfavillante di quanto apparisse sulla scena: i risultati come capo di Stato, così come le sue performance di difensore della democrazia, lasciano seriamente a desiderare.

 

Zelensky ha dimostrato talento per il doppiogioco sin dall’elezione. Aveva vinto la competizione elettorale con una percentuale di voti eccezionale, 73,2%, grazie alla promessa di porre fine alla corruzione, di portare l’Ucraina sulla strada del progresso e della civiltà e, soprattutto, di fare la pace con i russofoni del Donbass.

 

Appena eletto ha tradito ogni promessa con zelo talmente intempestivo che la percentuale della sua popolarità a gennaio 2022 si era ridotta al 23%, distanziato dai due maggiori avversari.

 

Da maggio 2019, per esaudire le pretese degli oligarchi che lo sponsorizzano, il neoeletto lancia un massiccio programma di privatizzazione del patrimonio agricolo pubblico: 40 milioni di ettari di suolo fertile, con il pretesto che la moratoria sulla vendita dei terreni avrebbe fatto perdere miliardi di dollari al PIL del Paese.

 

Nell’impeto dei programmi di liberazione dalle vestigia del comunismo e di de-russificazione, avviati dopo il colpo di Stato filo-statunitense di febbraio 2014, Zelensky lancia una vasta operazione di privatizzazione dei beni dello Stato, di austerità di bilancio, di ridimensionamento delle leggi sul lavoro, nonché di smantellamento dei sindacati; provvedimenti che urtano quella maggioranza di ucraini che ancora non ha capito cosa intendesse il loro candidato per «progresso», «occidentalizzazione» e «normalizzazione» dell’economia ucraina. Un Paese in cui il reddito medio per abitane era nel 2020 di 3.726 dollari contro i 10.126 dell’avversaria Russia, al contrario di quel che accadeva nel 1991, quando il reddito medio degli ucraini era più alto di quello dei russi: il confronto non è lusinghiero. È comprensibile che gli ucraini non abbiano plaudito all’ennesima riforma neoliberale.

 

Quanto al percorso verso la civiltà, si concretizzerà in un decreto del 19 maggio 2021, che garantisce il dominio della lingua ucraina e bandisce il russo in tutte le sfere della vita pubblica, nelle amministrazioni, nelle scuole e nelle attività commerciali, con grande soddisfazione dei nazionalisti e stupore dei russofoni del sud-est del Paese.

 

 

Uno sponsor in fuga

Quanto alla corruzione, il bilancio non è migliore. Secondo The Guardian, nel 2015 l’Ucraina era il Paese più corrotto d’Europa. Secondo Transparency International, Ong occidentale con sede a Berlino, nel 2021 l’Ucraina era al 122° posto nella classifica mondiale della corruzione, vicinissima all’odiata Russia (136^). Risultato certo non brillante per una nazione che si reputa modello di virtù rispetto ai barbari russi. Secondo il Kyiv Post la corruzione è ovunque: nei ministeri, nelle amministrazioni, nelle imprese pubbliche, nel parlamento, nella polizia e persino nell’Alta Corte di Giustizia contro la corruzione! Non è raro vedere giudici sfrecciare in Porsche, riportano i giornali.

 

Il più importante sponsor di Zelensky, Ihor Kolomojskij, che risiede a Ginevra ove possiede uffici lussuosi con vista sulla rada, non è certo uno degli oligarchi di secondo piano fra quelli che approfittano della corruzione generale: il 5 marzo 2021 Antony Blinken, che senz’altro non poteva fare diversamente, annunciò che, a causa «dell’implicazione in rilevante fatto di corruzione», il dipartimento di Stato aveva bloccato i beni di Kolomojskij e l’aveva bandito dagli Stati Uniti.

 

Era accusato di aver sottratto 5,5 miliardi di dollari della banca pubblica Privatbank. Per pura coincidenza, il buon Ihor era anche azionista della holding petrolifera Burisma, che dà lavoro al figlio di Joe Biden, Hunter, per il modesto compenso di 50 mila dollari mensili, e che oggi è nel mirino di un’inchiesta del procuratore del Delaware. Saggia precauzione: Kolomojskij , dichiarato persona non grata da Israele e rifugiatosi, secondo alcuni testimoni, in Georgia, non corre il rischio di doversi presentare alla barra dei testimoni.

