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Dietro al rave dello scandalo: l’opportunismo, le politiche di Soros e i traffici internazionali di pastiglie

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Il rave in Toscana è finito. Il più grande pugno tirato nella faccia della popolazione internata dal COVID – dai gestori di discoteche chiuse, agli attivisti ora denunciati perché scesi in piazza a protestare contro il green pass – si è spento.

 

La faccenda in apparenza ha dell’incredibile. Un gruppo franco-spagnolo organizza una mega-festa con 15 palchi e almeno 10 mila partecipanti su di una proprietà privata – un altro diritto che probabilmente è evaporato nel bienni pandemico.

 

Di più: lo fanno su un campo dell’ex sindaco del Paese, un uomo di destra che assiste stupefatto allo svolgersi degli eventi. C’è scappato il morto, forse due. Una ragazza ha avuto le doglie e partorito. I cani hanno ucciso le pecore che pascolavano, ma si parla anche di vari poveri fido morti di caldo. Chetamina a 5 euro, LSD a 10. Le farmacie della zona, hanno detto, hanno finito le siringhe. Ricoveri per coma etilico e overdose. Due presunti stupri denunciati.

 

Non vogliamo nemmeno immaginare cosa il povero proprietario – un allevatore – si troverà a dover pulire. Vetri, preservativi usati, qualche siringa. La bonifica potrebbe non finire mai. Gli animali dovrebbero tornare a pascolare lì?

 

Tuttavia, le domande che premono sono altre.

Il ministero degli Interni potrebbe aver scelto di non interrompere la festa perché i possibili conseguenti tafferugli, cioè l’ultima cosa che vuole un governo  in questo preciso momento

 

Soprattutto, perché non è stato fermato con la forza? Di rave bloccati dalla polizia si ha memoria. Questa volta non è successo, e i raver sono andati avanti indisturbati – come zombie, a vedere dalle foto – a ballare drogati per giorni anche dopo che lo scandalo era sui telegiornali delle otto. È la TAZ – la zona temporaneamente autonoma teorizzata dal filosofo anarco-pedofilo Hakim Bey – realizzata nell’estate 2021. Tunz-tunz-tunz

 

Ci sono diverse risposte a questa domanda.

 

La prima: il ministero degli Interni potrebbe aver scelto di non interrompere la festa perché i possibili conseguenti tafferugli. Cioè, l’ultima cosa che vuole un governo, e specie un ministro apertamente schierato con le politiche sociali e migratorie di sinistra,  in questo preciso momento.

 

Il lettore che segue Renovatio 21 sa che un esempio di recente c’è già stato, in Francia, due mesi fa: la battaglia al rave di Ille-et-Vilaine, in Bretagna, dove negli scontri «di estrema violenza» tra la polizia e i festaioli ad un ragazzo è stata mozzata la mano.

 

 

Il bagno di sangue, così poco telegenico, è stato risparmiato

Per fronteggiare una massa di 10 mila persone ci vogliono quantità di manganelli poco fotogeniche, soprattutto di questi tempi, dove in molti sta montando l’idea di vivere in una società repressiva. Creare nel cuore di agosto una Tien’An Men techno non è l’ideale per la carriere di molti, e la tenuta del governo (nonostante abbiamo visto che siano proprio talvolta i «sinceri democratici» delle testate dell’oligarcato chiedere il golpe militare).

 

Che il ministro e la sua cintura di decisori abbia preso nota? Difficile a dirlo, considerando la superficialità con cui ha trattato la questione del green pass, passando da mezzi avvertimenti a frasi confusionarie in pochi giorni..

 

Tuttavia, il bagno di sangue, così poco telegenico, è stato risparmiato.

 

Un’altra risposta potrebbe essere che si tratti di un favore elettorale: anche i techno-fattoni, pensano i ministri di area PD, votano, come votavano i centri sociali, che talvolta sono perfino riusciti a mandare in Parlamento qualche loro non indimenticabile sgherro.

