Politica
Deputato verde: i tedeschi hanno «l’obbligo morale» di sacrificare gli standard di vita benessere
Johannes Wagner, deputato dei Gruenen – il Partito dei Verdi tedesco – sostiene che i tedeschi hanno il «dovere morale» di rinunciare alla loro ricchezza.
L’affermazione del politico ecologista arriva nel momento in cui la crisi economica affrontata dei tedeschi non è più ignorabile, con la grande industria che precipita, il fallimento delle rinnovabili e la vita delle famiglie fattasi difficilissima, tra bollette impazzite e un terzo dei tedeschi che a fine 2022 dichiarava di non potersi permettere spese impreviste.
Su Twitter, il Wagner, 32 anni, ha postato un messaggio in cui esprimeva una certa indignazione per il fatto che i tedeschi non vogliono dare via la loro ricchezza.
«È un vero peccato che così tante persone non vedano (o non vogliano vedere?) quale incredibile prosperità abbiamo in Germania. Siamo uno dei Paesi più ricchi della terra. Possiamo ancora dare tanto. E hanno anche l’obbligo morale di farlo».
Es ist so schade, dass so viele Menschen nicht sehen (wollen?), was für einen unglaublichen Wohlstand wir in Deutschland haben.
Wir sind eines der reichsten Länder dieser Erde.
Wir können noch so viel geben.
Und haben auch eine moralische Verpflichtung dazu.— Johannes Wagner, MdB (@yooHannes) July 27, 2023
Come deputato, il Wagner guadagna più di 10.000 euro al mese al mese, oltre a benefici aggiuntivi come viaggi pagati e altre spese, che lo collocano tra i guadagni più alti in Germania. L’onorevole verde riceverà anche una generosa pensione grazie al suo alto stipendio da impiegato statale.
Non pago, in un ulteriore tweet, il Wagnerro ha chiesto «una maggiore ridistribuzione della ricchezza dei super ricchi».
Il deputato è stato quindi sommerso dai commenti degli utenti, che gli hanno ricordato la crisi economica ed energetica tedesca – un tunnel nel quale è lecito dire non si vede ancora la luce dell’uscita – nonché il fatto che la ricchezza netta mediana dei giovani tedeschi è di gran lunga inferiore a quella di altri paesi dell’UE, mentre il governo federale ha un debito in aumento per un totale di 2,5 trilioni.
Il giovane deputato, come molto dell’apparato goscista, pare totalmente tagliato fuori dalla realtà, vive in un mondo suo, con la pancia piena di uno stipendio comunque garantito: ecco da dove viene il suo appello alla generosità, da una visione del mondo contaminata per sempre dal fatto di non aver lavorato mai in maniere indipendente, cosa che porta alcuni, con evidenza, a pensare che il benessere, o anche la sola sopravvivenza, cadano dal cielo, oppure si raccolgano sugli alberi, come in un giardino dell’Eden di parassiti senzadio.
Non si tratta, purtroppo, di fare solo mere considerazioni antropologiche. Tali persone, arrivate al potere, possono fare danni enormi.
Come ricordato dal fondatore del partito della sinistra tedesca Die Linke Oskar Lafontaine, la stupidità dell’attuale governo Scholz è causata anche dalla «via militare» imposta dal partito dei Verdi, un cui esponente, il ministro degli Esteri Annalena Baerbock, mesi fa al Consiglio d’Europa aveva di fatto dichiarato guerra alla Russia.
La Baerbock, allieva della London School for Economics (un tempio della democrazia, certo), in un’altra occasione arrivò a dire che avrebbe sostenuto l’Ucraina anche contro il volere del suo stesso elettorato.
Come riportato da Renovatio 21, Berlino rischia di restare senz’acqua a causa delle politiche verdi. Nel frattempo, il Partito è cosa affezionato al Paese che vorrebbe togliere la parola «Germania» dal suo nome.
Con un breve ma molto incisivo discorso al Bundestag, due mesi fa una deputata di Alternative fuer Deutschland aveva delineato la realtà della «Piovra verde», ossia i grandi gruppi finanziari internazionali che spingono l’ecologismo dentro e fuori dai Parlamenti.
Politica
Costantinopoli, per il sindaco (incarcerato) Imamoglu anche l’accusa di spionaggio
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Dalla cella il leader dell’opposizione definisce il nuovo procedimento è un «complotto» per estrometterlo dalla scena politica. Per analisti e oppositori è un tentativo di governo e AKP – sconfitti alle urne – di assumere il controllo della metropoli. I due volti della Turchia di Erdogan: repressione e carcere per gli oppositori e critici sul fronte interno, mediatore per la pace a Gaza (e in Siria).
