Connettiti con Renovato 21

Storia

Dottrina Monroe e «Destino Manifesto»: le origini storiche della politica continentale USA

Pubblicato

il

Nel 1775 il testo di Thomas Jefferson in cui si difendeva la necessità di prendere le armi contro la madre patria, Dichiarazione delle cause e della necessità di prendere le armi, diede origine ad accesi dibattiti tra le tredici colonie nord-americane. Il timore di affrontare un salto verso l’ignoto, immaginando un’America non più britannica e nemmeno europea, aveva però infervorato gli animi di quella élite economica che spingeva per la secessione.

 

Nel 1776, Thomas Paine attraverso il pamphlet Common SenseSenso comune») fornì allora le linee guida per convincere l’opinione pubblica della bontà del progetto di distacco dalla corona britannica. Il testo conteneva forti critiche verso la monarchia britannica che, secondo l’autore, inibiva le possibilità economiche delle colonie impedendo loro di commerciare liberamente con paesi terzi.

 

I legami con la Gran Bretagna e le nazioni europee obbligavano a prendere parte a inutili guerre che drenavano immense risorse. La visione eccezionalista e internazionalista di Paine, anche attraverso il noto Model Treaty redatto da Adams, divenne il discorso egemone nella politica estera statunitense degli anni a venire.

Sostieni Renovatio 21

Secondo Paine la struttura sarebbe stata imperniata su: la centralità del commercio; l’universalismo; l’interdipendenza tra politica interna ed estera; l’eccezionalità degli Stati Uniti; il rapporto tra gli obiettivi posti e gli strumenti necessari per raggiungerli.

 

A tutti gli effetti si trattava di un’ideologia del commercio che prevedeva per i futuri Stati Uniti un ruolo e una funzione centrali nella trasformazione dell’ordine globale. Il distacco dall’impero e la formazione di una Repubblica diventavano la condizione necessaria per la creazione di un nuovo ordine mondiale e per la «nascita di un mondo nuovo».

 

Secondo Paine, questa svolta epocale avrebbe messo fine alle guerre e alle logiche di potenza che fino a quel momento avevano prevalso, per questo motivo la causa americana diventava la causa dell’umanità, «facendo ricominciare il mondo di nuovo». Ogni strumento sarebbe stato lecito per adempiere al proprio destino.

 

Mentre Paine sognava la liberazione dei popoli dal male della guerra non esitava comunque a dichiarare necessaria l’immediata istituzione di un governo centrale e di una marina militare per difendere i traffici commerciali. La nascita della nazione era accompagnata da un marcato nazionalismo che non avrebbe disdegnato il ricorso alla forza militare pur di raggiungere i propri scopi.

 

La Dichiarazione d’indipendenza del 1776 conteneva un atto di unione tra le colonie che lasciava intravedere un’evoluzione dell’internazionalismo del Common Sense. L’eccezionalità americana si bilanciava tra la vocazione imperiale e la salvaguardia della sua struttura politica repubblicana. Il presidente George Washington, nel suo discorso d’addio al congresso, denominato Farewell Address, del 1796, citò il principio del nonentanglement. Washington avvertì la nazione di mantenersi a giusta distanza dai vincoli europei per non venirne risucchiati e di sviluppare il proprio mondo resistendo alle ingerenze esterne. 

 

Gli Stati Uniti nel 1790. Immagini di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

Ad inizio Ottocento la Louisiana era in mano spagnola: il Regno di Spagna l’aveva acquistata dalla Francia nel 1763, in seguito alla Guerra dei Sette anni. La navigabilità del fiume Mississippi e la possibilità di accesso al Golfo del Messico attraverso New Orleans rappresentavano per la repubblica statunitense premesse fondamentali per il proprio sviluppo economico. Le regioni americane dell’Ovest dipendevano dall’utilizzo del fiume per trasportare le merci. La Spagna nel 1800, ormai ridotta a mero satellite dell’Impero napoleonico, accettò di restituirle la Louisiana.

