Epidemie
COVID-19, perché non credere ai complotti

Circolano, oramai da mesi, tutte le possibili insinuazioni sulla diffusione del COVID-19.
Qualcuno ha cercato anche di far emergere la possibilità che esista un ceppo «domestico», italiano o per meglio dire «padano», un virus chesarebbe simile al nuovo Coronavirus. Non riusciamo a capire se questo porti ad un tentativo di difesa della Cina e del suo operato o ad un tentativo di banalizzare l’epidemia.
Il fatto che allo Spallanzani di Roma sia stato isolato il vero e proprio ceppo cinese mentre al Sacco uno sorta di virus autoctono, dimostrerebbe semplicemente il fatto che il virus in questione può mutare e adattarsi all’ambiente, questo rendendolo in realtà ancora più pericoloso ed infido.
In generale però alla pericolosità di questo virus molti, in certi ambienti, non sembrano crederci, continuando a paragonarlo ad un qualsiasi altro virus influenzale o, addirittura, ipotizzando che a Bergamo – tanto per fare un esempio – se la gente muore potrebbe essere a causa dell’inquinamento o di altri motivi.
Alla pericolosità di questo virus molti, in certi ambienti, non sembrano crederci, continuando a paragonarlo ad un qualsiasi altro virus influenzale o, addirittura, ipotizzando che a Bergamo se la gente muore potrebbe essere a causa dell’inquinamento o di altri motivi
A margine di questi argomenti si situa anche l’eterno emblema di una fetta di negazionisti che cercano di attribuire le morti a tutto, appunto, fuorché al COVID-19: morti «per» coronavirus o morti «con» coronavirus.
Il dott. Roberto Mezzetti, primario di chirurgia vascolare a Zongonia, provincia di Bergamo, è stato dirottato insieme a tanti altri suoi colleghi e specialisti verso un reparto dedicato al Covid.
Ieri ha raccontato al Corriere che due notti fa sono arrivati 26 pazienti, «senza questa emergenza sarebbero stati 5 o 6», giusto per capire le proporzioni.
Dalla Riabilitazione alla Chirurgia, i quattro piani di degenza sono stati trasformati in un maxi reparto COVID: pieno. Dai chirurghi agli ortopedici, tutti gli specialisti sono un’unica squadra. Divisi – spiega sostanzialmente Mezzetti – sarebbe impossibile farcela:
Dalla Riabilitazione alla Chirurgia, i quattro piani di degenza sono stati trasformati in un maxi reparto COVID: pieno
«L’emergenza è cresciuta in maniera esponenziale. Ti capita il quarantenne che respira, non ha bisogno di ossigeno oppure solo di piccole dosi, lo sottoponi alla tac e vedi una polmonite terribile. Ho visto morire pazienti che avevo operato anni fa, senza COVID non avrebbero avuto motivo di finire in ospedale. Per o con: di cosa stiamo parlando? Si muore per il coronavirus».
Il fatto è proprio questo: attaccarsi al tema della comorbilità è riduttivo, giacché in molti casi si parla di patologie con le quali la convivenza può durare tranquillamente anni senza recare alcun danno. Se si pensa, ad esempio, che fra le patologie da cui i soggetti morti per COVID-19 erano affetti vi sono le patologie cardiovascolari (situate al 13,2%) o il diabete (9,2%) o l’ipertensione (8,4%) se ne può dedurre che si tratta di patologie per le quali non è poi così automatico morire, anzi una larga fetta di popolazione ne è affetta e ci convive per anni e anni.
«Ho visto morire pazienti che avevo operato anni fa, senza COVID non avrebbero avuto motivo di finire in ospedale. Per o con: di cosa stiamo parlando? Si muore per il coronavirus»
Come dice giustamente il Dott. Mezzetti, la stragrande maggioranza dei pazienti, senza COVID-19, non sarebbe nemmeno finita in ospedale.
