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Politica

Disperato appello al governo: rimuovete il ministro Di Maio

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Avevamo già espresso il concetto, quando il ministro degli Esteri italiano insultò il presidente della Federazione Russa in diretta TV una settimana fa.

 

Ci tocca ripetere il nostro appello, e a gran voce: rimuovete dall’incarico il ministro Luigi Di Maio.

 

Si tratta oramai di una questione politica insormontabile. Non è possibile che in alcuna trattativa durante o dopo il conflitto l’Italia possa giocare un ruolo se a capo del dicastero degli Esteri vi è qualcuno che fa simili dichiarazioni.

 

Non alludiamo solo agli insulti.

 

Ci riferiamo alle ultime, rilasciate sempre con sollecitudine nel salotto TV de La7, dove il ragazzo-ministro si collega con dietro un interno della Farnesina.

 

Anche la scorsa volta – venerdì 11 marzo – ha fatto la voce grossa.  Anzi, ha pure alzato minacciosamente il dito indice, proferendo parole degne di un vero falco militare:

 

«Lo voglio ripetere: se un solo aereo della NATO viene abbattuto sui cieli ucraini ad opera di un missile russo, i Paesi della NATO devono rispondere, non contro qualcuno qualsiasi [?], ma contro la Russia, che è una potenza nucleare».

«Lo voglio ripetere: se un solo aereo della NATO viene abbattuto sui cieli ucraini ad opera di un missile russo, i Paesi della NATO devono rispondere, non contro qualcuno qualsiasi [?], ma contro la Russia, che è una potenza nucleare»

 

 

C’è da trattenere il fiato, ma c’è la puntualizzazione: «È per questo che gli gli scenari di intervento militare diretto li abbiamo esclusi».

 

«Adesso la questione è portare le parti al tavolo e continuare a colpire Putin nella sua economia». Segue descrizione soddisfatta della guerra economica alla Russia, con tanto di previsioni della JP Morgan.

 

Siamo confusi. Molto.

 

Come si può portare qualcuno al tavolo mentre gli si annuncia che lo si sta distruggendo e si intende continuare?

Come si può parlare così liberamente di uno scenario attivo di incidente militare aereo tale da far scatenare la Terza Guerra Mondiale?

 

Ma soprattutto: come si può parlare così liberamente di uno scenario attivo di incidente militare aereo tale da far scatenare la Terza Guerra Mondiale? Come si può accennarne con questa leggerezza, magari sottolineando il carattere nucleare dello scontro che si profila, specie se mandiamo un aereo?

 

E perché Di Maio fantastica, per poi però nascondere subito la mano, di «aerei della NATO» sui cieli ucraini?

 

Perché mai un aereo NATO dovrebbe volare sull’Ucraina, se stanno discutendo tutti su come fare arrivare agli ucraini le armi occidentali tanto promesse, mentre Putin ha già detto che centrerà tutti i convogli e dichiarerà immediatamente guerra a chi cercherà di imporre una no-fly zone?

 

Ecco: con la distruzione della base piena di stranieri a pochi chilometri dal confine polacco, Putin ci ha già fatto capire di fare sul serio… Quindi, come si può anche solo lasciar immaginare ai cittadini che, in un momento di chiusura totale degli spazi aerei e di dominio incontrastato dei MiG russi sui cieli ucraini, ci debba stare lì un aereo NATO?

Perché mai un aereo NATO dovrebbe volare sull’Ucraina, se stanno discutendo tutti su come fare arrivare agli ucraini le armi occidentali tanto promesse, mentre Putin ha già detto che centrerà tutti i convogli e dichiarerà immediatamente guerra a chi cercherà di imporre una no-fly zone?

 

«Putin non ha più un’economia agile per finanziare questa guerra all’infinito. E questo lo indebolisce» ci assicura il ministro di Pomigliano d’Arco. Di certo, Putin non aveva pensato alle ritorsioni economiche a cui stava andando incontro, lo hanno di certo preso di sorpresa, non era del resto una cosa prevedibile.

 

È un discorso davvero ridicolo: qualcuno dello staff può informare Di Maio di cosa sta accadendo?