 

Nel 1803 Napoleone offrì agli Stati Uniti l’intero bacino del Mississippi che diede un significativo consolidamento geopolitico e la libertà di accesso al Golfo del Messico. Con la Spagna sempre più fiacca, la Francia definitivamente fuori dai giochi e l’Inghilterra presente in Canada ma con i territori del Nord Ovest attraversati dagli affluenti del grande fiume americano, il contrasto europeo all’espansionismo americano risultava ampiamente indebolito.

 

Il Trattato Adams-Onís del 1819 portò definitivamente alla realizzazione dell’obiettivo di trasformare gli Stati Uniti in una repubblica transcontinentale. L’accordo prevedeva la cessione delle due Floride e la rinuncia della Spagna a qualsiasi pretesa sui territori dell’area del Nord-Ovest fino al Pacifico. La parallela crisi in America Latina stava portando alla definitiva distruzione dell’impero spagnolo.

Acquista la t-shirt DONALD KRAKEN

Le varie repubbliche indipendenti nate a cavallo tra gli anni Dieci e Venti dell’Ottocento vennero salutate con entusiasmo come nuove realtà che avanzavano sulla stessa linea evolutiva statunitense. La posizione di Adams però si manteneva distaccata. Il pregiudizio nutrito verso le popolazioni latinoamericane cattoliche e spesso meticce e, soprattutto nei decenni successivi, l’orientamento razzista verso il Sudamerica avrebbe dominato l’opinione pubblica. 

 

La Dottrina Monroe del 1823 si riassumeva in tre principi chiave che avrebbero indirizzato il comportamento di politica estera statunitense verso il Sudamerica nei decenni a venire: la non colonizzazione Europea; il non intervento americano a discapito europeo; la non ingerenza reciproca tra America ed Europa. Il contenuto della dichiarazione di Monroe tornava ad affermare con veemenza una visione eccezionalista, internazionalista, anticoloniale e liberale. 

 

Verso la metà dell’Ottocento nel congresso americano si discuteva sul proseguimento dell’avanzamento imperiale a nord ovest nell’Oregon e a sud ovest nel Texas. Il 27 dicembre del 1845 sul New York Morning News uscì «The True Title», un articolo a firma di John O’Sullivan in cui appariva per la prima volta lo slogan «Manifest Destiny» («Destino manifesto»). Il destino degli Stati Uniti doveva essere quello di «occupare e conquistare l’intero continente» assegnato loro «dalla Provvidenza per realizzare il grande esperimento della libertà e dell’autogoverno federale».

 

Già dai primi anni Venti dell’Ottocento, molti coloni statunitensi erano stati incoraggiati dal governo messicano a stabilirsi nelle scarsamente popolate terre del Texas, superando in pochi anni gli spagnoli per numero di abitanti. Le tensioni e le instabilità che ne derivarono portarono a tensioni tra i coloni texani e il governo messicano. Nello scontro tra i due eserciti, i messicani furono sconfitti nella battaglia di San Jacinto dell’aprile del 1836.

 

Il Texas venne annesso agli Stati Uniti solamente dopo una decina di anni da una spregiudicata mossa politica del presidente uscente Tyler il primo maggio 1845. Il confine venne spostato sul Rio Grande, molto più a sud di quanto non lo fosse in precedenza, determinando una condizione impossibile da accettare per il Messico. Nel maggio del 1846 un contingente messicano attraversò il Rio Grande e attaccò le truppe americane.

 

La guerra terminò assai rapidamente nel 1847 con l’invasione di Città del Messico. Il vivace dibattito interno fra le fazioni rappresentanti il sud e il nord del paese si concentrò sull’annessione completa del Messico, ma le teorie razziste prevalsero, imponendo di mantenere quanto più possibile il confine sulla color line, il confine della razza.

