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Chi è Ghislaine Maxwell? Qual’è il suo mistero?
Si parlerà moltissimo di Ghislaine Maxwell nei prossimi giorni. La socia ed ex-compagna del miliardario pedofilo Jeffrey Epstein morto suicida esattamente un anno fa è stata finalmente arrestata.
Il finanziere e autore di podcast Eric Weinstein in una intervista di qualche mese fa si domandò quello che nessuno ha il coraggio di chiedere: perché nessuno, né giornalisti né apparantemente investigatori, stava cercando di capire dove fosse scappata Ghislaine?
Perché nessuno, né giornalisti né apparantemente investigatori, stava cercando di capire dove fosse scappata Ghislaine?
Il mistero intorno alla donna è per certi versi maggiore di quello che aleggiava intorno ad Epstein. È anzi noto che molte delle reti sociali scalate da Epstein, come quella dei reali inglesi – come noto, il Principe Andrea d’Inghilterra sta ancora parecchio inguaiato – fossero opera di Ghislaine, figlia prediletta (tra dieci bambini) del magnate mediatico britannico Robert Maxwell, anche lui sparito in circostanze misteriose.
È molto sospetto che la Maxwell, cittadina britannica dotata di più passaporti (più, magari, alcuni di falsi, come quelli rinvenuti della cassaforte del palazzo newyorkese di Epstein), non sia fuggita all’estero. Viene da pensare che sia riaffiorata magari con un’ultima missione da compiere, magari l’ultima. Qualsiasi cosà dirà ora – magari puntando il dito lontano dai Clinton, e verso la Casa Bianca – avrà un impatto gigantesco.
È molto sospetto che la Maxwell non sia fuggita all’estero
In molti sostengono che la Maxwell possa aver avuto relazioni con servizi segreti di Paesi stranieri. Molti si arrovellarono quando, l’anno scorso, riemerse in California facendosi fotografare nel dehors di un bar mentre leggeva un libro sulle spie della CIA morte: alcuni in questo vedevano un segnale preciso, mandato a chi, e comunicante cosa, non è dato a sapersi.

Parimenti, è noto che Alexander Acosta, il procuratore della Florida che nel 2006 diede ad Epstein una pena assai lieve, abbia confessato che qualcuno gli desse, all’epoca, di lasciar perdere Epstein, perché «è roba dell’Intelligence».
Alexander Acosta, il procuratore della Florida che nel 2006 diede ad Epstein una pena assai lieve, ha confessato che qualcuno gli desse, all’epoca, di lasciar perdere Epstein, perché «è roba dell’Intelligence»
Nel documentario Netflix su Epstein appena uscito, una delle vittime lo dice chiaramente: era un grande schema di ricatto. Le ragazzine venivano offerte ai potenti della terra nell’isola caraibica o nelle residenze da nababbo di Epstein, dove erano montate ovunque telecamere e sistemi di sorveglianza.
In pratica, Epstein sedeva su una quantità di materiale compromettente senza pari al mondo, e aveva registrazione per ricattare tanti politici e finanzieri, chiedendo favori o qualche centinaia di milioni di dollari da mettere sul suo misterioso fondo di investimento.
Parimenti misteriosa è la tempistica: la Maxwell viene in superficie nel momento in cui un’ulteriore accusa assai scomoda è stata sparata in prima pagina. Secondo il recentissimo libro A Convenient Death: The Mysterious Demise of Jeffrey Epstein, l’ex presidente Bill Clinton e la Maxwell avevano una relazione sessuale. Sono inoltre tornate a circolare in queste ore la foto della Maxwell al matrimonio della figlia di Bill e Hillary, Chelsea.

Clinton e la Maxwell sono stati raffigurati insieme sull’aereo del miliardario pedofilo nei primi anni 2000. L’aereo era chiamato «Lolita Express» e di diari di volo indicano che Clinton vi ha viaggiato almeno 26 volte.