 

Del fatto che i cinesi compreranno il gas che andava a noi, sostituendoci, e mandando in fallimento la nostra economia, mentre riducendo il danno russo?

 

Qualcuno può dire a Di Maio che è l’economia occidentale che rischia il tracollo, per la carenza energetica (che metterà subito a KO la Germania) e per la possibilità catastrofica della sostituzione del dollaro come valuta di scambio mondiale? (Se i dollari non comprano più petrolio e gas, a cosa servono?)

Qualcuno può dire a Di Maio che è l’economia occidentale che rischia il tracollo, per la carenza energetica (che metterà subito a KO la Germania) e per la possibilità catastrofica della sostituzione del dollaro come valuta di scambio mondiale?

 

Ma tranquilli, il ministro ci racconta l’epica dei «sequestri agli oligarchi», con elogi e ringraziamenti ministeriali alla Guardia di Finanza che sta provvedendo a mettere i sigilli ai mega-yacht. E pazienza se il turismo del lusso sfrenato, che qualche euro lo faceva incamerare in Sardegna, in Versilia e altrove, ora è svaporato per sempre: dobbiamo accontentarci di questa vittoria morale, quindi sentitivi nel giusto mentre perdete lo stipendio, e prossimamente anche il pane.

 

«Esiste solo una soluzione diplomatica, perché l’alternativa è la Terza Guerra mondiale, non la vogliamo» dice il grillino. Per una volta siamo d’accordo: si deve procedere attraverso la diplomazia, e proprio per questo che egli deve dimettersi, deve lasciare il posto ad altri. I rapporti oramai compromessi con la diplomazia russa non gli possono permettere di negoziare serenamente con il Cremlino, trascinando nel malanimo tutto il nostro Paese, che egli dovrebbe rappresentare all’estero.

 

Non è possibile per tantissimi italiani sentirsi rappresentati da Di Maio. Non è possibile, per una diplomazia che sia funzionale, continuare così.

 

Ci rendiamo conto che non abbiamo una proiezione politica di alcun tipo. Nessun partito, né al governo né all’opposizione, ci rappresenta: del resto non c’è nessuno che sta affrontando la situazione con realismo.

 

Tuttavia qualcuno che ha un sussulto di visione concreta deve essere rimasto: Di Maio, a cui Lavrov ha recentemente ricordato che «la diplomazia non è fare giri a vuoto per  assaggiare piatti esotici» non può essere il volto dei diplomatici italiani in questo momento?

Non è possibile per tantissimi italiani sentirsi rappresentati da Di Maio. Non è possibile, per una diplomazia che sia funzionale, continuare così.

 

C’è un limite a tutto.

 

Siamo coscienti che l’appello cadrà nel vuoto. Tuttavia, non possiamo che essere grati di questa ulteriore cartina tornasole che ci è offerta dalla follia politica dell’ora presente.

 

Pensate al super-tecnocrate Draghi, una vita al massimo, aristocratico plurititolato, allevato da Ciampi, intrattiene i più potenti sul panfilo della regina inglese, firma i nostri soldi alla Banca d’Italia, siede tra i dollari in Goldman Sachs, un trono pure nel Gruppo dei Trenta, su su fino alla sommità ultima dell’Eurotower di Francoforte, dalla cui finestra vede sotto di sé nuvole e trilioni, e mezzo miliardo di destini umani, e mezzo mondo e più, dipendere dallo schiocco delle sue dite.

 

Ecco: il suo ministro è Giggino Di Maio.

 

Questo cosa vi dice di Draghi? Cosa vi dice del suo effettivo potere? Cosa vi dice della sua autonomia?

 

Lo stesso vale per i partiti. Il ministro degli esteri degli eredi del «glorioso» PCI, quelli intellettuali, quelli moralmente «migliori», è Giggino Di Maio.

Questo cosa vi dice di Draghi? Cosa vi dice del suo effettivo potere? Cosa vi dice della sua autonomia?

 

Il ministro dell’«uomo più pericoloso d’Europa», Matteo Salvini, è Giggino Di Maio.