 

Vignetta satirica del 1896 di Victor Gillam (1867–1920): europei e latinoamericani fuori dalla linea tracciata dallo Zio Sam; immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

Con il Trattato di Guadalupe Hidalgo del gennaio 1848, il Messico accettava la sottrazione del Texas sul confine del Rio Grande, e inoltre anche i territori del Nuovo Messico e della California, perdendo così un terzo del suo territorio.

 

Gli Stati Uniti, invece, riuscivano a concludere il processo di unificazione continentale del Paese da costa a costa. 

 

Marco Dolcetta Capuzzo

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di John Gast (1842–1896), American Progress (1872), Autry Museum of the American West, Los Angeles.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Spirito

Turchia, scoperte pagnotte di 1.300 anni con l’immagine di Cristo Seminatore

Pubblicato

il

Da

Nel sito di Topraktepe, nella Turchia meridionale, un gruppo di ricercatori ha scoperto cinque pani carbonizzati recanti iscrizioni e immagini religiose. Uno raffigura Cristo che semina il grano, accompagnato da una dedica in greco, mentre gli altri recano croci maltesi.   La scoperta è avvenuta a Topraktepe, un sito identificato come l’antica città bizantina di Irenopolis, situata nell’attuale provincia turca di Karaman, in Anatolia. Gli archeologi hanno rinvenuto cinque pagnotte carbonizzate che, secondo gli esperti, potrebbero essere state utilizzate durante le celebrazioni liturgiche da una comunità cristiana rurale dedita principalmente all’agricoltura, risalenti al VII o VIII secolo.   «Questi pani, risalenti a oltre 1.300 anni fa, gettano nuova luce su un affascinante capitolo della vita bizantina. Dimostrano che la fede andava oltre preghiere e cerimonie, manifestandosi in oggetti che davano un significato spirituale a un bisogno umano fondamentale: il pane», ha spiegato uno dei membri del team di scavo.   I ricercatori hanno affermato che i pani si sono conservati dopo che un incendio, probabilmente domestico, li ha improvvisamente carbonizzati, preservandone la forma e la decorazione. I funzionari provinciali hanno definito la scoperta «uno degli esempi meglio conservati finora identificati in Anatolia», secondo il quotidiano Posta .   Il sito di Topraktepe aveva già portato alla luce resti di necropoli, camere scavate nella roccia e fortificazioni, ma pochi oggetti riflettevano così direttamente la devozione quotidiana dei suoi abitanti. «Questa scoperta è interpretata come prova del valore simbolico dell’abbondanza e del lavoro nella spiritualità dell’epoca», ha aggiunto una dichiarazione ufficiale citata da Star.

Iscriviti al canale Telegram

Come sottolinea Anatolian Archaeology, queste scoperte «forniscono prove materiali dirette di pratiche cristiane provinciali, raramente accessibili al di fuori di fonti scritte. Questo risultato conferisce al sito un interesse molto speciale per lo studio dell’espressione locale e provinciale del cristianesimo bizantino».   Gli studiosi hanno sottolineato che queste testimonianze rurali differiscono dalle forme di culto urbane di Costantinopoli, dimostrando come la religiosità contadina rimanesse strettamente legata al ciclo agricolo. Irenopoli, situata lungo una rotta commerciale, viveva di agricoltura e pastorizia; pertanto, la raffigurazione di Cristo come seminatore rifletteva fedelmente la vita e lo spirito di questa comunità cristiana.   Secondo La Vanguardia, i ricercatori collegano l’iscrizione al brano del Vangelo di San Giovanni (6,35): «Io sono il pane della vita». Questa scoperta, quindi, introduce un nuovo contesto archeologico a una delle metafore più profonde della fede cristiana.   Il team di archeologi prevede di condurre analisi chimiche e botaniche per determinare quali tipi di cereali e lieviti siano stati utilizzati nella preparazione del pane. Stanno anche cercando di stabilire se si trattasse di pane eucaristico, utilizzato nelle celebrazioni liturgiche, o di pane benedetto distribuito ai fedeli.   Va ricordato che il cristianesimo orientale utilizza, per la maggior parte delle chiese o dei riti, pane lievitato, non pane azzimo. Ma va anche notato che il pane antidoron, benedetto, ma non consacrato, veniva distribuito ai fedeli alla fine della messa, come talvolta avviene ancora con il pane benedetto.   Inoltre, sperano di individuare una cappella vicina che sarebbe stata utilizzata per conservare i pani prima dell’uso. «La conservazione del pane liturgico del VII o VIII secolo è estremamente rara. I pani di Topraktepe offrono quindi una finestra unica sul culto cristiano primitivo», ha concluso il team di ricerca.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da YouTube
 
