Psicofarmaci
Domanda: il presunto assassino patriarcale assumeva psicofarmaci?

Filippo Turetta, il presunto assassino di Giulia Cecchettin, sta tornando ora in Italia dalla Germania, dove era stato arrestato. Atterrerà a Venezia con un volo militare, perché, è stato riferito, si temeva che con un volo di linea potevano ingenerarsi problemi, con magari gruppi di passeggeri pronto a realizzare un linciaggio in volo.
Il trasporto su velivoli dello Stato, così come il minuto di silenzio inflitto ai nostri figli piccoli, fanno capire quanto la storia sia fondamentale per il potere centrale. Immaginiamo l’atmosfera del processo, non così diversa, per pressione assoluta delle istituzioni e dell’opinione pubblica, da quella di Derek Chauvin, il poliziotto condannato per la morte di George Floyd, accoltellato ieri in carcere (come sa il lettore di Renovatio 21, certi referti autoptici emersi recentemente in tribunale scrivono che Floyd morì non per strangolamento, sconfessando quindi la sentenza).
I casi due sono tuttavia diversissimi, e diciamo subito che, per quanto ci riguarda, se considerato colpevole, propenderemo per possibilità giuridiche peggiori dell’ergastolo, purtroppo non attualmente contemplate dal nostro ordinamento. La questione, come abbiamo visto, è che questo non basta: la punizione totale del ragazzo non è abbastanza, perché il problema è l’uomo, l’umanità maschile e la società così come la conosciamo, il patriarcato, di cui Filippo, è stato detto, «è un figlio sano».
È impressionante la quantità di dettagli che stanno uscendo su questa vicenda, di cui di fatto si sa pochissimo. Erano stati chiamati i carabinieri, che non sarebbero intervenuti (lo abbiamo saputo solo ora, dopo giorni). Filippo dormiva con l’orsacchiotto, e il padre dice che la loro non era una famiglia patriacale (il problema, ha detto qualche commentatore, potrebbe essere quindi proprio quello). L’avvocato di Turetta ha lasciato sui social in passato certi commenti ritenuti inopportuni, ed è stato per questo cambiato dalla famiglia (anche qui, notare come l’aria intorno al processo sia già innocente).
Vi sono minuzioserie delle ricostruzioni che si sono dimostrate avventate, inesatte, per non dire false. Per esempio, era stato detto, da agenzie riprese da tutti i giornali, che Giulia era stata «buttata in un dirupo». «Giulia Cecchettin gettata da un dirupo alto 50 metri. Il corpo trovato da un cane della Protezione civile» ha titolato il Quotidiano Nazionale, che ha aggiunto che «zona impervia è molto frequentata dai lupi, ma il cadavere della ragazza non è stato attaccato».
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Sui giornali era uscito pure che la ragazza non era morta quando veniva lanciata nel crepaccio. «Giulia Cecchettin, per la Procura Turetta l’ha “gettata agonizzante nel dirupo”» è il titolo che ha fatto Il Tempo. «Filippo Turetta si sarebbe sbarazzato del corpo agonizzante della ex fidanzata gettandolo nel dirupo», scrive l’AGI.
Sei giorni fa Il Giornale scriveva invece che «secondo la ricostruzione delle forze dell’ordine Filippo Turetta avrebbe trascinato il corpo di Giulia sul ciglio della strada per poi lasciarlo rotolare lungo un dirupo per oltre una cinquantina di metri di profondità, fino a quando il corpo della ragazza si è fermato in un canalone». L’immagine è assai diversa da quella che ci avevano dipinto nella mente poco prima, quella di un uomo che lancia in un abisso una donna, l’icona perfetta dell’assassino patriarcale. L’orrore sostanziale, lo sottolineiamo, non cambia: una ragazza accoltellata a morte, brutalmente. Tuttavia qui quello che vogliamo sottolineare non riguarda il delitto, ma lo spin che ne si è dato, l’ottica mediatica utile alla narrazione dominante.
Poi la storia del sangue. Secondo il TG La7 (quello di Mentana) tracce ematiche sarebbero state trovate sotto casa di Giulia. Altre testate sostengono che tracce di sangue si sarebbero trovato fuori dall’azienda Christian Dior, dove la videocamera avrebbe ripreso l’aggressione di Filippo contro Giulia. I giornali tre giornali fa scrivevano che Turetta era stato arrestato in Germania tutto sporco di sangue.
