Epidemie
COVID, come si salva una RSA. Intervista al dott. Romano D’Alessandro
Mentre l’emergenza COVID-19 investiva il nostro Paese mandando al collasso parte del sistema ospedaliero a causa dell’elevato numero di ricoveri, in particolare di quei pazienti infetti ricoverati nei reparti di terapia intensiva e rianimazione, i focolai di SARS-CoV-2 divampavano nelle RSA e più in generale in tutte le case residenza per anziani.
La percentuale di contagi all’interno di esse, anche su scala nazionale, è altissima.
Riguardo ai decessi la situazione è, come sappiamo, ancora più drammatica: l’Istituto superiore di sanità ha recentemente reso pubblico il terzo rapporto sul contagio da Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie in Italia: in tutto, dal 1º febbraio al 18 aprile, sono stati contati 6.773 decessi, di cui il 40% riconducibili al Covid-19. I numeri, come abbiamo già più volte detto, potrebbero persino non essere quelli reali perché per molti dei decessi non si è avuta la conferma di tampone positivo.
Qualche realtà, però, si è salvata grazie ad un grande lavoro di prevenzione messo in atto da professionisti decisi a dare il massimo per la tutela dei propri ospiti e del personale dipendente.
Qualche realtà si è salvata grazie ad un grande lavoro di prevenzione messo in atto da professionisti decisi a dare il massimo per la tutela dei propri ospiti e del personale dipendente.
Una di queste, una vera e propria mosca bianca, è la struttura per anziani «Il Giardino» di Bagnolo in Piano, provincia di Reggio Emilia, facente parte del gruppo anniazzurri e sotto la direzione dell’Azienda lombarda Kos Care.
Renovatio 21 ha diffusamente parlato di quanto sta accadendo all’interno di questa CRA con il dottor Romano D’Alessandro, coordinatore infermieriestico della struttura nonché RAS (Responsabile attività sanitaria), che insieme al medico della struttura, il dottor Francesco Testa, alla direttrice Daniela Zaccarelli e a tutti i colleghi ha gestito e continua a gestire questo difficile momento.
Dott. D’Alessandro, qual è la situazione nella vostra struttura ad oggi?
Ad oggi, su 61 ospiti residenti all’interno della nostra struttura, non si registra alcun caso di contagio o di sospetto tale.
Potremmo quindi dire che siete una delle poche strutture ad aver tenuto fuori il COVID-19?
Per fortuna nostra sì. Certo dispiace sapere di così tanti contagi in tantissime altre strutture anche nella nostra provincia. La guardia però non va mai abbassata, nemmeno quando si è fatto tutto il possibile. Il nemico contro il quale combattiamo, oltre che invisibile, è davvero molto insidioso.
«Ad oggi, su 61 ospiti residenti all’interno della nostra struttura, non si registra alcun caso di contagio o di sospetto tale»
Quali strategie di prevenzione avete messo in atto e da quando esattamente?
Ricordo che le prime indicazioni dalla direzione generale arrivarono esattamente il 24 febbraio ed esse ci indicavano, da quel preciso momento, l’utilizzo obbligatorio per tutti i dipendenti (anche il personale amministrativo, compreso il centralinista) di mascherina chirurgica e guanti, nessuno escluso.
Il 28 febbraio è arrivato il protocollo-procedura ufficiale che metteva fine ad ogni tipo di ingresso, sia ingressi di nuovi pazienti provenienti da ospedale o dal domicilio, sia ingresso inteso come visite di familiari o fornitori — i quali hanno continuato ovviamente a rifornirci non entrando però mai personalmente in struttura ma depositando la merce all’esterno, ritirata e poi sistemata dal personale interno.
Le visite dei nostri ospiti sono state ridotte alle sole visite urgenti, dopo le quali, l’ospite che rientrava dall’ospedale, veniva ospitato in apposite camere di isolamento per 15 giorni. Anche le trasfusioni sono state sospese, e ci siamo attrezzati prontamente per farle all’interno della struttura.
