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Geopolitica

«Dietro l’arresto di Durov ci sono gli USA»

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Varie voci, in Russia e fuori, accusano Washington di essere dietro l’arresto a Parigi del fondatore di Telegram Pavel Durov.

 

Gli Stati Uniti hanno ordinato alle autorità francesi di arrestare Durov nell’ambito del quadro sanzionatorio, ha affermato Ekaterina Mizulina, presidente della Safe Internet League russa e membro della Camera civica.

 

Scrivendo domenica su Telegram, la Mizulina ha affermato che l’arresto di Durov all’aeroporto di Parigi, presumibilmente con l’accusa di presunta complicità in frode, traffico di droga, cyberbullismo e promozione del terrorismo, non l’ha sorpresa.

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«Credo da tempo che viaggiare fuori dalla Russia rappresenti un grosso rischio per i possessori di Telegram, in quanto potrebbero essere arrestati in qualsiasi momento», ha osservato, raccontando che incidenti simili in cui le persone erano state arrestate per ordine degli Stati Uniti si erano già verificati in precedenza.

 

«È ovvio che l’arresto è un attacco a TON».  Si tratta di una piattaforma basata su blockchain originariamente sviluppata dai creatori di Telegram] in cui hanno investito importanti aziende russe. Ciò è, in parte, una continuazione della politica di sanzioni degli Stati Uniti», ha affermato la Mizulina.

 

Il funzionario ha aggiunto di credere che «gli americani siano dietro la situazione nel suo complesso», sostenendo che Telegram, che ha oltre 900 milioni di utenti attivi mensili in tutto il mondo, è una spina nel fianco in termini di distribuzione delle informazioni. Secondo la Mizulina, le autorità francesi non avrebbero agito in modo indipendente nella loro decisione di arrestare Durov.

 

«Si scopre che tutte le aperture all’Occidente da parte dei proprietari di Telegram sono state un errore. Il nostro presidente ci ha messo in guardia più volte, ma nessuno gli ha creduto», ha concluso.

 

Anche l’ex portavoce di Telegram ha indicato la pista americana dietro all’arresto del fondatore Durov.

 

Il fondatore di Telegram Pavel Durov non avrebbe «ignorato la propria sicurezza» e non sarebbe atterrato a Parigi se avesse pensato che le autorità francesi fossero serie nell’arrestarlo, ha detto alla testata governativa russa RT il suo ex addetto stampa Georgij Loboushkin. Loboushkin ritiene che l’ordine di arrestare Durov sia probabilmente arrivato da Washington.

 

«È un grande mistero il motivo per cui abbia ignorato la propria sicurezza e abbia deciso di atterrare a Parigi», ha detto Loboushkin a RT ieri. «Ha dimostrato nel corso della sua storia di essere una persona piuttosto cauta in tal senso. Ha detto molte volte che non ha senso andare in prigione».

 


Secondo Loboushkin, l’imprenditore di origine russa probabilmente non era a conoscenza del fatto che fosse stato emesso un mandato di arresto nei suoi confronti, oppure pensava – data la conformità di Telegram alle leggi e alle sanzioni locali – che non si sarebbe trovato in guai seri.

 

«Penso che l’attacco non provenga né dall’UE né dalla Francia», ha detto Loboushkin. «È più probabile che sia un attacco degli Stati Uniti, che sono alle calcagna di Pavel Durov da molto tempo, e Durov ne ha sempre parlato».

 

«Ha detto, ad esempio in un’intervista con Tucker Carlson, che lui e i suoi dipendenti sono sotto pressione, o almeno c’è una sorta di sorveglianza condotta dall’FBI», ha continuato l’ex portavoce. «Penso che le cause profonde siano lì, quindi non ha alcun senso discutere le intenzioni delle autorità francesi che lo hanno arrestato, perché non hanno alcun ruolo qui».