 

Eppure, sarebbe anche questo un errore. Chi conosce il mondo dei Technival sa quanto siano apolitici, perché il nichilismo neuronale risultante dalla combo anfetamina più musica elettronica occupa tutta la loro vita, e non hanno davvero tempo di pensare a cose complicate come le elezioni, le leggi, il futuro, la famiglia, etc. Ma tant’è: i no-vax in piazza (che, invece, votano eccome) si possono reprimere, i raver smandibolatori no.

 

Quindi: non hanno caricato per l’illusione ottica di un possibile opportunismo politico?

 

Quindi: non hanno caricato per l’illusione ottica di un possibile opportunismo politico?

La verità è che ci sarebbe un’altra domanda da farsi. Che è forse ancora più basilare.

 

Chi c’è dietro ai rave? Sono davvero un fenomeno spontaneo, senza padroni, senza finanziatori?

 

Difficile dirlo, perché si tratta di eventi ed organizzazioni di per sé davvero opache, nomadi, chiuse – segrete al punto che anche i luoghi delle feste . Tuttavia, ci ha colpita una delle descrizioni del rave finita sui giornali: «c’erano i “laboratori” della riduzione del danno dove le sostanze venivano preventivamente analizzate per non correre rischi inutili» scrive il Corriere di oggi.

 

Cioè, vi erano  dei banchetti dove testavano la droga che si acquistava, con «opuscoli con informazioni di base diffusi fra i presenti per evitare comportamenti dannosi». Cioè, ripetiamo l’espressione, quella che si chiama «riduzione del danno».

 

Qui bisogna alzare le antenne: la «riduzione del danno» è da sempre uno dei cavalli di battaglia di George Soros, per i cui programmi ha versato miliardi. La gente oggi tende a dimenticarlo, ritenendolo solo il miliardario dietro a certe rivoluzioni colorate, all’attacco alla lira e alla sterlina, e all’immigrazione totale che stiamo vivendo: no, Soros è stato anche uno dei più grandi sostenitori globali della droga libera.

 

Anni fa Soros scrisse di suo pugno un articolo per il Financial Times in cui ricordava come il suo approccio fosse diverso da quello dei governi nazionali:

 

Chi c’è dietro ai rave? Sono davvero un fenomeno spontaneo, senza padroni, senza finanziatori?

«La guerra alla droga è stata un fallimento da mille miliardi di dollari… Per oltre quarant’anni i governi di tutto il mondo hanno speso enormi somme su politiche repressive. Questo a discapito di programmi che funzionano». L’allusione è alle politiche della cosiddetta riduzione del danno, delle quali il Soros è munifico sostenitore. «Non è stato solo uno spreco di danaro: è stato controproducente»

 

«Il proibizionismo e la lotta alle droghe hanno fatto più male che bene… Per anni, la mia Open Society Foundation ha supportato programmi di riduzione del danno come lo scambio di siringhe…»

 

Insomma, dietro all’idea che la droga sia inarrestabile, e quindi non vada in alcun modo combattuta, ma ne vadano solo mitigati gli effetti, ci sono i miliardi del solito miliardario Soros.

 

Al momento, non sappiamo quale associazione che si interessa di «riduzione del danno» abbia stampato i dépliant in libera distribuzione al rave della Tuscia, né se quei «volontari» ai banchetti fossero in qualche modo stipendiati…

 

Sappiamo però che l’interesse delle forze globaliste per l’argomento c’è – eccome. Un mondo con la droga libera è un mondo di intossicati; un mondo di intossicati è davvero più facile da comandare (e anche: più economico) rispetto ad uno fatto di famiglie e cittadini responsabili…

 

Un altra domanda che nessuno si fa è: da dove viene quella immane quantità di droga consumata nei rave, così come nelle discoteche italiane dove ogni anno, in genere, ci scappa il morto con relativo e transeunte scandalo?