«Le visite dei nostri ospiti sono state ridotte alle sole visite urgenti, dopo le quali, l’ospite che rientrava dall’ospedale, veniva ospitato in apposite camere di isolamento per 15 giorni»
Dal 3 marzo abbiamo iniziato a misurare la temperatura corporea a tutti gli operatori con termometro frontale a laser, molto costoso e difficile da trovare, ma alla fine non ci siamo arresi e siamo riusciti a procurarcelo. In questo senso, l’infermiere che smonta dal turno notturno aspetta la responsabile di reparto — la prima ad arrivare — all’ingresso, misurandole la temperatura.
La responsabile, a sua volta, attende tutti gli operatori del mattino e ad uno ad uno misura la TC. In egual modo avviene per i turni del pomeriggio e della notte, con un dipendente dedicato al rilievo della temperatura per i colleghi che entrano in turno.
Sempre all’ingresso, dopo aver rilevato la TC, vengono consegnati mascherina e guanti prima di poter accedere agli spogliatoi per indossare la divisa, firmando anche in questo caso un foglio volto ad attestare di aver ricevuto questi due dispostivi di protezione individuale all’ingresso. I guanti, ovviamente, saranno poi cambiati in reparto dopo ogni manovra, previo essersi lavati e disinfettati accuratamente le mani.
Non solo i guanti, ma tutti i DPI vengono cambiati continuamente, utilizzando anche tre camici monouso per volta, cioè uno sopra all’altro. Abbiamo poi distanziato il più possibile tutti gli ospiti sfruttando totalmente gli spazi interni.
«Avere una direzione lombarda in questo senso ci ha aiutati molto, perché lì erano già preparati a far fronte a questo tipo di emergenza, pur con tutte le difficoltà»
Quindi siete partiti largamente in anticipo, anche rispetto all’emergenza inerente alle residenze per anziani, giusto?
Siamo sicuramente partiti prima di molte altre strutture grazie ad un protocollo sanitario aziendale interno al quale, come dicevo, ci siamo rigorosamente attenuti. Credo fosse indispensabile partire con grande anticipo senza sottovalutare nulla ma facendo, piuttosto, tutto ciò che di possibile si poteva fare per prevenire il contagio. Avere una direzione lombarda in questo senso ci ha aiutati molto, perché lì erano già preparati a far fronte a questo tipo di emergenza, pur con tutte le difficoltà.
Siete riusciti a sottoporre i vostri ospiti al tampone naso-faringeo?
Guardi, in realtà abbiamo avanzato domanda alla ASL già parecchio tempo fa, addirittura facendo richiesta di poter procedere privatamente attraverso un laboratorio privato. Non abbiamo però ancora ricevuto risposta.
Come mai secondo lei?
Non ne ho idea, ma potrei supporre che non avendo all’interno della nostra struttura casi sospetti ed essendo già chiusi a tutto, come spiegavo poc’anzi, da tantissimo tempo, l’urgenza dei tamponi da noi secondo l’ASL passi in secondo piano.
«Noi avevamo una scorta di 1000 camici e 600 mascherine già da prima che scoppiasse l’epidemia, oltre ovviamente ai guanti e agli occhiali»
Parliamo dei tanto discussi dispostivi di protezione individuale: come ve li siete procurati e con quanto anticipo?
Noi avevamo una scorta di 1000 camici e 600 mascherine già da prima che scoppiasse l’epidemia, oltre ovviamente ai guanti e agli occhiali. Poi dai primi di marzo ci siamo procurati altre 2000 mascherine chirurgiche per permetterne un ricambio costante ai nostri operatori. Nel mentre, per sicurezza, ci siamo procurati anche i tutoni idrorepellenti a alcune mascherine FFP2.
Certo trovare DPI in questo periodo non è stato affatto facile, ma partendo con largo anticipo e sondando le varie possibilità ci siamo riusciti.
