Gender
«Diritti 2SLGBTQI+»: Trudeau lancia un nuovo acronimo omosessualista ufficiale
Il premier canadese Justin Trudeau si è mostrato adirato in un recente discorso in cui commentava la reazione dei genitori statunitensi alla marea gender, per esempio il boicottaggio delle multinazionali che stanno facendo pubblicità – cioè, propaganda – transgender (la birra Bud Light, la catena di supermercati Target), di rifiutare le drag queen story hour (bambini che vengono messi a contatto con transessuali teatrali), e il sostegno alle leggi di vari Stati che proibiscono la chirurgia gender sui bambini (che è fatta di castrazioni e amputazioni ovviamente irreversibili).
«È pauroso vedere cosa stia succedendo negli Stati Uniti. Sia che si tratti dei diritti 2SLGBTQI+ che vengano costantemente attaccati (…) il mio governo non lo lascerà mai accadere… sia che si tratti di diritti delle donne o diritti dei 2SLGBTQI+»
2SLGBTQI+. Proprio così, lo ripete, plus. Incluso
Eh?
Justin Trudeau is furious parents in America are boycotting corporate brands that are forcing transgender ideology on customers and children.
He’s furious they’re banning gender affirming surgery on children.
He is furious they’re banning drag queen story time in pre-schools. pic.twitter.com/NptPAqOM0O
— Pelham (@Resist_05) May 27, 2023
No, un attimo, fermi tutti. Avevamo visto la sigla LGBT, divenire LGBTQ, con la Q che stava per queer, che è una parola che i nostri limiti non ci consentono di definire, e in realtà siamo in buona compagnia. Poi avevamo visto l’estensione LGBTQIQ, dove la «I» sta per «Intersexual», cioè (semplifichiamo?) gli ermafroditi, e la seconda «Q» starebbe per «questioning», ossia qualcuno che si pone domande (come il lettore, in questo momento?).
Poi era sbucato il segno più, che anche qui non sappiamo bene definire né quantificare, sebbene si tratti di un simbolo matematico.
Epperò l’aumento continuo di lettere avveniva in suffisso: mai avevamo visto aggiungere lettere in prefisso.
Bisogna ricordare che Trudeau è il primo ministro canadese, quindi parla ufficialmente: scopriamo così che l’impronunziabile espressione «2SLGBTQI+» è un acronimo ufficiale dello Stato canadese, come scritto nel sito ufficiale del governo su «donne, gender e uguaglianza».
Nella pagina governativa di glossario è spiegato molto bene. 2SLGBTQI+, «è l’acronimo utilizzato dal governo del Canada per indicare la comunità canadese. 2S: di fronte, riconosce i Due Spiriti come le prime comunità 2SLGBTQI+; L: lesbica; G: gay; B: bisessuale; T: transgender; Q: queer; I: intersessuale, considera le caratteristiche del sesso oltre l’orientamento sessuale, l’identità di genere e l’espressione di genere; +: include le persone che si identificano come parte di comunità sessuali e di genere diverse, che usano terminologie aggiuntive.
«La terminologia 2SLGBTQI+ è in continua evoluzione» continua il glossario gender di Stato. «Di conseguenza, è importante notare che questo elenco non è esaustivo e queste definizioni sono un punto di partenza per comprendere le identità e i problemi di 2SLGBTQI+. Diversi individui e comunità 2SLGBTQI+ possono avere una comprensione più ampia o più specifica di questi termini».
Il fatto che siano in esponenziale aumento i generi, cioè le «identità sessuali» con cui il cittadino democratico può identificarsi, è cosa nota: si pensi al modulo per il «reddito di transessualanza» proposto a San Francisco, dove se ne contavano 97. La lista, pubblicata da Renovatio 21, sta tra il sorprendente e lo scioccante.
In passato il Trudeau si era mostrato ai gay pride (le manifestazioni cui l’OMS fa raccomandazioni per il vaiolo delle scimmie) e con indosso calzetti con l’arcobaleno, esattamente come un altro idolo goscista, il manager milanese Giuseppe Sala, purtuttavia il canadese surclassa il bocconiano perché tra i colori dell’iride spuntava anche l’espressione araba «Eid Mubarak», in onore della festa religiosa che segna la fine del Ramadan
Oh Canada…
Justin Trudeau at Toronto Pride….in rainbow socks…high-fiving a girl dressed as Wonder Woman.
Sigh. #LGBT #Pride2017 pic.twitter.com/PnY1QLuB8Z
— Sweet Home Allegra (@YMBBastepaway) June 26, 2017
Trudeau wore Eid-themed socks to a pro-Pride church service. #MeanwhileInCanadahttps://t.co/nFNdCuH3xA pic.twitter.com/uCk0DcApFH
— Nick Ashdown (@Nick_Ashdown) June 25, 2017
È davanti a questo personaggio, ritenuto dalla leggenda metropolitana figlio biologico non dell’ex premier Pierre Trudeau ma di Fidel Castro (ipotesi smentita dal governo Trudeau), che a Hiroshima il premier italiano Giorgia Meloni ha fatto scena muta quando questi si è detto preoccupato per la situazione della «gente dell’alfabeto» (cui ora si sono aggiunti numeri) nel nostro Paese.
