Persecuzioni
Croci divelte e un orrendo omicidio: non va tutto bene per i cristiani siriani
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
A Damasco auto con scritte minacciose verso la minoranza. Ad Hama colpi di Kalashnikov contro l’arcivescovado greco-ortodosso. In un villaggio una coppia di anziani uccisi durante una «rapina» conclusa con l’uomo decapitato. Fonte di AsiaNews: nel mirino i greco-ortodossi perché considerati «vicini» ai russi. Le trappiste di A’zer: nella nostra zona c’è rispetto, ma aver svuotato le prigioni comuni sta creando problemi. Mons. Mourad: attenzione alle news sui social.
Un cimitero vandalizzato; colpi di pistola contro un arcivescovado con obiettivo la croce; scritte minacciose sulle vetture; una coppia uccisa in modo brutale, in circostanze misteriose. Quattro eventi che, pur non volendo generalizzare, costituiscono comunque un motivo di riflessione, e preoccupazione, per la minoranza cristiana in Siria; episodi che hanno caratterizzato queste giornate condite di speranze e incertezza, che seguono la cacciata del dittatore Bashar al-Assad e l’ascesa al potere dell’opposizione guidata dal gruppo Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), un tempo affiliate al fronte di al-Nusra (ex al-Qaeda).
In queste ore il leader del gruppo, intervistato dalla BBC, ha peraltro «negato» di voler trasformare la Siria in un nuovo Afghanistan sottolineando che si tratta di realtà «diverse, con tradizioni differenti».
Interpellata da AsiaNews riguardo questi episodi controversi, e dai contorni ancora poco chiari, avvenuti nei giorni scorsi una fonte istituzionale nella capitale – dietro anonimato – spiega: «Si tratta di attacchi che intendono colpire più la Russia, che i cristiani stessi. Partendo proprio dal fatto che sono stati presi di mira i greco-ortodossi, che sono il gruppo cristiano più vicino a Mosca, e che vanta un legame con gli ortodossi russi sin dal XVIII secolo».
«Del resto – prosegue la fonte – la Russia ha ucciso più musulmani siriano dello stesso Assad ed è stata Mosca ad aver attaccato e distrutot almeno il 50% delle case e degli edifici». E non è un caso, conclude, che «le basi militari russe e i suoi uomini stiano lasciando la Siria, perché il nuovo regime non le accoglie».
Tornando alla cronaca, l’episodio più cruento è avvenuto nei giorni scorsi nel villaggio greco-ortodosso di al-Jamasliyye, nella cosiddetta «Valle dei cristiani» (Wadi al-Nasara), compresa nel governatorato di Homs: una coppia di anziani cristiani, Samaan Satme ed Helena Khashouf, sono stati uccisi il 13 dicembre in modo brutale, con la decapitazione dell’uomo e il colpo esploso a sangue freddo contro la donna.
Dalle prime ricostruzioni sarebbe emerso il tentativo di rapina finito nel sangue, ma la versione non convince diversi esponenti della comunità locale ed è stata rilanciata sui social, soprattutto nelle pagine e nei gruppi più critici verso la nuova leadership in Siria. Al riguardo, si parla di omicidi avvenuti in modo analogo nella zona in passato e di chiara matrice religiosa e fondamentalista. Il rito funebre si è svolto il giorno successivo nella chiesa di san Simeone Stilita il Vecchio ad Haba.
Ad Hama, invece, si sono verificati già due diversi episodi che hanno fatto scattare più di un campanello di allarme: il 17 dicembre un cimitero cristiano locale, infatti, sarebbe stato assaltato – e vandalizzato come emerge nelle foto che pubblichiamo – da un gruppo armato di miliziani appartenenti alle milizie di Hay’at Tahrir al-Sham che hanno divelto le tombe e decapitato una statua della Madonna.
