Cina
COVID, Klaus Schwab elogia il Partito Comunista Cinese per le sue «misure di controllo»
Al 14° incontro annuale dei nuovi campioni del World Economic Forum, che si è svolto a Tianjin, in Cina, il fondatore del World Economic Forum (WEF), Klaus Schwab, ha pronunciato un discorso di elogio della Cina e del modo in cui ha «contenuto» il COVID
Lo Schwab si è congratulato per l’adozione da parte della Cina di nuove «misure di controllo» COVID, elogiando allo stesso tempo lo sforzo del Paese guidato dal Partito Comunista Cinese nel catalizzare il «dinamismo sociale».
Rivolgendosi a un pubblico durante la plenaria di apertura, Schwab ha sottolineato la duratura partnership tra il WEF e il Partito Comunista Cinese, un legame che dura da oltre quattro decenni.
«Il Forum, con i suoi oltre 40 anni di collaborazione amichevole ed estesa con la Cina (…) continuerà a combattere la frammentazione e ad adoperarsi per il dialogo, la comprensione e la collaborazione […] Apprezziamo il sostegno a lungo termine dei nostri cinesi amici», ha dichiarato Schwab.
In un momento che ha segnato il culmine del suo discorso, Schwab ha dato il benvenuto al premier Li Qiang, descrivendolo come un onore straordinario.
Il discorso di Klaus Schwab non ha esitato a riconoscere l’ascesa della Cina a un colosso dello sviluppo economico, delle riforme sociali e delle incursioni diplomatiche.
«La Cina ha ottenuto risultati notevoli nell’economia, nello sviluppo sociale, nella diplomazia e in molti altri settori», ha spiegato, omettendo di menzionare i costi che sono stati pagati per realizzarli e l’erosione delle libertà civili. Parimenti assenti dallo speech del guru WEF le preoccupazioni per l’ambiente, per le quali Davos castiga l’Occidente e le sue aziende mentre lascia libera la Cina di inquinare quanto vuole con la produzione delocalizzata degli stessi europei e americani che ha distrutto la classe media.
È semplicemente incredibile il livello di scollamento della realtà e di menzogna a cui riescono ad arrivare le élite. Elogiare oggi la formula repressiva di Pechino, dopo aver visto a dicembre 2022 le rivolte anti-lockdown mettere in dubbio la stabilità dello Stato quasi come ai tempi di Tian’an men, è sbalorditivo.
La politica zero-COVID misteriosamente seguita da Pechino ha fallito clamorosamente, ma Schwab lecca lo stesso.
L’importante figura pelata pare non aver visto nemmeno le immagini drammatiche del lockdown di Shanghai del maggio 2022, con 20 milioni di persone ai domiciliari, le urla dai palazzi, i genitori separati dai figli, gli animali domestici uccisi in strada, droni e robocani che pattugliano le strade con messaggi da distopia psichedelica ripetuti ai cittadini dai megafoni: «controlla il tuo desiderio di libertà».
Schwab ha visto, probabilmente, tutto questo. Tuttavia non gli importa, perché la Cina, come sappiamo, è un prototipo di tecnocrazia basata su piattaforma di sorveglianza biodigitale che interessa molto, perché la stessa cosa, dopo il test sinico, deve essere implementata anche in Occidente e ovunque, come da tanti discorsi sentiti a Davos in questi anni: tracciamento carbonico individuale, cellulari inseriti «direttamente nei nostri corpi», censura preventiva via AI, microchip impiantati nei bambini per «ragioni solide e razionali», smart-city e «città da 15 minuti» «fusione di identità fisica, digitale e biologica», etc.
A fine 2022 Schwab si era fatto intervistare dalla TV di Stato cinese proclamando che la Cina era «un modello per molti Paesi»: «il modello cinese è certamente un modello molto attraente per un buon numero di Paesi» aveva detto a margine del vertice dei CEO dell’APEC di Bangkok, in Tailandia.
Il credito sociale alla cinese, quindi, toccherà anche a voi, percolato dalle nevi di Davos dritto fino a sommergere le vostre vite. E di questo il green pass è la prova provata.
Immagine screenshot da YouTube
Cina
La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping la prossima settimana durante un viaggio in Asia, ha dichiarato giovedì la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.
Trump si recherà in Malesia e Corea del Sud, dove incontrerà Xi Jinping giovedì prossimo a margine del Vertice di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Leavitt non ha fornito ulteriori dettagli sull’incontro.
L’annuncio giunge in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra i due Paesi. La settimana scorsa, Trump ha minacciato di introdurre un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre.
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Questa escalation segue la decisione di Pechino di imporre restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare, nonostante avesse precedentemente definito «insostenibili» le tariffe elevate. La nuova politica cinese non colpisce direttamente gli Stati Uniti, ma le aziende tecnologiche americane dipendono fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.
Sebbene Trump avesse annunciato settimane fa l’intenzione di incontrare Xi al vertice APEC, non aveva specificato la data. Tuttavia, aveva anche accennato alla possibilità di cancellare l’incontro, a causa del disappunto per le restrizioni cinesi sull’export di minerali di terre rare.
Mercoledì, il presidente statunitense ha dichiarato che i due leader avrebbero discusso di temi che spaziano dal commercio all’energia nucleare, aggiungendo che intende affrontare anche la questione degli acquisti di petrolio russo da parte della Cina.
L’incontro in Corea del Sud sarà il primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato al potere a gennaio. I due si sono parlati almeno tre volte quest’anno, ma l’ultimo incontro di persona risale al 2019, durante il primo mandato di Trump.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico
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Cina
La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale
In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.
Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.
Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».
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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».
La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.
Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.
Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».
L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.
Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.
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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).
Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.
Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».
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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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