Cina
Cina, fino a 162 euro agli informatori che denunciano attività religiose «illegali»
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Lo ha deciso la locale Amministrazione per gli affari religiosi. Ai delatori è chiesto di fornire «materiali audiovisivi che possano dimostrare i fatti segnalati». Nell’Henan vive il 10% dei cattolici cinesi; forte la comunità sotterranea. Tutto rientra nella politica di «sinicizzazione» delle religioni voluta da Xi Jinping.
Informatori ricompensati con 600-1.200 yuan (81-162 euro) per denunciare «attività religiose illegali». Lo ha deciso l’Amministrazione per gli affari religiosi di Zhumadian (Henan) con un atto del 13 marzo, reso pubblico nei giorni scorsi.
Non è la prima volta che le autorità locali incentivano delatori per sopprimere comunità religiose ritenute non allineate ai dettami del Partito comunista cinese (PCC), e viste quindi come una minaccia alla stabilità sociale. Situazioni del genere si sono avute nell’Heilongjiang e nello Shandong nel 2021, e nel Fujian, Guangxi, Hebei, Liaoning e di nuovo Henan nel 2019.
La municipalità di Zhumadian incoraggia la «partecipazione pubblica» per combattere gli atti illegali nel campo della religione. Soprattutto chiede alle potenziali spie di fornire «materiali audiovisivi che possano dimostrare i fatti segnalati».
Il decreto della municipalità non fa riferimento a una religione in particolare. Nell’Henan vive però il 10% dei cattolici cinesi. Come nel Fujian la locale Chiesa non ufficiale (sotterranea), che non riconosce gli organismi religiosi sotto il controllo del Partito, è molto forte.
Di recente le autorità della provincia hanno introdotto l’obbligo per i fedeli di ogni credo di registrarsi per poter assistere alle funzioni religiose: vale per chiese, moschee come templi buddhisti.
È da ricordare che da quasi due anni la polizia locale detiene illegalmente (senza alcuna condanna o accusa) mons. Giuseppe Zhang Weizhu, vescovo di Xinxiang. La firma nel 2018, e il rinnovo nell’ottobre 2020 e 2022, dell’Accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi non ha fermato la persecuzione nei confronti degli esponenti cattolici, soprattutto di quelli non ufficiali.
Ci sono poi le testimonianze raccolte negli anni da AsiaNews, con casi nell’Henan di croci distrutte e divelte; distici religiosi augurali coperti o eliminati; ricatti a famiglie povere che per avere sussidi dovevano distruggere le immagini sacre nelle loro case.
Tutto rientra nella politica di «sinicizzazione» delle religioni voluta da Xi Jinping, in un clima di crescente oppressione nei confronti delle religioni, come è emerso durante la recente sessione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo.
Il regime ha lanciato in via ufficiale il processo nel 2015. Dal primo giugno 2022 sono entrate in vigore le «Misure per la gestione finanziaria dei siti religiosi». Poco prima, a marzo, è stato il turno delle «Misure amministrative per i servizi d’informazione religiosa su internet»: ora in Cina non è più possibile svolgere attività religiose online senza aver ottenuto prima l’autorizzazione governativa.
A febbraio dello scorso anno l’Amministrazione statale per gli affari religiosi aveva reso pubbliche le «Misure amministrative per il personale religioso», un documento sulla gestione di clero, monaci, sacerdoti, vescovi, etc. Nel febbraio 2018 il Partito aveva adottato invece i «Nuovi regolamenti sulle attività religiose», secondo cui il personale religioso può svolgere le sue funzioni solo se aderisce alle organizzazioni «ufficiali» e si sottomette al PCC.
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Immagine di Jaime Jover via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
Cina
La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping la prossima settimana durante un viaggio in Asia, ha dichiarato giovedì la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.
Trump si recherà in Malesia e Corea del Sud, dove incontrerà Xi Jinping giovedì prossimo a margine del Vertice di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Leavitt non ha fornito ulteriori dettagli sull’incontro.
L’annuncio giunge in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra i due Paesi. La settimana scorsa, Trump ha minacciato di introdurre un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre.
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Questa escalation segue la decisione di Pechino di imporre restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare, nonostante avesse precedentemente definito «insostenibili» le tariffe elevate. La nuova politica cinese non colpisce direttamente gli Stati Uniti, ma le aziende tecnologiche americane dipendono fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.
Sebbene Trump avesse annunciato settimane fa l’intenzione di incontrare Xi al vertice APEC, non aveva specificato la data. Tuttavia, aveva anche accennato alla possibilità di cancellare l’incontro, a causa del disappunto per le restrizioni cinesi sull’export di minerali di terre rare.
Mercoledì, il presidente statunitense ha dichiarato che i due leader avrebbero discusso di temi che spaziano dal commercio all’energia nucleare, aggiungendo che intende affrontare anche la questione degli acquisti di petrolio russo da parte della Cina.
L’incontro in Corea del Sud sarà il primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato al potere a gennaio. I due si sono parlati almeno tre volte quest’anno, ma l’ultimo incontro di persona risale al 2019, durante il primo mandato di Trump.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico
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Cina
La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale
In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.
Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.
Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».
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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».
La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.
Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.
Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».
L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.
Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.
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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).
Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.
Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».
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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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