Sono fake news, ha detto Giorgia, che poi si è definita «sorpresa» dal Trudone, è stato male informato, qui sul fronte delle lettere gender procede tutto come da ruolino di marcia.
Renovatio 21 ha proposto varie cose che la Meloni avrebbe potuto rispondergli. Forse che invece voglia anche lei acquistare qualche lettera a caso dal Canada e il suo premier, baluardi della civiltà occidentale?
Perché ad un certo punto uno si potrebbe porre la questione: perché mai devo dire «LGBT», che è un acronimo convenzionale e fasullo? Le quattro categorie vanno d’accordo fra loro? Il peso delle lesbiche è uguale a quello degli omossessuali maschi? I bisessuali organizzati esistono davvero?
Perché mai bisogna chiamare un omossessuale «gay», cioè «gaio», «felice»? Lo sono più degli eterosessuali (che vengono chiamati, non si sa perché, e se con una punta di risentimento, «cisgender») per meritarsi l’occupazione totale di un aggettivo? (Prendete il dramma del filosofo anticristiano sifilitico Friedrich Nietzsche, che ha un libro, La gaia scienza, che chissà in quali scaffali di libreria finisce ora).
Sono domande di cui già siamo invitati a pentirci. E alle quali Giorgia Meloni mai risponderà.
Immagine di GoToVan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Gender
La prima donna primo ministro del Giappone si oppone al «matrimonio» omosessuale
La nuova prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, prima donna a ricoprire questa carica, si oppone al «matrimonio» omosessuale.
Takaichi, insediatasi martedì, ha espresso durante un dibattito elettorale dello scorso mese la sua contrarietà al «matrimonio» omosessuale, pur definendo «giusta» una relazione omosessuale, secondo il sito di informazione LGBT Them.
Nel 2023, durante una riunione della commissione bilancio del governo, ha descritto la legalizzazione del «matrimonio» omosessuale come una «questione estremamente complessa», citando un articolo della costituzione giapponese che definisce il matrimonio come basato sul «consenso reciproco di entrambi i sessi».
Le posizioni di Takaichi sul «matrimonio» omosessuale, non legale in Giappone, sono in contrasto con l’opinione pubblica del Paese, prevalentemente laica. Un sondaggio Pew del 2023 ha rilevato che circa il 70% dei giapponesi sostiene il «matrimonio» omosessuale, il tasso di approvazione più alto tra i Paesi asiatici analizzati.
Diverse città e località giapponesi emettono «certificati di unione» per le coppie omosessuali. Ad esempio, nel 2015 il distretto di Shibuya a Tokyo ha approvato una normativa che riconosce le coppie omosessuali «come partner equivalenti a quelli sposati per legge».
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Inoltre, l’anno scorso un’Alta corte giapponese ha stabilito che il divieto del codice civile sul «matrimonio» omosessuale viola il principio costituzionale contro la discriminazione basata su «razza, credo, sesso, status sociale o origine familiare». Tuttavia, le Alte corti giapponesi non possono abrogare il divieto, rendendo la sentenza simbolica.
Paradossalmente, nonostante sia la prima donna a capo del governo giapponese, l’amministrazione di Takaichi è stata criticata dalla sinistra come un ostacolo per la «parità di genere» e i «diritti delle minoranze sessuali». L’emittente pubblica americana PBS News l’ha definita «non femminista».
Takaichi sostiene la successione esclusivamente maschile della famiglia imperiale, che ha un ruolo cerimoniale, e si oppone alla possibilità per le coppie sposate di mantenere cognomi separati, sostenendo che ciò potrebbe «minare la struttura sociale basata sulle unità familiari». Tuttavia, non insiste sul fatto che la donna debba adottare il cognome del marito. Curiosamente, il marito di Takaichi, il politico LDP Taku Yamamoto, ha preso il suo cognome quando si sono risposati, per cui ora legalmente si chiama Taky Takaichi
«La nascita della prima donna primo ministro giapponese è storica, ma (Takaichi) rappresenta un’ombra per la parità di genere e i diritti delle minoranze sessuali», ha dichiarato a PBS Soshi Matsuoka, attivista LGBT. «Le opinioni di Takaichi su genere e sessualità sono estremamente conservatrici e potrebbero costituire un grave ostacolo per i diritti, in particolare per le minoranze sessuali».
Il Giappone resta uno dei pochi Paesi sviluppati, insieme a Paesi come Corea del Sud e Repubblica Ceca, a non aver legalizzato il «matrimonio» omosessuale.
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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution 4.0 International
Gender
Il Parlamento austriaco vieta il linguaggio «inclusivo di genere» nelle sue comunicazioni ufficiali
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Gender
Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»
Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.
Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.
I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.
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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.
Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.
«Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.
«Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.
«Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.
Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.
Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.
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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.
Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.
La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?
Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?
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