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Durante l’attacco sarebbero avvenuti anche dei saccheggi e l’abbattimento di diverse croci ma i danni potrebbero essere in realtà legati agli scontri e alle bombe piovute nell’area. In precedenza, una vettura anch’essa usata da miliziani Hts avrebbe esploso colpi di Kalashnikov contro la sede dell’arcivescovado greco-ortodosso di Hama, prendendo di mira in particolare la croce sulla facciata. Fonti locali aggiungono che il gruppo avrebbe poi fatto irruzione nella chiesa di san Giorgio, distruggendo alcune croci.
Ad AsiaNews mons. Jacques Mourad, arcivescovo di Homs, spiega che in questa situazione di incertezza sul presente e il futuro prossimo si rincorrono notizie false o non verificate, ma rilanciate dai social contribuendo a generare ancora più confusione e risentimento. In particolare sulle vicende di Hama, aggiunge, «è vero che due giovani hanno sparato verso la cattedrale, ma sono stati subito arrestati» mentre le croci del cimitero «sono andate distrutte dai bombardamenti». «Non crediamo – conclude – a tutto quello che circola in rete».
Infine, a Damasco si segnala un’automobile degli oppositori protagonisti della cacciata di Assad che circola con una scritta sul cruscotto che recita: «Il vostro appuntamento è vicino, o servi della croce». Anche qui, non vi sono altri elementi per capire se si tratta di una minaccia reale.
Intanto, il blog cristiano «Ora Pro Siria» ha pubblicato un messaggio delle suore trappiste di A’zer, in cui affermano di stare «bene» e che, nella loro zona, «non ci sono troppe violenze e c’è abbastanza rispetto». Tuttavia, «da altre parti ci sono situazioni più problematiche» ed è «un miracolo che nei primi giorni non ci sia stato più caos di così, anche se è un equilibrio molto precario. È veramente necessario che al più presto stabiliscano un servizio di polizia in tutte le parti, anche nelle periferie».
Per le religiose i nuovi vertici avrebbero commesso «due errori: vuotare non solo le prigioni politiche, ma anche quelle comuni, rilasciando ogni sorta di delinquenti, ed anche sciogliere tutta la polizia locale. Quindi per ora non ci sono forme complete di controllo». Sul futuro, le trappiste affermano che «tutto dipenderà dal fatto che le promesse di uno Stato moderato e rispettoso delle varie minoranze siano mantenute oppure no».
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Immagine da Asianews.
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Persecuzioni
Cisgiordania, la difficile sopravvivenza dell’ultimo villaggio cristiano
Taybeh, una piccola città cristiana di 1.500 abitanti situata 30 chilometri a nord di Gerusalemme, era normalmente amministrata dall’Autorità Nazionale Palestinese in base agli Accordi di Oslo del 1993. Dopo l’attacco di Hamas, si trova nei Territori Palestinesi occupati da Israele, che intende annetterla ed espellere i palestinesi.
Oggi, Taybeh è l’unica città della Palestina la cui popolazione è interamente cristiana. L’esercito israeliano sta rafforzando la sua presa sui palestinesi, limitandone gli spostamenti e confinandoli nei ghetti. Gli attacchi dei coloni israeliani contro i palestinesi sono in costante aumento.
L’agenzia di stampa cath.ch ha raccolto le testimonianze di un residente e del parroco della parrocchia cattolica di Taybeh. Le conversazioni telefoniche hanno avuto luogo dal Libano, poiché il governo israeliano proibisce ai giornalisti di entrare in Cisgiordania e nelle zone di combattimento.
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Palestinesi in lockdown
Fouad Muaddi, trentatré anni, di origini palestinesi e colombiane, ha studiato all’Università di Bordeaux. Assistente dell’ambasciatore ecuadoriano, viaggia quotidianamente da Taybeh a Ramallah, una distanza di 18 chilometri. Ai posti di blocco dell’esercito israeliano, le attese sono interminabili e il passaggio incerto. A tutto questo si aggiunge un vero e proprio apartheid stradale : strade fatiscenti intersecate da tunnel bui per i veicoli palestinesi e strade aperte e ben tenute per gli israeliani.