Dopo le imputazioni per corruzione e legami con organizzazioni terroristiche, per il sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione Ekrem Imamoglu – in carcere dal marzo scorso ma pur sempre il principale rivale del presidente Recep Tayyip Erdogan – arriva anche quella di «spionaggio politico».
Un tribunale turco ha emanato un ordine di arresto – emettere un mandato per una persona già in cella è una pratica tutt’altro che inusuale per il Paese – per il primo cittadino della capitale economica e commerciale, segnando un’ulteriore escalation in un’ottica di repressione. Per critici e cittadini scesi in piazza anche oggi a manifestare sfidando i divieti, il nuovo procedimento è un segnale della «politicizzazione» dei tribunali e l’uso ad orologeria della giustizia, accuse respinte dal governo di Ankara che rivendica l’indipendenza dei giudici.
Il sindaco è apparso ieri in tarda mattinata davanti ai giudici del tribunale di Caglayan, per rispondere dei nuovi capi di imputazione a suo carico in un crescendo di attacchi e incriminazioni, mentre all’esterno un migliaio di sostenitori si sono riuniti per manifestare. Dopo diverse ore l’entourage di Imamoglu ha diffuso una nota, ripresa dalla stampa turca, in cui egli respinge le accuse: «non ho assolutamente alcuna conoscenza o connessione con le agenzie di intelligence o i loro dipendenti» bollandole come «assurde» e collegate a una «complotto» per estrometterlo dalla scena politica.
«Sarebbe più realistico dire» ha concluso «che ho incendiato Roma».
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All’esterno del tribunale, il leader del Partito popolare repubblicano (CHP) Ozgul Ozel ha parlato a una folla di sostenitori e simpatizzanti riunita per protestare contro il nuovo procedimento a carico del sindaco, sorvegliati a vista da poliziotti in tenuta antisommossa. «Lo hanno chiamato ladro, non ha funzionato; lo hanno chiamato corrotto, non ha funzionato; lo hanno accusato di sostenere il terrorismo, non ha funzionato» ha detto di Imamoglu il presidente del CHP. «Ora, come ultima risorsa, hanno cercato di chiamarlo spia. Vergogna su di loro!» ha gridato Ozel, anch’egli finito nel mirino della magistratura.
Il 24 ottobre scorso, infatti, il tribunale ha respinto il processo intentato dal governo a carico del principale partito di opposizione (il Partito Popolare Repubblicano, CHP), che mirava all’annullamento del congresso 2023 e all’elezione del suo leader. Una decisione che sembrava aver allentato la morsa voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan contro il principale schieramento rivale, con decine di sindaci e alte personalità del partito finite sotto processo o già condannate.
Per la Corte le (presunte) irregolarità non hanno alcuna rilevanza giuridica. In realtà, a distanza di pochi giorni è giunta la notizia delle nuove accuse contro Imamoglu in un quadro di continua repressione.
Analisti ed esperti sottolineano che il nuovo attacco al primo cittadino sia un tentativo del governo e del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) – sconfitto alle urne – di assumere il controllo di Istanbul, una metropoli dall’importanza strategica. Imamoglu parla di «calunnie, bugie e cospirazioni», ma resta il fatto che le accuse potrebbero consentire al governatore nominato dallo Stato di assumere per via giudiziale la guida della città. Secondo l’analista di GlobalSource Partners Atilla Yesilada il ministero turco degli Interni ha infatti l’autorità di licenziare Imamoglu e sostituirlo con un fiduciario, assestando un colpo durissimo al partito di opposizione.
Del resto già nel settembre scorso, e nel silenzio internazionale, la magistratura – col benestare del governo – ha di fatto azzerato – e commissariato – i capi del Partito Popolare Repubblicano (CHP), principale movimento di opposizione del Paese, a Istanbul.
Inoltre si sono registrati diversi arresti fra quanti sono scesi in piazza a dimostrare, oltre al blocco di internet e il divieto di manifestazioni nel tentativo di «oscurare» dissenso e malcontento fra la popolazione contraria alla deriva autoritaria impressa dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Il giro di vite è parte di una più ampia campagna che si è intensificata dopo le schiaccianti vittorie dell’opposizione nelle elezioni locali del marzo 2024.
