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Epidemie

De Donno e il segreto dell’umiltà

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Ho sempre pensato, fin dalla prima volta che l’ho visitata, che Mantova sia una delle città più belle d’Italia. 

 

Lo è per alcune splendide opere di architettura rinascimentale; lo è per i Sacri Vasi della Basilica di Sant’Andrea, per San Longino, per Palazzo Te, per la Rotonda di San Lorenzo e per tutte quelle opere d’arte lombarda che questo gioiello avvolto intorno ai tre laghi del fiume Mincio racchiude silenziosamente, umilmente, nobilmente in sé.

 

Finalmente guarito dal COVID, ieri mattina, dopo aver preso appuntamento con tutte le procedure del caso, mi sono recato al Carlo Poma di Mantova per donare il plasma

Lo è, a dire il vero, anche per quella straordinaria cosa che sono i tortelli di zucca, in una versione che solo in loco è possibile gustare diffidando con tutto il rispetto dalle altre imitazioni, per quanto buone possano essere.

 

Tuttavia oggi Mantova diventa grande, ancora più grande, per un altro motivo: l’Ospedale Carlo Poma. 

 

Finalmente guarito dal COVID, ieri mattina, dopo aver preso appuntamento con tutte le procedure del caso, mi sono recato al Carlo Poma di Mantova per donare il plasma. 

 

Da agofobico qual sono, mi sono fatto coraggio e sono andato.

 

A dire il vero, gran parte del mio coraggio me lo ha trasmesso il dottor Giuseppe De Donno, che oramai non ha nemmeno troppo bisogno di presentazioni, quantomeno non di quelle accademiche o legate ai titoli. 

 

Il Salento, altra terra straordinaria, ha fatto un enorme dono a Mantova: ha donato un grande medico, ma soprattutto un grande uomo. 

 

Credo non si possa essere grandi medici se anzitutto non si è grandi uomini, forgiati ad una morale, ispirati ad un’etica che non può e non deve mai mancare nella medicina.

 

Ippocrate docet: leggendo il suo giuramento originale, quello su cui tanti medici purtroppo spergiurano senza conoscerne probabilmente la profondità o lasciandosi ingannare da moderne traduzioni edulcorate e personalizzate su misura, si legge anzitutto la testimonianza di un grande uomo, legato all’etica e alla morale. 

 

Leggendo il giuramento di Ippocrate in versione originale si legge anzitutto la testimonianza di un grande uomo, legato all’etica e alla morale

Ho avuto la grazia di conoscere personalmente, proprio durante la plasmaferesi, il dottor De Donno. 

 

Una persona umile, semplice, disponibile e allo stesso tempo preparatissima, fermissima e consapevole della grande responsabilità che reca con sé il protocollo messo in atto insieme a tutto il suo staff e all’Università di Pavia.

 

Non voglio spendermi in complimenti: non ve ne è bisogno poiché i fatti parlano chiaro, e ci dicono di persone guarite, di pazienti che saranno grati per sempre a De Donno e all’Ospedale Carlo Poma di Mantova.

 

«Qui all’inizio avevamo il pronto soccorso imballato, le persone ci morivano praticamente fra le mani» — mi diceva qualcuno — «dopo aver messo in atto la plasmaterapia la situazione è cambiata radicalmente in meglio».

 

«Qui all’inizio avevamo il pronto soccorso imballato, le persone ci morivano praticamente fra le mani. Dopo aver messo in atto la plasmaterapia la situazione è cambiata radicalmente in meglio».

Piuttosto voglio parlarvi di quelle due ore e mezzo che ho trascorso lì.

 

Come dicevo, sono da sempre agofobico pur lavorando in ambito sanitario, e l’idea di farmi togliere del sangue mi faceva tremare non poco le gambe. 

 

Sono quindi arrivato a Mantova, come potrete immaginare, agitato ma fortunatamente accompagnato da una cara amica che mi ha fatto da spalla. 