In pratica, Epstein sedeva su una quantità di materiale compromettente senza pari al mondo, e aveva registrazione per ricattare tanti politici e finanzieri, chiedendo favori politici o qualche centinaia di milioni di dollari da mettere sul suo misterioso fondo di investimento.

Ma chi è Ghislaine Maxwell?
I giornali la definiscono una socialite, parola inglese per definire una persona dell’alta società dedita per lo più alle feste e al networking. Una vecchia foto la ritrae con il padre dalla Regina Elisabetta, sorridentissima. Tuttavia, quando il padre morì non lasciò nulla se non un impero di debiti. È all’altezza dei primi anni Novanta che quindi Ghislaine cerca di rigenerarsi a Nuova York, dove incontra il già rampantissimo Jeffrey Epstein.
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Torniamo un attimo sul padre, il mitico Robert Maxwell, «il Berlusconi d’Inghilterra», primo grande media-moghul in terra di Albione, nato però da famiglia ebraica in Cecoslovacchia con il nome di Ján Ludvík Hyman Binyamin Hoch. Maxwell, che fu anche membro del parlamento britannico, iniziò a far fortuna vendendo testi tecnologici sovietici – così almeno racconta la versione ufficiale.
In realtà, qualcuno pensa che egli agisse da valvola riconosciuta tra Londra, Mosca e – ça va sans dire – Tel Aviv.
Secondo un recente libro l’ex presidente Bill Clinton e la Maxwell avevano una relazione sessuale
John Major racconta di come fece da advisor al Premier durante il golpe russo del 1991; tra il 1988 e i primi anni Novanta fece un largo lavoro di lobbying per dare agli ebrei russi la libertà di immigrazione (che valeva, spesso, un viaggio di sola andata in Israele) attraverso i buoni rapporti con Gorbachev, figura peraltro molto amata dai britons.
Una sua appartenenza appartenenza al Mossad è stata più volte messa sul piatto. Il reporter americano Hersh (un premio Pulitzer) ne parlò alla presentazione di un suo libro sull’atomica di Tel Aviv, The Samson Option: secondo le sue ricerche fu Maxwell ad avvisare gli israeliani delle intenzioni del fisico nucleare Vanunu, poi rapito a Roma nel 1986 e sparito per molti anni.
Il padre di Ghislaine pare essere stato dietro a diversi altri intrighi nucleari israeliani,
Il tychoon ceco-britannico pare essere stato dietro a diversi altri intrighi nucleari israeliani, così come – la cosa ha prodotto varie inchieste anche a livello politico – pare sia stato tramite Maxwell che la Cecoslovacchia armò Israele contrabbandando i velivoli necessari alla supremazia aerea per la guerra arabo-israeliana del 1948. Il ruolo di agente israeliano di altissimo livello ricoperto da Maxwell è descritto anche nel libro del 2003 Robert Maxwell, Israel’s Superspy.
La fine di Maxwell, sommerso dai debiti e forse ancora di più dal tramonto della Guerra Fredda dove poteva agire da pedina fondamentale, fece scalpore: sparì una notte mentre il suo yacht era in navigazione al largo delle Canarie, in pieno Atlantico. Il corpo fu recuperato ma le autorità madrilene esclusero potesse trattarsi di omicidio, anche se l’autopsia non riuscì a determinare con certezza le cause della morte. È sepolto presso il Monte degli Ulivi a Gerusalemme, il cimitero dove, secondo la credenza ebraica, inizieranno a risorgere i morti all’arrivo del Messia.
L’imbarcazione da cui cadde in mare, si chiamava come l’ultima figlia: Lady Ghislaine
L’imbarcazione da cui cadde in mare, si chiamava come l’ultima figlia: Lady Ghislaine.
Maxwell si lasciò dietro una diecina di figli, molti dei quali hanno fatto notizia di recente per il fatto di vivere vite piccolo-borghesi, costretti a vendere all’asta ciò che ha lasciato a loro l’augusto genitore.