 

«Il proibizionismo e la lotta alle droghe hanno fatto più male che bene… Per anni, la mia Open Society Foundation ha supportato programmi di riduzione del danno come lo scambio di siringhe…» George Soros

Negli anni Novanta si bisbigliava che a produrla fossero le stesse farmaceutiche: del resto, come l’eroina fu inventata e commercializzata dalla Bayer, l’ecstacy, o MDMA – cioè la droga principalmente consumata con la musica elettronica – fu sintetizzata dalla Merck. Non c’è prova del fatto che Big Pharma produca oggi queste droghe e le smerci sottobanco: si tratta di una sorta di cospirazionismo drogastico-farmaceutico, che si diffonde tra le chiacchiere notturne di ragazzini storditi.

 

Tuttavia, ci sono invece prove del fatto che nel traffico di pastiglia siano attivi cittadini di un determinato Paese mediorientale, lo Stato di Israele.

 

Il quotidiano francese Liberation scriveva il 23 luglio 2001 che la mafia israeliana «ha dirottato il mercato delle droghe sintetiche». L’11 agosto dello stesso anno, anche Le Figaro confermava che «l’Ecstasy è il campo di caccia privato del sottobosco criminale israeliano».

 

«Gli Israeliani sono al centro del commercio dell’ecstasy» scrive il 1 novembre 2009 Haaretz analizzando un documento dello U.S. State Department. «Negli anni recenti, il crimine organizzato israeliano, con qualche legame presso le organizzazioni criminali della Russia, hanno preso controllo della distribuzione della droga in Europa, secondo un documento del Bureau for International Narcotics and Law Enforcement Affairs». Lo stesso documento mostra pure come «gruppi criminali israeliani hanno le mani sulla distribuzione di ecstasy in Nordamerica»

 

Grazie alla multinazionalità israeliana – i cittadini dello stato ebraico hanno in genere più di un passaporto, e legami con USA, Russia, Europa – la rete di traffico messa in piedi dagli israeliani e vastissima e profonda

 

Sono coinvolte diverse famiglie, coinvolte in faide con autobombe, esecuzioni,  e omicidi vari.

 

Una delle principali famiglie, Abergil sono oggetto negli USA di ogni capo di imputazione: assassinii, riciclaggio, estorsioni, frode, controllo di casinò illegali, collusione con una gang di Latinos (i Vineland Boyz) nella sua guerra criminale contro un cartello di rivali messicani.

«Gli Israeliani sono al centro del commercio dell’ecstasy» scrive il 1 novembre 2009 Haaretz

 

L’Olanda è uno degli snodi principali per gli israeliani, con milioni di pasticche spedite ovunque, dall’Europa a ogni Stato degli USA.

 

Perfino in luoghi dove i tentacoli della diaspora non dovrebbero arrivare compaiono kapò dello smercio israeliano di metanfetamina: nel settembre del 2000, la polizia giapponese arresta un cittadino israeliano per lo smuggling di almeno 25.000 pastiglie su suolo nipponico.

 

Se non credete alla vastità del fenomeno, è sufficiente rammentare il caso del ministro Gonen Segev, un pediatra della zona di Haifa che fu non solo deputato alla Knesset (il parlamento israeliano), ma pure ministro dell’energia e delle infrastrutture  1995 sia sotto il governo di Yitzhak Rabin e sotto il successivo governo presieduto da Shimon Peres. Non un politico qualsiasi: si considera che il suo voto fu fondamentale per il passaggio degli accordi di Oslo presso la Knesset.

 

Ebbene, nel 2004 l’ex-ministro di Tel Aviv viene arrestato all’aeroporto di Amsterdam mentre si imbarca su di un volo per Israele. Dice alle autorità aeroportuali che quelle pillolette colorate che gli hanno trovato siano delle M&Ms, avete presente, i variopinti cioccolatini che piacciono ai bambini. Invece erano migliaia e migliaia di pasticche di ecstasy.