Va poi sottolineato che la terapia intensiva, in diversi casi, salva dalla morte quasi certa dal momento che questa infezione colpisce le vie respiratorie ed in particolare i polmoni. Vero è che i tagli alla sanità hanno fatto finire tutto il sistema sanitario sotto l’attuale pressione, ma allora perché lo stesso, come già mostrato, non è successo con qualsiasi altro tipo di influenza? Influenza la quale, fra l’altro, in alcuni casi dicono aver fatto più morti (tutti comunque da verificare, se si tiene in considerazione che le farmaceutiche avevano l’urgente obiettivo di pompare in mondovisione il vaccino antinfluenzale), ma con un contagio mai contrastato con misure restrittive e, quindi, distribuito su scala nazionale senza alcun tipo di problema.
Se il numero di contagi da Covid-19 fossero gli stessi di una qualsiasi influenza stagionale lasciata circolare, quanti morti credete che avremmo già, senza aver raggiunto ancora alcun picco e pur avendo attuato misure restrittive degne della totalitaria Cina?
La stragrande maggioranza dei pazienti, senza COVID-19, non sarebbe nemmeno finita in ospedale
I morti qui esistono già, erano alti sin dalle prime due settimane, non paragonabili rispetto a quelli dell’influenza stagionale all’inizio del suo circolo. Si contano giorno dopo giorno e a Bergamo il problema dei forni crematori sempre accesi e delle 13 pagine di necrologi non sono ancora stati spiegati con logico realismo.
Parlando con alcune mamme bergamasche per la libertà di scelta, combattenti delle prima ora, mi è stato risposto che «stavolta i vaccini non c’entrano niente. Si ammalano persone di ogni età, genitori per la libertà di scelta e bambini che non hanno mai ricevuto alcun vaccino. Muoiono persone che non si sono mai fatti iniettare un’antinfluenzale in vita loro».
Ci dicono delle mamme bergamasche per la libertà di scelta: «stavolta i vaccini non c’entrano niente. Si ammalano persone di ogni età, genitori per la libertà di scelta e bambini che non hanno mai ricevuto alcun vaccino. Muoiono persone che non si sono mai fatti iniettare un’antinfluenzale in vita loro»
La tesi del «è tutta colpa del vaccino!», questa volta, deve farsi da parte e lasciare spazio a considerazioni intellettualmente più oneste.
Se vi sia stato un problema a livello di lotti vaccinali – non lo escludiamo –, quello potremo verificarlo solo dopo, ma dal momento che gli stessi genitori per la libertà di scelta ci dicono che stavolta c’è qualcosa di diverso dai vaccini, non possiamo far altro che rimanere convinti di ciò che abbiamo sempre sostenuto: il COVID-19 i morti li fa, portandosi via vite umane in un modo inspiegabile e in un arco di tempo talmente breve da non lasciare nemmeno il tempo per rendersene conto.
Se l’80% della popolazione contagiata supera la malattia con sintomi lievi o addirittura assenti, il restante 20% è in balia del caso, cioè di un virus che attecchisce in un modo virulento ma anche aggressivo, portandosi via una percentuale non irrisoria di quel 20% che i sintomi li presenta necessitando del ricovero ospedaliero – chi in reparto e chi, meno fortunato, in rianimazione.
Fra i contagiati l’8% sono operatori sanitari: o gli operatori sanitari non sono stati messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza oppure il virus ha una forza di contagio talmente alta da superare anche le barriere create dai dispositivi di protezione individuale di cui il nostro SSN già scarseggia
Fra i contagiati l’8% sono operatori sanitari: un dato impressionante. Ciò può significare due cose: o gli operatori sanitari non sono stati messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza, cioè senza i DPI adatti, oppure il virus ha una forza di contagio talmente alta da superare anche le barriere create dai dispositivi di protezione individuale di cui il nostro SSN già scarseggia.
Fatto sta che questi dispositivi, aldilà del negazionismo che taluni invocano anche in questo frangente, possono essere di grande aiuto pure nella normale popolazione non impegnata nell’ambito sanitario o a stretto contatto con pazienti COVID, se utilizzati nel modo corretto. Basterebbe semplicemente che il Ministero della Salute fornisse informazioni più precise circa il loro utilizzo, non limitandosi solo a dire di lavarsi le mani spesso (che anche su questo fronte le persone andrebbero istruite ad un corretto e metodologico lavaggio, distinguendo tra lavaggio sociale, antisettico e chirurgico), ma specificando come indossare le mascherine, quando cambiarle e quando, dove e come utilizzare eventualmente i guanti monouso.