Continua a leggere

Droga

La mafia ebraica, quella siciliana e il traffico di droga USA nel periodo interbellico

Pubblicato

il

Da

Secondo Alfred W. McCoy nel suo The Politics of Heroin: CIA Complicity in the Global Drug Trade, dagli anni venti del Ottocento negli Stati Uniti la malavita ebraica aveva controllato lo smercio dell’eroina per le strade americane. Si era creata questa situazione soprattutto perché la mafia siciliana aveva seguito una linea tradizionale ed idealistica in cui vietava al suo interno gli affari riguardanti prostituzione e narcotraffico.

 

In questo modo, questo tipo di affari venne prese completamente in mano da potenti gangster ebrei come Irving «Waxey Gordon» Wexler, Arnold Rothstein o Louis «Lepke» Buchalter. 

 

Nel 1917 il New York Kehillah, un’agenzia della comunità ebraica, aveva pubblicato una serie di studi sul problema della droga a New York City. I risultati raccontavano come su 283 spacciatori di droga catalogati si potevano contare tra loro, 83 ebrei, 23 italiani, 8 irlandesi, 5 afroamericani e 3 greci. Riguardo lo specifico caso dello smercio della cocaina riscontrarono come l’85% fossero costituito da ebrei e il restante 15% da italiani. 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Allo stesso modo quando il proibizionismo cominciò nel 1920, altri criminali ebrei cominciarono i loro affari, Benjamin «Bugsy» Siegel, Arthur Schulz e Meyer Lansky e in breve tempo avevano preso il controllo del contrabbando di liquori. Negli anni Venti, delle diciassette maggiori organizzazioni, sette erano ebree, cinque italiane, tre irlandesi. Prima dell’inizio della guerra i nomi più noti vennero piano piano fatti fuori o arrestati, l’unico che rimase e che continuò la sua ascesa fu Lansky grazie ad un’alleanza con gli italiani. 

 

Dagli anni Trenta però una nuova generazione di malavitosi italiani cominciarono a prendere il potere all’interno della mafia. In seguito anche a una guerra senza precedenti che lasciò sul campo più di sessanta gangsters uccisi si cominciò a modificare il codice d’onore della tradizione. Il carismatico capofila di questa nuova ondata di giovani mafiosi era Salvatore C. Lucania, meglio conosciuto come Lucky Luciano. 

 

Dopo una serie di «riunioni» dove eliminò la vecchia guardia, delineò la sua idea di riorganizzazione del cartello in un sistema più moderno e di respiro mondiale. Vincendo il supporto delle ventiquattro famiglie mafiose americane, Luciano fu in grado di far diventare la mafia la più importante organizzazione criminale americana, mettendo in atto tecniche organizzative pionieristiche per l’epoca.

 

L’alleanza con la malavita ebraica, in particolar modo con la persona di Meyer Lansky, durò oltre quarant’anni contribuendo a farla diventare la caratteristica principale della criminalità organizzata americana. 

 

L’eroina era un sostituto interessante per l’alcool. Nonostante i numeri dei tossicodipendenti non fossero comparabili, l’eroina aveva dei notevoli vantaggi. La sua recente entrata nella famiglia delle sostanze proibite la rendeva attraente per via di un mercato enorme ancora da esplorare. Era più leggera e si trasportava con meno spesa. Le sue fonti produttive limitate la rendevano facile da monopolizzare. 