A quali direttive avete fatto riferimento per proteggere la vostra struttura e i vostri ospiti?
Sempre e comunque al nostro protocollo sanitario aziendale interno, che a sua volta è stato specificamente redatto seguendo direttive ministeriali, dell’Istituto Superiore di Sanità e del Comitato Tecnico Scientifico.
Il personale sanitario della vostra struttura è stato formato, come richiesto da alcuni rapporti redatti dall’Istituto Superiore di Sanità, per far fronte all’emergenza Covid?
Assolutamente sì. E non solo il personale sanitario ma tutti i dipendenti, anche il personale addetto alle pulizie e alla cucina.
«Ogni due settimane abbiamo continuato a ripetere, con le stesse modalità anti-assembramento e sempre ponendo l’attenzione sulle richieste degli operatori, gli incontri formativi»
In che modo?
Sempre i primi giorni di marzo la nostra azienda ci ha chiesto di formare una équipe multidisciplinare interna alla struttura dedicata alla formazione del personale sull’emergenza nCoV, fornendoci la documentazione necessaria. Come prima cosa, circa a metà marzo, abbiamo fissato un incontro formativo dividendo il personale in due gruppi per non creare assembramenti e potendo così garantire le distanze sociali fra i dipendenti.
Abbiamo dedicato mezza giornata a questo primo incontro formativo, dove si sono anzitutto ascoltate e raccolte le paure, i dubbi e le richieste dei dipendenti. Poi l’incontro è proseguito con una spiegazione generale rispetto all’infezione SARS-CoV-2 — cos’è, come si trasmette, quali complicanze può creare e via discorrendo.
Ogni due settimane abbiamo continuato a ripetere, con le stesse modalità anti-assembramento e sempre ponendo l’attenzione sulle richieste degli operatori, gli incontri formativi. Alcuni di essi sono poi stati dedicati alla formazione sulle corrette pratiche di vestizione e spoliazione, inclusa la modalità corretta per apporre sul volto la mascherina FFP2.
Ad ogni operatore poi, di tanto in tanto, venivano consegnati alcuni fascicoli di approfondimento redatti dalla nostra direzione sanitaria, così come alcuni documenti aggiornati dei vari comitati scientifici. Dopo averlo ricevuto, ogni operatore era tenuto firmare un foglio che confermasse la ricezione del proprio personale fascicolo o documento. Inoltre la nostra azienda, attraverso una piattaforma internet, ha reso obbligatori a tutti gli operatori sanitari due corsi di formazione sulla prevenzione e sulla gestione dell’emergenza COVID.
«Oggi, a distanza di oramai due mesi, nelle telefonate con i familiari riceviamo ogni tipo di ringraziamento per aver fatto una scelta così coraggiosa, che certo è costata tanto sul piano emotivo, ma i parenti hanno capito che l’importante era preservare la salute dei propri cari»
Come hanno reagito i vostri ospiti alla chiusura della struttura e comunque ad un cambio così drastico della loro quotidianità?
Ovviamente per alcuni di loro è stato un evento traumatico, quantomeno inizialmente. Non è stato facile fargli comprendere che, per il loro bene, non avrebbero potuto incontrare i propri familiari per diverso tempo. Nondimeno hanno anche subito l’impossibilità di alcune particolari abitudini, come il poter andare dalla parrucchiera o dalla podologia — servizi che la nostra struttura garantisce internamente. Tutto questo è pesato molto a loro come a noi, ma alla fine pian piano hanno capito la situazione e le circostanze straordinarie alle quali eravamo tenuti a rispondere con serietà e prontezza.
E i familiari?
Anche per loro non è stato facile accettare una decisione così preventiva. In molti, soprattutto dopo il 28 febbraio, data in cui abbiamo bloccato totalmente l’ingresso ai visitatori, ci hanno chiamato chiedendoci spiegazioni nel merito di una decisione che a loro appariva, comprensibilmente, molto rigida.