 

Il ministro di quello che forse era davvero uno dei migliori amici personali di Vladimir Putin, Silvio Berlusconi, è Giggino Di Maio. Nessuno di essi si scandalizza per le parole che abbiamo riportato.

 

E gli apparati profondi dell’amministrazione , i civil servant bravissimi che reggono il Paese qualunque sia il governo?

 

C’è stata poco tempo fa il discusso caso, con dichiarazioni annesse di reciproca stima e fedeltà, di quel pranzo al ristorante tra di Maio e il capo dei Servizi segreti italiani, Elisabetta Belloni, già diplomatica e Segretario generale del Ministero degli affari esteri. Lei, che fino a poco fare era vertice massimo dei funzionari della diplomazia italiana, disse: «con il ministro Di Maio c’è un’amicizia sempre più solida. Di Maio è sempre leale». Lui ringraziò: «A Elisabetta Belloni mi legano una profonda stima e una grande amicizia».

 

In realtà, neppure sui giornali, quelli finanziati dal soldo pubblico con dentro i professionisti bravi di cui fidarsi.

Rimuovete dall’incarico Luigi Di Maio. È già troppo tardi

 

In pratica, gli unici a rimanere sconvolti siamo solo noi.

 

Pazienza. Lo diciamo lo stesso – vox clamantis in deserto.

 

Rimuovete dall’incarico Luigi Di Maio. È già troppo tardi.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi

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Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.

 

Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.

 

Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.

 

«Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».

 

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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.

 

«L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.

 

Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.

 

L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.

 

A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.

 

Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.

 

Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.

 

 

Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».

 

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Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro

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Sanae Takaichi è diventata la prima donna Primo Ministro del Giappone, vincendo le elezioni parlamentari di Tokyo martedì. Esponente di lungo corso del Partito Liberal Democratico (LDP), nota come la «Lady di Ferro» del Giappone per la sua ammirazione verso l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher, Takaichi è riconosciuta per il suo conservatorismo sociale, il nazionalismo e il sostegno a un ruolo più ampio per le forze armate giapponesi.   A 64 anni, Takaichi ha sostenuto la revisione della clausola pacifista della costituzione postbellica del Giappone e il riconoscimento ufficiale delle Forze di autodifesa come esercito nazionale. Ha inoltre appoggiato un aumento della spesa per la difesa e una maggiore cooperazione militare con gli Stati Uniti.   Le sue posizioni sulla sicurezza nazionale richiamano le politiche dell’ex premier Shinzo Abe, di cui è considerata una protetta e con cui aveva stretti legami politici.   Frequente visitatrice del Santuario Yasukuni di Tokyo, che rende omaggio ai caduti giapponesi, inclusi criminali di guerra della Seconda Guerra Mondiale, Takaichi è stata spesso criticata dai Paesi vicini per quello che considerano revisionismo storico. Ha difeso le sue visite come atti di rispetto personale, sostenendo che i crimini di guerra dei soldati giapponesi siano stati esagerati.

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A livello interno, Takaichi si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sostiene la successione imperiale esclusivamente maschile e ha criticato le proposte di cognomi separati per le coppie sposate.   La Takaicha ha inoltre appoggiato il rafforzamento dei confini e politiche migratorie più rigide, chiedendo misure contro i visti non concessi, il turismo eccessivo e l’acquisto di terreni da parte di stranieri, soprattutto vicino a risorse strategiche.   In politica estera, la Takaichi ha definito la crescente potenza militare della Cina una «seria preoccupazione», proponendo misure di deterrenza, tra cui un patto di sicurezza con Taiwan.   Si ritiene che Takaichi non intenda perseguire un significativo riavvicinamento con la Russia, avendo ripetutamente rivendicato la sovranità sulle isole Curili meridionali, annesse dall’Unione Sovietica nel 1945 come parte degli accordi postbellici.   Takaichi assume la carica in un momento critico per il Giappone, che affronta un tasso di natalità ai minimi storici, un rapido invecchiamento della popolazione, un’inflazione persistente e il malcontento pubblico per gli scandali politici che hanno eroso la fiducia nel PLD, il partito al governo.  

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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra

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Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.

 

I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.

 

Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.

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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.

 

Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.

 

Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.

 

Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.

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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.

 

Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.

 

Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.

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