 

In un’intervista con Carlson ad aprile, Durov aveva affermato di aver attirato «troppa attenzione» da parte delle forze dell’ordine ogni volta che visitava gli Stati Uniti e ha affermato che gli agenti dell’intelligence americana avevano tentato di reclutare uno dei suoi dipendenti per installare una backdoor nell’app che avrebbe consentito loro di spiare gli utenti di Telegram.

 

Anche fuori dalla Russia i commenti puntano alle responsabilità degli americani.

 

L’ex funzionario dell’amministrazione Trump Mike Benz, esperto di censura in ambito informatico e informativo (che egli fa risalire a piani NATO scattati un decennio fa) in un breve video estemporaneo di commento ha detto di ritenere che dietro all’arresto vi sia il dipartimento di Stato americano.

 

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Secondo Benz, l’intenzione di quello che è il ministero degli Esteri USA non è quello di chiudere Telegram – che al contempo, servirebbe per la guerra contro la Russia, visto l’uso che ne fa la popolazione del Paese – bensì di piegarlo, magari ottenendo una «backdoor» per le agenzie federali americane, esattamente come è accaduto per Whatsapp.

 

Benz si spinge a dare cifre sugli investimenti multimilionari che la politica estera USA, a livello più o meno occulto, ha dato per sottomettere Whatsapp in vari Paesi, come il Brasile, dove solo al fine di piegare la app di messaggistica sarebbero stati investiti 40 milioni di dollari del contribuente americano.

 

L’investitore americano David Sacks, ora impegnato fortemente nella campagna di Trump, ha affermato domenica che l’impegno di Durov per la libertà di parola e la privacy degli utenti lo ha reso un bersaglio a Washington.

 

Scrivendo su X, Sacks ha dichiarato che «utilizzare i Paesi alleati per aggirare le protezioni del Primo Emendamento è una nuova forma di rendition», riferendosi all’uso da parte degli Stati Uniti di aeroporti e basi militari straniere per trasportare sospetti terroristi negli anni successivi agli attacchi dell’11 settembre, come nel famoso caso dell’«imam rapito» in viale Jenner a Milano.

 

Anche Elon Musk (che di Sacks è stato socio) ha chiesto il rilascio del Durov, pubblicando il video di Durov con Tucker Carlson dove si parla della libertà di parola online. L’imprenditore sudafricano ha abbinato il video all’hashtag ‘#FreePavel’.

 


Il Musko è stato veloce a condannare pubblicamente l’arresto segnalato. «POV: Siamo nel 2030 in Europa e ti stanno giustiziando per aver messo “mi piace” a un meme”» ha scritto in un commento a un articolo di cronaca.

 

Musk ha anche scritto «Tempi pericolosi» nella sua risposta a un post che elencava i diversi paesi in cui «la libertà di parola è sotto attacco» e che menzionava il presunto arresto di Durov da parte della Francia.

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Geopolitica

Attacchi ucraini causano blackout nella Russia occidentale

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Secondo il governatore Vyacheslav Gladkov, gli attacchi ucraini hanno provocato un esteso blackout nella regione di Belgorod, nella Russia occidentale.   Circa 40.000 residenti dell’oblast’ sono rimasti senza elettricità domenica sera, mentre gli ospedali sono passati ai generatori, ha comunicato il governatore della regione su Telegram.   In precedenza aveva dichiarato che almeno tre persone, tra cui un bambino di 10 anni, erano state ferite negli attacchi dei droni ucraini nelle ultime 24 ore.  

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Domenica, funzionari ucraini hanno riportato blackout nella città di Leopoli, vicino al confine con la Polonia, e hanno dichiarato che quattro civili sono stati uccisi negli attacchi russi. Successivamente, il ministero della Difesa russo ha emesso un comunicato in cui affermava di aver colpito le fabbriche di armi e «l’infrastruttura energetica a supporto delle loro operazioni». Mosca sostiene che le sue forze non prendono di mira i civili.   Mosca ha iniziato a colpire regolarmente i siti energetici dell’Ucraina nell’autunno del 2022. Il presidente russo Vladimir Putin dichiarò all’epoca che l’esercito stava prendendo di mira le infrastrutture energetiche dopo che Kiev aveva bombardato il ponte di Crimea nell’ottobre di quell’anno, uccidendo quattro persone.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni leadership ucraina ha minacciato di condurre attacchi a lungo raggio su Mosca che potrebbero causare un blackout totale se la Russia tentasse di provocare massicce interruzioni di corrente a Kiev questo inverno.