Poi ieri la notizia: «non ci sono tracce evidenti di sangue nella vettura». I pochi che prestano attenzione potrebbero avere la mente che vacilla, o persino peggio: no, non fate tornare su le storie di scarpe e impronte sangue, la bicicletta, e tutto il buco nero di quell’antico delitto lombardo… No, Garlasco no, vi preghiamo, non un’altra volta.
È curioso, e come sempre indicativo, che tra tutta questa marea di dettagli sul caso – veri, falsi, giusti, incongrui – manchi la domanda più centrale, la solita domanda che nessuno osa porre dopo delitti in famiglia e stragi di ultraviolenza casuale: il presunto assassino stava assumendo qualche droga?
Riformuliamo per il benpensante, che non ha ancora capito che nella farmacia sotto casa può comprare, su ricetta data abbastanza facilmente, sostanze psicoattive totalmente legali, che alterano la psiche in maniera potente, ma che – per ragioni politiche e commerciali che possiamo comprendere – non chiamiamo «droghe»: gli psicofarmaci.
Quindi, ripetiamo la domanda che i media non stanno facendo, e non faranno mai: Filippo Turetta stava assumendo psicofarmaci?
Il ragazzo era sotto l’influsso di qualche sostanza che gli era stata prescritta? In ipotesi, potrebbe essere che il ragazzo fosse andato in cura per lo stato di malessere patito quando era stato lasciato da Giulia? Non che ci voglia un gran processo terapeutico: «dottore sono depresso»; eccoti la sertralina.
Chi è nuovo non sa che quella contro gli SSRI – gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina – e gli psicofarmaci in generale è una battaglia che portiamo avanti da anni su Renovatio 21.
Segnaliamo il tremendo pericolo non per una questione morale, religiosa e nemmeno solo medica – gli effetti sulla salute sono orrendi, dall’anedonia (incapacità di provare piacere, anche sessuale) alla dipendenza più acuta, dai rischi per le donne in gravidanza (sempre sottovalutati), dal torpore esistenziali alle crisi che ha confessato di recente il cantante Fedez.
Non c’è solo il danno alla persona: c’è da considerare il danno alla società. Perché l’idea che i delitti e le stragi più insensate siano frutto del consumo di psicofarmaci avanza sempre più, nonostante la censura dei media – e il motivo è facile da comprendere: senza il budget pubblicitario farmaceutico, quale TV, quale giornale, può sperare di campare? Quanta politica – in USA, soprattutto, dove è possibile la pubblicità diretta da parte di Big Pharma, ma non solo – foraggiata da «lobbysti» perderebbe qualcosa, se fosse solo posta la domanda?
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Il fatto è che dietro ad ogni strage di cui avete sentito parlare, anche in Italia, potrebbe esserci uno psicofarmaco. Notate: vi dicono, di solito, che l’assassino era «in cura», ma non vi dicono come. Giornalisti d’inchiesta americani scrivono che a volte ci vogliono mesi per riuscire a capire quale farmaco prendesse il mostro, un dettaglio che diviene disponibile dopo pochi minuti: basta guardargli nell’armadietto in bagno. Tuttavia, in vari casi l’informazione non esce, neanche lontanamente.
Ai giornali, quelli che fanno soldi dipingendo scene di sangue, e che per deontologia dovrebbero cercare radicalmente la verità, pare non interessare l’origine del crimine, anche quando è evidente che se proprio se ne occupassero i giornalisti, il problema potrebbe diminuire drasticamente.
Facciamo qualche esempio, tratto dalle cronache degli USA, dove più di qualcuno, fuori dal mainstream, ha da tempo iniziato ad unire i puntini.
Eric Harris, il perpetratore del massacro della scuola Columbine (1999) era sotto Zoloft, cioè la sertralina, ed anche Luvox, fluvoxamina.
Un anno prima, un quindicenne di nome Kip Kinkel ha sparato ai suoi genitori e a dozzine di compagni di classe: era sotto fluoxetina, cioè Prozac.
Nel 2005, un sedicenne di nome Jeff Weise ha ucciso suo nonno e dieci bambini in Minnesota. Prozac.
Idem per il 27enne Steven Kazmierczak che ha ucciso sei persone alla Northern Illinois University (2008). Fluoxetina.
Ricorderete il massacro di Aurora, in Texas, nel 2012, quando un tizio vestito da Joker entrò in un cinema dove proiettavano l’ultimo Batman e massacrò 82 spettatori: si trattava del 25enne James Holmes, che era sotto Zoloft.
