Economia
Crisi energetica, il ritorno dell’economia pianificata? Intervista al professor Pagliaro

La questione dell’energia continua ad essere centrale in Italia e in Europa – e non potrebbe essere altrimenti, in quanto la crisi energetica ha un impatto diretto sul nostro lavoro e sulle nostre esistenze quotidiane.
Le nostre precedenti interviste sul tema a Mario Pagliaro, fra i ricercatori italiani più citati al mondo, sono state tra gli articoli più letti del sito, venendo citate poi anche in altri contesti.
Il professor Pagliaro già nell’estate del 2021 aveva annunciato proprio a Renovatio 21 come imminente la crisi energetica. Il ricercatore un mese fa ci aveva fornito i dati dell’industria italiana in caduta libera a causa dei costi dell’energia, aggiornando quanto già appariva chiaro dalle sconvolgenti statistiche di due mesi fa.
Siamo tornati a sentirlo per monitorare la situazione.
Un noto servizio informativo parla di riduzione dei consumi industriali di gas a Febbraio dell’11%. Un ex componente dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) e Confindustria dice che invece sono diminuiti del 20%. Chi ha ragione?
I dati vengono resi pubblici quasi in tempo reale dal distributore nazionale. I consumi industriali a Febbraio per la seconda volta dopo gennaio quando si consumarono 904 mln di metri cubi sono scesi sotto 1 miliardo di metri cubi: dai 1153 mln di mc del Febbraio 2022 ai 924 mln di Febbraio 2023. Un calo appunto del 20 per cento.
Questo significa che le industrie continuano a tenere gli impianti al minimo o addirittura fermi?
Certo. L’industria utilizza il gas naturale per generare calore di processo e, nel caso delle centrali termoelettriche a turbogas, per generare elettricità. In alcuni casi, le medie aziende autoproducono dal gas tanto calore che energia elettrica attraverso i cogeneratori. Il prezzo ancora troppo alto del gas evidentemente ne consente un uso profittevole solo a quelle aziende che possono trasferire gli extra costi energetici ai clienti sotto forma di aumento dei prezzi.
Certo, perché ci sono anche i consumi elettrici. Come sono andati quelli delle aziende a febbraio?
Sono continuati a diminuire rispetto allo stesso mese del 2022, nonostante il prezzo dell’energia elettrica, il cosiddetto PUN, sia diminuito in modo sensibile. Ad esempio nell’ultima settimana di febbraio, ottava dell’anno, il PUN è diminuito del 30%, da 217 a 153 euro a MWh (megawattora). Eppure i consumi complessivi italiani, nonostante il freddo che fa aumentare i consumi, nella settimana hanno perso ben 226mila MWh sulla corrispondente settimana del 2022.
L’Italia dipende dall’estero pressoché integralmente per quanto riguarda le sue necessità di gas e petrolio. Qual è la situazione delle importazioni di gas dalla Russia, che era il nostro maggiore fornitore di gas appena un anno fa?
A febbraio i volumi di gas in ingresso a Tarvisio hanno raggiunto il minimo storico: appena 328 mln metri cubi. Erano 1 miliardo in più nel Febbraio 2022. Oggi i maggiori fornitori di gas all’Italia sono Algeria e Azerbaijan, quest’ultimo grazie a un nuovo gasdotto di importanza strategica.
Come faranno dunque Germania e Italia a sostituire l’energia a basso costo fino allo scorso anno rifornita loro dalla Russia?
Possono sostituirle con maggiori impostazioni di gas e petrolio più costosi, e in parte dando forte impulso alla produzione di energia elettrica da vento e sole. Ma è inevitabile che questo farà aumentare il costo dell’energia, e dunque quello di tutti i beni industriali prodotti da Germania e Italia: che sono le maggiori economie manifatturiere di Europa.
Infatti circola un video di una signora tedesca che mostra come il prezzo degli alimentari in Germania sia aumentato del 93% fra il febbraio 2022 e il 2023. Ma allora come potranno salvarsi le economie di Germania e Italia?
In Germania il governo sta pagando le bollette di aziende e famiglie. In Italia il governo riconoscerà alle aziende buona parte degli extra costi energetici sotto forma di crediti fiscali, oltre ad avere ridotto al 5% l’IVA pagata sul gas di aziende, che normalmente pagano il 10%, e famiglie, che pagavano il 22%. Si tratta di provvedimenti eccezionali varati in attesa della soluzione della crisi e di una distensione delle relazioni internazionali.
Ma se tale distensione non dovesse esserci, cosa ne sarebbe di Italia e Germania?
Si tornerebbe rapidamente all’economia pianificata. La Francia lo ha già fatto nazionalizzando EDF ed accollando alla società elettrica nazionale gli extra costi del gas e quindi dell’energia elettrica, il cui prezzo anche nella Francia grande produttore da nucleare è determinato dal prezzo del gas naturale. EDF infatti ha appena presentato un bilancio per il 2022 in perdita per 18 miliardi.
Un’ultima domanda in attesa di risentirci per commentare i dati di marzo. Un’azienda italiana presa nel mezzo di questa tempesta cosa dovrebbe fare?
Dovrebbe assumere un Energy manager giovane e capace ed investire immediatamente nelle nuove tecnologie dell’energia, sia per migliorare radicalmente l’efficienza energetica che per autoprodurre dal sole parte dell’energia elettrica che consuma.
Ci sono già esempi concreti di quello che sta proponendo?
Gli stabilimenti di decine di migliaia di imprese ancora oggi sono senza pannelli fotovoltaici. Iniziammo nel 2008 a dire loro col Polo Fotovoltaico della Sicilia che chi non avrebbe avuto il proprio impianto fotovoltaico sarebbe andato in crisi. Oggi i caseifici o le cantine che in Sicilia avevano investito sul fotovoltaico sono le uniche aziende dell’agroalimentare a non soffrire. Rispetto al 2008, poi, oggi è possibile e conveniente ricorrere all’accumulo di energia nelle batterie al litio, aumentando drasticamente la propria autonomia energetica.
Ha un consiglio da dare a tutti?
L’unica cosa che non bisogna fare è stare fermi, pensando che tutto poi si aggiusterà. E guardi che la cosa non riguarda solo le aziende, ma gli innumerevoli uffici delle pubbliche amministrazioni che da mesi pagano bollette senza precedenti storici.
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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