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Geopolitica

Trump a Netanyahu: «sei sempre così fottutamente negativo»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha criticato aspramente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per la sua reazione alla dichiarazione di Hamas sul piano di pace per Gaza- Lo riporta Axios, citando fonti informate.

 

Venerdì, il gruppo militante palestinese Hamas ha confermato di aver accettato la proposta statunitense di rilasciare i suoi ostaggi. Sebbene non abbia menzionato l’intenzione di disarmarsi, domenica fonti di Al Arabiya interne al movimento hanno indicato che il gruppo si stava preparando a farlo.

 

Trump avrebbe contattato Netanyahu venerdì per discutere della decisione di Hamas, considerandola una notizia positiva. Tuttavia, il leader israeliano ha espresso un’opinione diversa, affermando al presidente statunitense che «non c’è nulla da festeggiare e che non significa nulla», secondo quanto riferito ad Axios da un funzionario americano.

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«Non capisco perché sei sempre così fottutamente negativo. Questa è una vittoria. Accettala», avrebbe replicato Trump.

 

Sabato, i collaboratori di Netanyahu hanno sottolineato che il primo ministro e il presidente degli Stati Uniti erano «totalmente allineati». Tuttavia, il funzionario statunitense ha dichiarato ad Axios che la telefonata di venerdì è stata «controversa» e che Trump era «infastidito».

 

Il presidente degli Stati Uniti ha esortato Israele a cessare gli attacchi a Gaza, proponendo che Hamas rilasci tutti gli ostaggi rimanenti entro 72 ore dalla sospensione delle operazioni militari israeliane e dal ritiro delle truppe «secondo la linea concordata».

 

Sono partiti intanto i colloqui al Cairo tra le parti in conflitto.

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Come riportato da Renovatio 21, in passato Trump aveva attaccato Netanyahu arrivando a chiederne la sostituzione e ad ipotizzare tagli agli aiuti ad Israele.

 

Nel contesto di questi commenti aveva rivelato anche dettagli sull’assassinio del generale dei servizi iraniani Qassem Soleimani, suggerendo che fu indotto ad ordinarne la morte dagli israeliani, che poi però si tirarono indietro.

 

Come riportato da Renovatio 21, un livello grottesco del rapporto tra Netanyahu e Trump è stato raggiunto a febbraio quando il primo ha fatto dono a quest’ultimo di un cercapersone come quelli fatti esplodere in Libano. Più che un dono diplomatico, a qualcuno può essere sembrata una minaccia vera e propria.

 

Come riportato da Renovatio 21, a gennaio Netanyahu ha annullato il viaggio per la cerimonia di insediamento di Trump. Prima dell’insediamento l’inviato di Trump Steve Witkoff, in Israele per chiedere la tregua, aveva avuto con Netanyahu un incontro riportato come «molto teso».

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Geopolitica

L’ex capo NATO afferma che Trump ha minacciato di ritirare gli Stati Uniti

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato di abbandonare l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, un’azione che avrebbe potuto portare l’alleanza al collasso, secondo quanto riferito dall’ex Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg.   In alcuni estratti del suo prossimo libro di memorie «On My Watch», Stoltenberg ricorda che, prima del vertice NATO del 2018 a Bruxelles, Trump, allora al suo primo mandato, si lamentò del fatto che gli Stati Uniti coprivano l’80-90% delle spese dell’alleanza e dichiarò che non avrebbero più continuato a farlo, minacciando di ritirarsi.   «Guardate, se ce ne andiamo, ce ne andiamo. Voi avete disperatamente bisogno della NATO. Noi no», ha detto Stoltenberg citando Trump, sottolineando che un’eventuale uscita degli Stati Uniti avrebbe significato che «l’alleanza sarebbe morta».