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La lista è molto, molto più lunga di così. Tuttavia non parliamo per aneddoti. Timidi studi sull’associazione tra SSRI e violenza sono stati fatti negli anni scorsi. Un gruppo di ricercatori svedesi nel 2017 ha pubblicato uno studio chiamato «Associazioni tra inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e criminalità violenta negli adolescenti, nei giovani e negli anziani».
La ricerca «identificava individui a cui era stato somministrato un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI) di età compresa tra 15 e 60 anni nel periodo 2006-2013, utilizzando i registri nazionali svedesi. Il risultato è stato una condanna per reato violento. Le principali analisi statistiche hanno valutato i rischi di criminalità violenta durante i periodi di trattamento con SSRI rispetto a quelli di disattivazione all’interno degli individui».
Lo studio conclude dicendo che «sebbene permangano dubbi sulla causalità, questi risultati indicano che potrebbe esserci un aumento del rischio di crimini violenti durante il trattamento con SSRI in un piccolo gruppo di individui. Può persistere durante i periodi di terapia, tra i gruppi di età e dopo l’interruzione del trattamento».
Uno studio dell’Università di Cambridge del 2022 aveva un titolo ancora più esplicito e promettente: «inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e criminalità violenta: gli SSRI uccidono o curano?».
«Gli SSRI sono costantemente associati a eventi violenti nella popolazione adulta. (…) Diversi studi recenti attirano l’attenzione su questa ipotesi mentre sono stati ispirati da diversi assassini di massa negli Stati Uniti» scrivevano gli scienziati cantabrigiensi, i quali concludevano che tutto sommato gli psicofarmaci erano «sicuri per la popolazione» (dov’è che abbiamo già sentito questa espressione?). Niente da vedere qui, circolare. Tuttavia, «Tuttavia, è stato osservato un aumento del rischio di comportamento violento nei giovani e in quelli con una storia di crimini violenti».
Si tratta, per la comunità scientifica, di una prima, lieve ammissione che riveste un’importanza enorme.
Fino a poco fa, il problema della violenza SSRI era stato «inscatolato» nella questione del suicidio. Nei bugiardini americani della sertralina, ad esempio, era stato introdotto un «black box warning» («avvertimento da scatola nera»), il babau di ogni casa farmaceutica: è una parte evidenziata del libretto che indica un effetto avverso particolarmente grave, che in questo caso era l’ideazione suicidaria.
In pratica: prendi lo psicofarmaco per non suicidarti, e invece finisci proprio per progettare la tua morte. E magari riuscirci.
Come sia stato possibile che la comunità scientifica, politica, sanitaria abbia accettato una cosa del genere – un farmaco che può portarti ad ucciderti? Una pillola della morte? – rimane un grande mistero.
Ma ancora più enigmatico, pensiamo, è il fatto che tutti le persone coinvolte, dai dottori ai pazienti agli enti regolatori, si siano bevuti la questione per cui tale effetto paradosso riguardi solo la propria morte e non anche quella delle persone che ci stanno intorno.
Se ammettiamo che la psicodroga legale possa alterarti il cervello al punto dal percepire odio per la vita, come è possibile che questo riguardi solo la propria?
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Esattamente come altre droghe, la mente alterata dal farmaco può generare pensieri abnormi, sensi di persecuzione, sentimenti indicibili per cui la morte è preferibile alla vita. Le stragi in famiglia, dove il genitore uccide il consorte e i figli, possono spiegarsi così, con il rivoltamento morale definitivo dell’animo umano, la sua inversione. Il padre ammazza i cari che deve proteggere, la madre uccide i bambini a cui ha dato la vita: tanti casi così, in cui la mente umana sembra improvvisamente rovesciata. Lo stesso, e tremano i polsi a dirlo, potrebbe essere vero per i piloti che schiantano al suolo l’aereo con a bordo centinaia di persone.
Non si tratta, badi bene, di sola modifica dell’umore del soggetto, ma di un radicale cambiamento del suo pensiero: spinto nei suoi convincimenti apocalittici, lo psicodrogato programma, medita, premedita. La «cura», lo sappiamo, può andare avanti per mesi, anni, può andare avanti per sempre. Quanti medici di famiglia prescrivono lo psicofarmaco senza nemmeno visitare davvero il paziente?
Anni fa, ricordiamo ancora, era possibile vedere una trasmissione che citava la possibile correlazione tra violenza e psicofarmaci su un canale TV pubblica italiana. Oggi, come ovvio, il panorama si è arricchito decisamente della censura farmaceutica, e con il COVID abbiamo imparato che non è consentito criticare aziende che magari hanno alle spalle processi con multe miliardarie – magari, in certi casi, qualche paziente morto nel percorso.