 

L’eroina oltretutto si rendeva perfettamente complementare all’altro nuovo segmento di mercato esplorato da Luciano: l’organizzazione della prostituzione su una scala mai vista prima. L’unione tra tossicodipendenza e prostituzione organizzata divenne il marchio di fabbrica della mafia di Luciano negli anni trenta. Nel 1935 controllava duecento bordelli solamente a New York e circa mille duecento prostitute, unendo questo alle scommesse e dal controllo dei sindacati la mafia aveva nuovamente raggiunto la sua sicurezza finanziaria. 

 

Attraverso minacce e taglio dei prezzi la svolta data da Luciano si fece sentire presto nelle strade di New York. Con il crollo della purezza dell’eroina, fumarla non produceva più gli effetti desiderati, costringendo i consumatori a doversela iniettare sotto pelle. Secondo uno spacciatore di Times Square: «gli italiani stavano vendendo merda piena di chimica e acidi… sono talmente tanto affamati di soldi che l’hanno tagliata almeno una mezza dozzina di volte».

 

Verso la fine degli anni Trenta, in ogni caso, l’organizzazione di Luciano cominciò a perdere colpi. Lo schema quasi industriale con cui aveva costruito il suo monopolio sulla prostituzione soprattutto, si rivoltò contro di lui. Le prostitute si organizzarono per denunciarlo. Thomas Edmund Dewey quindi, procuratore distrettuale di New York, dopo aver già condannato Waxey Gordon, riuscì a infliggere una pena dai trenta ai cinquant’anni a Luciano e ai suoi nove coimputati italiani ed ebrei, per prostituzione forzata.

 

Durante gli anni Trenta la quasi totalità delleroina arrivava da raffinerie posizionate a Shanghai e a Tientsin, con qualche eccezione della Marsiglia dei corsi e della tratta del Medio Oriente in mano ai fratelli Eliopoulos. Con la fine della guerra le raffinerie cinesi avevano appena ricominciato a produrre ma con l’arrivo a Shanghai di Mao Tse-Tung e del suo esercito, tutti i trafficanti dovettero sparire. I fratelli Eliopoulos si erano ritirati con l’arrivo del conflitto e i marsigliesi soffrirono dell’alleanza con la Gestapo che li aveva infine portati alla rovina o all’esilio. La mafia in Sicilia allo stesso modo era ridotta ai minimi termini avendo sofferto vent’anni di oppressione da parte della polizia fascista di Mussolini. 

 

Con larrivo della guerra, l’attenzione maniacale derivata dalla potenziale presenza di spie aveva reso gli accessi al territorio statunitense praticamente invalicabili. La maggioranza dei tossicodipendenti erano stati forzati a trovare una soluzione alla mancanza di materia prima e di conseguenza il consumo di eroina negli Stati Uniti si era ridotto al minimo storico. Assieme a questo, gli operatori logistici illegali del traffico di stupefacenti avevano sofferto della mancanza di introiti e avevano raggiunto un livello di debolezza mai visto.

Aiuta Renovatio 21

Con la tossicodipendenza ai minimi storici nella società americana e la malavita mondiale ridotta in ginocchio da anni di distruzione e oppressione militare, la possibilità di far scomparire per sempre il narcotraffico era alla portata di mano della polizia americana. Al contrario, invece, la volontà della CIA fu quella di utilizzare questi canali irregolari per produrre dei proxy coperti in grado di operare nel momento del bisogno al lontano da sguardi indiscreti e senza necessità di ottenere l’approvazione del congresso o, peggio ancora, del popolo americano. Operazioni clandestine pagate dal narcodollaro a favore della lotta al comunismo.