 

Non fermare il rave, indirettamente, corrisponde al non fermare questa marea di psicofarmaci illegali che infiltrano il cervello della nostra gioventù

Insomma, l’onorevole, già ministro di un Paese che dispone di almeno 200 testate atomiche non dichiarate», trasportava ecstasy in quantità.

 

Ora, sarebbe bello capire quali percorsi hanno seguito le pastiglie consumate per istupidire e tenere in piedi i 10 mila raver del viterbese. Sarebbe bello sapere questo, e tante altre cose.

 

Del resto, attraverso i confini italiani, con gli ultimi governi, sono entrati milioni di clandestini – figuriamoci dunque quante pasticchette potrebbero essere passate.

 

Non fermare il rave, indirettamente, corrisponde al non fermare questa marea di psicofarmaci illegali che infiltrano il cervello della nostra gioventù.

 

E chi si droga ad una festa d’estate con psicofarmaci legali, mai dirà di no a quelli legali, soprattutto in annate in cui il lockdown ne ha moltiplicato il consumo – in perfetta legalità civile ed etica medica.

Per noi, da dovunque la si guardi, si tratta di un unico fenomeno, una vera catastrofe cerebrale generazionale, con i ragazzi trasformati sempre più consapevolmente in zombie assuefatti a sostanze sintetiche.

 

Altro che «riduzione del danno».

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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I cartelli della droga imparano la guerra con i droni in Ucraina

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Il sessanta per cento dello «tsunami bianco» di cocaina che sta inondando Europa e Stati Uniti proviene dalla Colombia. Lo riporta EIRN.

 

Sempre alla ricerca delle tecnologie e delle tecniche più moderne, le bande di narcotrafficanti messicane e colombiane stanno inviando combattenti in Ucraina «per apprendere le tattiche dei droni con visuale in prima persona (FPV) e utilizzare tali conoscenze in modi nuovi e mortali in patria», scrive il sito web danese Dagens il 27 agosto.

 

La Colombia è probabilmente diventata il maggiore esportatore di mercenari. «Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, la Legione Internazionale di Difesa Territoriale ucraina ha aperto le sue porte a volontari provenienti da tutto il mondo, tra cui decine, se non centinaia, di ex militari colombiani», scrive Radio France International. «Un evento che ha evidenziato questo fenomeno è stato l’arresto di due colombiani, di ritorno dall’Ucraina durante uno scalo a Caracas, in Venezuela, nel 2024».

 

I mercenari sono stati inviati a Mosca, dove sono stati imprigionati. «Giovani ex soldati ed ex ufficiali, non vendetevi. Combattete per la vostra patria, non morite in guerre straniere», ha insistito il presidente colombiano Gustavo Petro il 17 agosto 2025, su X. Il Petro stava rispondendo a un messaggio del premier sudanese Kamil Idris, indirizzato ai colombiani, che chiedeva la fine dei mercenari colombiani in Darfur e, più in generale, in Sudan.

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In Messico, potenti cartelli della droga si sono rivolti a questi veterani per rafforzare le proprie forze. Ex soldati colombiani (sia narcotrafficanti che anti-narcotrafficanti) vengono reclutati per addestrare i «sicarios», sviluppare tattiche di commando e rafforzare la sicurezza dei leader dei cartelli.

 

Tra gli episodi più oscuri che hanno coinvolto i mercenari colombiani c’è stato l’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, avvenuto il 7 luglio 2021 nella sua residenza di Port-au-Prince. L’inchiesta ha rapidamente rivelato il coinvolgimento diretto di un commando composto principalmente da ex soldati colombiani, reclutati tramite società di sicurezza private e assunti come personale di sicurezza.

 

E ora, membri dei cartelli della droga messicani e dei gruppi di guerriglia colombiani si stanno unendo alla Legione Internazionale ucraina per padroneggiare la guerra in prima linea con i droni.

 

L’Ucraina è diventata un banco di prova globale per droni, offrendo agli agenti del cartello un’esperienza pratica con attacchi a basso costo e ad alto impatto.