Quindi, non aspettiamoci che, fuori dal povero sito di Renovatio 21, qualcuno farà questa domanda. Vi diranno di che colore è l’orsetto di pelouche di Filippo Turetta, ma mai e poi mai faranno una domanda sui farmaci che il ragazzo potrebbe aver preso.
Del resto, non dovete pensare che, come per i vaccini, anche questo non rientri in un grande piano globale, che però vi riguarda da vicino. Se non ci credete, c’è un libro che fa al caso vostro: Il mondo nuovo di Aldous Huxley, l’uomo erede di una famiglia di aedi del Nuovo Ordine Mondiale.
I più credono che si tratti di un romanzo distopico, ma basta leggere il testo che in genere vi è accluso (Ritorno al mondo nuovo, nelle edizioni italiane) per capire invece che per Huxley si trattava invece di un manifesto per la riformulazione del mondo sotto un sistema di tecnocrazia totale, con l’esistenza umana gestita dalla produzione in provetta di embrioni selezionati alla cremazione eutanatica.
Ebbene, c’è questo elemento che colpisce nel Mondo nuovo huxleyano: i cittadini, divisi in caste genetiche e distratti con continue orge (hanno abolito la proprietà privata, e con essa la monogamia), vengono costantemente drogati dal soma, una pillola che ne alza e ne stabilizza l’umore. Drogati e felici per ordine dello Stato tecnocratico.
Del resto, se gli psicofarmaci fanno bene, e sono, come dicono gli esperti, sicuri per la popolazione, perché non dovremmo prenderli tutti? Perché non dovremmo concederci una vita felice con la tecnologia psicochimica?
Non ho idea se Filippo prendesse o meno psicofarmaci. Ma davanti a questa tragedia, sono queste le questioni che mi pongo. Perché, per rasoio di Occam, a rendere qualcuno violento, più che il patriarcato, potrebbe essere stata una sostanza che altera la mente.
Non è un dettaglio. È una faccenda centrale per una società che vuole proteggersi, che vuole vivere. La nostra lo è ancora?
Roberto Dal Bosco
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Immagine elaborata a partire da immagini Envato
Gravidanza
Gli antidepressivi in gravidanza aumentano il rischio di difetti alla nascita

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Le etichette della FDA non menzionano i rischi identificati dalle recenti ricerche
Tracy Beth Høeg, MD, Ph.D., consulente senior per le scienze cliniche presso la FDA e moderatrice del panel di lunedì, ha affermato in un video sull’evento che l’attuale etichetta di avvertenza della FDA per «almeno un SSRI» non menziona i rischi identificati in studi recenti, tra cui «tassi più elevati di aborto spontaneo, parto prematuro ed effetti negativi sullo sviluppo neurocognitivo del bambino». Secondo la Mayo Clinic, gli SSRI sono una classe di farmaci che bloccano la ricaptazione della serotonina da parte delle cellule cerebrali e sono gli antidepressivi più comunemente prescritti. Gli SSRI attraversano la barriera placentare e ematoencefalica e passano nel latte materno, potendo così influire sullo sviluppo cerebrale del feto. Il dottor Adam Urato, primario di medicina materna e fetale presso il MetroWest Medical Center di Framingham, nel Massachusetts, ha affermato di ritenere che la FDA debba rafforzare le avvertenze. «Mai prima nella storia umana avevamo alterato chimicamente lo sviluppo dei bambini in questo modo, in particolare lo sviluppo del cervello fetale, e questo sta accadendo senza alcun reale preavviso pubblico, e questo deve finire», ha affermato Urato. Le autorità di regolamentazione devono essere creative nel modo in cui informare le donne sui possibili rischi degli SSRI, ha affermato il dottor Josef Witt-Doerring, psichiatra specializzato nell’identificazione e nel trattamento delle reazioni avverse ai farmaci in ambito psichiatrico ed ex responsabile medico della FDA. Avere un codice QR«proprio sui tappi delle bottiglie con la scritta “guardami”» e link a «video di facile lettura per i pazienti che parlano dei rischi più importanti… potrebbe fare miracoli», ha affermato Witt-Doerring.Iscriviti al canale Telegram
Gli SSRI sono efficaci?