Realismo, presa di coscienza e piedi ancorati a terra sono l’unica ricetta culturale ed intellettualmente onesta per affrontare questa enorme prova a cui l’umanità è sottoposta
È indubbio che il virus ora stia particolarmente prolificando all’interno degli ospedali, probabilmente essendo entrato all’interno degli impianti di aerazione degli edifici più vecchi e meno all’avanguardia dal punto di vista strutturale. Pur con queste misure restrittive, infatti, pare non esservi traccia di un ritorno, quasi che nessuna di queste manovre che stanno costando sacrificio e danni enormi di cui ancora non possiamo ipotizzare l’entità, stesse pagando. Si è registrata ieri, certo, una lieve flessione, ma è ancora troppo poco.
I contagi aumentano giorno dopo giorno, e chi parla di «falsi positivi» dovrebbe invece, per onore della verità, tenere conto non solo di tutti i falsi negativi che si verificano, ma anche di tutti i soggetti asintomatici che continuano, forse anche attraverso le strutture ospedaliere e non solo attraverso droplet, a propagare l’infezione.
Non con la superficialità e nemmeno con la sindrome da complotto perenne potremo dimostrare, oggi più che mai, di che pasta siamo realmente fatti
Realismo, presa di coscienza e piedi ancorati a terra sono l’unica ricetta culturale ed intellettualmente onesta per affrontare questa enorme prova a cui l’umanità è sottoposta.
Non con la superficialità e nemmeno con la sindrome da complotto perenne potremo dimostrare, oggi più che mai, di che pasta siamo realmente fatti.
A noi la scelta sul come combattere questa battaglia che Dio ha evidentemente voluto che ci ritrovassimo a combattere qui, ora, in questo preciso momento storico.
Cristiano Lugli
Epidemie
Morti in casa anche per 8 giorni: emergenza ‘kodokushi’ tra gli anziani soli giapponesi

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Secondo l’Agenzia nazionale di polizia, nel primo semestre del 2025 sono stati oltre 40mila in Giappone i casi di morte isolata in casa. Il 28% viene scoperto dopo più di una settimana. Tra le cause: invecchiamento della popolazione, indebolimento dei legami, riluttanza a chiedere aiuto. Padre Marco Villa, responsabile di un centro d’ascolto a Koshigaya: «Una persona mi ha appena detto: mi è rimasto un solo amico, ci sentiamo due volte all’anno… La solitudine il dramma più grande di questo Paese».
Kodokushi (孤独死): la morte in casa di persone circondate da una profonda aridità relazionale, che non viene scoperta anche per un lungo periodo di tempo dopo il decesso. È uno dei drammatici volti della solitudine in Giappone. Secondo i nuovi dati dell’Agenzia nazionale di polizia diffusi oggi, in Giappone solo nel primo semestre del 2025 sono stati 40.913 i decessi avvenuti in isolamento nelle abitazioni.
Una cifra che segna un aumento di 3.686 casi rispetto allo stesso periodo del 2024. Ma il dettaglio forse più inquietante è che almeno il 28% di essi (11.669 persone) è stato scoperto dopo almeno 8 giorni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Una delle principali cause è anzitutto l’invecchiamento della popolazione del Giappone: 1 persona su 4 ha più di 65 anni. «Inoltre, si tende sempre più a non avere legami significativi né con il territorio, né con la famiglia. La maggioranza della gente non vive nei luoghi dove è cresciuta, ma si trova a vivere dove c’è lavoro», spiega ad AsiaNews dal Giappone padre Marco Villa, missionario del PIME che opera a Koshigaya, cittadina nella periferia nord di Tokyo, nella diocesi di Saitama. «Quindi, si fa più fatica a intrecciare relazioni significative con gente che non si conosce. Ciò accade anche perché avere relazioni a volte è davvero una cosa faticosa, allora si decide di non impegnarsi».