 

Il cartello di Jalisco Nuova Generazione sta già impiegando droni armati di granate contro rivali e forze governative in Messico. La Colombia ha registrato 115 attacchi con droni collegati al cartello nel 2024, incluso uno che ha abbattuto un elicottero della polizia e ucciso 12 persone.

 

I dissidenti delle FARC e la fazione EMC stanno utilizzando sempre più droni nel conflitto interno colombiano, soprattutto dove i colloqui di pace sono falliti. Inoltre, nelle regioni messicane con una forte presenza di cartelli come Sinaloa e Chihuahua, i droni vengono ora utilizzati per imboscate, sorveglianza e persino sganciare bombe.

 

Persino i funzionari ucraini avvertono che i combattenti stranieri stanno imparando a «uccidere con un drone da 400 dollari», per poi esportare questa conoscenza a livello globale.

 

Non è la prima volta che viene detto che l’uso di droni come strumenti militari nel teatro di guerra ucraino sta praticando un cambio di paradigma che rimodellerà con probabilità i conflitti di tutto il XXI secolo.

 

Come riportato da Renovatio 21, un mese fa Londra ha annunziato la produzione congiunta di droni con l’Ucraina; Zelens’kyj una quindicina di giorni fa ha parlato di un possibile grande accordo con gli USA per i droni nel suo Paese. Poche settimane prima, il presidente russo Vladimir Putin aveva affermato che la Russia stava approntando una branca separata dell’esercito dedicata ai droni.

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Come riportato da Renovatio 21, Putin durante una riunione della Commissione militare-industriale del Paese sullo sviluppo di sistemi aerei senza pilota dello scorso settembre aveva annunciato che nel 2024 l’esercito russo avrebbe ricevuto dieci volte più droni rispetto all’anno precedente – una produzione praticamente decuplicata.

 

Mesi fa Kiev ha condotto su tutto il territorio russo – compreso l’estremo oriente siberiano – l’operazione «tela di ragno», con la quale, tramite piccoli droni remotati, ha attaccato aeroporti e colpito bombardieri.

 

Come riportato da Renovatio 21, i narcocartelli da mesi hanno iniziato a condurre operazioni con droni armati contro le forze americane delle frontiere.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’uso dei droni per il trasporto della droga è estremamente comune oramai, con oltre 9.000 incursioni di droni dei narcos messicani nello spazio aereo statunitense.

 

I cartelli della droga costituiscono il quinto più grande datore di lavoro in America Latina.

 

I cartelli messicani, che vengono da un periodo di sanguinari conflitti interni, sono stati pionieri dell’uso di droni commerciali per sganciare bombe sulle bande rivali.

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Droga

Trump valuta l’ipotesi di attacchi in Venezuela e minaccia di abbatterne gli aerei

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta valutando la possibilità di effettuare attacchi contro i cartelli della droga sul suolo venezuelano, ha riferito venerdì la CNN, citando fonti a conoscenza della questione.   Le deliberazioni segnalate giungono mentre il Pentagono ha schierato almeno otto navi da guerra e un sottomarino nei Caraibi orientali.   Secondo la CNN, l’attacco missilistico di martedì contro un’imbarcazione presumibilmente impegnata nel contrabbando di droga dal Venezuela è stato solo il primo passo degli sforzi di Trump per neutralizzare il traffico di droga nella regione e potenzialmente rovesciare il presidente venezuelano Nicolas Maduro.