 

Devo confessarvi che l’agitazione mi è passata non appena ho messo piede nel reparto dei servizi di Medicina Trasfusionale ed Ematologia. Ho subito avvertito, una volta accolto dai professionisti che si occupano della plasmaferesi, un clima familiare e rassicurante. 

 

Nella visita medica che precede il prelievo ho esposto senza vergogna miei timori ipocondrici all’ematologo il quale, simpaticamente, con accento mantovan-lombardo, mi ha detto: «pensa che vado in pension fra due mesi e mi fanno ancora oggi impressione gli aghi».

 

Da lì medici, infermieri, biologici e altre varie figure professionali mi hanno seguito e accompagnato facendomi sentire a mio agio. In particolare un‘infermiera meravigliosa, Lucrezia, ha reso tutto più bello e più semplice, ricordandomi sempre la bellezza di quel gesto che può salvare altre persone. 

 

Ad un certo punto ho chiesto del dottor De Donno, speravo vivamente di poterlo incontrare per ringraziarlo personalmente. Non appena ho espresso questo desiderio, una dottoressa presente durante il prelievo di plasma lo ha subito chiamato riferendo il desiderio mio e di altri donatori lì presenti di poterlo incontrare. Nel giro di due minuti De Donno si è presentato nella stanza adibita al prelievo con un grande sorriso che, seppur nascosto sotto ad una simpatica mascherina fiorita, non lasciava dubbi sulla sincerità e persino sulla commozione. 

 

Era uno di loro, uno dei tanti medici e professionisti che erano lì per continuare questo grande, enorme e solidale lavoro. 

 

Uno scambio di battute, un paio di foto, e poi è tornato in reparto, cioè in prima linea — cosa, questa, sconosciuta ai tanti che parlano, pontificano o teorizzano su come si avvita una vite senza però averla mai avvitata in vita loro.

 

Me lo aspettavo così? Devo dire di sì, ma averne la conferma è qualcosa in più che mi porterò nel mio bagaglio di esperienze. 

 

Apprezzato e incoraggiato da tutti i suoi colleghi, dal personale e da tanti donatori che ho potuto incontrare. Uno di loro, come dicevo. Non un individualista, ma uno che, come testimonia il grande lavoro fatto al Carlo Poma, è mosso e motivato dalla sinergia di tutto lo staff e di tutto il personale che lo affianca in questa grande impresa volta al bene delle persone, alla loro guarigione, alla gratuità solidale con la quale si possono salvare e si sono salvate delle vite umane che in molti casi erano state date quasi per perse. 

 

Una testimonianza vera di quella che dovrebbe essere la medicina al servizio delle persone. Inclusiva, collaborativa, sinergica e senza che sia mai perso di vista il primo fra tutti i princìpi ippocratici: «Primum non nocere».

 

Vedete, quando sento qualche grande luminare abituato da anni a scaldare seggiole in lussuosi salotti televisivi senza portare a casa risultato alcuno attaccare il dottor De Donno, accusandolo di essere in cerca di notorietà e di visibilità, mi scappa veramente da ridere. 

La medicina al servizio delle persone: inclusiva, collaborativa, sinergica e senza che sia mai perso di vista il primo fra tutti i princìpi ippocratici – «Primum non nocere»

 

Cosa avrebbe dovuto fare De Donno, salire sul tetto del suo ospedale e gridare ai passanti che a Mantova, con una cura semplice, gratuita ed efficace si sono salvate delle vite e che questo protocollo dovrebbe essere esteso il più possibile per salvarne altre? 

 

Avrebbe dovuto passare la notizia di questo risultato enorme, pazzesco, del quale tutto il mondo si sta interessando attraverso il telefono senza fili?

 

De Donno ha fatto semplicemente ciò che vi era da fare, e cioè rendere nota la cosa con ogni mezzo possibile, mettendoci la faccia e perciò pagando il prezzo, quantomeno iniziale, della solita macchina del fango messa in atto contro di lui. 