 

La stessa situazione si può ritrovare a pochi decenni di distanza incontrando però attori diversi che seguono uno schema simile. La filiera produttiva latino americana venne preferita a quella asiatica ma allo stesso modo gruppi di proxy favoriti da ufficiali della CIA spinsero l’afflusso di cocaina prima e del suo surrogato povero, il crack, in seguito negli Stati Uniti. La quantità enorme di coca raffinata che arrivò in quegli anni negli Stati Uniti portò a stravolgere la cultura dell’epoca, non solo americana. 

 

Ne parlò in anticipo sui tempi Gary Webb con i suoi articoli online nel 1996 sul sito del San José Mercury News che divennero poi Dark Alliance: The CIA, the Contras and the Crack Cocaine Explosion. Venne screditato apertamente dal gotha del giornalismo e dell’intellighenzia americana che produssero contro di lui svariati rapporti negando l’esistenza di prove e assieme anche qualsiasi possibilità di replica.

 

La vita di Webb, in seguito anche a una profonda depressione conseguenza delle difficoltà che dovette affrontare, terminò con quello che è stato ritenuto un suicidio frutto di ben due colpi di pistola alla testa. 

 

Marco Dolcetta Capuzzo

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine: foto segnaletica di Bugsy Siegel, dipartimento di Polizia di Nuova York, 12 aprile 1928.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Droga

Alla fonte dell’antico traffico mondiale dell’eroina

Pubblicato

il

Da

Alfred W. McCoy pubblicò nel 1972 The Politics of Heroin in Southeast Asia, un libro che diede scalpore e che venne ampiamente discusso alla sua uscita anche dalla stessa CIA, in cerca di potenziali errori al suo interno.   L’ultima edizione riveduta e ampliata risale al 2003 e venne rinominata, più accuratamente, The politics of heroin: CIA complicity in the global drug trade. McCoy storico accademico e autore, si specializzò inizialmente in storia delle Filippine per poi deviare verso la storia del traffico illecito di sostanze stupefacenti.    All’uscita del libro nel 1972, a 26 anni ancora dottorando a Yale in Storia del Sud-Est Asiatico, accusò e testimoniò di fronte a un comitato del Senato statunitense la complicità di un gruppo di persone per la produzione e la ridistribuzione della raffinazione del papavero da oppio.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

In una copia del Daytona Beach Morning Journal del primo giugno del 1972, possiamo trovare riassunti tutti i punti portati da McCoy davanti al comitato. Le accuse di McCoy comprendevano la più alte sfere militari laotiane, cambogiane, sud vietnamite e tailandesi. Alcuni intermediari come la mafia corsa di Marsiglia e la famiglia malavitosa di Santo Trafficante di Miami. Infine accusò ufficiali americani complici di aver condonato e addirittura cooperato per sostenere questo schema di tratta illegale di stupefacenti in seguito a vantaggi politici e militari.    La pronta risposta dalle istituzioni americane chiamate in causa non tardò ad arrivare commentando con fermezza che le accuse lanciate non avevano incontrato alcun riscontro e neppure alcuna prova di colpevolezza. Al contrario, sottolineavano, come se non fossero bastate già le accuse, che la collaborazione con le più alte sfere politiche e militari del Sud-Est asiatico non era mai stato così solida.    McCoy spiegava come il traffico di eroina e oppio in Vietnam del Sud era diviso tra le organizzazioni politiche del presidente Nguyen Van Thieu, il vice presidente Nguyen Cao Ky a il primo ministro Tran Van Khiem. Secondo l’autore, la sorella del generale Ky, la signora Nguyen The Ly, viaggiava una volta al mese a Vientiane, la capitale del Laos, per organizzare una spedizione di eroina verso Phnom Pehn o Pakse in Cambogia. Successivamente sarebbe stata presa in carico dalla quinta divisione aerea vietnamita in direzione Saigon.    Lo studioso descriveva come il primo fornitore della signora Ky fosse un malavitoso cinese chiamato Huu Tim Heng il quale a sua volta utilizzava la sua partecipazione nell’industria di imbottigliamento di Pepsi di Vientiane come copertura per l’importazione dei prodotti chimici necessari. Heng a sua volta comprava l’oppio dal generale Ouane Rattikone chief of staff del reale esercito del Laos.    Lo storico ricordava come il generale Rattikone aveva ammesso di controllare il commercio di oppio nel Laos settentrionale e ponentino fin dal 1962 ma oltre a questo anche i sistemi per la sua produzione. La somma delle due iniziative lo facevano risultare come il più grande fabbricante del paese. L’eroina prodotta da Rattikone era di tale qualità che veniva venduta direttamente anche alle truppe americane nel Vietnam del Sud.    McCoy spiega come la maggioranza del traffico di oppio nel Laos del nordest era controllato dal generale Vang Pao, comandante delle truppe mercenarie sostenute dalla CIA. Allo stesso modo il governo della Tailandia permetteva ai ribelli birmani, ai nazionalisti cinesi irregolari e alle bande armate di mercenari, di muovere enormi carovane di muli carichi con centinaia di tonnellate di oppio birmano attraverso i confini della Tailandia settentrionale. Secondo l’accusatore, alcuni tra i più vicini sostenitori del presidente Thieu all’interno dell’esercito vietnamita controllavano la distribuzione e la vendita dell’eroina ai soldati americani di stanza in Indocina.    L’autore racconta come Santo Trafficante, principale rappresentante della sua famiglia mafiosa, organizzò assieme ai più importanti membri della cosca corsa di Marsiglia un incontrò a Saigon per aprire sempre più le strade all’eroina del Sud-Est asiatico verso le terre americane. 

