Geopolitica
La Corte Internazionale di Giustizia dichiara illegali gli insediamenti israeliani
La costruzione di insediamenti da parte di Israele su terra palestinese viola la Convenzione di Ginevra e equivale a una politica di «annessione di fatto», ha dichiarato la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ).
Il premier israeliano Beniamino Netanyahu ha respinto la «falsa sentenza», insistendo sul fatto che la Cisgiordania è terra ebraica.
Venerdì i 15 giudici della corte hanno concordato che «il trasferimento da parte di Israele di coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme, così come il mantenimento della loro presenza da parte di Israele, è contrario all’articolo 49 della quarta Convenzione di Ginevra».
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Leggendo il parere consultivo non vincolante, il presidente della Corte internazionale di giustizia Nawaf Salam ha descritto la costruzione di insediamenti da parte di Israele in Cisgiordania come un’«annessione di fatto» del territorio e ha affermato che lo Stato ebraico dovrebbe porre fine alla sua presenza «illegale» nei territori palestinesi occupati il «più rapidamente possibile».
La Corte internazionale di giustizia sta indagando sulle «politiche e pratiche» di Israele nei confronti dei territori palestinesi occupati dall’inizio del 2023, su richiesta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
In una serie di udienze a febbraio, il ministro degli esteri dell’Autorità nazionale palestinese, Riad Malki, ha accusato Israele di apartheid e ha chiesto alla corte di dichiarare illegale l’occupazione di terre palestinesi. Israele non ha inviato rappresentanti legali alle udienze.
Sebbene la sentenza di venerdì influenzerà la posizione dell’ONU sugli insediamenti israeliani, la Corte internazionale di giustizia non ha alcun mezzo per far rispettare la decisione.
«Il popolo ebraico non è un occupante nella propria terra, né nella nostra eterna capitale Gerusalemme, né nella terra dei nostri antenati in Giudea e Samaria», ha affermato Netanyahu in una dichiarazione poco dopo la lettura del verdetto. «Nessuna falsa decisione all’Aja distorcerà questa verità storica, così come la legalità dell’insediamento israeliano in tutti i territori della nostra patria non può essere contestata», ha aggiunto.
I partner della coalizione di Netanyahu, dalla linea dura, hanno chiesto una risposta ancora più dura. Parlando ai giornalisti la scorsa settimana, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha detto che Netanyahu dovrebbe annettere formalmente l’intera Cisgiordania e Gerusalemme Est se la corte dovesse pronunciarsi contro Israele.
Lo Smotrich, acceso leader del Partito Sionista Religioso ha anche promesso di intensificare la costruzione di insediamenti per «ostacolare la creazione di uno stato palestinese».
Lo Stato Ebraico ha conquistato la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est durante la Guerra dei sei giorni del 1967. La Cisgiordania è divisa in tre aree, con meno di un quinto del suo territorio sotto il pieno controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Poco più di un quinto è sotto il controllo della sicurezza israeliana e il controllo amministrativo palestinese, mentre il resto, che comprende circa il 60% del territorio, è sotto il pieno controllo israeliano.
È in quest’ultima area, denominata «Area C» in base agli Accordi di Oslo del 2000, che Israele ha costruito la maggior parte dei suoi insediamenti.
In base agli accordi, Israele non avrebbe mai dovuto mantenere un controllo permanente su quest’area. Tuttavia, il governo israeliano ha firmato la costruzione di quasi 150 insediamenti lì dall’inizio degli anni 2000 e più di 450.000 coloni vivono ora nella Cisgiordania, secondo i dati degli attivisti israeliani anti-insediamenti.
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Come riportato da Renovatio 21, lo Smotrich il mese scorso ha «legalizzato» cinque nuovi insediamenti e vara misure punitive contro l’Autorità palestinese.
«Ciò che occorre fare nella Striscia di Gaza è incoraggiare l’emigrazione. Se ci fossero 100.000 o 200.000 arabi a Gaza e non 2 milioni di arabi, l’intera discussione del giorno dopo sarà totalmente diversa» aveva dichiarato il ministro sionista ad inizio anno. In questo modo, i palestinesi che vivono lì sotto il dominio di Hamas «stanno crescendo con l’aspirazione a distruggere lo Stato di Israele… La maggior parte della società israeliana dirà “perché no, è un bel posto, facciamo fiorire il deserto, non costa niente a nessuno”».