 

Si chiama altruismo. Si chiama coraggio. Si chiama amore verso il prossimo. 

 

Dà fastidio, lo sappiamo, ma questo è.

 

De Donno è ben voluto da tante, tantissime persone. Tanti ammalati guariti, tante famiglie, tanti colleghi. Questo è ciò che conta davvero

La realtà vera, però, quella che fa meno chiasso, è che De Donno è ben voluto da tante, tantissime persone. Tanti ammalati guariti, tante famiglie, tanti colleghi. Questo è ciò che conta davvero.

 

Egli è profeta in casa sua, cosa per nulla scontata come è noto. Sentendo parlare alcuni mantovani si percepisce questo: un profondo senso di gratitudine, di rispetto, di sincera stima per lui e per tutto il suo staff, anima pulsante e instancabile di un sacrificio che troverà la giusta ricompensa. 

 

De Donno vince con l’umiltà e con il Bene.

 

De Donno vince con l’umiltà e con il Bene

E il Bene — si sa — per quanto faccia meno rumore del Male è sempre più forte e, alla fine, vince sempre.

 

«Ha deposto i potenti dai loro troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote», recita lo splendido Canto del Magnificat.

 

«Ha deposto i potenti dai loro troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote»

Gli avidi e i saccenti rimarranno sempre a mani vuote. Gli umili, i semplici, gli «pneumologi di campagna», saranno quelli che scriveranno la storia e a cui tante persone saranno sempre grate.

 

Buon lavoro a tutto il fantastico Ospedale Carlo Poma, avete reso Mantova una città ancora più bella.

 

Cristiano Lugli  

 

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Epidemie

Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump non celebreranno più la Giornata mondiale contro l’AIDS

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Per la prima volta dal 1988, l’amministrazione statunitense ha deciso di non proclamare il 1º dicembre come «Giornata mondiale contro l’AIDS». Lo riporta il

 

In una circolare indirizzata al personale, il Dipartimento di Stato ha esplicitamente vietato l’impiego di risorse pubbliche per onorare tale ricorrenza.

 

La misura si inquadra in una linea direttiva più ampia che impone di «evitare di veicolare comunicazioni in occasione di qualsivoglia giornata commemorativa, ivi inclusa quella dedicata alla lotta contro l’AIDS».

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Ai funzionari è stato ordinato di «rinunciare a qualsivoglia promozione pubblica della Giornata mondiale contro l’AIDS tramite canali di diffusione, inclusi social network, apparizioni mediatiche, orazioni o altri annunci rivolti all’opinione pubblica».

 

«Una giornata di sensibilizzazione non costituisce una strategia», ha dichiarato al quotidiano il portavoce del dipartimento di Stato Tommy Pigott. «Sotto la presidenza Trump, il Dipartimento opera in sinergia con governi esteri per preservare vite umane e promuovere maggiore accountability e compartecipazione agli oneri».

 

In una nota ad ABC News, il portavoce della Casa Bianca Kush Desai ha liquidato il Presidential Advisory Council on HIV/AIDS (PACHA) come un «ente prevalentemente simbolico i cui componenti sono immersi in un’inutile kermesse di relazioni pubbliche, svincolata dal concreto impegno dell’amministrazione Trump contro HIV e AIDS».

 

Dall’esordio dell’epidemia negli anni Ottanta, circa 300.000 uomini gay negli Stati Uniti hanno perso la vita per complicanze legate all’AIDS.

 

Negli ultimi quarant’anni, a livello globale, oltre 44 milioni di individui sono deceduti per AIDS; nel 2024, la malattia ha causato circa 630.000 morti. Le cure per l’AIDS furono inizialmente oggetto di feroci critiche da parte degli stessi omosessuali, che si scagliavano apertamente contro l’allora figura principale della lotta alla malattia Anthony Fauci.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Fauci, mentre proponeva farmaci altamente tossici e faceva esperimenti allucinanti con gli orfani di Nuova York, arrivò a dire in TV che l’HIV era trasmissibile per «contatti domestici».