Alcuni relatori hanno criticato la teoria secondo cui gli SSRI sarebbero efficaci nel trattamento della depressione e hanno condiviso le prove della loro inefficacia. La dottoressa Joanna Moncrieff ha mostrato al panel una diapositiva che mostrava i risultati di uno studio, da cui emergeva che la differenza negli effetti tra i soggetti a cui era stato somministrato un antidepressivo e quelli a cui era stato somministrato un placebo era «assolutamente minuscola». Moncrieff è professore di psichiatria critica e sociale presso l’University College di Londra e autore di Chemically Imbalanced: The Making and Unmaking of the Serotonin Myth. La NBC News, sotto il titolo «Un comitato della FDA promuove la disinformazione sugli antidepressivi durante la gravidanza, affermano gli psichiatri», ha citato i medici che hanno contestato l’attacco all’efficacia degli SSRI. Il dottor Joseph Goldberg, professore di psichiatria clinica presso la Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York ed ex presidente dell’American Society of Clinical Psychopharmacology, ha dichiarato alla NBC: «si può dire che lo sbarco sulla Luna sia stato un inganno. Le teorie del complotto abbondano nel nostro mondo. Ma non c’è dubbio sull’efficacia degli SSRI». Goldberg è un ex consulente dell’industria farmaceutica. Nel 2018, ha ricevuto oltre 140.000 dollari dalle aziende farmaceutiche, secondo i dati ottenuti da ProPublica. Goldberg ha dichiarato alla NBC che la FDA lo aveva invitato a partecipare al dibattito, ma lui ha rifiutato perché, stando al tenore dell’invito, riteneva che l’evento “non sarebbe stato un dibattito equo”, secondo quanto riportato dalla NBC.Aiuta Renovatio 21
Non è facile smettere di prendere gli SSRI
I relatori hanno anche citato ricerche che dimostrano quanto sia difficile per alcune persone sospendere gradualmente l’assunzione degli SSRI una volta iniziato il trattamento. «Abbiamo condotto uno studio che ha dimostrato che, tra le persone che avevano assunto antidepressivi per due anni, l’80% non riusciva a smettere di prenderli nonostante i tentativi», ha affermato Moncrieff. Il rapporto «Make America Healthy Again» ha criticato la «sovramedicalizzazione» dei giovani statunitensi con farmaci, inclusi gli SSRI. Il rapporto citava una ricerca che dimostrava che alcune persone che interrompono l’assunzione di SSRI manifestano sintomi di astinenza dovuti alla dipendenza fisica. Uno studio pubblicato all’inizio di questo mese su JAMA Psychiatry ha riferito che i pazienti che avevano smesso di assumere antidepressivi, compresi gli SSRI, avevano manifestato sintomi una settimana dopo l’interruzione del farmaco, ma che tali sintomi erano «al di sotto della soglia per un’astinenza clinicamente significativa». Tuttavia, critici come James Davies, Ph.D., professore associato di psicologia all’Università di Roehampton in Inghilterra, hanno affermato che la maggior parte degli studi esaminati dagli autori dello studio JAMA ha seguito solo pazienti che avevano assunto antidepressivi per otto settimane. Davies, la cui ricerca del 2019 ha rilevato alti tassi di sintomi di astinenza, quasi la metà dei quali classificati come «gravi», ha dichiarato al New York Times: «se si osservano persone che assumono la cocaina da otto settimane, non si noterà l’astinenza. È come dire che la cocaina non crea dipendenza perché abbiamo condotto uno studio su persone che la assumevano solo da otto settimane». Davies ha affermato che lo studio del JAMA, «se letto in modo acritico», potrebbe «causare danni considerevoli minimizzando significativamente gli effetti dell’uso reale di antidepressivi». Suzanne Burdick Ph.D. © 22 luglio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD. Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Psicofarmaci
Antipsicotici e psicofarmaci SSRI prescritti ai bambini autistici

Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La FDA ha approvato solo due farmaci, entrambi antipsicotici, per il trattamento dei bambini autistici. Entrambi sono approvati specificamente per il trattamento dell’«irritabilità associata all’autismo». Tuttavia, i medici spesso prescrivono anche altri farmaci, off-label, inclusi stimolanti e antidepressivi, senza il supporto di studi sulle possibili interazioni tra più farmaci.
Dieci anni fa, un’inchiesta dell’Huffington Post rivelò che la Johnson & Johnson aveva promosso illegalmente il Risperdal, un farmaco antipsicotico associato a gravi effetti collaterali, tra bambini e anziani.
Oggi, il farmaco rimane uno dei soli due farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il trattamento dell’autismo. L’altro è l’aripiprazolo, anch’esso un antipsicotico, commercializzato con il nome di Abilify e venduto da Bristol Myers Squibb.