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Durante il vertice, Trump avrebbe ribadito posizioni simili, affermando che gli Stati Uniti «non hanno bisogno della NATO» e che avrebbero «agito per conto proprio» se i membri europei non avessero aumentato la spesa militare al 2% del PIL. Inoltre, avrebbe minacciato di andarsene, dichiarando: «Non c’è motivo per cui io debba più rimanere qui».   L’atteggiamento di Trump ha generato timori di una possibile disintegrazione del blocco. Stoltenberg riferisce che l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno cercato di attenuare le tensioni, mentre l’ex primo ministro olandese Mark Rutte, attuale capo della NATO, ha contribuito a persuadere Trump a restare, evidenziando che i membri dell’alleanza avevano incrementato la spesa di 33 miliardi di dollari.   Stoltenberg scrive che Trump ha deciso di rimanere dopo che gli è stato pubblicamente riconosciuto il merito per quell’aumento di spesa.   L’ex Segretario Generale della NATO ha osservato che un’uscita di Trump avrebbe reso vani il trattato e le garanzie di sicurezza dell’alleanza, sottolineando quanto la NATO dipendesse dalla partecipazione degli Stati Uniti.   Trump a febbraio aveva dichiarato che l’Ucraina poteva «scordarsi» la NATO. Due anni fa aveva dichiarato pubblicamente i suoi dubbi sull’articolo 5, dicendo che in caso gli USA venissero attaccati, la NATO non sarebbe accorsa in difesa.   L’anno scorso ad una folla di sostenitori durante un evento elettorale a Las Vegas, Nevada, Trump aveva detto che la NATO non verrà in soccorso se gli Stati Uniti verranno attaccati. «Stiamo pagando per la NATO, e non ne ricaviamo molto (…) E sapete – odio dirvi questo sulla NATO – se mai avessimo bisogno del loro aiuto, diciamo che venissimo attaccati, non credo che sarebbero lì».   Secondo la rivista statunitense Rolling Stone, il biondo ex presidente USA avrebbe discusso dell’uscita del Paese dalla NATO o della riduzione drastica dell’impegno dell’America nel blocco in caso di vittoria delle elezioni del 2024.   In precedenza l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton aveva dichiarato al Washington Post che «in un secondo mandato Trump, penso che potrebbe benissimo ritirarsi dalla NATO».   Come riportato da Renovatio 21, anche il politologo accademico Phillips Payson O’Brien aveva dichiarato che il ritorno di Trump alla Casa Bianca metterebbe fine all’Alleanza Atlantica.   Trump, NATO-scettico della prima ora, da presidente è arrivato ad avere incontri anche rudi con il segretario dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg.

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La posizione di Trump si inserisce in una corposa, ma sottaciuta, matrice di pensiero politico americano contraria alla NATO iniziata con George Kennan e proseguita durante tutta la seconda parte del XX secolo e l’inizio del XXI, una tendenza ovviamente contraria all’interventismo zelota e sanguinario della fazione neocon, che riesce a spingere Washington in guerra chiunque sia il presidente – con eccezione di Trump che, appunto, rifiutò di attaccare l’Iran e licenziò in tronco il neocon Bolton.   In un video pubblicato all’inizio del 2023, Trump ha attribuito il conflitto a «tutti i guerrafondai e i globalisti “America Last” nel Deep State, nel Pentagono, nel Dipartimento di Stato e nel complesso industriale della sicurezza nazionale», che secondo lui erano «ossessionati dallo spingere l’Ucraina verso la NATO». Nel filmato l’ex presidente attaccava frontalmente i neocon facendo pure esplicitamente il nome di Victoria Nuland, funzionaria del Dipartimento di Stato considerata pupara del conflitto ucraino.   Le voci che chiedono l’uscita degli USA dalla NATO intanto si fanno più numerosa, inclusa quella dell’influente magnate tecnologico Elone Musk.   Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa il segretario di Stato Marco Rubio aveva rassicurato dicendo che Washington non sarebbe sortita dall’Alleanza Atlantica.

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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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