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Dall’ottobre dello scorso anno i pubblici ministeri e la polizia hanno condotto indagini su corruzione e terrorismo che hanno portato a centinaia di arresti, tra cui quello, avvenuto a marzo, del sindaco di Istanbul, la personalità più importante finita in cella. Decine di sindaci e amministratori CHP sono stati incarcerati in attesa di processo, con ripercussioni anche economiche per turbolenze sui mercati e preoccupazione di investitori stranieri, mentre il partito ha trasferito la sede provinciale a Istanbul per sfuggire alla morsa della magistratura.
Se, sul fronte interno, il governo di Ankara e il presidente Erdogan alimentano la repressione contro oppositori e critici, a livello internazionale cercano di capitalizzare il ruolo di attore regionale sul fronte mediorientale e un ruolo nella tregua a Gaza e sulla nascitura forza di stabilizzazione. Un tentativo di rafforzare la propria immagine, ben rappresentato dalla foto a Sharm el-Sheikh in cui Erdogan si ergeva in prima fila accanto al padrone di casa Abdel Fattah al-Sisi e al presidente USA Donald Trump, artefice del piano di pace per la Striscia.
Anche in queste ore Erdogan ha insistito per garantire ad Ankara un ruolo nella risoluzione dei vari scenari di crisi dalla Siria all’Ucraina fino alla Striscia. «Ora vi è una Turchia nella regione e nel mondo» ha affermato il presidente «che è rinomata per la sua promessa di esportare pace e stabilità» in quanto «potenza globale» in una prospettiva di «pace, armonia e stabilità».
Un tentativo di leadership, quello turco, che parla di pace ma non disdegna di mostrare i muscoli: è attesa la visita in Turchia del premier Keir Starmer per discutere della vendita, attualmente in sospeso, di 40 jet Eurofighter Typhoon, che secondo le intenzioni di Erdogan dovrebbero rafforzare la pattuglia dei caccia assieme agli F-16 ed F-35 USA.
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Politica
La nuova presidente irlandese è NATO-scettica e contraria alla militarizzazione dell’UE
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Politica
Il presidente romeno fischiato per il sostegno all’Ucraina
Il presidente rumeno Nicusor Dan è stato contestato per il suo sostegno all’Ucraina durante un evento commemorativo tenutosi venerdì.
Decine di manifestanti hanno espresso il loro dissenso quando Dan è giunto al Teatro Nazionale di Iasi per partecipare a una celebrazione storica, come riportato dall’emittente locale Digi24.
Un video mostra Dan scendere dall’auto e salutare i manifestanti, che gridavano «Vergogna!» e «Vai in Ucraina!».
🇷🇴 ROMANIAN PRESIDENT NICUSOR DAN BOOED!
People shouted “Shame,” “Traitor,” “Go to Ukraine.” pic.twitter.com/b0LuAALd91
— Lord Bebo (@MyLordBebo) October 24, 2025
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Secondo il quanto riportato, le proteste sono continuate anche dopo l’evento, al momento dell’uscita del presidente dal teatro.
Come riportato da Renovatio 21i, Dan, politico favorevole all’UE, è salito al potere quest’anno dopo una controversa ripetizione delle elezioni, in seguito all’annullamento della vittoria iniziale del candidato conservatore Calin Georgescu, critico esplicito della NATO e delle forniture di armi occidentali all’Ucraina. Georgescu è stato successivamente escluso dalla competizione elettorale e affronta accuse di aver pianificato un colpo di Stato, tanto da essere arrestato.
Georgescu, che ha sempre avuto il favore di migliaia e migliaia di manifestanti pronti a scendere in piazza, ha definito la UE «una dittatura». Di contro, Bruxelles ha rifiutato di commentare l’esclusione del candidato dalle elezioni rumene. A inizio anno Georgescu aveva chiesto aiuto al presidente americano Donaldo Trump.
Georgescu aveva definito Zelens’kyj come un «semi-dittatore», accusando quindi la NATO di voler utilizzare la Romania come «porta della guerra».
Il CEO di Telegram Pavel Durov aveva parlato di pressioni su di lui da parte della Francia per influenzare le elezioni presidenziali in Romania.
Il Dan ha ribadito il suo impegno a sostenere l’Ucraina. La Romania ha già destinato 487 milioni di euro a Kiev, principalmente in aiuti militari, dall’intensificarsi del conflitto nel 2022, secondo i dati del Kiel Institute tedesco.
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia riprodotta secondo indicazioni.
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