L’ultimogenita Ghislaine, appena trentenne quandò il padre scomparve, invece mai ha mollato il jet-set: fondò una ONG ambientalista chiamata TerraMar che – ironia tragica – si occupa di protezione di quell’Oceano che ha inghiottito il Papà, lo stesso Oceano davanti a cui sorgeva l’isola pedofila di Epstein, dove pare vi fosse anche una sorta di tempio ad una divinità marina (vi sono foto, ma qui i dettagli si confondono in una storia fatta per diventare una brutta legenda).
«La sua agenda non ce la ha nessuno, nemmeno Rupert Murdoch»
«La sua agenda non ce la ha nessuno, nemmeno Rupert Murdoch» ha scritto di lei nel 2011 la rivista Vanity Fair, che notava come, oltre all’impegno terzomondista, Ghisaline non facesse segreto della sua passione per i Clinton. Se pensiamo che l’agenda della Maxwell finisse col coincidere con quella di Epstein, quell’agenda potrebbe aver compreso anche molti nomi italiani, come visibile nell’agendina nera di Epstein finita in rete anni fa.
L’idea che si è fatto qualcuno, per farla breve, è che la Ghislaine abbia ereditato il secondo lavoro dal padre. Lavoro che è quello di agente di un Paese straniero.
L’idea che si è fatto qualcuno è che la Ghislaine abbia ereditato il secondo lavoro dal padre. Lavoro che è quello di agente di un Paese straniero.
Tramite Epstein e la Maxwell («La più stramba alleanza di New York», si chiedeva Vanity Fair, cui evidentemente manca la malizia), di fatto era possibile costruire un database di contatti (e, nel caso, di ricatti) niente male, nel più classico trabochetto della honeytrap («la trappola del miele»: incastrare qualcuno per via sessuale).
Dalle orgette nei caraibi, si possono ricattere principi di sangue e principi del foro, ex-presidenti e futuri presidenti – e chissà quanti altri. Sì, si tratta forse dell’operazione di honeypotting (indurre alla «trappola del miele») più riuscita di sempre. I russi hanno la parola kompromat, «materiale compromettente».
Epstein e la Maxwell avevano probabilmente davanti a loro un oceani di kompromat.
Potrebbe, anche lei, riuscire a suicidarsi mentre è in una cella per aspiranti suicidi che dovrebbero essere guardati a vista 24 ore su 24
Staremo a vedere. Ora potrebbe fare rivelazioni straordinarie. Oppure potrebbe, anche lei, riuscire a suicidarsi mentre è in una cella per aspiranti suicidi che dovrebbero essere guardati a vista 24 ore su 24.
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Generale Flynn: valutazione strategica della rivoluzione colorata in America
Renovatio 21 pubblica questo scritto apparso su Substack del generale Michael Flynn.
Il popolo americano ha appena tirato il primo respiro dopo essere sopravvissuto a un tentativo di soffocare la Repubblica attraverso una campagna culturale di ispirazione marxista, condotta in gran parte attraverso l’amministrazione statale, i media, il mondo accademico e gli elementi politicizzati della burocrazia della sicurezza nazionale. La maggior parte dei cittadini non se ne è resa conto appieno mentre accadeva. Molti membri della comunità dell’Intelligence l’hanno accettato passivamente o l’hanno promosso attivamente. Gli architetti di questo progetto non hanno ancora finito, ma il loro impegno è stato danneggiato e ritardato. È solo per grazia di Dio che il Paese è arrivato fino a questo punto.
La versione americana della Rivoluzione Culturale è distinta dal modello maoista che devastò la Cina nel XX secolo. Non si coalizzò attorno a una singola figura rivoluzionaria carismatica. Si diffuse invece lungo le arterie della burocrazia, dell’istruzione superiore, delle strutture aziendali e delle reti di attivisti. La lunga marcia attraverso le istituzioni, come descritta da Antonio Gramsci, divenne il modello operativo. Invece di Guardie Rosse che riempivano le strade agli ordini di un leader supremo identificabile, gli Stati Uniti hanno sperimentato una convergenza coordinata di agenzie, ONG, fondazioni, organi di stampa e fronti di attivisti, tutti promotori dello stesso progetto ideologico sotto etichette diverse.