L’enclave in cui vive Fouad comprende sei villaggi. È stata istituita dopo l’attacco del 7 ottobre 2023. In questi territori isolati, i palestinesi devono costantemente giustificare la propria identità se vogliono spostarsi. È impossibile per loro avere una vita sociale, trascorrere una serata con amici lontani o visitare i parenti. Per costringere le famiglie a rientrare in queste enclave, i coloni attaccano le case situate all’esterno, espellendo le famiglie che vi abitano.
Appropriazione di terreni
Nella chiesa latina di Cristo Redentore a Taybeh, padre Fawadleh’ Bashar, 38 anni, parroco, testimonia che «da giugno 2024 gli attacchi sono aumentati considerevolmente». «Ora, il terreno a est del villaggio è sotto costante attacco», spiega. Infatti, ogni mattina i coloni vengono a pascolare lì le loro mandrie di mucche, impedendo di fatto ai proprietari terrieri di accedere alle loro terre e di coltivarle.
«I coloni, spesso armati, non danneggiano i familiari, ma la loro presenza danneggia gli ulivi», con conseguenze significative per l’economia locale, basata in gran parte sulla produzione di olio d’oliva, un prodotto di una certa reputazione. Il sacerdote teme il peggio per il raccolto di quest’anno.
Le mucche sono diventate un «nuovo strumento di colonizzazione in un numero crescente» di villaggi in Cisgiordania, spiega la rivista Custody of the Holy Land Magazine. E di recente è emerso un altro tipo di aggressione: i coloni hanno appiccato il fuoco ai terreni dei residenti, proprio accanto alle loro finestre. Un incendio è scoppiato anche dietro la storica chiesa di San Giorgio el-Khader , risalente al V secolo, la chiesa più antica di Taybeh.
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Combattere l’inesorabile esilio
Per evitare il peggio – di fronte agli attacchi diffusi e diurni dei coloni – alcuni leader della comunità non hanno altra scelta che suggerire un esodo di massa. «Quest’anno, su una popolazione di circa 1.500 persone, una decina di famiglie sono fuggite. È una vera piaga», lamenta padre Bashar. Per mitigare questo fenomeno, il sacerdote e i suoi colleghi hanno avviato iniziative concrete per rivitalizzare la comunità.
«Siamo riusciti a creare oltre 40 posti di lavoro per la comunità, nonostante le difficoltà che affrontiamo, grazie ai donatori e al lavoro del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Questi posti di lavoro forniscono impiego presso la scuola e la casa di riposo affiliata alla parrocchia».
«Abbiamo anche creato una stazione radio online, con più di sette posti di lavoro fissi, e aperto una pensione intitolata a Charles de Foucauld». Inoltre, ci sono un’accademia musicale, una squadra di calcio e corsi di danza e folklore palestinese.
Un anno fa, il Patriarcato Latino di Gerusalemme e la parrocchia di Taybeh hanno acquisito un terreno contenente una casa non finita, con l’obiettivo di avviare un progetto abitativo per giovani famiglie, al fine di limitare l’emigrazione rurale. «Se l’iniziativa avrà successo, questo progetto consentirà inizialmente il completamento di cinque case».
«Poi, in una seconda fase, inizierà la costruzione di 15 appartamenti. Queste case sono destinate alle famiglie che stanno pensando di emigrare. Stiamo lavorando per raccogliere fondi per completare questi progetti. Nonostante le difficoltà accumulate negli ultimi tre anni, speriamo di mantenere viva la fiamma della speranza per Taybeh e la comunità di Terra Santa».
Taybeh ha tre parrocchie: la chiesa greco-ortodossa di San Giorgio, la chiesa greco-melchita cattolica di San Giorgio e la chiesa latina di Cristo Redentore, costruita nel 1860, oltre alla canonica. Nel 1888, padre Charles de Foucauld visitò la parrocchia latina di Taybeh. Gesù vi si rifugiò prima della sua Passione; il Vangelo di Giovanni ne fa riferimento (Gv 11, 54). Taybeh era allora conosciuta come Efraim.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Ralf Lotys via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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