Io e il nostro medico direttore sanitario abbiamo deciso di avvisare personalmente tutti i parenti, fornendo le informazioni necessarie che hanno motivato la scelta della nostra struttura. Oggi, a distanza di oramai due mesi, nelle telefonate con i familiari riceviamo ogni tipo di ringraziamento per aver fatto una scelta così coraggiosa, che certo è costata tanto sul piano emotivo, ma i parenti hanno capito che l’importante era preservare la salute dei propri cari.
E per ora — e speriamo per sempre — così è stato e ce ne hanno dato atto.
Visto il risultato, quindi, pensa sia valsa la pena adottare le rigide ed impegnative misure da voi messe in atto?
Certamente. Come ho già detto il prezzo da pagare è stato sicuramente alto sul piano emotivo, ma guardando al risultato posso fermamente dire che ne è valsa la pena.
«Il prezzo da pagare è stato sicuramente alto sul piano emotivo, ma guardando al risultato posso fermamente dire che ne è valsa la pena»
Per quanto andrete avanti così? Piano piano allenterete qualche misura o è ancora troppo presto?
È ancora troppo presto per ogni tipo di decisione o qualsivoglia allentamento delle misure preventive. Non dimentichiamoci che siamo ancora in piena pandemia, e che anche dopo il lockdown nazionale il 44% dei contagi ha avuto luogo all’interno residenze per anziani. Non si può in alcun modo allentare la presa. Continuerà il blocco degli ingressi fino a data da destinarsi, e anche dopo una recente videoconferenza di tre ore con i vertici sanitari della nostra azienda non ci sono state date direttive in merito ad eventuali cambiamenti.
Quale crede sia stato l’antidoto che ha salvato fino ad ora la vostra struttura?
Abbiamo una direzione sanitaria veramente preparata, decisa e competente. Allo stesso non posso mancare di fare i più doverosi complimenti e ringraziamenti a tutti gli operatori: medici, infermieri, operatori socio-sanitari, amministrazione, addetti alle pulizie e alla cucina, nonché a tutti i parenti dei nostri ospiti che hanno risposto in noi piena fiducia. A tutti loro va un sentito grazie con un monito, però: questa guerra non è ancora finita, dobbiamo continuare con massima serietà, professionalità ed attenzione il nostro lavoro perché la pandemia è tutt’altro che finita.
Cristiano Lugli
Epidemie
«Eutanasia su larga scala»: i farmaci per il fine vita hanno aumentato i decessi per COVID tra gli anziani
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il Dott. John Campbell ha affermato che l’uso diffuso di farmaci palliativi sui pazienti affetti da COVID-19 ha causato la soppressione respiratoria e causato molti decessi evitabili, soprattutto nelle case di cura del Regno Unito. Il bilancio delle vittime che ne è derivato ha fatto apparire il COVID-19 molto più letale di quanto non fosse in realtà, contribuendo a giustificare ampie restrizioni globali, tra cui lockdown, campagne di vaccinazione di massa e obblighi di mascherine, ha affermato Campbell.
Nel 2020, i farmaci palliativi normalmente riservati ai morenti sono stati ampiamente somministrati ai pazienti affetti da COVID-19 nelle case di cura a lungo termine e in altre strutture del Regno Unito. Questa pratica ha causato un gran numero di decessi evitabili e ha aumentato drasticamente il tasso di mortalità segnalato per il virus, secondo il commentatore medico John Campbell, Ph.D.
«Si tratta di un vero e proprio oltraggio nazionale che viene ampiamente ignorato», ha affermato.
In un’intervista al podcast Stay Free del commentatore politico Russell Brand, Campbell ha affermato che l’uso routinario di midazolam e morfina, farmaci destinati alle cure terminali, per curare i pazienti affetti da COVID-19 ha creato una combinazione letale che ha soppresso la respirazione e l’ossigenazione.