 

 

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Ora il tema dell’AIDS è più raramente utilizzato dalla comunità omosessuale, dove una frangia – i cosiddetti bugchasers e gift givers – si impegna incredibilmente nell’infezione volontaria del morbo. Grindr, l’app per incontro gay, per un periodo presentava pazzescamente su ogni profilo la spunta sulla sieropositività dell’utente.

 

Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa studio avanzato sul vaccino contro l’HIV in Africa condotto dalla multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson era stato interrotto dopo che i dati hanno mostrato che le iniezioni offrivano solo una protezione limitata contro il virus. Lo studio era stato finanziato da Johnson & Johnson, dall’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation e dal National Institutes of Health, la Sanità Nazionale USA dove il dominus (in realtà a capo del ramo malattie infettive) è Tony Fauci, che già in modo molto controverso – e fallimentare – si era occupato dell’AIDS allo scoppio dell’epidemia negli anni Ottanta.

 

Il premio Nobel Luc Montagnier sconvolse il mondo, attirandosi censure dei social tra fact checker e insulti, disse che analizzando al microscopio il SARS-nCoV-2 aveva notato delle strane somiglianze con il virus HIV – per la scoperta del quale Montagnier vinse appunto il Nobel. «Per inserire una sequenza HIV in questo genoma, sono necessari strumenti molecolari, e ciò può essere fatto solo in laboratorio» disse Montagnier in un’intervista per il podcast Pourquoi Docteur. Oltre a supportare l’allora screditatissima ipotesi del virus creato in laboratorio a Wuhan, Montagnier metteva sul piatto un’idea ancora più radicale: quella di un vaccino anti-AIDS come possibile origine del coronavirus.

 

Nel 2021 Moderna, azienda biotecnologica salita alla ribalta per il vaccino mRNA contro il COVID – il primo prodotto mai distribuito della sua storia aziendale – si era dichiarata pronta per iniziare la sperimentazione sugli esseri umani per il primo vaccino genico contro l’HIV. L’anno scorso era emerso che i test avevano riscontrato un effetto collaterale alla pelle, con una percentuale insolitamente alta di riceventi ha sviluppato eruzioni cutanee, pomfi o altre irritazioni cutanee.

 

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Epidemie

Solo 1 tedesco su 7 con test PCR positivo aveva l’infezione da COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Gli autori di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria che ha identificato un tasso di falsi positivi dell’86% per i test PCR per il COVID-19 hanno affermato che i loro risultati suggeriscono un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID-19 durante la pandemia. Entro la fine del 2021, il 92% dei tedeschi aveva già contratto un’infezione naturale, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.   Secondo un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria, solo circa 1 test PCR positivo su 7 in Germania durante la pandemia di COVID-19 ha indicato un’effettiva infezione da coronavirus che ha innescato una risposta anticorpale.   Brian Hooker, Ph.D., direttore scientifico di Children’s Health Defense (CHD), ha definito «sbalorditivi» i risultati dello studio, che hanno evidenziato un tasso di falsi positivi dell’86%.   Lo studio ha inoltre rilevato che alla fine di dicembre 2020, quando sono stati distribuiti i vaccini contro il COVID-19 , circa il 25% dei tedeschi aveva già contratto l’infezione spontaneamente. Entro la fine del 2021, la percentuale è salita al 92%, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.