Iscriviti al canale Telegram

Le dichiarazioni dello studioso andavano anche verso il generale Dang Van Quang, consigliere militare del presidente Thieu, inquadrato come il più importante pusher di tutto il Vietnam meridionale. Secondo alcuni ufficiali americani, il generale Ugo Dzu, risultava come uno dei maggiori trafficanti di narcotici di tutto il Vietnam centrale. Secondo il libro, il generale, comandante della seconda armata, venne rimosso successivamente dal suo incarico per incompetenza militare.    McCoy, non risparmiando nessuno, continua accusando anche le ambasciate americane in Indocina di tentare di coprire il più possibile il ruolo dei degli ufficiali locali palesemente implicati nella tratta di eroina. Secondo lo storico, McMurtrie Godley, ambasciatore statunitense in Laos, fece del suo meglio per prevenire l’assegnazione di ufficiali del U.S. Bureau of Narcotics al Laos per via del suo interesse nel continuare a cooperare con il governo e i militari laotiani.    Per chiudere con uno degli esempi più famosi e ritratti anche da un celeberrimo film con Mel Gibson e Robert Downey jr., nel Laos del Nord, i velivoli e gli elicotteri della Air America affittati dalla CIA trasportavano regolarmente oppio coltivato dai mercenari al soldo dell’agenzia.   Nell’articolo apparso sul New York Times del 9 agosto del 1972 possiamo scoprire come Harper & Row, Inc., la casa editrice, decise comunque di pubblicare il testo del giovane studioso nonostante le forti lamentele provenienti dall’agenzia.    Lawrence D. Houston, responsabile legale della CIA, richiese una copia per sua personale lettura precedente alla pubblicazione. B. Brooks Thomas, vice presidente e responsabile legale della società editrice, rispose che le accuse arrivate in seguito al controllo del testo si erano rivelate generaliste e anche abbastanza deludenti.    In un intervista successiva McCoy sottolineò quanto fosse stupito dalla disparità intercorsa tra la iniziale roboante, militante critica della CIA sul libro e la lettera finale che si era rivelata essere molto debole al limite del patetico.    Marco Dolcetta Capuzzo

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di D Guisinger via Wikimedia pubblicata su licenza Creaative Commons Attribution 2.0 Generic
Continua a leggere

Più popolari