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Poiché le agenzie federali differiscono notevolmente per dimensioni, missione, cultura e resistenza interna, questa rivoluzione si è sviluppata in modo disomogeneo. Non ha mai raggiunto il dominio totale in un unico colpo decisivo. Al contrario, ha progredito con conquiste frammentarie e ha subito sconfitte frammentarie.
Ovunque il progetto ideologico conquistasse un dipartimento delle risorse umane, un percorso di formazione, un sistema scolastico pubblico o una piattaforma mediatica centrale, incontrava resistenza nei governi statali, nei media indipendenti, nei singoli tribunali e nelle reti di cittadini che si rifiutavano di conformarsi. Questa frammentarietà nell’attuazione ha rallentato il collasso e ha dato al popolo americano il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo e di reagire.
Anche mentre queste battaglie si svolgevano pubblicamente, correnti più oscure si muovevano sotto la superficie. Ora valutiamo che migliaia di dipendenti federali religiosi e conservatori siano stati identificati in modo discreto e indirizzati a un’entità federale poco nota, la Pre-Trial Services Agency. I resoconti e la documentazione iniziale indicano che questa agenzia potrebbe essere stata utilizzata per catalogare individui esclusivamente sulla base di ideologia e convinzioni religiose, con il pretesto del 6 gennaio e della non conformità alle vaccinazioni. L’intenzione sembra essere stata non solo la rimozione amministrativa, ma anche la potenziale criminalizzazione. Questa questione richiede un’indagine immediata e trasparente da parte di qualsiasi futura amministrazione che affermi di prendere sul serio lo stato di diritto.
Per comprendere il contesto più ampio, è necessario definire cosa intendiamo con il concetto di stato sociale. Non ci limitiamo a descrivere i programmi sociali tradizionali. Ci riferiamo invece a una costellazione di gruppi di attivisti professionisti completamente finanziati che si presentano come cause separate ma in realtà formano un unico blocco rivoluzionario. Nell’ultimo decennio, le organizzazioni sotto le insegne dell’antifascismo, della giustizia razziale, del femminismo radicale, dell’aborto su richiesta, di alcune fazioni LGBTQ+, dell’estremismo ambientalista e della difesa del controllo delle armi hanno mostrato una notevole coesione. Condividono donatori, personale, strutture narrative e tattiche di strada. I loro membri si sovrappongono. I loro messaggi sono sincronizzati. Si sostengono rapidamente a vicenda nelle campagne e nelle proteste.
Questi gruppi si presentano come movimenti di base. In realtà, funzionano molto più come una casta rivoluzionaria professionalizzata. Il loro nucleo non è composto da cittadini comuni, ma da attivisti qualificati che considerano l’agitazione un’occupazione a tempo pieno. Sono finanziati da un mix di fondazioni private, ricchi donatori e, in alcuni casi, risorse federali e statali. Fungono da braccio operativo e digitale di un progetto ideologico più ampio il cui obiettivo non è la riforma, ma la trasformazione. Sono uniti da una visione del mondo esplicitamente rivoluzionaria e implicitamente marxista, anche se molti dei loro militanti non usano questo linguaggio.
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All’interno di questa struttura, Diversità, Equità e Inclusione svolgono un ruolo centrale. La DEI non è una moda aziendale innocua. È un sistema di armi culturali e psicologiche. In pratica, la formazione e l’applicazione della DEI operano come un meccanismo di condizionamento comportamentale, utilizzando sensi di colpa, sessioni di lotta e la costante minaccia di punizioni sociali o professionali per riportare gli individui alla normalità. Il linguaggio delle microaggressioni, dei privilegi e dei pregiudizi sistemici funziona come una forma blanda di controllo ideologico. Costringe le persone a monitorare il proprio linguaggio, a mettere in discussione i propri istinti e a sottomettersi a un insieme in continua espansione di parole proibite e rituali obbligatori.