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Nelle cure terminali, i medici spesso aumentano le dosi di oppioidi e sedativi per controllare il dolore e l’agitazione. Se usati ripetutamente, questi farmaci deprimono la respirazione, ha affermato Campbell.
Durante la pandemia, regimi farmacologici simili sono stati somministrati a pazienti affetti da COVID-19 che in realtà non stavano morendo.
Nell’aprile 2020, il National Institute for Health and Care Excellence del Regno Unito ha pubblicato le linee guida COVID-19 per la gestione dei sintomi, anche in fase terminale. Le linee guida raccomandavano l’uso concomitante di midazolam e morfina per trattare la dispnea negli adulti durante gli ultimi giorni o ore di vita.
Le strutture di assistenza agli anziani hanno ampiamente utilizzato questi protocolli, ha affermato Campbell. I medici «preparavano spesso farmaci per la fine della vita» per i pazienti a cui era stato diagnosticato il COVID-19.
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I farmaci di fine vita hanno falsamente gonfiato i tassi di mortalità da COVID
Secondo Campbell, nel Regno Unito, ai pazienti con infezioni respiratorie venivano spesso somministrati contemporaneamente morfina e midazolam, una combinazione che, a suo dire, chiunque non specialista avrebbe potuto riconoscere come pericolosa perché compromette la respirazione. Ha aggiunto che molti pazienti sono morti a causa di ciò.
Campbell ha citato una ricerca del dottor Wilson Sy, pubblicata nel febbraio 2024 su Medical & Clinical Research, che ha esaminato l’eccesso di decessi nel Regno Unito, parallelamente alle spedizioni di midazolam alle case di cura. Sy ha monitorato il volume del farmaco distribuito e lo ha confrontato con i dati sui decessi nei mesi successivi.
Campbell ha affermato nel suo programma su YouTube che l’analisi ha evidenziato «correlazioni precise» tra l’aumento delle spedizioni di midazolam e l’aumento dei decessi in eccesso circa un mese dopo.
Quando i ricercatori hanno spostato indietro di un mese i dati sui decessi per tenere conto dei ritardi nella distribuzione, Campbell ha affermato che le curve coincidevano molto bene, seguendosi «come il sale e il pepe», ha detto a Brand.
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Il trattamento con midazolam era «essenzialmente un’eutanasia su larga scala»
Campbell ha sostenuto che questo schema suggerisce che l’uso di droghe, e non il COVID-19 in sé, sia stato la causa di gran parte della mortalità osservata nelle strutture di assistenza nel 2020.
I decessi risultanti hanno fatto apparire il COVID-19 molto più letale di quanto non fosse in realtà, creando l’impressione di un tasso di mortalità per infezione del 24%, ha affermato Campbell. Stime successive hanno collocato il tasso più vicino allo 0,18%, ha aggiunto.
«A mio avviso, la maggior parte di questi pazienti, nelle strutture di cura che sono deceduti nel 2020, se fossero stati semplicemente assistiti e non avessero ricevuto morfina e midazolam, la stragrande maggioranza di loro si sarebbe ripresa completamente», ha detto Campbell a Brand.
Si è trattato di «essenzialmente di un’eutanasia su larga scala», ha aggiunto.
Secondo Campbell, il tasso di mortalità gonfiato ha contribuito a giustificare misure di emergenza radicali, tra cui lockdown, campagne di vaccinazione di massa e obblighi di mascherine.
«Tutte quelle restrizioni dovute al COVID… si potrebbe sostenere che molte di esse sono state introdotte a causa di questo tasso di mortalità per infezione artificialmente gonfiato, quando in realtà i lockdown e le vaccinazioni non hanno funzionato contro il sovradosaggio di midazolam, che è stato una parte importante del problema», ha affermato.