 

Ed è sempre Kolomojskij da cui l’Ucraina avviata sulla strada del progresso decisamente non può prescindere, l’artefice della carriera di attore di Zelensky. E lo ritroviamo altresì implicato nell’affare Pandora Papers, rivelato dalla stampa a ottobre 2021. Si tratta di documenti che attestano come la rete televisiva 1+1, di proprietà del trasgressivo oligarca, versò dal 2012 non meno di 40 milioni di dollari alla star televisiva Zelensky e come quest’ultimo, poco prima di essere eletto presidente, con l’aiuto della sua guardia del corpo della città di Kryvyi Rih – i due fratelli Shefir: l’uno sceneggiatore di Zelensky, l’altro capo dei servizi di sicurezza di Stato (SBU), nonché produttore e proprietario della comune società di produzione, Kvartal 95 – aveva prudentemente trasferito considerevoli somme di denaro su conti offshore intestati alla moglie, nonché acquistato tre appartamenti a Londra, mai dichiarati, per la modica cifra di 7,5 milioni di dollari.

 

Quest’inclinazione del Servitore del popolo (nome della serie televisiva di cui è protagonista nonché del suo partito politico) per il confort non-proletario è attestato da una foto apparsa sui social network, e subito cancellata dai fact-cheker anti complottisti, che lo ritraeva mentre godeva delle comodità di un lussuoso albergo tropicale, al costo di decine di migliaia di dollari per notte, mentre avrebbe dovuto essere in vacanza in una modesta stazione sciistica dei Carpazi.

 

L’arte dell’ottimizzazione fiscale e la frequentazione assidua di oligarchi a dir poco controversi non depongono sicuramente a favore di un incondizionato impegno presidenziale contro la corruzione.

 

Non più del fatto di aver silurato il fastidioso presidente della Corte costituzionale Oleksandr Tupytskyj, nonché di aver nominato, come successore del primo ministro Oleksyj Hontcharuk – estromesso a causa di uno scandalo – un illustre sconosciuto, Denys Chmynal, che però aveva il pregio di dirigere una delle fabbriche dell’uomo più ricco del Paese, Rinat Akhmetov, proprietario della famosa acciaieria Azovstal, ultimo rifugio degli eroici combattenti per la libertà del battaglione Azov.

 

Combattenti che esibiscono su braccia, collo, schiena o petto tatuaggi che glorificano il Wolfsangel della divisione SS Das Reich, frasi di Adolf Hitler o croci uncinate, come si è potuto vedere negli innumerevoli video diffusi dai russi dopo la resa dell’Azov.

 

 

Ostaggio dei battaglioni Azov

Ma la prossimità dello smagliante Volodymyr con i rappresentanti più estremisti della destra nazionalista ucraina non è la minore delle stranezze del Dr. Zelensky.

 

Questa complicità è stata subito negata con veemenza dalla stampa occidentale, che l’ha giudicata scandalosa per le origini ebraiche del presidente, repentinamente emerse. Come potrebbe un presidente ebreo simpatizzare con neonazisti, per di più fatti passare per un’infima minoranza di marginali? Non bisognerebbe dar credito all’operazione di «denazificazione» condotta da Vladimir Putin…

 

Ma i fatti sono incontrovertibili e tutt’altro che irrilevanti.

 

Certamente Zelensky non è mai stato, a titolo personale, vicino all’ideologia neonazista, nonché all’estrema destra nazionalista ucraina. L’ascendenza ebrea, sebbene relativamente lontana e mai rivendicata prima di febbraio 2022, esclude evidentemente ogni forma di antisemitismo da parte sua. La vicinanza a queste ideologie non è da imputare a un’affinità, ma pertiene all’ordinaria ragione di Stato e a una sapiente mescolanza di pragmatismo e d’istinto di sopravvivenza fisica e politica.

 

Per capire la natura delle relazioni tra Zelensky e l’estrema destra, bisogna risalire a ottobre 2019. Bisogna altresì tener presente che queste formazioni di estrema destra, benché non esprimano più del 2% dell’elettorato, sono tuttavia costituite da quasi un milione di persone, molto motivate e ben organizzate, sparpagliate in molte organizzazioni e movimenti, dei quali il battaglione Azov (finanziato dal 2014 da Kolomojskij, ancora lui!) è il più noto. Cui bisogna aggiungere, per essere esaustivi, Aidar, Dnipro, Safari, Svoboda, Pravy Sektor, C14 e Corpo Nazionale.