Padre Marco Villa nel 2012 ha favorito la nascita a Koshigaya del Centro d’Ascolto Mizu Ippai («un bicchiere d’acqua») – di cui è responsabile – proprio con l’obiettivo di sostenere le persone affette dalla solitudine, comprese le persone hikikomori, che soffrono di isolamento patologico ed estraniamento. Nel suo servizio non è raro che venga a conoscenza di casi di kodokushi, l’ultimo solo pochi mesi fa. «Una signora che frequenta il centro è rientrata a casa la sera, dopo un incontro. Dopo circa due settimane, il figlio mi ha chiamato dicendo che non aveva contatti con la mamma, chiedendo se l’avessi sentita. È andato a vedere se si trovava a casa, e l’ha trovata morta», racconta p. Marco Villa.
Questo caso dimostra che anche le persone che riescono a curare dei legami, a uscire di casa, possono andare incontro a una morte isolata. «Vivendo da sola si è imbattuta in questi rischi», dice Villa. Rischi che aumentano in quelle persone che, invece, vivono una solitudine più estrema, perché non hanno dei familiari vicini, o perché non hanno degli amici.
Padre Marco Villa racconta anche di una telefonata avuta poco prima di essere contattato oggi da AsiaNews. «Una persona mi ha detto che è morto un suo amico; ora gli rimane un amico solo, che sente due volte all’anno: una per gli auguri di compleanno e una per gli auguri di buon anno. È l’unico amico che ha: mi ha chiesto di passare del tempo insieme. Queste sono situazioni che incontro regolarmente», aggiunge.
Oltre alla significativa quota di persone anziane in Giappone, favorisce il preoccupante fenomeno kodokushi anche «la ritrosia della persona giapponese a chiedere aiuto». Villa spiega che, culturalmente, nel domandare è insita «la preoccupazione di dare fastidio agli altri, di non voler dare preoccupazioni a causa delle proprie difficoltà».
La tendenza rilevata è la gestione in totale autonomia dei problemi personali. Ciò affievolisce inevitabilmente i legami con le persone della famiglia, così come con coloro che vivono nello stesso luogo. Un elemento che il missionario definisce «costante», basandosi sulla sua esperienza in Giappone. «La solitudine è il dramma principale del Paese», dice.
Iscriviti al canale Telegram
Padre Marco Villa ammette di essere rimasto «sconvolto» dai casi di solitudine profonda incontrati nel Paese. Da questo sentimento nacque il Centro d’Ascolto Mizu Ippai di Koshigaya. «Chiesi al vescovo (della diocesi di Saitama, ndr) di poter iniziare un’attività a tempo pieno per cercare di alleviare la solitudine delle persone», racconta. Il Centro mette in campo le risorse del «volontariato dell’ascolto»: non professionisti all’opera, ma volontari e volontarie che offrono il proprio ascolto, nella struttura, così come alla stazione ferroviaria, luogo di aggregazione per la presenza di numerosi negozi.
Un’attività che affianca le iniziative istituzionali. «Lo Stato è consapevole di queste situazioni e cerca di essere sempre più capillare nel territorio attraverso strutture dedicate, cercando di creare delle occasioni di incontro per la gente. Questo è un tentativo, secondo me valido, che il Giappone porta avanti», spiega.
Come invertire la tendenza di questa drammatica e così diffusa esperienza umana? «La cosa fondamentale è creare delle occasioni di incontro, dei luoghi adatti per potersi trovare; fondamentalmente cercando di diventare amici delle persone che vivono in stato di solitudine», dice padre Marco Villa.
Solitudine che in alcuni casi viene «risolta» da lunghi dialoghi intrattenuti con l’intelligenza artificiale. «Ieri un ragazzo mi diceva che l’AI è l’unica persona che lo capisce, che riesce a capire i suoi problemi. Così crede di avere qualcuno, qualcosa con cui si relaziona, che però non è certamente un essere umano», aggiunge.
Per uscire da queste situazioni, ne è convinto il missionario, «basta poco: una via, una linea, un aggancio, capace di instaurare un minimo di relazione umana».
Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.
Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Epidemie
Aumento delle infezioni da sifilide in Germania, soprattutto tra gli omosessuali

Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Epidemie
L’ameba mangia-cervello uccide 19 persone in India

Lo Stato indiano del Kerala, nel Sud del Paese, sta affrontando una crisi sanitaria in escalation a causa di un’epidemia di meningoencefalite amebica primaria (PAM), causata dall’ameba «mangia-cervello» la Naegleria fowleri.