Lo staff di The Defender
© 16 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
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Immagine di Gustavo Basso via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine modificata
Epidemie
Epidemia di morbillo riaccende il dibattito sul vaccino MPR
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Il vaccino MPR responsabile di lesioni «catastrofiche»
I dati del DPH mostrano che la copertura vaccinale contro il morbillo, la parotite, il morbillo e la rosolia tra gli scolari della Carolina del Sud è diminuita da circa il 96% nel 2020 al 93,5% quest’anno. Secondo NBC News, la vaccinazione contro morbillo, parotite, rosolia e morbillo nella contea di Spartanburg, una delle aree più colpite dall’ultima epidemia, è stata del 90% per l’anno scolastico 2024-25. Nella conferenza stampa di mercoledì, Bell ha attribuito «l’elevata copertura vaccinale» all’eliminazione della trasmissione in corso nel Paese. Ha esortato il pubblico a «considerare l’efficacia del vaccino e la possibilità che questa malattia scompaia sostanzialmente». Ha affermato che l’epidemia potrebbe concludersi se più persone si vaccinassero. Il Post ha riferito che anche un «piccolo calo delle vaccinazioni può aumentare significativamente la probabilità di un’epidemia», citando i dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) che indicano che una dose del vaccino MPR è efficace al 93% contro il morbillo e la serie di due dosi è efficace al 97%. Hilliard ha affermato: «Il modo migliore per proteggersi dal morbillo è la vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia (MPR). Il CDC incoraggia le persone a consultare un medico per sapere qual è la vaccinazione più adatta a loro». Brian Hooker, Ph.D., direttore scientifico di Children’s Health Defense (CHD), concorda sul fatto che il vaccino MPR sia il modo migliore per prevenire il morbillo, ma si chiede se sia necessario prevenirlo in primo luogo. «Prima dell’introduzione del vaccino, la mortalità per morbillo era di 2 casi su 10.000», ha affermato Hooker. «Non credo che sia necessario evitare di contrarre il morbillo, a differenza del rischio correlato al vaccino». Polly Tommey, conduttrice del programma «Good Morning CHD» su CHD.TV, ha intervistato genitori i cui figli sono rimasti feriti o sono morti a causa di una reazione avversa al vaccino MPR. «La devastazione causata da questo particolare vaccino è catastrofica», ha affermato.Iscriviti al canale Telegram ![]()
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Gli esperti mettono in discussione la narrativa «spaventosa» dei media tradizionali sul morbillo
Il Post ha riportato che il peggioramento della crisi del morbillo in Carolina del Sud è la prova che gli Stati Uniti stanno «vacillando per la recrudescenza di una malattia prevenibile e altamente contagiosa». L’organizzazione giornalistica ha citato le epidemie di morbillo di quest’anno nel West Texas e in altre regioni, che sarebbero costate la vita a tre persone non vaccinate, come prova del prezzo da pagare per l’esitazione vaccinale. Ma Hooker ha affermato che «la narrativa “spaventosa” nei media tradizionali è alimentata dall’evidente impennata del 2025 e dalle false notizie sui tre decessi erroneamente attribuiti al morbillo». «Sappiamo che le due ragazze decedute nel West Texas sono morte a causa di una polmonite batterica curata in modo improprio. E nel terzo caso, un adulto del New Mexico, l’individuo ha negato ogni trattamento medico ed è stato diagnosticato con il morbillo solo tramite RT-PCR durante l’autopsia», ha detto Hooker. Jablonowski ha affermato che le due ragazze del Texas «non sono morte di morbillo, ma a causa degli ospedali, delle infezioni contratte in ospedale e della fatale parzialità degli operatori sanitari». Secondo la CNN, in Texas non sono stati segnalati nuovi casi di morbillo da agosto. Il CDC ha registrato 1.912 casi di morbillo negli Stati Uniti quest’anno.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