 

C14, così battezzato per il numero di parole che compongono la frase del neonazista americano David Lane («We must secure the existence of our people and a future for white children»), è uno dei meno conosciuti all’estero, ma fra i più temuti in Ucraina per la sua violenza razzista. Tutte queste organizzazioni sono state più o meno fuse nella Guardia Nazionale ucraina, per iniziativa del loro promotore, l’ex ministro dell’Interno Arsen Avakov, che ha regnato con pieni poteri sull’apparato di sicurezza ucraino dal 2014 al 2021. Sono costoro che dall’autunno 2019 Zelensky chiama «veterani».

 

Pochi mesi dopo essere stato eletto, il giovane presidente va in Donbass per tentare di mantenere fede alla promessa elettorale e far applicare gli Accordi di Minsk, firmati dal predecessore. Le forze di estrema destra, che dal 2014 bombardano le città delle regioni di Donetsk e Lugansk al prezzo di diecimila morti, lo accolgono con grande circospezione perché diffidano del presidente «pacifista». Sono gli stessi che conducono una campagna senza pietà contro la pace, con lo slogan «Nessuna capitolazione».

 

In un video si vede un livido Zelensky implorarli: «Sono il presidente di questo Paese. Ho 41 anni. Non sono un perdente. Vengo da voi e vi dico: lasciate le armi». Il video dilaga sui social network e Zelensky viene preso di mira da una campagna carica d’odio: fine delle velleità di pace e di applicazione degli accordi di Minsk.

 

Poco dopo la visita del presidente c’è un ritiro minimo delle forze estremiste, poi gli ucraini riprendono ancor più intensamente a bombardare i concittadini russofoni.

 

 

Crociata nazionalista

Il problema è che Zelensky non solo ha ceduto al ricatto dei nazionalisti, ma si è unito alla loro crociata.

 

Dopo il fallimento della missione del 2019, il presidente riceve diversi leader dell’estrema destra, fra cui Yehven Taras, capo del C14; il suo primo ministro si mostra invece a fianco di Andryj Medvedko, neonazista sospettato di omicidio. Zelensky sostiene anche il calciatore Zolzulya contro i tifosi spagnoli, che lo accusano di essere nazista perché proclamato ammiratore di Stepan Bandera, leader nazionalista che durante la guerra collaborò con la Germania nazista (e con la CIA nel dopoguerra), nonché partecipò all’olocausto degli ebrei.

 

La collaborazione con i radicali nazionalisti si consolida. A novembre dello scorso anno Zelensky nomina l’ultranazionalista di Pravy Sektor, Dmytro Yarosh, consigliere speciale del comandante in capo delle forze armate ucraine, nonché, da febbraio 2022, capo dell’Armata dei volontari che dissemina terrore nelle retrovie dell’esercito.

 

Contemporaneamente, nomina Oleksander Pokland, soprannominato «lo strangolatore» per la sua inclinazione alla tortura, capo del controspionaggio dello SBU, il Servizio di Sicurezza Ucraino.

 

A dicembre, due mesi prima della guerra, tocca a un altro capo di Pravij Sektor, il comandante Dmytro Kotsuybaylo, essere ricompensato con il titolo di Eroe dell’Ucraina; a una settimana dall’inizio delle ostilità Zelensky sostituisce inoltre il governatore regionale di Odessa con Maksym Marchenko, comandante del battaglione ultranazionalista Aidar, lo stesso a fianco del quale il francese Bernard-Henri Lévy sarà orgoglioso di sfilare.

 

Volontà di domare l’estrema destra distribuendo incarichi? Condivisione dell’ultra-patriottismo? O semplice convergenza d’interessi di una destra neoliberale, atlantista e filoccidentale, e di un’estrema destra nazionalista, che sogna di prendersela con i russi e di «portare le razze bianche del mondo intero in una crociata finale contro gli Untermenschen [subumani, ndt] guidati dai semiti», secondo le parole dell’ex deputato AndryjBiletsky, capo del Corpo Nazionale? Non è dato saperlo: nessun giornalista ha osato chiederlo a Zelensky.

 

Non ci sono dubbi invece sulla deriva sempre più autoritaria, addirittura criminale, del regime ucraino, al punto che persino gli zeloti di Zelensky dovrebbero riflettere, non una ma due volte, prima di proporlo per il premio Nobel della Pace. Mentre i media guardano altrove, gli eletti locali e nazionali, sospettati di essere agenti russi o di connivenza con il nemico soltanto perché vogliono evitare un’intensificazione del conflitto, sono oggetto di una vera e propria campagna d’intimidazione, di rapimenti e di esecuzioni.

