Geopolitica
Crisi kazaka: intervento russo mette ai margini Pechino
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Il gigante cinese è il principale attore economico in Asia centrale, ma il Cremlino rimane il dominus militare. Nel tempo la Cina non potrà più appaltare la propria sicurezza commerciale ed energetica nella regione a Mosca. Molti kazaki vedono i cinesi come invasori. Il peso della repressione nello Xinjiang.
«Quanto sta accadendo in Kazakistan è un affare interno di quel Paese. Crediamo che le autorità kazake possano risolvere la questione nel modo appropriato». Le caute parole rilasciate ieri dal ministero cinese degli Esteri lasciano intendere che Pechino non voglia (o non possa) assumere un ruolo attivo nella gestione della crisi kazaka.
L’invio di truppe russe in soccorso di Tokaev conferma il ruolo di Mosca come dominus della sicurezza nella regione, nonostante ormai la Cina sia la vera potenza economica in Asia Centrale
Il mancato riferimento alle forze militari a guida russa della CSTO (Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva), arrivate oggi nel Paese centrasiatico per aiutare il presidente Kassym-Jomart Tokaev a sedare la rivolta anti-governativa, fa trasparire il disagio della Cina per l’intervento diretto del Cremlino.
Scoppiate il 2 gennaio per l’aumento del carovita, le proteste si sono allargate a tutto il Kazakistan. Alle richieste di calmierare il prezzo del gas liquido si sono aggiunte domande di cambiamenti politici in un Paese dominato dalle élite legate all’ex presidente Nursultan Nazarbaev, padre-padrone della nazione dopo la sua indipendenza seguita al crollo dell’Unione Sovietica.
Autocrazie della CSTO come Russia, Tagikistan e Bielorussia (oltre al Kazakistan, gli altri due membri sono Kirghizistan e Armenia) temono che i tumulti kazaki possano ispirare rivolte a casa loro. L’invio di truppe russe in soccorso di Tokaev conferma il ruolo di Mosca come dominus della sicurezza nella regione, nonostante ormai la Cina sia la vera potenza economica in Asia Centrale.
Tokaev si è rivolto subito a Mosca e alla CSTO, e non certo all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO)
Almeno formalmente Pechino non disconosce questa «divisione d’influenza». Nella crescente cooperazione geopolitica tra cinesi e russi, il Cremlino ha accettato di essere il vassallo della Cina, ma non in quella che ritiene la sua sfera d’influenza centroasiatica. Gli interessi regionali dei cinesi rischiano però di creare attriti tra le due potenze.
Dal lancio nel 2013 della Belt and Road Initiative, il piano infrastrutturale di Xi per accrescere la centralità commerciale della Cina a livello globale, gli investimenti cinesi in Asia centrale hanno superato quelli russi. Malgrado il loro progressivo calo negli ultimi anni, dal varo della Belt and Road Pechino ha investito quasi 9 miliardi di dollari (dati del China Global Investment Tracker) in Kazakistan, ricco di idrocarburi e minerali.
Per il territorio kazako passa anche il gasdotto che trasporta il gas turkmeno fino allo Xinjiang, nella Cina nordoccidentale – il Turkmenistan è il principale fornitore di gas naturale ai cinesi. Pechino dovrebbe dunque continuare ad appaltare la propria sicurezza commerciale ed energetica in Asia centrale alle armi russe, una situazione che nel medio-lungo periodo sembra insostenibile. In futuro ci potrebbero essere anche problemi di rivendicazioni territoriali. Nel 2014 Putin ha detto che il Kazakistan è una creazione artificiale di Nazarbaev; dal canto loro frange nazionaliste cinesi sostengono che tradizionalmente la Cina ha esercitato il proprio controllo sul territorio kazako.
Russia e Cina non sembrano avere trovato in tempi rapidi un punto d’incontro su come affrontare il nodo kazako. Tokaev si è rivolto subito a Mosca e alla CSTO, e non certo all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO). Controllata dai cinesi e dai russi, la SCO è ancora un forum politico più che un effettivo meccanismo eurasiatico di sicurezza.
Nazarbaev, primo bersaglio delle sommosse di questi giorni, è ritenuto il principale responsabile della «svendita» a Pechino
Nel tenersi lontano dalla SCO, Tokaev può aver tenuto anche conto del malcontento dei kazaki nei confronti di Pechino. La Cina è accusata da più parti di aver imprigionato più di un milione di musulmani turcofoni dello Xinjiang – anche di etnia kazaka – in lager che le autorità cinesi definiscono «centri di avviamento professionale».
Negli ultimi anni vi sono state in Kazakistan proteste contro la crescente presenza delle imprese cinesi nel Paese, considerate grandi inquinatrici del territorio.
Nazarbaev, primo bersaglio delle sommosse di questi giorni, è ritenuto il principale responsabile della «svendita» a Pechino.
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Immagine screenshot da Youtube
Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.
Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.
Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».
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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.
Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.
Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.
Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».
Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.
Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.
Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.
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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.
La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.
Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA. President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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Geopolitica
La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.
Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.
«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.
Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.
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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.
All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.
La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.
Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.
Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.
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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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