«Nessun vaccino garantisce un’immunità del 100%»
Perro ha affermato che, sebbene l’attuale epidemia venga attribuita ai non vaccinati, tali epidemie «hanno storicamente coinvolto sia persone vaccinate che non vaccinate». «Nessun vaccino garantisce un’immunità al 100%, e in letteratura è stato documentato un fallimento secondario del vaccino, ovvero la perdita dell’immunità anni dopo la vaccinazione. I casi di recrudescenza sono generalmente più lievi, ma si verificano, e comprendere questi modelli è essenziale per un quadro epidemiologico completo», ha affermato Perro. Hooker ha citato preoccupazioni sulla sicurezza del vaccino MPR, osservando che nel 1999 la Merck «ha iniziato ad aumentare segretamente il contenuto di virus nel vaccino MPR a livelli che potrebbero eclissare quelli che erano stati adeguatamente testati sulla sicurezza». Ciò ha coinciso con un «drammatico aumento delle segnalazioni di decessi e anafilassi dovuti al vaccino» inviate al Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS), il sistema governativo statunitense. Il National Childhood Vaccine Injury Act del 1986 prevede una copertura di responsabilità per i produttori di vaccini inclusi nel programma di immunizzazione infantile del CDC. Di conseguenza, i produttori hanno meno incentivi a produrre vaccini sicuri, ha affermato Perro. «Negli ultimi quarant’anni i produttori avrebbero potuto puntare su formulazioni più pulite, come prodotti senza alluminio, stabilizzanti migliorati o sistemi di distribuzione alternativi, ma senza responsabilità e supervisione normativa, l’incentivo semplicemente non c’era», ha affermato Perro.Aiuta Renovatio 21
È «assurdo» dare la colpa a RFK Jr. per le epidemie di morbillo
I resoconti dei media hanno anche suggerito che le politiche di Kennedy come segretario dell’HHS abbiano contribuito all’«esitazione vaccinale» e all’aumento della diffusione del morbillo. Secondo il Post, «un aumento della disinformazione sui vaccini che, a volte, si è propagata sui social media e tra alcuni funzionari pubblici, tra cui il presidente Donald Trump e il suo candidato per il segretario alla Salute, Robert F. Kennedy Jr.» ha contribuito alle epidemie. Ma Perro ha affermato che i dati del CDC mostrano che i casi di morbillo negli Stati Uniti «sono in aumento da diversi anni, da 59 casi nel 2023 a 285 nel 2024, e ora sono oltre 1.900 i casi segnalati nel 2025 in 43 giurisdizioni». Ha affermato che queste tendenze «sono antecedenti all’attuale leadership dell’HHS». «L’idea che una sola figura politica abbia ‘causato’ tutto questo non è supportata dai dati a lungo termine», ha affermato Perro. Secondo Hilliard, i 1.912 casi di morbillo segnalati finora quest’anno negli Stati Uniti sono significativamente inferiori al numero di casi segnalati in Canada (5.298) e Messico (5.089). Entrambi i paesi hanno una popolazione sostanzialmente inferiore a quella degli Stati Uniti. Tommey ha affermato che è «assurdo» incolpare Kennedy per le epidemie di quest’anno. «I genitori non vaccinano perché vedono la carneficina totale di chi di noi si è vaccinato. L’hanno vissuta o vista in prima persona… Una volta che sai, sai: ecco perché i tassi di vaccinazione sono in calo», ha affermato. Michael Nevradakis Ph.D. © 11 dicembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD. Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Epidemie
Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump non celebreranno più la Giornata mondiale contro l’AIDS
Per la prima volta dal 1988, l’amministrazione statunitense ha deciso di non proclamare il 1º dicembre come «Giornata mondiale contro l’AIDS». Lo riporta il
In una circolare indirizzata al personale, il Dipartimento di Stato ha esplicitamente vietato l’impiego di risorse pubbliche per onorare tale ricorrenza.
La misura si inquadra in una linea direttiva più ampia che impone di «evitare di veicolare comunicazioni in occasione di qualsivoglia giornata commemorativa, ivi inclusa quella dedicata alla lotta contro l’AIDS».