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I test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID

Lo studio condotto da tre ricercatori tedeschi, pubblicato il mese scorso su Frontiers in Epidemiology, ha utilizzato due modelli matematici per analizzare quanto i risultati dei test PCR fossero allineati con i risultati degli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi SARS-CoV-2.   I risultati si basano sui dati ottenuti da laboratori accreditati in Germania che hanno gestito circa il 90% dei test PCR nel Paese da marzo 2020 all’inizio del 2023 e che hanno anche eseguito test del sangue per la ricerca di anticorpi (IgG) fino a maggio 2021.   I ricercatori, Michael Günther, Ph.D.Robert Rockenfeller, Ph.D., e Harald Walach, Ph.D., hanno affermato che i loro modelli hanno allineato i dati dei test PCR che rilevano «piccole porzioni di materiale genetico virale nel naso o nella gola» e i test sugli anticorpi che mostrano se il sistema immunitario di una persona «ha risposto a un’infezione reale settimane o mesi prima».   Hanno detto al Defender:   «Quando abbiamo confrontato il numero di positivi alla PCR con i risultati successivi degli anticorpi, solo circa 1 persona su 7 positiva alla PCR ha mostrato il tipo di risposta immunitaria che indica una vera infezione. Con ipotesi conservative, la percentuale potrebbe essere più vicina a 1 su 10».   La loro analisi ha anche mostrato che entro la fine del 2021, «quasi tutti» in Germania erano stati «contagiati, vaccinati o entrambi».   Secondo il modello matematico dello studio, il dato di 1 su 7 relativo al test PCR è «quasi perfettamente» in linea con un tasso di immunità dell’intera popolazione a fine anno del 92%.   I ricercatori hanno spiegato che i test sugli anticorpi «ci dicono che una persona è stata infettata in un momento qualsiasi dell’ultimo anno circa», mentre un risultato positivo al test PCR può indicare un’infezione, o «una breve esposizione senza infezione, frammenti virali residui o un rilevamento a livelli molto bassi che non portano mai alla malattia».   Hanno affermato che il loro studio ha dimostrato che solo circa il 14% dei test PCR positivi corrispondeva a infezioni reali che avevano attivato gli anticorpi IgG, il che suggerisce che i test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni.

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I test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi»

I critici delle politiche ufficiali sul COVID-19 hanno spesso citato la dipendenza dai test PCR e le incongruenze nelle soglie virali utilizzate per generare un risultato «positivo» del test.   Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso il CHD, ha affermato che i test PCR sono uno strumento inaffidabile per rilevare e tracciare le epidemie di malattie infettive. Ha citato un incidente del 2006 al Dartmouth-Hitchcock Medical Center, dove una presunta epidemia di pertosse ha portato a 134 risultati positivi ai test.   «Sono state distribuite oltre 1.300 prescrizioni di antibiotici e 4.500 persone sono state vaccinate profilatticamente», nonostante non ci fossero «casi confermati in laboratorio». L’ uso improprio dei test PCR ha portato le autorità sanitarie a dichiarare falsamente un’epidemia, ha affermato.   Un test PCR «non è un test diagnostico per una popolazione», ha affermato Jablonowski. «È meglio usarlo come test di conferma, essenzialmente per rispondere alla domanda “Quale virus ti ha infettato?” e non “Sei infetto?”».   I ricercatori tedeschi hanno affermato che i loro risultati non indicano che la tecnologia PCR sia «imperfetta come metodo di laboratorio». Tuttavia, lo studio dimostra che il modo in cui i test PCR sono stati utilizzati per i test di massa durante la pandemia «non ha indicato in modo affidabile quante persone siano state effettivamente infettate».   Hanno affermato che i test PCR rilevano in modo affidabile frammenti di DNA virale, anche in «quantità estremamente piccole» che «non rappresentano alcun rischio di infezione», ma non sono in grado di stabilire se il virus si sta replicando nell’organismo.   I risultati positivi non dovrebbero essere utilizzati «come indicatori di infezione», perché i test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi», hanno concluso i ricercatori.