 

«Un traditore in meno in Ucraina! È stato ritrovato ucciso, giudicato dal tribunale del popolo!» con queste parole il consigliere del ministro dell’Interno, Anton Gerashenko, ha annunciato su Telegram l’assassinio di Volodymyr Strok, sindaco ed ex deputato della piccola città di Kremnina. Sospettato di essere un collaboratore dei russi, è stato rapito e torturato prima di essere giustiziato.

 

Il 7 marzo è la volta del sindaco di Gostomel, ucciso perché aveva voluto negoziare un corridoio umanitario con i militari russi. Il 24 marzo il sindaco di Kupyansk chiede a Zelensky di far liberare la propria figlia, rapita dai fanatici dello SBU

 

Contemporaneamente uno dei negoziatori ucraini è ritrovato morto dopo che i media nazionalisti lo avevano accusato di tradimento. A oggi, è stata denunciata la scomparsa di non meno di 11 sindaci, anche in zone mai occupate dai russi…

 

 

Vietati i partiti di opposizione

Ma la repressione non finisce qui: tutti i media che hanno osato criticare sono stati chiusi; tutti i partiti d’opposizione sono stati sciolti.

 

A febbraio 2021 Zelensky ha fatto chiudere tre reti televisive di opposizione, giudicate filorusse. Sono ritenute di proprietà dell’oligarca Viktor Medvedchuk: NewsOne, Zik e 112 Ucraina. Il dipartimento di Stato americano plaude a questi attentati alla libertà di stampa, dichiarando che gli Stati Uniti sostengono gli sforzi dell’Ucraina per contrastare la maligna influenza della Russia…

 

A gennaio 2022 viene chiusa la rete Nash. Dopo l’inizio della guerra il regime dà la caccia a giornalisti, blogger e commentatori di sinistra. A inizio aprile vengono colpite anche due reti di destra, Chanel 5 e Pryamiy. Un decreto presidenziale obbliga tutte le reti a diffondere una sola campana, naturalmente quella filo-presidenziale.

 

Recentemente la caccia alle streghe si è estesa persino al blogger contestatore più popolare del Paese: il Navalny ucraino, Anatoliy Shariy, che il 4 maggio è stato arrestato dalla polizia spagnola su richiesta della polizia politica ucraina. Attacchi alla stampa quantomeno equivalenti a quelli dell’autocrate Putin, ma di cui non si è mai sentito parlare sulla stampa occidentale…

 

La purga è stata ancor più severa nei confronti dei partiti politici. Ha decimato i principali oppositori di Zelensky. A primavera 2021 il più influente tra loro, Medvedchuk, ritenuto vicino a Putin, è stato messo agli arresti domiciliari e la sua casa saccheggiata. Il 12 aprile il deputato oligarca è stato rinchiuso con la forza in un luogo segreto, visibilmente drogato e privato della possibilità di ricevere visite, prima di essere esibito in TV e offerto come scambio per la liberazione dei difensori dell’Azovstal, in spregio a tutte le Convenzioni di Ginevra. Minacciati, i suoi avvocati sono stati costretti a rinunciare a difenderlo; è subentrato un difensore d’ufficio.

 

A dicembre scorso Petro Poroschenko, in rimonta nei sondaggi, è accusato di tradimento. Alle ore 15.07 del 20 dicembre 2021 si poteva leggere sul sito ufficiale dello SBU che era sospettato di tradimento e di sostegno ad attività terroristiche. L’ex presidente, forsennatamente antirusso, veniva rimproverato «di aver reso l’Ucraina energeticamente dipendente dalla Russia e dai leader delle pseudo-repubbliche indipendenti controllate dai russi.»

 

Lo scorso 3 marzo gli attivisti della Sinistra Lizvizia subiscono un raid dello SBU; vengono arrestati a decine.

 

Il 19 marzo la repressione colpisce l’insieme della sinistra ucraina. Undici partiti di sinistra sono messi fuori legge: Partito per la Vita, Opposizione di Sinistra, Partito Socialista Progressista di Ucraina, Partito Socialista di Ucraina, Unione delle Forze di Sinistra, Socialisti, Partito Sharyi, I Nostri, Blocco d’Opposizione, Blocco Volodymyr Saldo.