Le autorità hanno confermato giovedì che l’infezione ha provocato 19 morti e decine di casi, colpendo persone di età compresa tra i tre mesi e i 91 anni, rendendo difficile individuare fonti di esposizione comuni o contenere la diffusione.
La PAM, generata da un’ameba presente in acque dolci calde e nel suolo, penetra nel corpo attraverso il naso, attaccando il tessuto cerebrale e causando un’infiammazione potenzialmente letale in pochi giorni.
Il ministro della Salute, Veena George, ha definito la situazione una «grave emergenza sanitaria». Intervistata da NDTV News, ha spiegato: «Non si tratta di focolai legati a un’unica fonte d’acqua, come in passato, ma di casi isolati, il che complica le indagini epidemiologiche».
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
La George ha poi evidenziato l’importanza di una diagnosi precoce: «Il nostro tasso di sopravvivenza del 24% è ben superiore alla media globale, inferiore al 3%, grazie a interventi tempestivi e all’uso del farmaco miltefosina».
Un medico governativo, parlando con l’agenzia AFP, ha confermato che, nonostante il numero limitato di casi, «sono in corso test su vasta scala per identificare e trattare i contagi». Le autorità hanno intensificato le misure di controllo sull’igiene delle acque, invitando la popolazione a evitare fonti d’acqua dolce stagnanti o non trattate.
Secondo un rapporto governativo citato da News18, la PAM colpisce principalmente il sistema nervoso centrale, con un impatto sproporzionato su bambini, adolescenti e giovani adulti sani. Gli esperti chiariscono che l’infezione non avviene ingerendo acqua contaminata, ma attraverso il contatto con le vie nasali durante attività come nuoto o immersioni in acque non sicure.
Il lettore di Renovatio 21 conosce la minaccia dell’ameba mangia-cervello con dovizia.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato un cittadino dello Stato americano della Georgia era morto per infezione dell’ameba mangia-cervello. Ancora più recente il caso di un giovane che è morto di encefalite in Israele pochi giorni dopo aver contratto l’ameba Naegleria fowleri.
Si trattava all’epoca della terza persona a morire negli Stati Uniti in un solo anno a causa della mostruosa creatura microscopica, che pare diffondersi sempre più a Nord.
Uno studio del CDC pubblicato nel 2020, ha rilevato che cinque dei sei casi di meningoencefalite amebica primaria (PAM), come viene chiamata l’infezione cerebrale causata da Naegleria fowleri, si sono verificati durante o dopo il 2010.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2022 un cittadino del Missouri e un bambino del Nebraska sono stati ammazzati dall’ameba mangia-cervello.
Aiuta Renovatio 21
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa è emersa la rilevazione di vibrio vulnificus, cioè di un tipo di batteri «carnivori», nelle spiagge della Florida.
Negli ultimi 15 anni, una malattia neurodegenerativa estremamente rara che mangia il cervello umano lasciando buchi è diventata sempre più comune in Giappone, ma il caso PAM statunitense sembra molto diverso.
Prioni sarebbero stati invece alla base di un’epidemia di cervi-zombie nel 2019.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; rielaborata
-
Morte cerebrale2 settimane fa
La «morte cerebrale» è stata inventata per prelevare più organi
-
Arte2 settimane fa
Quadro su San Simonino da Trento, chiesti sei mesi di carcere per il pittore Gasparro
-
Persecuzioni6 giorni fa
Il ministro israeliano Katz: suore e clero cristiano saranno considerati terroristi se non lasceranno Gaza
-
Politica2 settimane fa
Il regista russo Tigran Keosayan muore all’età di 59 anni. Era il marito della temutissima Margarita Simonyan
-
Immigrazione1 settimana fa
Mons. Viganò: storia delle migrazioni di massa come ingegneria sociale
-
Civiltà1 settimana fa
La lingua russa, l’amicizia fra i popoli, la civiltà
-
Salute2 settimane fa
I malori della 39ª settimana
-
Spirito7 giorni fa
Viganò: «Leone ambisce al ruolo di Presidente del Pantheon ecumenico della Nuova Religione Globale di matrice massonica»