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Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni drastiche al paese sudamericano governato dai socialisti durante il primo mandato di Trump, prendendo di mira il suo commercio petrolifero e il suo settore finanziario. Il mese scorso, il procuratore generale di Washington Pam Bondi ha raddoppiato la ricompensa per informazioni che portassero all’arresto di Maduro, portandola a 50 milioni di dollari.   Sebbene venerdì Trump abbia negato i piani per un cambio di regime, ha definito le elezioni presidenziali del 2024 in Venezuela «molto strane». Il Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato all’inizio di questa settimana che gli Stati Uniti «affronteranno i cartelli della droga ovunque si trovino».   Maduro ha negato le accuse di coinvolgimento nel traffico di droga e ha promesso di dichiarare il Venezuela una«repubblica in armi» se attaccato dagli Stati Uniti.   «Così come non era vero che l’Iraq possedesse armi di distruzione di massa, non è vero neanche quello che dicono del Venezuela», ha detto Maduro venerdì, riferendosi alla logica alla base dell’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003.   Trump ha affermato esplicitamente che l’esercito statunitense è autorizzato ad abbattere aerei venezuelani se i comandanti li ritengono una minaccia. Il suo avvertimento è seguito alle notizie secondo cui aerei venezuelani avrebbero sorvolato navi da guerra americane impegnate in quella che Washington descrive come una missione antidroga nei pressi del paese sudamericano.   Venerdì, quando i giornalisti gli hanno chiesto cosa avrebbero fatto gli Stati Uniti se i jet venezuelani avessero nuovamente sorvolato le navi della marina statunitense, Trump ha avvertito che «saranno nei guai». «Se ci mettessero in una posizione pericolosa, li abbatteremmo», ha sottolineato.   Trump ha respinto le affermazioni di Caracas secondo cui Washington stava cercando di rovesciare il governo del presidente Nicolas Maduro. «Beh, non stiamo parlando di questo, ma del fatto che avete avuto delle elezioni molto strane», ha detto.   Trump ha insistito nell’inquadrare la presenza militare statunitense vicino al Venezuela come parte di una stretta sul traffico di droga. «Miliardi di dollari di droga stanno affluendo nel nostro Paese dal Venezuela. Le prigioni venezuelane sono state aperte al nostro Paese», ha dichiarato Trump, aggiungendo che le forze statunitensi avrebbero preso di mira le imbarcazioni sospettate di trasportare stupefacenti.   Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno schierato almeno otto navi da guerra e un sottomarino d’attacco nei Caraibi, mentre hanno inviato dieci caccia stealth F-35 a Porto Rico per scoraggiare ulteriori sorvoli venezuelani. All’inizio di questa settimana, gli Stati Uniti hanno colpito un’imbarcazione che sostenevano fosse collegata a un’operazione di narcotraffico, uccidendo 11 persone.   Mentre le tensioni con gli Stati Uniti aumentavano vertiginosamente, Maduro avvertì che il suo Paese sarebbe entrato in una fase di «lotta armata» se fosse stato attaccato.   Le relazioni tra Stati Uniti e Venezuela sono tese da anni. Washington si è rifiutata di riconoscere la rielezione di Maduro nel 2018, sostenendo invece l’opposizione del Paese. Le successive amministrazioni statunitensi hanno imposto sanzioni drastiche al settore petrolifero e al sistema finanziario venezuelano.   Ad agosto, gli Stati Uniti hanno annunciato una ricompensa di 50 milioni di dollari per qualsiasi informazione che porti all’arresto di Maduro, definito «uno dei più grandi narcotrafficanti del mondo».

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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma.
Il presidente venezuelano ha respinto le accuse, affermando che il suo Paese è «libero dalla produzione di foglie di coca e di cocaina» e sta lottando contro il traffico di droga.   Come riportato da Renovatio 21, gli sviluppi recenti si inseriscono nel contesto delle annunciate operazioni cinetiche programmate dal presidente americano contro il narcotraffico. Ad inizio mandato era trapelata l’ipotesi di un utilizzo delle forze speciali contro i narcocartelli messicani. La prospettiva, respinta dal presidente messicano Claudia Sheinbaum, ha scatenato una rissa al Senato di Città del Messico la scorsa settimana.  

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Trump disintegra la barca di narcotrafficanti venezuelani in acque internazionali

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Un’imbarcazione che trasportava droga e terroristi dal Venezuela è stata annientata dall’esercito statunitense nel Mar dei Caraibi martedì, ha rivelato lo stesso presidente statunitense Donald J. Trump a inizio settimana.