Questa non è inclusione. È conformismo forzato mascherato da virtù. I risultati all’interno delle istituzioni sono paura, silenzio e autocensura. Le persone imparano rapidamente che non si possono porre domande specifiche, affermare certi fatti e riconoscere certe prospettive senza mettere a repentaglio la propria carriera. Questo non è un effetto collaterale accidentale. È il punto. Se riesci a costringere le persone a mentire pubblicamente su realtà evidenti, le possiedi. La DEI è quindi meglio intesa come un’applicazione interna della rieducazione politica, in linea con gli approcci marxisti e neomarxisti al cambiamento culturale.
Redwashing è il termine che usiamo per la cancellazione sistematica di materiale che espone la storia, le tattiche e le conseguenze del marxismo. Quando l’educazione civica e la storia tradizionale americana vengono rimosse dai programmi scolastici e sostituite da narrazioni di risentimento, si prepara il terreno per una nuova ideologia. Quando la storia delle atrocità socialiste viene sepolta o ignorata, intere generazioni perdono la capacità di riconoscere modelli che i loro nonni avrebbero visto immediatamente. Questo non è accaduto per caso. L’istruzione superiore, i media e l’intrattenimento sono diventati i principali obiettivi di questa riscrittura della memoria.
Nel 2020, gli Stati Uniti erano stati sottoposti a decenni di questo rimodellamento culturale. Il Paese era arrivato quell’anno già indebolito e diviso. L’impatto combinato di una pandemia globale, di una campagna d’informazione del Partito Comunista Cinese e di disordini civili senza precedenti aveva portato il Paese a uno stato di esaurimento. Le forze dell’ordine erano sotto organico e demoralizzate. Il sistema sanitario era al limite delle sue capacità. Le scuole di ogni ordine e grado erano chiuse o ridotte a schermi. Le funzioni basilari che contraddistinguono una nazione del primo mondo erano state messe sotto assedio.
Queste condizioni erano ideali per gli attori rivoluzionari che comprendevano il concetto bolscevico della scintilla. Nella Cina di Mao, le brigate giovanili divennero strumenti di caos una volta che l’autorità della polizia fu smantellata e le strutture tradizionali indebolite. Negli Stati Uniti, le politiche che prevedevano il definanziamento e la delegittimazione della polizia, combinate con la protezione politica dei rivoltosi, produssero qualcosa di simile nello spirito. Le rivolte a catena del 2020 non furono un’eruzione spontanea. Furono una fase di condizionamento, progettata per minare la fiducia dell’opinione pubblica, normalizzare la violenza politica da sinistra e preparare il terreno emotivo per una crisi più mirata.
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Quella crisi è scoppiata il 6 gennaio. In questo caso, è essenziale comprendere la dottrina della violenza moderata. Questa tattica cerca di provocare un avversario in un atto disperato o imprudente che può poi essere utilizzato come arma per giustificare una repressione. Per un anno, gli americani hanno visto le loro città bruciare e si sono sentiti dire che si trattava di un evento per lo più pacifico. Poi, in un solo giorno, una protesta sul terreno del Campidoglio è stata presentata come un’insurrezione, una minaccia esistenziale alla «democrazia» e il fondamento morale per una campagna di arresti, sorveglianza e persecuzioni durata anni. Le rivolte della sinistra si sono fermate all’istante. La narrazione è cambiata da un giorno all’altro. Questo brusco cambiamento rivela un disegno, non una coincidenza.
Il 6 gennaio fu il punto di svolta pianificato che permise all’alleanza tra burocrazia e attivisti di dichiarare aperta la caccia agli americani conservatori e religiosi. Divenne la lente attraverso cui ogni dissenso poteva essere etichettato come pericoloso e sleale. Le persone che entrarono al Campidoglio quel giorno, molte delle quali pacifiche e sconcertate, divennero il pretesto per un progetto più ampio volto a rimodellare l’apparato di sicurezza nazionale dall’interno.
