Alimentazione
Città senza cibo in Sri Lanka
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Si prevede che le riserve di riso si esauriranno entro ottobre. Incentivati gli orti domestici nelle metropoli. Per far fronte alla crisi il governo sarà costretto a importare tonnellate del cereale, ma è necessario cambiare anche i modelli di consumo alimentari della popolazione, sostengono gli esperti.
Gli abitanti delle città dello Sri Lanka saranno i più colpiti dalla scarsità di cibo, a cui il governo sta cercando di porre rimedio dando priorità alle importazioni di riso e cercando di cambiare i modelli di consumo dei cittadini.
A differenza dei villaggi, dove la popolazione riesce a essere quasi autosufficiente, la popolazione urbana, soprattutto coloro che vivono in condomini, non hanno spazio per coltivare ortaggi.
Nei giorni scorsi il premier Ranil Wickremesinghe ha dichiarato che le aree più popolose saranno più colpite dalla «imminente carenza di cibo», che con ogni probabilità si farà maggiormente sentire quando si prevede finiscano le riserve alimentari a ottobre di quest’anno.
Per far fronte al problema il governo intende garantire migliori collegamenti tra le campagne e le città in modo da evitare ritardi nel trasporto di prodotti agricoli.
Secondo fonti governative interpellate da AsiaNews il primo ministro ha chiesto al sindaco di Colombo, Rosy Senanayake, presente alla discussione, «di assicurare la coltivazione di qualche tipo di prodotto negli orti domestici delle famiglie» per ridurre la carenza di alimenti.
La maggior parte dei cittadini sostiene di non avere né spazio né fertilizzanti adeguati per coltivare ortaggi. Alcuni fanno notare inoltre che i negozi che vendono le sementi sono chiusi per gli alti costi dei trasporti, a loro volta causati dall’aumento del prezzo del carburante.
Il professor Buddhi Marambe dell’Università di Peradeniya ha espresso preoccupazione riguardo la scarsità di generi alimentari nel Paese e ha sottolineato la necessità di disporre di quantità adeguate di riso fino al marzo 2023, poiché il riso è alla base della dieta della popolazione in Sri Lanka.
A suo parere il governo dovrà essere pronto a importare grosse quantità del cereale: «se si cambiano i modelli di consumo, le quantità importate saranno minori e anche i costi di importazione si ridurranno», ha spiegato, sottolineando che in ogni caso si riuscirà a coprire il fabbisogno totale solo in parte.
L’esperto ha inoltre evidenziato che a causa delle bassissime riserve di valuta estera, il governo dovrà dare priorità all’importazione di riso per nutrire i propri cittadini piuttosto che a quella di altri prodotti.
Secondo gli analisti economici, se non verranno alterati i modelli di consumo, sarà necessario importare 195mila tonnellate di riso al mese.
Il professor Marambe è dell’idea che se gli srilankesi consumassero una combinazione di diversi tipi di prodotti di stagione, come il jackfruit e la manioca, contribuirebbero a ridurre l’import totale di riso. Ha infine affermato che è necessario acquistare fertilizzanti per la stagione Maha (da settembre a marzo) poiché «il tempo» per la coltivazione durante l’attuale stagione Yala (da maggio ad agosto) «sta per scadere».
Alcuni esperti di agricoltura hanno spiegato ad AsiaNews che le scorte di riso dello Sri Lanka verranno esaurite entro ottobre a causa del divieto assoluto di importazione di prodotti chimici e fertilizzanti imposto dal governo l’anno scorso.
L’agricoltura dello Sri Lanka ha fatto «un’inversione da un giorno all’altro»” verso il biologico senza considerare le potenziali conseguenze negative del divieto di importazione.
Per queste ragioni, affermano gli esperti, è necessario che nel preparare il prossimo bilancio venga data priorità non solo al riso, ma anche ai fertilizzanti.
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Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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