Connettiti con Renovato 21

Cina

Cina, in lockdown anche la megalopoli di Chengdu

Pubblicato

il

La Cina ha annunciato che la metropoli di Chengdu sta mettendo i suoi 21 milioni di residenti in lockdown a causa del COVID-19.

 

Le autorità di Chengdu stanno lanciando tamponi di massa sulla popolazione dell’enorme città del Sud-Ovest cinese.

 

I funzionari del Partito Comunista Cinese chiedono ai residenti di «rimanere a casa in linea di principio» dalle 18:00 di giovedì. La restrizione appena imposta consente a una persona per famiglia la possibilità di procurarsi beni di prima necessità in luoghi come i supermercati. La popolazione è stata presa alla sprovvista: nessuno si attendeva un blocco così repentino.

 

I funzionari non hanno dato notizie sulla durate del lockdown. Il che non può far pensare alla situazione da incubo vissuta a Shanghai la scorsa primavera.

 

«L’attuale stato di controllo dell’epidemia è anormale, complesso e cupo», hanno affermato i funzionari, aggiungendo che il blocco mira ad «arrestare in modo decisivo la diffusione dell’epidemia e garantire la salute di tutti i cittadini».

 

Chengdu non solo è la più grande città dopo Shanghai ad essere messa in clausura forzata per il COVID. La capitale del Sichuan è altresì davvero importante per l’economia, essendo un centro manifatturiero di importanza mondiale, dove producono in grandi impianti colossi dell’automotive come Toyota e Volkswagen, ma vi è pure Foxconn (l’azienda taiwanese di microchip che assembla di iPhone di Apple).

 

Alla borsa di Hong Kong l’indice Hang Seng è crollato di quasi il 2% e l’indice CSI 300 è sceso di quasi l’1% al minimo degli ultimi tre mesi.

 

Alcuni titoli cinesi quotati negli Stati Uniti sono diminuiti sulla notizia del blocco. Alibaba è stata scambiato in ribasso del 2% nel premercato statunitense, mentre i titoli di veicoli elettrici come Nio, XPeng e Li Auto sono scesi rispettivamente del 3,4%, 3,1% e 2,2%.

 

Una ricaduta di pessimismo dalla Cina è trapelata nei titoli di lusso europei dopo che l’analista di HSBC Erwan Rambourg ha declassato LVMH, Hermes, Richemont e Swatch. Rambourg ha scritto in una nota di essere più cauto riguardo alle prospettive del settore a breve termine e la valutazione a questi livelli non aveva senso.

 

La testata economica americana Bloomberg ora attacca direttamente la politica zero-COVID di Pechino: «La politica cinese dello zero-COVID continuerà a essere un rischio per i mercati e blocchi sporadici significano che qualsiasi ripresa della riapertura sarà probabilmente accidentata» .

 

È possibile dare una lettura politica della vicenda: si tratta, infatti, di una fase delicata per il potere Pechinese, visto che a breve vi sarà 20° congresso del partito, è il trono di Xi, come abbiamo ripetuto su Renovatio 21 tante volte, non sembra così solido come si vorrebbe pensare.

 

La fronda a Xi, fatta dell’ex presidente Jiang Zemin e di figure di vertice della gioventù comunista, è chiamata «fazione di Shanghai». Il loro potere è tale che l’eliminazione della loro influenza da parte del presidente in carica deve sembrare impossibile.

 

La politica sanitaria zero-COVID, che prevede il blocco totale di un’area (anche di milioni di persone, anche di un’intera nazione, come la Nuova Zelanda, che un anno fa andò in lockdown per un singolo caso) anche per un singolo caso ha i suoi sostenitori anche in Italia, ad esempio qualche persistente figura nel sistema politico-sanitario nazionale.

 

Per qualche ragione non subito comprensibile, lo zero-COVID è adottato anche dal presidente cinese Xi Jinping.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo speculatore internazionale George Soros, forse alla sua ultima carica di distruttore di Stati, sta ora attaccando a testa bassa Xi Jinping anche sulla questione dello zero-COVID.

 

Nel frattempo, da Shanghai continuano ad arrivare immagini inquietanti, come la popolazione in fuga dall’Ikea per paura di essere coinvolta in un nuovo lockdown selettivo, mentre agenti di sicurezza tentano di impedire che scappino tenendo chiuse le porte.

 

 

 

Continua a leggere

Cina

La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi

Pubblicato

il

Da

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping la prossima settimana durante un viaggio in Asia, ha dichiarato giovedì la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.

 

Trump si recherà in Malesia e Corea del Sud, dove incontrerà Xi Jinping giovedì prossimo a margine del Vertice di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Leavitt non ha fornito ulteriori dettagli sull’incontro.

 

L’annuncio giunge in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra i due Paesi. La settimana scorsa, Trump ha minacciato di introdurre un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre.

Iscriviti al canale Telegram

Questa escalation segue la decisione di Pechino di imporre restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare, nonostante avesse precedentemente definito «insostenibili» le tariffe elevate. La nuova politica cinese non colpisce direttamente gli Stati Uniti, ma le aziende tecnologiche americane dipendono fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.