Ciò che accadde in seguito andò oltre l’attivismo di strada o la cattura culturale. Entrò nel flusso sanguigno dello Stato di sicurezza nazionale. Le conseguenze del 6 gennaio, il crollo dell’Afghanistan e gli obblighi federali sui vaccini si combinarono in un tentativo senza precedenti di rimodellare la forza lavoro federale attraverso la coercizione, l’intimidazione e la purificazione ideologica. All’interno della CIA e in tutto l’apparato di sicurezza nazionale, la rivoluzione interna raggiunse il suo apice, per poi iniziare a frantumarsi a causa delle sue stesse contraddizioni.
Il collasso sociale non è mai un evento isolato. È un processo.
Michael T. Flynn
Ex generale statunitense, già consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti
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Immagine di Mike Shaheen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha
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Il capo dell’Intelligence iraniana accusa Stati Uniti e Israele di complottare per assassinare Khamenei
Il capo dei servizi segreti iraniani ha accusato Stati Uniti e Israele di aver ordito un complotto per assassinare la Guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei, al fine di destabilizzare l’Iran, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa ISNA.
Sabato il ministro dell’Intelligence Esmail Khatib ha dichiarato che «il nemico cerca di colpire il leader supremo, a volte con tentativi di omicidio, a volte con aggressioni ostili», alludendo esplicitamente a Washington e Tel Aviv. Non è chiaro se si riferisse a un piano specifico, ma tali accuse pubbliche su minacce alla vita di Khamenei erano rare prima della guerra di 12 giorni tra Israele e Iran di giugno.
In quel conflitto, i raid israeliani hanno eliminato diversi alti ufficiali e scienziati nucleari iraniani, culminando in un cessate il fuoco mediato dagli USA il 24 giugno. Il premier Benjamin Netanyahu ha rivendicato gli attacchi come necessari per impedire a Teheran di sviluppare armi nucleari – una linea condivisa da Washington, che il 22 giugno si era unita ai bombardamenti su impianti nucleari iraniani. L’Iran, che nega ambizioni nucleari militari, ha bollato le operazioni come ingiustificate.
Khatib ha ammonito che «chi agisce in questa direzione, consapevolmente o meno, è un agente infiltrato del nemico». Ha poi rivelato che Israele sta affrontando «un’epidemia di infiltrazioni e spionaggio a favore dell’Iran nelle sue istituzioni», citando l’arresto recente di un ufficiale dell’aeronautica israeliana accusato di tradimento per Teheran. Secondo il ministro, l’Iran ha acquisito documenti segreti su programmi nucleari e sicurezza israeliana.
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Per Khatib, questa falla nel controspionaggio israeliano, unita alla «ferma posizione» iraniana durante la guerra, segnala un mutamento negli equilibri di potere regionali.
All’inizio dell’anno Netanyahu aveva smentito voci su un veto opposto dal presidente Donald Trump a un piano israeliano per eliminare Khamenei durante il conflitto, aggiungendo tuttavia che un tale strike «avrebbe posto fine alla guerra». Trump aveva replicato con minacce, definendo Khamenei un «bersaglio facilissimo» e precisando che Washington non lo avrebbe «eliminato, almeno non ora»; in seguito, su Truth Social, ha vantato di aver risparmiato al leader iraniano «una morte molto brutta e ignominiosa».
Come riportato da Renovatio 21, la Guida Suprema della Rivoluzione rispose al presidente americano promettendo «danni irreparabili» agli USA e annunciando che la Repubblica Islamica non avrebbe accettato una pace imposta.
Più tardi sarebbe emerso che lo stesso Trump avrebbe posto un veto al piano israeliano di assassinare l’ayatollah.
Khamenei, 86 anni, guida suprema dell’Iran dal 1989, detiene l’autorità ultima su ogni aspetto dello Stato. A inizio anno aveva definito «né saggio, né intelligente, né onorevole» iniziare dei colloqui con il presidente statunitense.
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Immagine di Mehr News Agency via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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