Secondo il rapporto investigativo in 15 parti dell’Huffington Post, la FDA aveva proibito ai venditori della Johnson & Johnson di «provare a promuovere il Risperdal ai medici per curare i bambini a causa dei suoi temuti effetti collaterali, tra cui disturbi ormonali».
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Tuttavia, la società «ha organizzato unità di vendita speciali che prendevano di mira illegalmente i medici che curavano anziani e bambini», nonostante siano stati segnalati effetti avversi, tra cui la ginecomastia, che causa l’ingrossamento del tessuto mammario nei maschi, in alcuni bambini che assumevano il farmaco.
I resoconti hanno dato origine a migliaia di cause legali, con risarcimenti complessivi che hanno raggiunto diversi miliardi di dollari.
La FDA ha approvato per la prima volta il Risperdal (risperidone) per il trattamento della schizofrenia nel 1993. Nel 2006, la FDA ha approvato il farmaco per il trattamento dei sintomi di «irritabilità», tra cui aggressività e «capricci», associati all’autismo.
Il ricercatore scientifico e autore James Lyons-Weiler, Ph.D, ha affermato che la distinzione tra l’approvazione dei farmaci per il trattamento dell’autismo e il trattamento dell’«irritabilità associata all’autismo» è fondamentale.
Sebbene i tassi di autismo tra i bambini degli Stati Uniti siano aumentati notevolmente (da 1 su 10.000 negli anni Settanta a 1 su 31 nel 2022), Risperdal e aripiprazolo restano gli unici farmaci del loro genere approvati dalla FDA per le persone affette da autismo.
Secondo Autism Speaks, i due farmaci approvati dalla FDA non affrontano le caratteristiche principali dell’autismo: difficoltà nella comunicazione reciproca, problemi di integrazione sensoriale, modelli ripetitivi di comportamento e profili di apprendimento atipici, che l’organizzazione definisce «un’ampia area di bisogni insoddisfatti».
«I tratti fondamentali dell’autismo rimangono farmacologicamente intatti», ha affermato Lyons-Weiler. «Stiamo applicando trattamenti progettati per il disturbo depressivo maggiore, la schizofrenia, l’epilessia e il disturbo d’ansia generalizzato a bambini in via di sviluppo con un’eziologia e una neurobiologia completamente diverse».
Diversi altri tipi di farmaci vengono comunemente prescritti «off-label» [fuori indicazione, ndt] ai pazienti affetti da autismo, il che significa che i farmaci hanno l’approvazione della FDA, ma non sono approvati per il trattamento dei sintomi dell’autismo.
La pediatra dottoressa Michelle Perro ha affermato che questi farmaci includono «antipsicotici, stimolanti, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e melatonina». I farmaci vengono prescritti per «gestire sintomi associati come irritabilità, aggressività, iperattività, ansia e disturbi del sonno».
Lyons-Weiler ha affermato che «la prescrizione off-label è la regola, non l’eccezione, nella cura dell’autismo”, ma ha osservato che viene praticata “in assenza di dati sulla sicurezza a lungo termine».
Studi hanno dimostrato che i bambini con autismo sono più suscettibili agli eventi avversi. Esistono pochi studi su come questi farmaci interagiscono quando assunti contemporaneamente, sebbene la pratica di prescrivere più farmaci, nota come politerapia , sia anch’essa associata a un aumento del rischio di eventi avversi.
«L’attuale modello farmacologico per l’autismo non è un paradigma di trattamento, bensì una sedazione comportamentale applicata in modo selettivo», ha affermato Lyons-Weiler.
Nel 2022, il Risperdal era il 183° farmaco più comunemente prescritto negli Stati Uniti, sebbene il suo utilizzo sia diminuito di oltre la metà rispetto al picco del 2014.
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I farmaci off-label per i sintomi dell’autismo non sono ancora stati testati clinicamente
Sia i farmaci approvati dalla FDA che quelli prescritti off-label per i sintomi correlati all’autismo sono tutti associati a gravi eventi avversi.
I farmaci antipsicotici, tra cui Abilify, Risperdal e Zyprexa, vengono comunemente prescritti per l’aggressività, l’irritabilità e i comportamenti ripetitivi.
Gli effetti collaterali comuni associati agli antipsicotici vanno da sonnolenza, vertigini e aumento di peso a convulsioni, ipotensione e problemi sessuali. Questi farmaci sono anche associati a iperglicemia, ictus e pensieri suicidi o autolesionismo.