Come riportato da Renovatio 21, a marzo Smotrich aveva dichiarato a una cerimonia commemorativa privata a Parigi che non esiste un popolo palestinese, che è un’invenzione del mondo arabo e che lui e i suoi nonni sono i veri palestinesi.
Lo Smotrich è nel manipolo di ministri che parteciparono, tra balli sfrenati al ritmo della musica tunza-tunza giudea, al convegno degli infervorati sostenitori del «Grande Israele» per la colonizzazione di Gaza tenutosi a gennaio.
In quell’occasione, il ministro Smotrich ha affermato che Israele potrebbe «sfuggire ancora una volta al terrorismo» oppure «insediare il territorio, controllarlo, combattere il terrorismo e portare sicurezza all’intero Stato di Israele. Senza accordo non c’è sicurezza. E senza sicurezza ai confini di Israele, non c’è sicurezza in nessuna parte di Israele». «Se Dio vuole, insieme saremo vittoriosi; A Dio piacendo, insieme troveremo una soluzione e saremo vittoriosi».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Il ministro israeliano: agli ebrei non può essere impedito di stabilirsi in Cisgiordania
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Geopolitica
Orban: «l’UE è in uno stato di disintegrazione»
L’Unione Europea sta progressivamente disintegrandosi perché le decisioni adottate a Bruxelles vengono sempre più disattese dagli Stati membri, ormai divisi tra fautori della guerra e sostenitori della pace, ha dichiarato il primo ministro ungherese Vittorio Orban.
In un’intervista pubblicata mercoledì sul quotidiano Magyar Nemzet, Orban ha sostenuto che questo processo è in atto nonostante Bruxelles, con la sua «burocrazia dalle ambizioni imperiali», continui a spingere per ampliare il proprio potere sui governi nazionali.
«L’Unione europea oggi è in uno stato di disintegrazione… È così che l’unione si sgretola: le decisioni vengono prese a Bruxelles, ma non vengono attuate», ha affermato Orbán, rilevando che la non conformità tende a diffondersi da un Paese all’altro.
Interrogato sulla possibilità che l’Europa si stia trasformando in un’economia di guerra, ha risposto di sì. Orbán ha spiegato che il declino politico, economico e sociale dell’Europa occidentale – iniziato a metà degli anni 2000 e accelerato da risposte inadeguate alla crisi finanziaria – ha reso la regione incapace di competere con le aree del mondo in più rapida crescita. Di conseguenza, ha argomentato, la crescita viene ricercata attraverso il consolidato modello storico dell’economia di guerra, che spiegherebbe l’impegno europeo nel conflitto ucraino.
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Budapest si è opposta con coerenza alle politiche bellicose di Bruxelles verso l’Ucraina fin dall’escalation del febbraio 2022, incluse le sanzioni contro la Russia. Secondo Orbán, queste misure hanno fatto esplodere i prezzi dell’energia, rendendo la concorrenza «impossibile» e di fatto «uccidendo» l’industria europea.
Il premier magiaro ha inoltre sottolineato che l’Europa si è spaccata in due schieramenti – «il campo della guerra e quello della pace» – e che al momento prevalgono le forze favorevoli alla guerra. «Bruxelles vuole la guerra; l’Ungheria vuole la pace», ha dichiarato l’Orban.
Alti funzionari UE hanno sfruttato le presunte minacce provenienti da Mosca per giustificare l’accelerazione della militarizzazione. Il presidente russo Vladimir Putin ha accusato l’Unione di aggrapparsi alla «fantasia» di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, sostenendo che l’UE «non ha un’agenda pacifica» e si schiera invece «dalla parte della guerra». Putin ha messo in guardia che, pur non avendo la Russia alcuna intenzione di combattere contro l’UE o la NATO, la situazione potrebbe degenerare rapidamente se le nazioni occidentali provocassero un conflitto con Mosca.
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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