 

«Abbiamo appena sparato, negli ultimi minuti, contro una barca, una barca che trasportava droga, con un sacco di droga a bordo», ha annunciato il Presidente durante una conferenza stampa nello Studio Ovale.

 

«E lo vedrete, e ne leggerete. È successo solo pochi istanti fa».

 

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Il Segretario di Stato Marco Rubio ha confermato il successo operativo in una dichiarazione rilasciata poco dopo.

 

«Come ha annunciato poco fa il presidente degli Stati Uniti, oggi l’esercito statunitense ha condotto un attacco letale nei Caraibi meridionali contro una nave adibita al trasporto della droga partita dal Venezuela e gestita da un’organizzazione designata come narcoterroristica», ha spiegato Rubio in una dichiarazione sui social media.

 

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Ore dopo, il presidente Trump ha diffuso su Truth social filmati e ulteriori dettagli sull’attacco.

 

«Stamattina presto, su mio ordine, le forze armate statunitensi hanno condotto un attacco cinetico contro i narcoterroristi del Tren de Aragua, identificati con certezza, nell’area di responsabilità del SOUTHCOM. Il TDA è un’organizzazione terroristica straniera designata, che opera sotto il controllo di Nicolas Maduro, responsabile di omicidi di massa, traffico di droga, traffico sessuale e atti di violenza e terrorismo negli Stati Uniti e nell’emisfero occidentale”, ha dichiarato il Presidente».

 

 

«L’attacco è avvenuto mentre i terroristi si trovavano in mare in acque internazionali, impegnati a trasportare stupefacenti illegali diretti negli Stati Uniti. L’attacco ha causato la morte di 11 terroristi. Nessun membro delle forze armate statunitensi è rimasto ferito durante l’attacco. Vi preghiamo di far sì che questo serva da avviso a chiunque pensi anche solo di introdurre droga negli Stati Uniti d’America. ATTENZIONE!»

 

Si tratta di un primo colpo delle annunciate operazioni cinetiche programmate dal presidente americano contro il narcotraffico. Ad inizio mandato era trapelata l’ipotesi di un utilizzo delle forze speciali contro i narcocartelli messicani. La prospettiva, respinta dal presidente messicano Claudia Sheinbaum, ha scatenato una rissa al Senato di Città del Messico la scorsa settimana.

 

Le tensioni tra Stati Uniti e Venezuela sono in aumento. Secondo quanto riferito, sette navi da guerra statunitensi e un sottomarino d’attacco rapido a propulsione nucleare stanno già pattugliando i Caraibi meridionali o lo faranno presto, insieme a più di 4.500 marinai e marine. Maduro ha risposto visitando un grande spiegamento militare ritratto in video e mandato in rete nelle scorse ore.

 

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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma.

 

Il regime di Maduro sostiene che la presenza degli Stati Uniti nella regione rappresenta una minaccia diretta e potrebbe preannunciare un conflitto militare nel prossimo futuro. «I venezuelani sanno chi c’è dietro queste minacce militari degli Stati Uniti contro il nostro Paese», ha affermato la scorsa settimana il ministro della Difesa venezuelano, il generale Vladimir Padrino. «Non siamo narcotrafficanti, siamo persone nobili e laboriose».

 

Le forze visibili nel settore sono state create per «combattere e smantellare le organizzazioni dedite al traffico di droga, i cartelli criminali e le organizzazioni terroristiche straniere nel nostro emisfero», ha dichiarato venerdì il vice capo dello staff della Casa Bianca, Stephen Miller, sottolineando quella che pare essere ufficialmente la dottrina geopolitica trumpiana, ossia la «difesa emisferica», dove gli USA – non troppo lontano dalla dottrina Monroe – difendono il proprio settore globale. Di qui l’interesse per la Groenlandia, le immediate trattative sul Canale di Panama, e le provocazioni sull’annessione del Canada e persino del Messico, che ha avuto il suo Golfo rinominato in Golfo d’America.

 

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Immagine screenshot da Twitter

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