Questa categoria di farmaci «altera ampiamente l’attività dei neurotrasmettitori ed è collegata alla sindrome metabolica, all’aumento della prolattina, alla ginecomastia e al profondo aumento di peso», ha affermato Lyons-Weiler.
Perro ha affermato che i farmaci possono anche portare a «un’esacerbazione di problemi motori sottostanti».
Gli antidepressivi, o inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), migliorano i livelli di serotonina, un ormone e neurotrasmettitore che regola l’umore. Questi farmaci, tra cui Celexa, Prozac e Zoloft, vengono prescritti ai bambini con autismo per ridurre l’ansia, la depressione e la frequenza o l’intensità dei comportamenti ripetitivi.
Ma secondo Lyons-Weiler, «gli SSRI sono spesso inefficaci e possono indurre agitazione, appiattimento emotivo o persino ideazione suicidaria, soprattutto nella popolazione pediatrica».
Autism Speaks riconosce che «ampi studi clinici devono ancora dimostrare» l’efficacia degli SSRI nel trattamento dei sintomi dell’autismo.
Sebbene gli effetti collaterali più comuni degli SSRI siano diarrea, affaticamento, nausea e aumento di peso, questi farmaci sono anche associati a gravi effetti avversi, tra cui alterazioni del ritmo cardiaco, sanguinamento e pensieri suicidi o autolesionistici.
«Gli SSRI possono aiutare a combattere i comportamenti ripetitivi, ma possono anche aumentare l’isolamento sociale e causare ulteriore intorpidimento emotivo», ha affermato Perro.
Anche gli stimolanti, che contrastano l’iperattività e la mancanza di attenzione e concentrazione, vengono comunemente somministrati ai bambini autistici. Tra questi, Adderall, Ritalin e Vyvanse.
Gli stimolanti aumentano i livelli di dopamina e noradrenalina , ormoni e neurotrasmettitori coinvolti in funzioni corporee fondamentali e nella regolazione delle emozioni.
Gli effetti collaterali più comuni degli stimolanti sono: diminuzione dell’appetito, mal di testa, disturbi del sonno e mal di stomaco.
Gli stimolanti sono inoltre associati a eventi avversi più gravi, tra cui alterazioni del ritmo cardiaco, aumento della pressione sanguigna, convulsioni, ictus e fenomeno di Raynaud, una patologia che si verifica quando il sangue non fluisce correttamente alle dita delle mani e dei piedi.
E secondo Lyons-Weiler, «gli stimolanti possono aumentare l’ansia, l’aggressività o i tic, soprattutto nei bambini con disturbi del sistema immunitario o dell’asse intestino-cervello».
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«Un deserto farmacologico inesplorato»
Sebbene il profilo degli eventi avversi di farmaci specifici sia ben noto e riportato nei foglietti illustrativi di ciascun farmaco, si conoscono molte meno informazioni sugli eventi avversi potenzialmente dannosi che possono derivare dalle interazioni tra più farmaci assunti contemporaneamente per trattare i sintomi correlati all’autismo.
Secondo un articolo pubblicato il mese scorso su The Conversation, negli ultimi anni la politerapia «è diventata un problema sempre più frequente per le persone autistiche».
«La politerapia aggrava questi rischi, eppure rimane sottoregolamentata», ha affermato Lyons-Weiler. «I bambini assumono spesso tre, quattro, cinque o più psicofarmaci contemporaneamente, senza un singolo studio clinico randomizzato controllato che guidi queste combinazioni. Se usati singolarmente, questi farmaci comportano già gravi effetti collaterali. Se combinati, entriamo in un mondo farmacologico inesplorato».
Secondo Lyons-Weiler, gli eventi avversi gravi associati alla politerapia per il trattamento dei sintomi dell’autismo includono:
- Stagnazione cognitiva, inclusa una ridotta capacità di elaborazione
- Disturbi endocrini, tra cui pubertà ritardata e testosterone soppresso
- Effetti metabolici, tra cui resistenza all’insulina, cambiamenti del colesterolo e rapido aumento di peso
- Effetti collaterali neurologici, tra cui disturbi del movimento e sedazione
- Comportamento peggiorato
«Questi esiti vengono troppo spesso trattati come comorbilità non correlate, quando in realtà potrebbero essere iatrogeni», ha affermato Lyons-Weiler. «Ecco perché la politerapia senza una comprensione sistemica della disintossicazione, del metabolismo e della neuroinfiammazione è pericolosa. Tratta i sintomi come entità isolate, non come espressioni di un sistema più ampio e compromesso».