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I test PCR di massa hanno causato «danni sociali, economici e personali non necessari»

L’affidamento dei governi ai risultati dei test PCR per monitorare i livelli di infezione da COVID-19 ha portato a restrizioni legate alla pandemia che hanno contribuito a «danni sociali, economici e personali non necessari», hanno affermato i ricercatori.   I governi hanno utilizzato i risultati dei test PCR per giustificare rigide restrizioni, nonostante le agenzie sanitarie pubbliche avessero accesso a dati di test sugli anticorpi di qualità superiore.   «Erano disponibili informazioni migliori di quelle comunicate pubblicamente», hanno affermato i ricercatori. Ciò ha sollevato «seri interrogativi sulla trasparenza e sul fatto che le politiche fossero basate sui dati più informativi disponibili».   Jablonowski ha affermato che nei primi giorni della pandemia, i test PCR hanno probabilmente fornito un quadro più accurato della diffusione dell’infezione, poiché i kit per i test erano scarsi e venivano quindi utilizzati su coloro che avevano maggiori probabilità di essere infettati.   Ma man mano che i test diventavano più facilmente disponibili, «venivano utilizzati su persone asintomatiche e obbligatori per i ricoveri ospedalieri, i viaggi aerei, i datori di lavoro e molte altre attività ad accesso controllato», ha affermato Jablonowski.   Gli autori dello studio tedesco hanno affermato che un approccio più scientificamente valido avrebbe incluso dati più accurati sui test PCR che mostravano i risultati in proporzione al numero di test eseguiti, un monitoraggio di routine dei livelli di anticorpi nella popolazione e una «comunicazione trasparente… che indicasse chiaramente cosa la PCR può e non può misurare».   «Questo insieme di pratiche… dovrebbe guidare le future politiche di sanità pubblica», hanno affermato i ricercatori.   Documenti del governo tedesco trapelati lo scorso anno suggerivano che la risposta ufficiale del Paese alla pandemia di COVID-19 si basava su obiettivi politici e che le contromisure e le restrizioni raccomandate dalla Germania spesso contraddicevano le prove scientifiche.   Durante un’intervista del 2022 al podcast «RFK Jr. The Defender Podcast» di Robert F. Kennedy Jr., il matematico Norman Fenton, Ph.D., ha affermato che i funzionari governativi di tutto il mondo hanno manipolato i dati dei test PCR per esagerare l’entità della pandemia.   Jablonowski ha affermato che «l’isteria dei test PCR obbligatori ha preparato la mentalità della popolazione alle vaccinazioni obbligatorie che sarebbero arrivate. I test non avevano nulla a che fare con la salute della popolazione, ma solo con il controllo della popolazione».   I test PCR per il COVID-19 sono molto meno diffusi oggi rispetto al picco della pandemia. Tuttavia, i ricercatori hanno affermato che il loro studio «è importante oggi perché l’errore strutturale che rivela – trattare i positivi alla PCR come infezioni – non è stato corretto».   «Dato che ci troviamo di fronte a nuovi agenti patogeni, come l’influenza aviaria , affidarci solo alla PCR rischia di ripetere gli stessi errori», hanno affermato i ricercatori.

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Risposta «polarizzata», poiché i risultati «mettono in discussione le ipotesi che hanno plasmato la politica pandemica»

I ricercatori hanno affermato di aver incontrato «notevoli difficoltà» nel pubblicare il loro articolo. Tra queste, il rifiuto da parte di altre sei riviste, di cui solo due hanno inviato il manoscritto per la revisione paritaria.   Queste riviste hanno cercato di «proteggere la narrativa prevalente, piuttosto che affrontare il nocciolo della nostra analisi», hanno affermato i ricercatori.   I ricercatori hanno affermato che due dei tre revisori originali di Frontiers in Epidemiology «si sono ritirati dai loro incarichi». Ciò ha costretto la redazione a reclutare un quarto revisore, ritardando la pubblicazione dell’articolo.   La risposta all’articolo è stata «polarizzata», hanno affermato. «Alcuni lettori hanno accolto con favore il confronto quantitativo dei dati PCR e IgG, ritenendolo in ritardo, mentre altri hanno messo in dubbio le implicazioni dello studio o hanno tentato di liquidarlo senza approfondire la metodologia di base».   Ciò non sorprende, «dato che i risultati mettono in discussione i presupposti che hanno plasmato la politica pandemica», hanno affermato.   Michael Nevradakis Ph.D.   © 26 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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Epidemie