 

Altri attivisti, blogger e difensori dei diritti umani sono arrestati e torturati: il giornalista Tyan Taksyur, l’attivista Elena Viacheslavova, il cui padre morì carbonizzato durante il pogrom del 2 maggio 2014 alla Casa dei Sindacati di Odessa.

 

Per completare la lista vanno menzionati tutti gli uomini e le donne denudati e scudisciati in pubblico per le vie di Kiev dai nazionalisti; i prigionieri russi picchiati cui si sparava alle gambe prima di giustiziarli; i membri della Legione Georgiana, che in un villaggio vicino a Kiev giustiziavano prigionieri russi mentre il loro capo si vantava di non fare mai prigionieri.

 

Sulla rete Ukraina 24 è il capo del servizio sanitario delle forze armate a comunicare di aver ordinato «di castrare tutti gli uomini russi, subumani peggiori degli scarafaggi.»

 

Per finire, l’Ucraina ricorre massicciamente alla tecnologia di riconoscimento facciale della società Clearview per identificare i morti russi e diffondere le loro foto sui social network russi ridicolizzandoli…

 

 

Un attore da Oscar

Si potrebbero citare esempi a non finire, tanto sono numerose le menzioni e i video delle atrocità commesse dalle truppe del difensore della democrazia e dei diritti umani, che ha in mano il destino dell’Ucraina. Ma avrebbe effetto irritante e controproduttivo su un’opinione pubblica convinta che i comportamenti barbari sono imputabili solo ai russi.

 

Per questo motivo nessuna ONG lancia l’allarme, il Consiglio di Europa se ne sta cheto, il Tribunale Penale Internazionale non indaga, le organizzazioni per la difesa della libertà di stampa tacciono. Nessuno ha ascoltato quello che il mite Volodymyr aveva dichiarato ai primi di aprile, durante una visita a Butcha: «Se non troviamo una via d’uscita civilizzata, conoscete la nostra gente, troverà un’uscita non civilizzata.»

 

Il problema dell’Ucraina è che il suo presidente, volente o nolente, ha ceduto sul piano interno il potere agli estremisti, sul piano esterno lo ha ceduto ai militari della NATO, per il puro e semplice piacere di essere adulato dalle folle del mondo intero.

 

l 5 marzo scorso, dieci giorni dopo l’invasione russa, dichiarava a un giornalista straniero: «Oggi la mia vita è bella. Credo di essere desiderato. Sento che questo è il senso più importante della mia vita: essere desiderato. Sentire che non ci si limita banalmente a respirare, camminare e mangiare una cosa qualunque. Sentire che si è vivi!»

 

Giova ripeterlo: Zelensky è un grande attore. Come il predecessore che nel 1932 interpretò Dr. Jekill e Mr. Hide, anch’egli merita di vincere l’Oscar per il migliore ruolo maschile del decennio. Ma quando dovrà misurarsi con la ricostruzione del Paese devastato da una guerra che avrebbe potuto evitare nel 2019, il ritorno alla realtà potrebbe essere difficile.

 

 

Guy Mettan

 

 

FONTI

Olga Rudenko, «The Comedian-Turned-President is Seriously in Over His Head», New York Times, 21 febbraio 2022 (editoriale ospite dal Kyyiv Post).
Alex Rubinstein e Max Blumenthal,«How Zelensky made Peace With Neo-Nazis» e «Zelensky’s Hardline Internal Purge», Consortium News, 4 marzo and 20 aprile 2022.
Natylie Baldwin, «Olga Baysha Interview about Ukraine’s President»,  The Grayzone, 28 aprile 2022.
«President of Ukraine Zelensky has visited disengaging area in Zolote today», @Liveupmap, 26 ottobre  2019 (da guardare su Twitter).
Adrien Nonjon, «Qu’est-ce que le régiment Azov?»,  The Conversation, 24 maggio 2022.
«Public Designation of Oligarch and Former Ukrainian Public Official Ihor Kolomoyskyy Due to Involvement in Significant Corruption», dichiarazione alla stampa di  Anthony J. Blinken, US Department of State, March 5, 2021.
«Petro Poroshenko notified of suspicion of treason and aiding terrorism», Servizi segreti ucraini, 20 dicembre 2021.
Michel Pralong, «Un maire ukrainien prorusse enlevé et abattu»,  Le Matin, 3 marzo 2022.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine via Flickr pubblicata secondo licenza Pubblico Dominio CC0

 

 

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Geopolitica

Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

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Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.   Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.   «Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.   Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».   Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.   Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».   Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».   Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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