Lyons-Weiler ha affermato che esistono solo pochi studi che esaminano gli effetti della politerapia sui bambini autistici.
Uno studio pubblicato sulla rivista Research in Autism Spectrum Disorders nel 2020 ha scoperto che i giovani autistici in Nuova Zelanda avevano maggiori probabilità di manifestare effetti collaterali rispetto ai giovani non autistici, in parte perché questi giovani «subiscono un carico significativo di farmaci», con oltre la metà dei giovani studiati che assumeva tre o più farmaci contemporaneamente.
Uno studio successivo, pubblicato sulla stessa rivista nel 2022, ha rilevato che «i bambini con autismo e ADHD sperimentano un notevole carico farmacologico e interazioni potenzialmente avverse tra farmaci psicotropi e farmaci per il sonno, sollevando importanti interrogativi sulla loro assistenza clinica».
Secondo una revisione sistematica e una meta-analisi del 2019 pubblicate sulla rivista Pediatric Drugs, l’aumentata sensibilità sensoriale e del sistema nervoso nei pazienti autistici potrebbe spiegare la maggiore prevalenza di effetti collaterali.
Uno studio pubblicato l’anno scorso sulla rivista Autism ha scoperto che le persone affette da autismo avevano un rischio di mortalità più del doppio rispetto alla popolazione generale.
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L’industria farmaceutica trae grandi profitti dai trattamenti farmacologici per l’autismo
Secondo Lyons-Weiler, mentre gli attuali percorsi di cura farmacologica per i pazienti autistici si sono rivelati problematici, i trattamenti più efficaci vengono trascurati perché «non sono “prescrivibili” e quindi non sono rimborsabili, e quindi non sono “mainstream”».
«Gli interventi farmaceutici sono facili da prescrivere, rimborsare e codificare in protocolli», ha affermato. «Ciò che viene trascurato sono le terapie che trattano il bambino come un sistema biologico, non come un problema comportamentale».
Secondo Perro, «Queste terapie possono includere cambiamenti nella dieta, prodotti omeopatici, probiotici, protocolli di disintossicazione e integratori mirati, insieme a terapie che si concentrano sulla riduzione dell’infiammazione e sulla promozione della salute intestinale, contribuendo a migliorare i risultati sia comportamentali che fisici nei bambini con disturbi dello spettro autistico».
Lyons-Weiler ha ipotizzato che ridurre l’esposizione a noti interferenti del sistema immunitario presenti nell’ambiente possa essere d’aiuto anche ai pazienti autistici.
«Tuttavia, questi interventi non si adattano perfettamente al modello di fatturazione CPT [ terminologia procedurale corrente ] o al quadro degli studi clinici randomizzati e controllati con placebo in doppio cieco, quindi restano nell’ombra», ha affermato Lyons-Weiler.
Ha auspicato una «ricerca pratica, applicata e a livello di sistema» che operi al di fuori dell’influenza degli interessi farmaceutici, con una totale trasparenza dei dati e incentivi alla replicazione integrati nel progetto di ricerca.
Secondo Perro, «un’area fondamentale della ricerca, che non è stata ancora esplorata a sufficienza, riguarda l’identificazione di vari biomarcatori… che potrebbero prevedere le risposte al trattamento o gli effetti collaterali».
Ha inoltre chiesto più studi sulla sicurezza a lungo termine, studi longitudinali , prove comparative e studi che esplorino trattamenti non farmacologici.
Ad aprile, il National Institutes of Health (NIH) ha annunciato il lancio di un nuovo programma di ricerca per studiare le cause dell’autismo e l’ aumento delle diagnosi.
Il mese scorso, l’NIH e i Centers for Medicare & Medicaid Services hanno annunciato una «partnership storica» che consentirà ai ricercatori dell’NIH di analizzare le cartelle cliniche di bambini e adulti iscritti a Medicare o Medicaid con diagnosi di autismo.
Lyons-Weiler ha affermato che sono necessari più che semplici ulteriori studi scientifici e clinici.
«Questo non si potrà ottenere solo con i farmaci. È necessario ascoltare le famiglie, integrare le evidenze del mondo reale e rispettare la complessità della biologia, anziché ignorarla», ha affermato Lyons-Weiler.
Lo dobbiamo ai bambini che non hanno mai scoperto chi avrebbero potuto essere. Lo dobbiamo ai genitori che non chiedono miracoli, ma una scienza onesta, coraggiosa e completa.
Michael Nevradakis
Ph.D.
© 27 maggio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
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