Il CDC chiude i laboratori con scimmie tra i timori della tubercolosi

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Il CDC, l’ente nazionale USA per il controllo epidemico, porrà fine a ogni indagine su primati non umani svolta nelle sue sedi, costituendo la prima occasione dal ritiro degli scimpanzé da parte dei National Institutes of Health nel 2015 in cui un’agenzia sanitaria federale di primo piano ha decretato la cessazione totale di un proprio protocollo interno sulle scimmie. Lo riporta la rivista Science.

 

Tale determinazione coinvolge approssimativamente 200 macachi alloggiati nel complesso di Atlanta dei CDC. Un portavoce dell’agenzia ha attestato a Bloomberg che si sta approntando un programma di smantellamento, pur astenendosi dal delineare scadenze precise o sul destino degli esemplari.

 

La scelta matura all’indomani di lustri di contestazioni da parte di associazioni per la tutela animale e taluni ricercatori, i quali lamentano che i paradigmi su scimmie abbiano generato un apporto traslazionale scarso, soprattutto nella elaborazione di sieri anti-HIV, ove decine d’anni di analisi su primati non hanno ancor prodotto un rimedio omologato. I CDC hanno invocato tanto sensibilità etiche quanto un viraggio tattico verso opzioni antropomorfe, come sistemi organ-on-a-chip, colture cellulari evolute e simulazioni algoritmiche, quali elementi cardine della risoluzione.

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In via distinta, i CDC hanno affrontato episodi di vulnerabilità biosicurezza legati a primati importati. Archivi interni scrutinati dall’organizzazione animalista PETA rivelano che, dal 2021 al 2024, i vagli di quarantena hanno smascherato 69 episodi di tubercolosi nei macachi in transito, con ulteriori 16 occorrenze scoperte post-liberazione verso i laboratori.

 

«La PETA ha allertato i CDC sin dal 2022 che il loro circuito di importazione di scimmie configura una mina vagante per la tubercolosi», ha dichiarato la dottoressa Lisa Jones-Engel, consulente scientifico per la sperimentazione sui primati della PETA. «Nondimeno, la loro ostinata miopia ha consentito a un pericolo biosicuro manifesto di infiltrarsi negli Stati Uniti. Invitiamo i CDC a interrompere l’afflusso di scimmie nei laboratori, a tutela della salute collettiva, della validità scientifica e degli stessi primati».

 

La dismissione progressiva si allinea a iniziative federali più estese per comprimere la sperimentazione su animali. Ratificato nel 2022, il Modernization Act 2.0 della Food and Drug Administration (FDA) ha soppresso l’esigenza di prove animali preliminari alla sperimentazione umana, mentre NIH, EPA e FDA hanno esteso gli stanziamenti per metodiche prive di impiego animale.

 

«Questa svolta è epocale. Per la prima volta, un ente statunitense opta per una scienza contemporanea e umana anziché per un apparato obsoleto di test su scimmie», ha esultato Janine McCarthy, direttrice facente funzioni delle politiche di ricerca al Physicians Committee for Responsible Medicine. «Ora i CDC dovrebbero destinare quei budget alla ricerca antropocentrica e assicurare che queste scimmie siano ricollocate in santuari per il resto dei loro giorni».

 

«I CDC hanno appena trasmesso un segnale all’intero ecosistema biomedico: l’epoca degli esperimenti su scimmie è conclusa», ha soggiunto McCarthy.

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