 

Sebbene Trump avesse annunciato settimane fa l’intenzione di incontrare Xi al vertice APEC, non aveva specificato la data. Tuttavia, aveva anche accennato alla possibilità di cancellare l’incontro, a causa del disappunto per le restrizioni cinesi sull’export di minerali di terre rare.

 

Mercoledì, il presidente statunitense ha dichiarato che i due leader avrebbero discusso di temi che spaziano dal commercio all’energia nucleare, aggiungendo che intende affrontare anche la questione degli acquisti di petrolio russo da parte della Cina.

 

L’incontro in Corea del Sud sarà il primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato al potere a gennaio. I due si sono parlati almeno tre volte quest’anno, ma l’ultimo incontro di persona risale al 2019, durante il primo mandato di Trump.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

Continua a leggere

Cina

La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico

Pubblicato

il

Da

La Cina ha accusato la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti di aver condotto un «significativo» attacco informatico protrattosi per anni contro l’ente cinese incaricato di gestire l’orario nazionale ufficiale.   In un comunicato diffuso domenica sul suo account social ufficiale, il Ministero della Sicurezza dello Stato (MSS) ha dichiarato di aver acquisito «prove inconfutabili» dell’infiltrazione della NSA nel National Time Service Center. L’operazione segreta sarebbe iniziata nel marzo 2022, con l’obiettivo di sottrarre segreti di Stato e compiere atti di sabotaggio informatico.   Il centro rappresenta l’autorità ufficiale cinese per l’orario, fornendo e trasmettendo l’ora di Pechino a settori cruciali come finanza, energia, trasporti e difesa. Secondo l’MSS, un’interruzione di questa infrastruttura fondamentale avrebbe potuto provocare «instabilità diffusa» nei mercati finanziari, nella logistica e nell’approvvigionamento energetico.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

L’MSS ha riferito che la NSA avrebbe inizialmente sfruttato una vulnerabilità (exploit) nei telefoni cellulari di fabbricazione straniera utilizzati da alcuni membri del personale del centro, accedendo così a dati sensibili.   Nell’aprile 2023, l’agenzia avrebbe iniziato a utilizzare password rubate per penetrare nei sistemi informatici della struttura, un’operazione che avrebbe raggiunto il culmine tra agosto 2023 e giugno 2024.   Il ministero ha dichiarato che gli intrusi hanno impiegato 42 diversi strumenti informatici nella loro operazione segreta, utilizzando server privati virtuali con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Asia per nascondere la loro provenienza.   L’MSS ha accusato gli Stati Uniti di «perseguire in modo aggressivo l’egemonia informatica» e di «violare ripetutamente le norme internazionali che regolano il cyberspazio».   Le agenzie di intelligence americane «hanno agito in modo sconsiderato, conducendo incessantemente attacchi informatici contro la Cina, il Sud-est asiatico, l’Europa e il Sud America», ha aggiunto il ministero.   Negli ultimi anni, Pechino e Washington si sono scambiate accuse reciproche di violazioni e operazioni di hacking segrete. Queste tensioni si inseriscono in un più ampio contesto di scontro tra le due potenze, che include anche una guerra commerciale.   All’inizio di gennaio, il Washington Post aveva riportato che, il mese precedente, hacker cinesi avrebbero preso di mira l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del dipartimento del Tesoro statunitense. All’epoca, Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aveva definito tali accuse «infondate».   Come riportato, ad inizio anno le agenzie federali USA accusarono hacker del Dragone di aver colpito almeno 70 Paesi. Due anni fa era stata la Nuova Zelanda ad accusare hackerri di Pechino di aver penetrato il sistema informatico del Parlamento di Wellington.

Aiuta Renovatio 21

Le attività dell’hacking internazionale da parte di gruppi cinesi hanno negli ultimi anni raggiunto le cronache varie volte. A maggio 2021 si è saputo che la Cina ha spiato per anni i progetti di un jet militare USA, grazie a operazioni informatiche mirate.   Come riportato da Renovatio 21, a ottobre 2023 si è scoperto che hackers cinesi hanno rubato dati da un’azienda biotech americana, colpendo il settore della ricerca.   A febbraio 2022, allo scoppio del conflitto ucraino, Microsoft ha rilevato un malware «wiper» diretto a Kiev, con sospetti di coinvolgimento cinese.   Come riportato da Renovatio 21, a gennaio 2023 un attacco cibernetico cinese ha colpito università sudcoreane. Due anni fa vi fu inoltre un attacco cibernetico a Guam, isola del Pacifico che ospita una grande base USA. Analisti dissero che poteva essere un test per il vero obbiettivo, cioè lo scontro con Taiwan.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
 
Continua a leggere

Cina

La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale

Pubblicato

il

Da

In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.

 

Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.

 

Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».

 

La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.

 

Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.

 

Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».

 

L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.

 

Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.

Aiuta Renovatio 21

I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).

 

Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.

 

Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

Continua a leggere

Più popolari