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Ai funzionari è stato ordinato di «rinunciare a qualsivoglia promozione pubblica della Giornata mondiale contro l’AIDS tramite canali di diffusione, inclusi social network, apparizioni mediatiche, orazioni o altri annunci rivolti all’opinione pubblica».
«Una giornata di sensibilizzazione non costituisce una strategia», ha dichiarato al quotidiano il portavoce del dipartimento di Stato Tommy Pigott. «Sotto la presidenza Trump, il Dipartimento opera in sinergia con governi esteri per preservare vite umane e promuovere maggiore accountability e compartecipazione agli oneri».
In una nota ad ABC News, il portavoce della Casa Bianca Kush Desai ha liquidato il Presidential Advisory Council on HIV/AIDS (PACHA) come un «ente prevalentemente simbolico i cui componenti sono immersi in un’inutile kermesse di relazioni pubbliche, svincolata dal concreto impegno dell’amministrazione Trump contro HIV e AIDS».
Dall’esordio dell’epidemia negli anni Ottanta, circa 300.000 uomini gay negli Stati Uniti hanno perso la vita per complicanze legate all’AIDS.
Negli ultimi quarant’anni, a livello globale, oltre 44 milioni di individui sono deceduti per AIDS; nel 2024, la malattia ha causato circa 630.000 morti. Le cure per l’AIDS furono inizialmente oggetto di feroci critiche da parte degli stessi omosessuali, che si scagliavano apertamente contro l’allora figura principale della lotta alla malattia Anthony Fauci.
Come riportato da Renovatio 21, il Fauci, mentre proponeva farmaci altamente tossici e faceva esperimenti allucinanti con gli orfani di Nuova York, arrivò a dire in TV che l’HIV era trasmissibile per «contatti domestici».
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Ora il tema dell’AIDS è più raramente utilizzato dalla comunità omosessuale, dove una frangia – i cosiddetti bugchasers e gift givers – si impegna incredibilmente nell’infezione volontaria del morbo. Grindr, l’app per incontro gay, per un periodo presentava pazzescamente su ogni profilo la spunta sulla sieropositività dell’utente.
Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa studio avanzato sul vaccino contro l’HIV in Africa condotto dalla multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson era stato interrotto dopo che i dati hanno mostrato che le iniezioni offrivano solo una protezione limitata contro il virus. Lo studio era stato finanziato da Johnson & Johnson, dall’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation e dal National Institutes of Health, la Sanità Nazionale USA dove il dominus (in realtà a capo del ramo malattie infettive) è Tony Fauci, che già in modo molto controverso – e fallimentare – si era occupato dell’AIDS allo scoppio dell’epidemia negli anni Ottanta.
Il premio Nobel Luc Montagnier sconvolse il mondo, attirandosi censure dei social tra fact checker e insulti, disse che analizzando al microscopio il SARS-nCoV-2 aveva notato delle strane somiglianze con il virus HIV – per la scoperta del quale Montagnier vinse appunto il Nobel. «Per inserire una sequenza HIV in questo genoma, sono necessari strumenti molecolari, e ciò può essere fatto solo in laboratorio» disse Montagnier in un’intervista per il podcast Pourquoi Docteur. Oltre a supportare l’allora screditatissima ipotesi del virus creato in laboratorio a Wuhan, Montagnier metteva sul piatto un’idea ancora più radicale: quella di un vaccino anti-AIDS come possibile origine del coronavirus.
Nel 2021 Moderna, azienda biotecnologica salita alla ribalta per il vaccino mRNA contro il COVID – il primo prodotto mai distribuito della sua storia aziendale – si era dichiarata pronta per iniziare la sperimentazione sugli esseri umani per il primo vaccino genico contro l’HIV. L’anno scorso era emerso che i test avevano riscontrato un effetto collaterale alla pelle, con una percentuale insolitamente alta di riceventi ha sviluppato eruzioni cutanee, pomfi o altre irritazioni cutanee.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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